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IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 gennaio 2021
Pannelli antirumore lungo il raccordo: via alla sostituzione
L'operazione sarà effettuata nella seconda metà di febbraio - Romita:
«Finalmente verrà ridotto il disagio dei residenti»
MONRUPINO. Consiglio comunale imperniato sul recupero delle aree destinate
alle attività estrattive dismesse oggi a Monrupino. L'ordine del giorno dei
lavori, che inizieranno alle 18 e che sarà possibile seguire on line,
collegandosi con il sito del Comune, prevede infatti due punti dedicati
all'argomento e che riguarderanno nel primo caso la riattivazione della cava di
pietra ornamentale cessata, denominata "ex Puric", nel secondo la "Cava
Vecchia". In varie zone del Carso le attività estrattive hanno sempre svolto un
ruolo molto importante per l'economia locale. Nel tempo il destino del settore è
cambiato, ma ora si prospetta la possibilità di far ripartire le cave e su
questo fronte si sta impegnando la giunta di Monrupino, guidata dalla sindaca,
Tanja Kosmina. «Le cave - ha detto - rappresentano anche la possibilità di
creare posti di lavoro».
Le Falesie raccontate con un nuovo video - Lunedì la presentazione online
DUINO AURISINA. Sarà presentato lunedì, alle 15, in modalità on line, il
nuovo video di promozione turistica dedicato alla riserva delle Falesie. Si
tratta di un prodotto realizzato sulla base delle più moderne strumentazioni,
con audio sia in italiano sia in sloveno, che prevede anche immagini ottenute in
immersione subacquea, che ha lo scopo di valorizzare in chiave turistica le
straordinarie rocce di Duino.Alla realizzazione, oltre alla Regione e al Comune
di Duino Aurisina, ha contribuito il Tavolo regionale delle riserve naturali del
Friuli Venezia Giulia. In sostanza, seguendo il video, si potrà completare una
sorta di percorso virtuale all'interno della Riserva. «Questo video è molto
importante - ha detto l'assessore comunale per il Turismo, Massimo Romita -
perché il turismo è essenziale per il nostro territorio».
U.SA.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 gennaio 2021
Dipiazza: «A Barcola interventi costanti per far convivere pini e
passeggiata»
«Le radici di questo tipo di alberi crescono in orizzontale - Gestiamo la
questione allargando l'area di terra attorno»
«Per i prossimi cent'anni servirà intervenire costantemente per garantire la
convivenza tra questo tipo di pini e la pavimentazione del lungomare di
Barcola». Il sindaco Roberto Dipiazza si rivolge ai triestini, spiegando come
non esista un intervento radicale in grado di impedire alle radici di quegli
alberi che accompagnano l'intera passeggiata, di creare dei danni al porfido.
«Come ho ribadito più volte - afferma Dipiazza - l'errore è stato fatto da chi,
diversi anni fa, ha scelto di inserire questo tipo di pini in quel contesto, non
prendendo in considerazione che queste piante hanno radici che crescono in
orizzontale. Io ne ho alcune nel giardino di casa, ma intorno hanno terra e non
cemento, e quindi le loro radici riescono a respirare e non creano alcun
problema». Il primo cittadino spiega che quando sono state riqualificate le Rive
o l'area accanto al palazzo della Prefettura «sono stati scelti dei lecci che
hanno radici che si muovono in verticale, non generando questi danni». Infatti,
pur tenendo presente che in quell'area le piante sono ancora giovani, non si
sono evidenziate criticità di questa natura. «Già dallo scorso anno - illustra
il sindaco - abbiamo avviato una soluzione che consente una gestione nel tempo
del problema. In pratica - aggiunge - allarghiamo a due metri e mezzo il
diametro del collare di terra intorno all'albero, raddoppiando l'area in terra
di pertinenza, e dando così più respiro alle radici». «Certamente, nel tempo -
considera - continueranno ad alzarsi alcuni cubetti di porfido nell'area
circostante, e lì interverremo di anno in anno sistemandoli». Questa situazione
si concentra tra Barcola e Grignano, dove nella zona di proprietà del Demanio
marittimo, la Regione ha predisposto un intervento per risolvere anche lì i
problemi causati al manto stradale dalle radici dei pini, senza danneggiare in
alcun modo le alberature. «Il problema lo riscontriamo prevalentemente in quelle
zone - conferma Francesco Panepinto dell'Unità tecnica alberature e parchi del
Comune di Trieste - e si manifesta quando attorno ai pini non c'è una
pavimentazione permeabile. A Barcola a rendere la situazione più severa, c'è la
vicinanza con la falda salina, che spinge le radici a salire ancora di più.
Serve che l'area di pertinenza degli alberi mantenga materiali drenanti, come la
terra, la ghiaia o l'Ecodren». Un sistema, quest'ultimo, ormai utilizzato
attorno alle piante in diversi punti della città, che ha capacità traspirante e
drenante, permettendo di creare collari più ampi attorno agli alberi, senza
determinare dislivelli tra la zona pedonale e le aiuole. Un intervento simile a
quello riservato agli alberi sul lungomare, sta per essere messo a punto in
viale Miramare, nei pressi del giardinetto Skabar. «Lì - spiega il sindaco -
quel tipo di pini ha sollevato parte del marciapiede e dell'asfalto, e con un
intervento da 50 mila euro garantiremo alle radici di quelle piante spazi di
respiro più ampi. L'attenzione al verde pubblico - assicura - è costante, nel
rispetto del benessere delle piante ma anche della fruibilità degli spazi
pubblici».
Laura Tonero
«Lo scavo originario troppo poco profondo una possibile causa» - Il direttore
di Scienze della Vita Tretiach
Che specie di pini sono quelli che regalano un po' d'ombra sul lungomare di
Barcola, e che caratteristiche hanno? «Sono dei pini d'Aleppo (Pinus Halapensis),
delle conifere che si sviluppano in tutto l'emisfero settentrionale, abituate a
colonizzare terreni poveri, difficili, con grande stabilità». Lo spiega Mauro
Tretiach, direttore del Dipartimento di Scienze delle vita dell'Università di
Trieste, che riconosce a questi esemplari una grande capacità, dettata
dall'incredibile apparato radicale, formato da un grande fittone (il
prolungamento del fusto verso il basso) dal quale partono diversi ordini di
radici: verticali, orizzontali e "corda". Queste ultime si muovono in varie
direzioni, penetrando con forza in tutti i tipi di terreno.Gli alberi di pino
d'Aleppo sono abbastanza longevi e i fusti adulti possono raggiungere i 15-20
metri d'altezza, anche se crescendo in condizioni disagevoli si mantengono entro
dimensioni più contenute. Ma cosa determina il danno che creano alla
pavimentazione, a Barcola e Grignano ad esempio, dove le radici sollevano il
terreno cementificato? «Premetto che dovrei avere più elementi e che quindi le
mie in questo caso possono essere solo delle ipotesi - sottolinea l'accademico -
ma presumo che potrebbe essere stato banalmente commesso l'errore di scavare
buche poco profonde per la loro piantumazione, e che quindi la zolla di terra
originaria sia stata sistemata troppo vicino alla superficie. Di conseguenza le
radici alla ricerca dell'acqua si spingono verso l'alto con le conseguenze che
vediamo».Le piante meglio adattabili in un simile contesto, suggerisce
l'esperto, sono le tamerici, «che invece di essere sistemate sul frontemare in
viale Miramare sono state messe in seconda fila. Si adatterebbero bene pure
delle piante di Eleagno, ma anche dei Pinus Pinia, che a suo tempo erano stati
piantati».
la.to.
Tre discariche abusive scovate dai cacciatori di rifiuti nascosti
Pneumatici, elettrodomestici, plastica, residui edili: cumuli di
immondizie trovati dai volontari di Altritalia ambiente nei boschi tra San
Sergio e San Giuseppe
SAN DORLIGO. È ancora allarme degrado ambientale nel territorio di San
Dorligo della Valle, ai confini di Trieste. Sono ben tre infatti le discariche
abusive individuate in questo periodo dai volontari dell'associazione "Altritalia
ambiente" nel tratto di bosco che porta da via Antonino di Peco, ai margini del
rione di Borgo San Sergio, fino alla frazione di San Giuseppe della Chiusa. In
ciascuna di esse i volontari hanno trovato un'enorme quantità di vecchi
pneumatici, pezzi di elettrodomestici arrugginiti, oggetti di plastica, residui
edili e immondizie varie. Testimonianze dello scarso senso civico e della scarsa
attenzione che troppe persone prestano alla salute dell'ambiente in cui vivono.
«Di operazioni di pulizia così ne facciamo parecchie nell'arco dell'anno -
spiega Adriano Toffoli, segretario provinciale nonché vicepresidente nazionale
dell'associazione - ma ogni volta l'inciviltà e la maleducazione in cui ci
imbattiamo, effettuando questi sopralluoghi, continuano a sorprenderci. Stavolta
è stata sufficiente un'operazione durata una sola mattina - precisa - per
scoprire, nell'arco di poche centinaia di metri, queste tre discariche abusive».
E sempre nel territorio di San Dorligo della Valle, i volontari di "Altritalia
ambiente" sono stati protagonisti di un altro intervento, chiamato "Operazione
patok": nel greto del torrente che scorre vicino all'abitato di San Giuseppe
della Chiusa hanno trovato parecchi pneumatici, vecchi e abbandonati. «In questi
casi - riprende Toffoli - il danno per l'ambiente deriva dal distaccamento di
microplastiche. L'inciviltà non ha limiti - aggiunge - e purtroppo dobbiamo
constatare che il fenomeno delle scariche abusive, anziché diminuire, è in
aumento, continua a crescere. Ricordiamo che quando si tratta di pneumatici
abbandonati, oltre alla maleducazione, bisogna parlare anche di dolo, perché,
quando se ne compera uno nuovo, si paga in anticipo lo smaltimento». I volontari
di "Altritalia ambiente" si sono avvalsi della collaborazione dell'AcegasApsAmga
e del Corpo dei pompieri volontari. «Riceviamo purtroppo con regolarità
segnalazioni di discariche abusive - conclude il sindaco di San Dorligo della
Valle Sandy Klun - e ogni volta interveniamo. Evidentemente ci sono persone che,
col buio della notte, sfruttano le caratteristiche del nostro territorio per
abbandonare rifiuti che altrimenti costerebbe loro portare negli appositi centri
di raccolta». Sul tema interviene anche Giorgio Cecco, coordinatore regionale di
"FareAmbiente", il quale ricorda che «in base a una recente normativa i rifiuti
derivanti da attività di costruzione e demolizione, svolte dal privato cittadino
nella propria abitazione, sono da considerarsi rifiuti speciali e come tali non
più conferibili nei centri di raccolta. In questa maniera - prosegue - si
favorisce l'abbandono dei materiali in aree non idonee».
Ugo Salvini
L'altolà della Bosnia alla Croazia: no ai rifiuti radioattivi da Krsko
Sarajevo rinnova lo stop alla struttura di stoccaggio che Zagabria vuole
costruire a ridosso del confine
Belgrado. Nuove preoccupazioni causate dai disastrosi effetti del sisma di
Petrinja si aggiungono a vecchi e mai sopiti timori sulla sicurezza del sito. E
rischiano di provocare una crisi esplosiva tra Croazia e Bosnia. Le apprensioni
sono quelle che riguardano il sito di Trgovska Gora, un'area in Croazia vicina
alla cittadina di Dvor, a un tiro di schioppo dal confine con la Bosnia e dalla
città bosniaca di Novi Grad. Il sito è stato individuato da Zagabria come
possibile luogo dove stoccare la quota croata dei rifiuti radioattivi a media e
bassa intensità prodotti dalla centrale nucleare di Krsko. Krsko, ricordiamo, è
infatti controllata in parti uguali da Croazia e Slovenia. I due Paesi non hanno
trovato un accordo per un deposito comune. Da qui la scelta di Lubiana,che ha
optato per una struttura a Vrbina, da realizzare a ridosso della centrale.
Mentre Zagabria ha scelto di edificare una struttura "in proprio" entro il 2024,
con alta probabilità appunto a Trgovska Gora, zona relativamente isolata e
distante da grandi centri urbani. Il controverso deposito di scorie, che
potrebbe sorgere in un'area militare dismessa, già negli anni passati aveva
creato profondi attriti tra Zagabria e Sarajevo suscitando anche pro teste di
piazza. Ma negli ultimi giorni la tensione è risalita alle stelle, in Bosnia.
Tutta colpa del forte terremoto che ha colpito la Croazia centrale, e il cui
epicentro in linea d'aria dista solo una quarantina di chilometri dalla Trgovska
Gora. È razionale immaginare un deposito di scorie radioattive in una regione a
rischio te moto? È questa la riserva espressa da moltissime persone, in
particolare attivisti ed ecologisti in Bosnia ma anche in Croazia, e da politici
di punta a Banja Luka e Sarajevo. Il sisma «ha confermato che in quella località
non si può costruire alcun deposito» ad alto rischio, «perché potrebbe avere
ricadute dirette sull'ambiente e su tutte le persone che vi vivono», ha
attaccato il ministro bosniaco del Commercio estero, Stasa Kosarac, fra i
critici più agguerriti del progetto. Sulla stessa linea anche il politico
bosniaco Sasa Magazinovic, presidente del Zeleni Klub, che in questi giorni ha
riportato il caso al Parlamento di Sarajevo. Bisogna «impedire l'arrivo di
rifiuti radioattivi e nucleari nel nostro cortile» di casa, ha rincarato. Se un
terremoto avesse colpito un deposito già in funzione, ci sarebbero state
«conseguenze significative sull'ambiente», ha ammonito anche la sismologa
Snjezana Cvijic-Amulic. «Immaginate un camion pieno di rifiuti radioattivi che
transita» non lontano da Petrinja «al momento del sisma», ha affermato anche il
professore bosniaco Munir Jahic, citato dai media locali. Trgovska Gora non s'ha
da fare, ha confermato infine la ministra serbo-bosniaca della Pianificazione
spaziale, Srebrenka Golic. E se la Croazia non ascoltasse i timori della Bosnia?
Allora l'unica via è premere sull'acceleratore per richiedere «un arbitrato
internazionale», ha rilanciato un altro politico bosniaco, Jasmin Emric.
Quest'ultima ipotesi sarebbe già sul tavolo del Consiglio dei ministri, a
Sarajevo. Scelta realistica, anche perché la Croazia non sembra essere stata
smossa dalle critiche bosniache. Le strutture esistenti nell'area del possibile
futuro deposito «non sono state danneggiate» dal sisma e «l'accelerazione» del
terreno provocata dal terremoto «è stata inferiore a quella registrata a
Zagabria», ha assicurato il Fondo croato per lo smaltimento dei rifiuti
radioattivi, incaricato di valutare se il sito è adatto. Ma al via libera manca
ancora molto. «Se le indagini» idrogeologiche, geomorfologiche, ecologiche e
sismologiche diranno che «il progetto non ha un impatto negativo sull'ambiente»,
solo allora sarà lanciata «la procedura per ottenere i permessi di costruzione»,
ha precisato l'agenzia di stampa croata Hina. Sempre che la Bosnia non
dissotterri prima l'ascia di guerra e si opponga, una volta per tutte, a
Trgovska Gora.
Stefano Giantin
IL PICCOLO - MARTEDI', 26 gennaio 2021
Sbloccati a favore della Regione altri 242 ettari del Sito inquinato
Per le imprese le pratiche ambientali a Trieste e non più a Roma. Ex
Aquila e Ferriera ancora nel Sin
La vicenda del Sito inquinato, che da 18 anni tormenta le imprese stanziate
in Zona industriale, ha avuto una positiva accelerazione, anche se il risultato
resta ancora parziale: il ministero dell'Ambiente, con un decreto firmato dal
direttore generale Giuseppe Lo Presti, ha accolto la richiesta di ridefinire il
perimetro del Sin, ampliando l'area di competenza regionale che per praticità
chiameremo Sir. In questo modo la platea dei cosiddetti "piccoli operatori",
invece che rivolgersi in via Colombo nella Capitale, potrà più rapidamente
recarsi negli uffici dell'assessorato competente in via Carducci, dove la
tempistica delle pratiche si è già rivelata meglio gestibile. L'asse di via
Caboto, la zona a nord del Canale navigabile dove operano 150 ditte, le Noghere
dovrebbero essere finalmente affrancate da un incubo che per quasi vent'anni ha
limitato lo sviluppo aziendale. Attenzione: Roma ha dato sì a Trieste gli spazi
modificando la planimetria, senza però accompagnarli con i quattrini, quegli 8
milioni che la Regione sperava di ottenere per le attività di caratterizzazione
e di analisi di rischio. Per questo Fabio Scoccimarro, assessore all'Ambiente,
esulta con riserva: bene che nel Sin siano rimaste le grandi partite della
Ferriera e dell'ex Aquila, ma il successo sarà completato quando le competenze
amministrative avranno anche il riscontro finanziario. Tanto più - insiste - che
in occasione della conferenza di servizi del 5 agosto, il ministero aveva
dichiarato che il decreto di riperimetrazione avrebbe tenuto conto del
tema-risorse «prevedendo un regime transitorio». Regime transitorio di cui non
v'è traccia nel decreto, cosicchè Scoccimarro è subito tornato in pressing sul
dicastero, retto da Sergio Costa, richiedendo un'urgente video-conferenza «al
fine di un chiarimento che consenta di proseguire nel risanamento e nel rilancio
dell'area».Comunque, è già importante e non scontato il fatto che la gran parte
delle imprese, finora impelagate in pluriennali procedure, possa più agilmente
relazionarsi con la Regione. Il provvedimento ministeriale va nella direzione
già imboccata all'inizio del 2018, quando, durante la presidenza Serracchiani,
vi fu un primo scorporo di aree a favore della gestione regionale: allora si
trattò di 75 ettari che attorniavano il Canale navigabile. Stavolta la Regione
ne ha ottenuti un bel po' di più: parliamo di 242 ettari, che, sommati ai
precedenti 75, portano a quasi 320 ettari il terreno governato da Trieste. Al
vecchio Sito di interesse nazionale restano 192 ettari, concentrati nelle zone
nevralgiche sulla costa (Ferriera ed ex Aquila, come si diceva).Quasi un anno
fa, correva la fine di febbraio e si era già in clima pandemico, 16 imprese
scrissero a Scoccimarro, chiedendo un forcing sul ministero allo scopo di
ottenere un nuovo stralcio dal Sin. Firmarono tra gli altri Illy, Facau
Immobiliare, Bruno Pacorini, Pittway, Java Biocolloid, Ortolan Mare (Samer),
Coop Operaie (oggi l'edificio di via Caboto appartiene al gruppo Parisi).A
esprimere soddisfazione per il decreto ministeriale anche il geologo Carlo
Alberto Masoli, uno dei professionisti che ha seguito più da vicino le
vicissitudini del Sin, avendo trovato anche un escamotage per realizzare lavori
urgenti e inderogabili.
Massimo Greco
Centro rifiuti di Muggia in stallo «Roma in silenzio dal 2019» - l'alternativa in affitto già costata all'amministrazione 70 mila euro
MUGGIA. Non arriva ancora nessuna novità dal ministero dell'Ambiente sullo sblocco della piazzola ecologica di proprietà comunale, situata nella frazione muggesana di Vignano, chiusa da settembre del 2019. L'invio dell'ultima lettera da parte dell'Ufficio sviluppo energetico ed ecologia ambientale del Comune rivierasco, finalizzata a ottenere un riscontro sulla conclusione dell'iter ministeriale, risale al 24 dicembre. «Da agosto 2019 - spiega l'assessore all'Ambiente Laurea Litteri - il Comune ha inviato ben cinque note al ministero per poter chiudere il procedimento riguardante l'area nella quale si trova la piazzola ecologica, in modo da poter iniziare i lavori necessari alla sua sistemazione per poterla riaprire». La questione si pone in quanto, come ricorda Litteri, «trovandosi all'interno del Sito inquinato, dobbiamo avere l'approvazione del ministero per poter iniziare i lavori di adeguamento. Purtroppo dopo un anno e mezzo non abbiamo ancora avuto nessuna risposta».Si tratta di un'area non pavimentata, motivo per cui la Regione non ha rinnovato la concessione che 10 anni fa era stata data dalla Provincia. Nel frattempo, per le esigenze della cittadinanza, la piazzola ecologica è stata spostata in un'area in affitto, sempre nella frazione di Vignano, per la quale, come sottolinea l'assessore, «abbiamo speso finora circa 70 mila euro, ovviamente di denaro pubblico, mentre l'altra area sorge in un'area di proprietà del Comune, poco lontano, che quindi non ci costerebbe nulla». In questi anni, oltre alla richiesta di poter effettuare i lavori necessari a garantirne la riapertura, il Comune ha intrapreso tutte le procedure previste per poter svincolare l'area, con l'invio della documentazione necessaria già a fine 2017, ma da allora, come ebbe a lamentarsi Litteri lo scorso marzo, «non è mai stata convocata la Conferenza dei servizi, di nomina ministeriale, che deve analizzare i risultati delle analisi e decidere se l'area è inquinata oppure no». A giugno 2019, su richiesta del ministero, il Comune aveva ripetuto alcuni test i cui risultati erano rientrati nei limiti previsti dalla norma.
Luigi Putignano
IL PICCOLO - LUNEDI', 25 gennaio 2021
Al via gli investimenti per la Parenzana regina dei cicloturisti
Percorso da 260 mila escursionisti l'anno, sarà ottimizzato grazie a
finanziamenti per complessivi 34 milioni di euro
POLA. Dopo che nel 2020 la Croazia aveva ottenuto il massimo risultato dalla
stagione turistica, compromessa in partenza dalla pandemia arrivando al 50% e
anche oltre rispetto ai numeri dell'annata record del 2019, ora si stanno
definendo le strategie per l'estate 2021, anch'essa segnata in partenza dal
coronavirus. L'Ente turistico nazionale (Htz) è già all'opera per attirare
quanti più turisti soprattutto in Istria, Quarnero e in Dalmazia che sono le
colonne del settore. A tale scopo ha definito la campagna promozionale con uno
slogan ispirato alla situazione attuale e nel contempo pieno di buoni auspici.
Vale a dire "Croatia Full od New Beginnings" (Croazia piena di nuovi inizi). La
promozione sarà articolata sulle principali piattaforme sociali come Facebook,
Instagram, Twitter e Tik Tok con la tag #CroatiaWishList2021.
V.C.
IL PICCOLO - DOMENICA, 24 gennaio 2021
Le nove partite vicine alla svolta: da Barcola al Piano del centro storico
L'ex discarica da bonificare oltre Porto vecchio, le infrastrutture
nell'antico scalo, piazza Sant'Antonio. E i cantieri privati
Sono nove le partite aperte che impegneranno in via prioritaria
l'Urbanistica comunale negli ultimi mesi del terzo mandato Dipiazza. Alcune sono
risolvibili nel breve periodo, altre sono destinate a spalmarsi in tempi
medio-lunghi.I nove dossier, classificati dal direttore dipartimentale Giulio
Bernetti, sono ripartibili in tre scaffali. Il Porto vecchio fa la parte del
leone con 5 fascicoli: la bonifica di Barcola, il II lotto di
infrastrutturazioni, la cabinovia-ovovia, l'accordo di programma da
sottoscrivere insieme a Regione e Autorità portuale, il futuro del villaggio
Greensisam. Poi abbiamo il Piano particolareggiato del Centro storico, che vedrà
la luce tra inverno e primavera, e il restyling di piazza Sant'Antonio. Infine
due grandi cantieri privati, l'ex Fiera (100 milioni) e l'ex Maddalena (40
milioni), che rappresentano, a velocità differenti, opportunità per ammodernare
e rilanciare aree degradate del tessuto urbano semi-periferico. Nel Porto
vecchio il Comune ha la possibilità di investire nell'arco di un paio d'anni
quasi 15 milioni per infrastrutturare e risanare la zona, accrescendone valore e
utilizzabilità. Una prima novità: dal novembre 2018 non si parlava della
bonifica dell'ex discarica barcolana, "armata" da un finanziamento regionale di
5,5 milioni. Ora le notizie sembrano positive: il Comune presenterà il progetto
definitivo, provvedendovi con un incarico esterno, chiamato a svolgere il
compito entro le elezioni comunali (qualora si voti in primavera). Compiute la
caratterizzazione e l'analisi dei rischi, elaborate le prescrizioni della
Regione, riunita la conferenza dei servizi preliminare, adesso si può stringere
verso la messa in sicurezza dei 90.000 metri quadrati del terrapieno, che si
estende dagli ultimi magazzini del Porto vecchio verso le società nautiche.
Bernetti pensa a una protezione costiera garantita da scogli e da cemento,
mentre all'interno mezzo metro di terra "fresca" sarà gettato su un apposito
tessuto. Questo lavoro bonificatorio potrebbe essere ultimato entro il 2023, in
modo tale - ipotizza l'ingegnere - che le prime realizzazioni
sportivo-ricreative, previste dalle linee-guida, sorgano nel 2025. Oltre alla
bonifica, c'è bisogno di acqua-luce-gas-fogne per consentire al Porto vecchio di
attrarre investitori. Il II lotto, finanziato nell'ambito dei 50 milioni
stanziati dal ministero dei Beni culturali, progetta opere per 9 milioni di
euro, che si svilupperanno dalla parte est del Magazzino 26 fino al varco del
Silos lungo il muro confinario con la Stazione centrale: ma la gara è ancora ai
blocchi, perché il parere della Soprintendenza tarda. L'auspicio è che l'iter si
sveltisca, cosicché il bando sia lanciabile in febbraio. Della lentezza, con cui
arranca l'accordo di programma Comune-Autorità-Regione per il governo di Porto
vecchio, si sa già abbastanza, a cominciare dall'arrabbiatura del sindaco. Il
destino del villaggio Greensisam, che vede il coinvolgimento della Regione
intenzionata a trasferire i propri uffici in due dei cinque magazzini, è ancora
tutto da precisare. Sui 40 milioni, per costruire la cabinovia-ovovia
mare-Carso, la parola spetta all'organo decisore, ossia il ministero delle
Infrastrutture e Trasporti. Il Piano del centro storico ha ricevuto una
quarantina di osservazioni, che adesso andranno vagliate. Una volta che siano
più o meno recepite, il documento tornerà a fare il giro dell'oca tra
circoscrizioni, giunta, Consiglio: Bernetti spera di saltarci fuori a marzo, per
consegnare alla città un nuovo strumento pianificatorio a distanza di 41 anni
dal precedente, che fu redatto da Luciano Semerani. Sempre nelle competenze
dell'Urbanistica, rientra il "refresh" di piazza Sant'Antonio, sul quale è
appostato 1 milione di euro da spendere durante l'anno. È l'ultima piazza da
sistemare in centro (dopo Goldoni, Vittorio Veneto, Venezia, Libertà) e
Dipiazza, poco desideroso di imbarcarsi in polemiche, ha disposto che la
fantasia non andasse al potere: masegni sui due lati, un po' di arredo urbano e
festa in duomo. Infine, i due disegni privati. Il più vicino a tramutarsi in
realtà è l'ex Maddalena, 20.000 metri quadrati dove la Htm Nord Est
dell'imprenditore veneto Francesco Fracasso si sta avviando a rogitare con il
Comune per fare grande distribuzione, parcheggio, direzionale, residenziale
(poco). Ancora indietro, seppure in annunciata ripartenza, la trasformazione
ludico-commerciale-parking dell'ex Fiera a opera della carinziana Mid, pilotata
da Walter Mosser.
Massimo Greco
Il presidente dell'Ordine degli architetti Bisiani chiede strategia e poi
cita Amburgo come modello virtuoso
«Va bene che il Comune voglia velocizzare alcuni potenziali attori di
sviluppo, come l'accordo di programma per Porto vecchio e il Piano del centro
storico. Ma credo che sia opportuno non limitarsi alle singole azioni, ma
mettere a punto una strategia generale, in grado di contestualizzare
realizzazioni, identità, immagine della città. Riassumendo in un concetto,
chiederei maggiore capacità di vision». E subito dopo Thomas Bisiani, presidente
dell'Ordine degli architetti triestini, aggiunge: «Alzando l'asticella della
qualità». Poi spiega cosa intenda sull'asticella qualitativa: «Per esempio, il
Comune ha deciso di redigere il Piano del centro storico "in casa", senza
coinvolgere professionalità esterne, e, trattandosi del centro più grande della
regione, forse si sarebbero potute effettuare altre scelte». Un banco di prova
decisivo è rappresentato dal governo di Porto vecchio: «Quale modello si vorrà
individuare per gestire la trasformazione di quello spazio dopo le attività
preparatorie preliminari - si chiede Bisiani -? In Europa abbiamo varie
esperienze, una di quelle che ritengo più interessanti è Amburgo. Qui i pubblici
poteri trattano con i promotori privati, che pagano l'area negoziata solo dopo
l'ottenimento di tutte le autorizzazioni relative al progetto». «In questo modo
- argomenta l'architetto - si ottengono due vantaggi, un buon progetto e il
mantenimento dell'area in mano pubblica fino all'espletarsi dell'iter
amministrativo». Un ragionamento andrà fatto anche in tema di semi-periferie e
di periferie, sulle quali - completa Bisiani - «abbiamo meno cultura e meno
esperienza». Ma l'obsolescenza di patrimoni immobiliari energivori e di vecchia
ideazione richiede quei «rammendi urbani di cui parla Renzo Piano». La
polverizzazione proprietaria non facilita gli interventi «meglio programmabili
in contesti omogenei, come quelli dell'Ater, o soggetti a radicali
trasformazioni come all'ex Fiera».
Magr
Parco del mare: un altro passo avanti - Al via la valutazione del piano
Icop-Costa
Pronta la società che avvierà l'iter di analisi dei documenti tecnici,
poi il lancio della gara
Si fa più vicina la gara europea per la realizzazione del Parco del Mare. In
questi giorni la Camera di commercio ha trasformato Trieste Navigando, la
partecipata che detiene la concessione sull'area, in Venezia Giulia Sviluppo
Plus, la società incaricata di realizzare l'opera. Il primo compito della
neonata Srl sarà affidare a una commissione di esperti l'analisi della proposta
presentata in autunno dalla cordata Icop Spa, Costa Endutainment Spa e Iccrea
BancaImpresa. Ottenuto il via libera della commissione, la società potrà
lanciare il bando. Nel novembre scorso la Camera di commercio ha acquisito
Trieste Navigando da Invitalia, rilevando con essa la concessione: un'operazione
che alla Cciaa costerà in tutto un milione di euro, da pagarsi in quindici anni,
senza interessi, a partire dal 2025. Quel contenitore societario, ormai di poco
interesse agli occhi di Invitalia, è diventato nelle mani della Camera lo
strumento con cui fare tutto il lavoro propedeutico alla costruzione
dell'acquario che il presidente camerale Antonio Paoletti lotta per realizzare
dal lontano 2004.All'articolo 3 dello statuto si legge infatti che «la società
ha per scopo e sua finalità la realizzazione del progetto del Parco del Mare di
Trieste come da provvedimento assunto dal Ministro dello Sviluppo Economico con
Decreto di data 23 gennaio 2020». Dopo 17 anni di cambi di location lo statuto
blinda il sito: l'opera, infatti, «è prevista nel comprensorio demaniale
marittimo di Trieste denominato Porto Lido di cui alla concessione quarantennale
rilasciata alla società da parte dell'Autorità portuale».La società ha inoltre
tra i propri fini statutari anche «la promozione, programmazione, realizzazione
ed eventuale gestione di strutture ed infrastrutture di interesse economico
generale» legate alla "blue economy". Tra queste «acquari, approdi turistici e
marine e stabilimenti balneari, parcheggi di pertinenza e strutture annesse».
Tra le missioni della Srl c'è anche «svolgere attività di promozione per
l'implementazione di flussi turistici verso la Venezia Giulia». Per lo
svolgimento delle sue funzioni, precisa la Cciaa, Venezia Giulia Sviluppo Plus
si avvarrà del personale camerale e delle aziende speciali e in house esistenti.
Il primo compito, dicevamo, sarà avviare l'iter di valutazione della proposta
avanzata nell'autunno scorso (dopo due anni di lavoro) dalla cordata composta da
Icop Spa, Costa Endutainment Spa e Iccrea BancaImpresa. Icop, la società
friulana che ha realizzato la Piattaforma logistica, mette in campo le sue
competenze edilizie mentre Costa, gestore dell'Acquario di Genova, si candida a
prendere in mano le redini del Parco. A Iccrea spetta il ruolo di forte
investitore privato in un project financing da una quarantina di milioni in
tutto (otto già accantonati dalla Cciaa, altri otto in arrivo dalla Regione).Ora
Venezia Giulia Sviluppo Plus dovrà provvedere alla nomina della commissione di
esperti che deve analizzare la proposta progettuale dal punto di vista della
sostenibilità urbanistica, ambientale e finanziaria. Starà a loro sancire
l'eventuale appropriatezza del progetto, oppure chiedere ulteriori
approfondimenti. Quando anche questo passaggio fondamentale si sarà concluso,
spetterà a Venezia Giulia Sviluppo Plus avviare l'iter per la predisposizione
del bando europeo di evidenza pubblica per la presentazione di progetti per la
realizzazione del Parco del Mare di Trieste. Al momento, l'unica proposta sul
piatto è quella Icop-Costa-Iccrea, ma non è da escludere l'arrivo di ulteriori
candidati.
Giovanni Tomasin
Tassa rifiuti alta ad Aurisina «Si ricicli di più o non cambia»
L'appello ai cittadini alla luce dell'audizione in commissione del
gestore Isa «Differenziata ben al di sotto della media nazionale. Serve un
cambio di rotta»
DUINO AURISINA. Migliorare decisamente la raccolta differenziata «altrimenti
le tariffe della Tari non potranno scendere». È questo il forte appello alla
popolazione con il quale si sono conclusi i lavori della Commissione Ambiente
del Comune di Duino Aurisina, presieduta da Chiara Puntar, nel corso della quale
c'è stata l'audizione di Giuliano Sponton, direttore generale della Isa -
Isontina Ambiente, la società che opera nella gestione dei rifiuti per conto
dell'amministrazione guidata dal sindaco Daniela Pallotta.«Non c'è alternativa
per poter puntare a un calo della tassa sui rifiuti - ha spiegato con chiarezza
Ponton, rispondendo alle domande degli esponenti del Comune, che nell'occasione
si sono fatti portatori delle istanze della cittadinanza - se non quella di
sensibilizzare tutti a una maggior attenzione alla differenziata».Il direttore
della Isa ha presentato a corredo alcuni dati che non lasciano spazio a
interpretazioni: nel 2020 la raccolta differenziata a Duino Aurisina è stata del
51,55%, con un miglioramento dello 0,8% rispetto all'anno precedente. Un
miglioramento assai esiguo, che è poca cosa se rapportato alla media nazionale:
nell'ultima relazione diffusa dall'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione
e la ricerca ambientale, e relativa al 2019, la media nazionale della
differenziata aveva raggiunto quota 61,3% risultando in crescita. In altre
parole, la fotografia della situazione attuale di Duino Aurisina non permette
una programmazione che possa puntare alla riduzione di una tassa come quella
riferita alla gestione dei rifiuti che, è bene ricordarlo, per legge va
interamente riversata sui cittadini. Come valori assoluti, a Duino Aurisina la
raccolta differenziata è stata di 2.477.642 chilogrammi nel 2017, di 2.666.612
nel 2018, di 2.793.126 nel 2019 e di 2.768.908 lo scorso anno. «Introdurre il
porta a porta sul secco che è la frazione più costosa della raccolta - ha
suggerito Sponton - migliorerebbe il rendimento, ma non porterebbe a una
riduzione complessiva dei costi, perché si compenserebbe con il maggior costo
per il porta a porta stesso». E quando il sindaco Pallotta ha riferito delle
proteste dei cittadini «che arrivano al Comune per la qualità del servizio», il
direttore Isa ha risposto che, «ogni qual volta ci viene riferito di
problematiche, provvediamo immediatamente». L'assessore Massimo Romita ha
ricordato che «Duino Aurisina sconta anche il fatto di essere, in tempi normali,
un comune a forte presenza turistica, il che significa avere una produzione di
rifiuti maggiore rispetto ad altre realtà, dovuta ai turisti in transito». Il
vicesindaco nonché assessore ai Tributi Walter Pertot ha sostenuto a sua volta
che «nel 2018 abbiamo dovuto aumentare di molto la Tari perché la precedente
amministrazione non l'aveva adeguata in proporzione al lievitare dei costi negli
anni precedenti». In chiusura, Sponton ha spiegato che «al nostro arrivo come
concessionari del servizio non cerano i contenitori per il verde, che oggi
invece sono presenti, e comunque per il verde è attivo uno specifico centro di
raccolta. I cittadini poi possono richiedere il servizio di asporto del verde
stesso pure a domicilio».
Ugo Salvini
IL PICCOLO - SABATO, 23 gennaio 2021
Verdi e Legambiente in campo per tutelare i platani del Boschetto
Il primo di una serie di itinerari green all'imbocco di Viale al
Cacciatore
Una ricognizione più breve del previsto quella di ieri pomeriggio in rione
San Giovanni: il maltempo non è stato di aiuto al gruppo "Trieste Verde" dei
Verdi di Trieste, radunatosi nei pressi della rotonda del Boschetto per
inaugurare un ciclo green di itinerari urbani. Al centro dell'attenzione il
verde pubblico che si estende su tutto il rione abitativo, ma nello specifico il
filare di platani che sovrasta tutta la lunghezza di via Pindemonte, alcuni
esemplari dei quali risultano «trascurati nella loro fisiologia». All'incontro
organizzato dai Verdi ha preso parte anche Legambiente, promotrice nella
fattispecie di una richiesta ufficiale per la tutela di alberi monumentali. «La
salvaguardia e il riconoscimento di tutto il viale è necessario specialmente per
i platani più antichi, quelli che presentano una circonferenza compresa fra i
quattro e i 5,5 metri», ha spiegato Roberto Larosa, riferendosi con particolare
attenzione ai quattro esemplari che sorgono vicino alla rotonda all'ingresso di
Viale al Cacciatore. La segnalazione fatta al Comune secondo procedimento di
legge ad hoc, se accolta, consentirebbe infatti all'accesso di fondi pubblici
per il miglioramento dell'habitat circostante gli stessi alberi e permetterebbe
inoltre di avviare interventi di riqualificazione in tutta l'area. L'obiettivo è
dunque quello di restituire alla città l'antica porta del Boschetto, «quasi del
tutto cementificata e oggi irriconoscibile», e ripristinare l'importanza e il
pregio di quegli alberi che, in evidente stato di trascuratezza, si ergono in
aiuole ridotte al margine del colletto della strada. «Ciò comporta che queste
piante non possono avere rispettata la loro fisiologia -ha sottolineato Larosa-
ma anche le rispettive funzioni di assorbimento d'acqua e nutrimento del suolo».
Nonostante il maltempo e il distanziamento obbligato hanno partecipato
all'iniziativa una cinquantina di cittadini; presente anche Alessandra Richetti,
presidente della Sesta circoscrizione.
Stefano Cerri
La raccolta differenziata passata dal 38% al 44% nel giro di quattro anni -
Resta il nodo ingombranti -
la situazione
La crescita fra 2016 e 2020. Lo scorso anno AcegasApsAmga ha dovuto
recuperare 443 tonnellate di materiali lasciati in strada
Il Comune può complimentarsi con i propri cittadini per aver incrementato in
quattro anni, dal 2016 al 2020, la produzione di raccolta differenziata dei
rifiuti, passando dal 38% al 44%. Allo stesso tempo deve però anche bacchettare
la comunità per l'abbandono dei rifiuti ingombranti per strada. AcegasApsAmga,
che per conto del Municipio esegue il servizio di ritiro, è tranchant. Il
fenomeno resta costante e anzi aumenta. Questo, nonostante le iniziative e i
servizi messi a disposizione dei cittadini. Basta ricordarne solo alcuni: Sabati
ecologici, RiCreazione e Operazione recupero. Tuttavia elettrodomestici, mobili
e materiali edili spuntano ogni giorno tra un marciapiede e l'altro. Una
discarica diffusa che però sul bilancio annuale del Comune pesa. Dal 2015 viene
automaticamente stanziata infatti, sulla base dei dati di sei anni fa, una quota
fissa di 500 mila euro per la raccolta extra di ingombranti da parte di
AcegasApsAmga. «Queste risorse potrebbero essere utilizzate in modo molto più
utile per migliorare l'igiene pubblica - osserva Luisa Polli, assessore
all'Ambiente della giunta Dipiazza -, in primis per garantire passaggi più
frequenti per lo svuotamento di cassonetti e cestini». Nel 2020 sono state
lasciate su strada 83 tonnellate in più di rifiuti ingombranti rispetto al 2019
(443 contro 360), che si sono tradotte in 35.553 ritiri contro i 28.848
dell'anno precedente: una media di 100 al giorno. Da viale Campi Elisi a via
Piccardi, non c'è distinzione, perché gli scarti si registrano in tutta la città
in modo omogeneo. Si segnalano però alcuni posti "preferiti" dai chi abbandona
tali rifiuti, in prossimità di isole ecologiche stradali e in determinate vie.
Eppure, l'utenza virtuosa esiste. Basta dare un'occhiata ai dati che raccontano
di quanti fruiscono del ritiro a domicilio completamente gratuito, contattando
il numero verde 800955988, una delle due modalità attraverso cui conferire
correttamente i materiali ingombranti. Seguendo il primo percorso, tra il 2019 e
il 2020 c'è stato un incremento di richieste: da 16.597 a 21.761. L'altro modo
per non inquinare l'ambiente è il trasporto dei materiali ingombranti da parte
del cittadino nei quattro centri di riferimento: in via Carbonara 3, via Giulio
Cesare 10, via Valmartinaga 10 e strada per Vienna 84/a. E anche qui, nonostante
la chiusura delle aree nel periodo di lockdown, non c'è stata una drastica
riduzione degli accessi, ma piuttosto un incremento di rifiuti consegnati. Nel
2019 erano stati 140.341 gli ingressi da parte degli utenti, che avevano
conferito 2.307 tonnellate di materiali ingombranti (corrispondenti al 20,51%
dei rifiuti conferiti nel centro di raccolta). Nel 2020 si parla invece di
139.110 accessi e di 2.413 tonnellate di rifiuti (il 22,23% del totale nel
centro di raccolta). La partecipazione della collettività non è mancata nemmeno
ad alcune iniziative messe in campo da AcegasApsAmga, come i Sabati ecologici,
che prevedono dei centri di raccolta mobili che si spostano tra i rioni. Anche
se gli appuntamenti sono stati ridotti quest'anno, sono stati 789 gli accessi
nel 2020 (925 nel 2019) con 48,8 tonnellate di materiali raccolti, di cui 27,5
solo d'ingombranti (90 tonnellate nel 2019, di cui 47 solo di ingombranti). C'è
poi RiCreazione della onlus "Oltre Quella Sedia", un progetto di recupero
creativo che consente una nuova vita a oggetti di scarto grazie al lavoro di
ragazzi diversamente abili che collaborano con l'associazione. Restano però
ancora dei miti da sfatare. Due su tutti. Se sentite «i rifiuti abbandonati
vicino ai cassonetti verranno ritirati durante i normali giri di raccolta»,
sappiate che non è vero. Si tratta di rifiuti che non seguono la stessa filiera
della raccolta stradale e devono quindi essere conferiti con altre modalità. E
se poi qualcuno suggerisce: «Abbandona gli oggetti ancora integri vicino ai
cassonetti per permettere ad altre persone di recuperarli e utilizzarli», anche
questo non corrisponde a un comportamento corretto. L'abbandono di materiali in
strada è vietato e può essere sanzionato dalle autorità. È meglio quindi
rivolgersi ad associazioni che raccolgono oggetti in buono stato per donarli a
persone bisognose. Nel caso del vestiario, sono disponibili i contenitori gialli
stradali.
B.M.
Installati i nuovi contenitori hi-tech per i rifiuti
Possono accumulare una quantità di materiale cinque volte superiore ai
cestini normali grazie al compattatore interno
Nell'arco di una settimana richiedono solo una vuotatura anziché 14,
favorendo così la riduzione delle emissioni di co2. In più, sono autonomi grazie
alla luce solare. Si chiamano "bigbelly" e sono dei contenitori di rifiuti che
il Comune con AcegasApsAmga ha installato in via sperimentale in due punti di
piazza della Borsa. Il periodo di prova non si è ancora concluso, ma se «dopo un
adeguato monitoraggio, verrà rilevato un risparmio dei costi - sottolinea
l'assessore all'Ambiente del Comune, Luisa Polli - ne verranno installati altri
due nelle zone più critiche, ad esempio in via Torino». Il sistema permette un
solo passaggio settimanale grazie al compattatore che si trova all'interno e che
riduce i rifiuti raccolti. In questo modo viene assicurata una capienza pari a
un quantitativo di materiale cinque volte superiore rispetto ai normali cestini.
Ma i cambiamenti, all'insegna di una maggiore funzionalità, sono arrivati anche
per quei cestini che ricordano un po' un tulipano. Sono quelli color grigio
scuro, in ferro a strisce. Su 550 totali, 70 sono stati dotati di un coperchio
con dei buchi «affinché i rifiuti non si accumulino e quindi non fuoriescano»,
spiega Polli, che aggiunge: «Sono stati utili soprattutto in questo periodo, in
cui l'asporto nei bar ha inciso sul numero di rifiuti in città». Il percorso
virtuoso in campo ambientale beneficia anche di nuove risorse economiche, 240
mila euro, che hanno rimpinguato per la prima volta alla fine di quest'anno il
bilancio comunale. «Si tratta di denaro derivante dalla cosiddetta indennità di
disturbo - spiega Polli -: in base a una legge nazionale, ho chiesto che venisse
ripristinata quella a livello regionale in modo che quei rifiuti che arrivano da
altre parti d'Italia e che AcegasApsAmga conferisce nel nostro inceneritore
siano sottoposti a una tassazione». C'è poi l'occupazione del suolo pubblico dei
contenitori, per altri 110 mila euro, sempre a beneficio del bilancio comunale,
che «aumentano grazie agli incrementi previsti dall'Istat», rileva Polli.
L'argomento rifiuti, però, potrebbe portare anche delle novità negative, su cui
pure l'Anci è intervenuta. Il decreto 116 del 2020 ha apportato significative
modifiche al Codice dell'Ambiente, con importanti implicazioni
sull'organizzazione del servizio di gestione dei rifiuti urbani. «Questa novità
potrebbe portare forti ripercussioni sulla Tari delle utenze domestiche -
osserva Polli -, creando confusione con quelle aziendali. Attendiamo un tavolo
tecnico nazionale sul tema per capirne di più».
Benedetta Moro
Ferriera, abbattuta una torre - Una nube nera invade Servola
Demolito un pezzo dell'impianto di caricamento che alimentava di carbone
il vecchio altoforno - La bagnatura preventiva non ha evitato un polverone
Proseguono in maniera ininterrotta i lavori di demolizione della Ferriera.
Dopo le demolizioni delle parti presenti alla base della struttura che domina il
rione i Servola e il vallone verso Muggia dal lontano 1896, nella mattinata di
ieri è stata abbattuta la torre del nastro di caricamento dell'altoforno, ovvero
il sistema che permetteva di alimentarlo tramite il carbone per produrre il cock.
Un'operazione della durata di pochi minuti, successiva alle manovre preliminari
che hanno riguardato la liberazione delle parti sottostanti e l'irrorazione di
una quantità considerevole di acqua per bagnare gli impianti e il suolo.
Ciononostante l'abbattimento ha sollevato un'immensa nuvola di polvere di
carbone che ha invaso le case dell'abitato di Servola. Un deciso colpo di coda
della Ferriera che non avrà fatto felice chi aveva scelto proprio la mattina di
ieri per stendere i panni alla finestra. Per contenere il più possibile la
diffusione delle polveri conseguenti alla caduta dei manufatti siderurgici, fa
sapere l'assessorato regionale all'Ambiente, si procede ad abbattere le
strutture senza usare dinamite o esplosivi come accaduto in passato per
dismettere impianti simili in Italia. Le procedure di demolizione proseguono
secondo le regole previste dall'Accordo di programma, anche se non c'è ancora
una vera e propria autorizzazione sull'abbattimento da parte del Ministero
dell'Ambiente che, tuttavia, osserva da vicino la situazione e ha richiesto un
monitoraggio costante sulle operazioni di smantellamento che, inevitabilmente,
stanno originando un nuovo tipo di inquinamento, anche se circoscritto e
temporaneo.
Lorenzo Degrassi
COMUNICATO STAMPA - VENERDI', 22 gennaio 2021
Legambiente segnala 4 alberi monumentali presso la Rotonda del Boschetto, che
il Comune e la Regione devono tutelare secondo la normativa esistente
E’ noto ormai che le azioni di tutela, di valorizzazione e sviluppo del
verde urbano sono fondamentali nel quadro delle misure di mitigazione e di
adattamento ai cambiamenti climatici. Gli alberi svolgono la funzione importante
di assorbimento della CO2 responsabile dell’effetto serra, di assorbimento di
particelle inquinanti, di termo-regolazione e di drenaggio delle acque.
Con questa premessa Legambiente ha inviato in questi giorni al Comune di
Trieste le
schede di segnalazione relative a quattro
Platani monumentali per dimensioni (da 4 a 5,5 m di circonferenza) e dell’intero
filare di cui fanno parte, costituito da circa trenta Platani, valutabili per il
pregio paesaggistico e storico-culturale nel loro insieme. La segnalazione degli
alberi si collega alle proposte di riqualificazione di tutta l’area, frutto
della progettazione partecipata condotta insieme alla VI Circoscrizione. E’
infatti necessario liberare le radici ora coperte da manto impermeabile e
cordoli di pietra, per consentire l’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti, ma
ciò non può essere fatto albero per albero, bensì con una riqualificazione
complessiva. Legambiente chiede quindi un intervento che coinvolga tutta l’area
circostante, affinchè possa tornare ad essere la Porta del Boschetto e
costituire un primo esempio di intervento volto a incrementare la quantità e la
connettività della superficie verde in città, come indicato dalle norme in
materia, a partire dalla Legge 10 del 2013.
Andrea Wehrenfennig, presidente del Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste
IL PICCOLO - VENERDI', 22 gennaio 2021
Il cantiere dell'ex Fiera esce dal lungo letargo e riprende la sua marcia
Seppur con un ritardo di due anni rispetto al cronoprogramma, ripartono i
lavori avviati dall'austriaca Mid per realizzare un moderno centro commerciale
Vuoi l'effetto Covid, vuoi la scoperta dell'amianto, vuoi le complicazioni
legate alla burocrazia. Fatto sta che il cantiere dell'ex Fiera viaggiava a una
velocità ben diversa da quella che era stata prospettata dal patron della
carinziana Mid, Walter Mosser, quando il 14 novembre 2017 presentò il programma
di rigenerazione urbana insieme al sindaco Roberto Dipiazza nel Salotto azzurro.
Mosser aveva acquistato la grande area in disarmo nell'aprile dello stesso anno.
Allora l'aspettativa era di inaugurare entro il 2021 il nuovo assetto
Revoltella-Rossetti-Settefontane-De Gasperi disegnato dall'architetto
monfalconese Francesco Morena sulle macerie della sede espositiva: il nuovo
orizzonte temporale, aggiornato ieri dallo stesso Morena e dal manager della Mid
Armin Hamatschek, vede l'autunno 2023 come punto di caduta inaugurale del polo
ludico-commerciale-parking.Un ritardo ormai ufficializzato di due anni. Ma, e
questa è la notizia di oggi, il cantiere ha ripreso a marciare spedito. Il piano
resta lo stesso: 100 milioni di investimento su una superficie di 24.000 metri
quadrati, che dovrebbe dare lavoro a 200 occupati e che potrebbe attrarre un
bacino d'utenza di oltre 400.000 persone. Le varie proposte di parcheggio
consentiranno la sosta a 1500 vetture. Una novità, accennata assai genericamente
da Hamatschek come «una sorpresa», riguarderà uno spazio-divertimenti definito
"futuristico", sul modello dei parchi tematici diffusi negli Stati Uniti. Come
detto, dopo un lungo letargo, il progetto, fermo allo strip-out di infissi e
serramenti che hanno trasformato l'ex Fiera nella quinta filmica di un
bombardamento, adesso ha ripreso una marcia che batterà il passo attraverso tre
fasi. Innanzitutto Morena e Hamatschek garantiscono che è imminente la richiesta
del permesso di demolizione al Comune, con un probabile avvio dei lavori in
marzo: demolizioni annunciate per la verità oltre un anno fa. Un po' come la
festa della birra, fissata prima nell'autunno 2019, poi nella primavera 2020. A
seguire, la presentazione del cosiddetto Piano attuativo - la riverniciatura del
vecchio "particolareggiato" - determinante per cominciare a costruire tra la
fine del 2021 e l'inizio del 2022. In Comune però non sono così sicuri che
l'attività di demolizione possa prescindere dal Piano attuativo, anticipandolo:
si tenga presente che andranno abbattuti 130.000 metri cubi di cemento, cui
seguirà uno scavo da 90.000 metri cubi da smaltire, una combinazione
ambiente-trasporti da non sottovalutare in un quartiere densamente popolato.
Hamatschek è convinto che il rallentamento non influirà sul reclutamento degli
operatori interessati a insediarsi negli spazi dell'ex Fiera: anzi, un primo
"casting" è offerto da una trentina di commercianti attivi a Tavagnacco, dove
Mid ha ammodernato il centro commerciale Friuli, investendovi una trentina di
milioni. Finanziamenti perfezionati, affittuari contrattualizzati, progetto
esecutivo delle cosiddette opere organizzative (dai sottoservizi alle rotatorie)
completata la riqualificazione del rione sembra insomma aver messo qualche ferro
in acqua. Seppur piano piano.
Massimo Greco
Ma più che sui negozi gli abitanti scommettono su aree verdi e parcheggi
La speranza dei residenti è che l'operazione rilanci una
zona popolosa ma poco valorizzata «Da troppo tempo il comprensorio è in stato di
abbandono. È il momento di voltare pagina»
Giardini, aree gioco per i bambini, parcheggi in abbondanza e spazi
di aggregazione. Sono alcuni dei desideri che residenti ed esercenti della zona
sperano siano esauditi con la realizzazione del nuovo centro commerciale. E c'è
chi comunque si ritiene contento anche per la sola riqualificazione annunciata,
dopo anni di abbandono e degrado che caratterizzano l'ex fiera. «In realtà i
grandi spazi commerciali non mi piacciono molto, perché si rischia di ammazzare
i negozi più piccoli, però - commenta Manuela Carocci, residente nella zona -.
Bisogna ammettere che sono comodi, visto che entrando c'è un po' di tutto e
sicuramente sarà utile a chi abita qui e al momento non trova poi molto da
comprare. Speriamo che, insieme alla ristrutturazione degli edifici, curino però
anche i marciapiedi vicini, malandati, e magari creino qualche area verde. Sul
piazzale che c'è ora, sono rimasti solo pochi alberi, e sarebbe bello poter
contare anche su un bel giardino». «Almeno sistemeranno tutto quel comprensorio
che si trova così mal messo - aggiunge Franco Celzi -. Vivo qua vicino da pochi
anni e l'ho sempre visto in queste condizioni, mi piacerebbe poter assistere
presto a un cambiamento radicale». Molti ricordano come il grande supermercato
Lidl, inaugurato qualche anno fa poco distante, abbia rivitalizzato la zona. «E
credo che anche un nuovo centro commerciale potrebbe dare una spinta in più a
questa parte della città, che - racconta Ezio Stefani -. Prima dell'insediamento
del market la zona era degradata. Adesso c'è un bel via vai». Pensiero simile
per Alessandro Sila, anche lui residente in zona. «Credo sia un bel progetto -
dice -. Non servirà spostarsi troppo per fare acquisti, ma funzionerà solo se
avrà negozi e servizi nuovi, magari diversi da quelli già presenti in alcuni
centri commerciali di Trieste che al momento sono mezzi vuoti». Anche al bar
Wayra, in viale Ippodromo, punto di riferimento per tanti cittadini tra caffè e
tabacchi, guardano di buon grado alla novità. «Basta che comincino presto con i
lavori - puntualizza Maurizio Godnic -. Per ora hanno fatto tante demolizioni ma
non si nota ancora nulla di concreto. Da quanto si sente il progetto dovrebbe
essere bello e funzionale, anche perchè vicino al raccordo autostradale. Penso
possa portare lo stesso movimento che sta creando il nuovo supermercato. Sono
qui da 35 anni e finalmente ci sono segnali di rinascita. Credo che il centro
avrà successo - prosegue - se non ci inseriranno un altro market. Mentre ho
sentito che ci sarà un'area fitness, che a mio parere è un'ottima idea. E mi
auguro anche un bel parco giochi per i bambini e del verde. E soprattutto
parcheggi, tanti». Secondo Danica Zanko, che lavora sempre all'interno dello
stesso bar, sarà un aiuto anche ai tanti anziani che vivono nella zona. «E qui
sono veramente molte le persone in là con gli anni - ricorda - che non si recano
in centro ma preferiscono rimanere nei dintorni per le spese. Per loro sarà
sicuramente una valida opportunità per trovare punti vendita e servizi utili
alla quotidianità». Secondo alcuni genitori che vivono nei condomini Ater
affacciati su piazzale de Gasperi, servono anche ambienti e negozi per i più
piccoli. «Come un'area attrezzata per i bambini - suggeriscono alcune mamme - ma
anche giocattoli, abbigliamento e spazi di aggregazione pensati per tutte le
età».
Micol Brusaferro
Porto vecchio, slitta la firma dell'accordo di programma
Il dirigente regionale non si è presentato alla riunione decisiva fra
uffici - L'ira di Dipiazza: «Voglio una data». Fedriga rassicura: «Si chiude a
giorni»
L'Accordo di programma sul Porto vecchio slitta ancora e il sindaco Roberto
Dipiazza perde le staffe. Si è tenuto ieri l'incontro degli uffici di Comune,
Autorità portuale e Regione per le ultime limature del patto che dovrebbe dar il
via allo sviluppo effettivo dell'area, e soprattutto all'apertura agli
acquirenti privati. Gli uffici regionali, però, non si sono presentati,
suscitando l'irritazione del primo cittadino, che ha tirato in ballo i vertici
regionali per porre rimedio: «Ora mi parlano del 15 febbraio - dice Dipiazza -,
ma io voglio al più tardi il primo del mese, così mi fanno un regalo di
compleanno». Il presidente regionale Massimiliano Fedriga dal canto suo
rassicura il sindaco e anticipa ancora: «Conto di firmare l'accordo a
giorni».Per gettar luce sull'impiccio è il caso di ripercorrere le tappe della
vicenda. Era il dicembre dell'ormai lontano 2019 quando Dipiazza, Fedriga e il
presidente dell'Adsp Zeno D'Agostino firmarono un "pre-accordo", inclusivo della
bozza di statuto del Consorzio Ursus (l'ultima incarnazione della società di
gestione per lo sviluppo dello scalo) e di un cronoprogramma. Secondo
quest'ultimo documento, la firma dell'accordo sarebbe dovuta arrivare
nell'aprile del 2020, sancendo così la variante al piano regolatore comunale,
passaggio imprescindibile per iniziare a integrare l'area al centro urbano e a
vendere i palazzi agli acquirenti privati. In Italia gli annunci son spesso
smentiti, e com'è noto il 2020 non è stato un anno tra i più semplici. Tanto la
Regione quanto il Comune hanno dovuto concentrare le loro energie su ben altre
sfide e il procedimento per lo sblocco dell'area è finito per qualche mese in
secondo piano. Dall'autunno, però, le cose hanno cominciato ad accelerare,
soprattutto dopo l'annuncio della Regione di uno stanziamento da 26 milioni
volto all'urbanizzazione dell'area e all'acquisto di due magazzini, 2 e 4, da
destinare a nuova sede dell'ente. Nel frattempo la data della firma veniva
posticipata di mese in mese, e l'ultima deadline era l'inizio di gennaio: il
Comune era in attesa del responso definitivo della Soprintendenza. Superato in
questi giorni anche quello scoglio, la riunione di ieri doveva chiudere gli
ultimi punti tecnici rimasti aperti. Peccato però che ieri mattina mancasse
all'appello l'esponente della Direzione centrale infrastrutture e territorio
della Regione. Preso atto dell'assenza (rivelano diversi testimoni oculari e
auricolari) il sindaco è esploso in una sfuriata di prima magnitudo. Conferma
Dipiazza: «Temo di aver perso un po' la pazienza, ma gli uffici regionali hanno
in mano le carte del pre-accordo ormai da un anno, non è possibile che a questo
punto la procedura non sia conclusa. Ho telefonato al presidente Fedriga e
all'assessore regionale Pierpaolo Roberti chiedendo loro di risolvere il
problema. Ora dagli uffici mi parlano del 15 febbraio, ma io dico il primo del
mese. Qui non stiamo parlando del mio umore, parliamo del futuro della città».
Dall'altro lato di piazza Unità la notizia ha colto di sorpresa più di qualcuno.
Tra gli stessi leghisti triestini c'è chi vede il ritardo come una prova di poca
attenzione dell'assessorato guidato da Graziano Pizzimenti verso il capoluogo.
Ma il presidente Fedriga rassicura Dipiazza: «Il 15 febbraio? Oggi sono stato
impegnato con le sentenze del Tar, ma mi dicono che lunedì le carte sono pronte.
E son pronto a firmare l'accordo a giorni».
Giovanni Tomasin
Zagabria non attende la Slovenia e blinda la sua zona in Adriatico
Ok dal Parlamento, l'area economica esclusiva in vigore da febbraio. I
timori della vicina Repubblica
ZAGABRIA. La Croazia segue la sua tabella di marcia. La Zona economica
esclusiva (Zee) in Adriatico, come annunciato dal ministro degli Esteri Gordan
Grlic Radman e dal responsabile della Farnesina Luigi Di Maio durante la sua
visita a Zagabria il 30 novembre scorso, sarà proclamata ufficialmente il
prossimo 1 febbraio. Nonostante il summit trilaterale di Trieste di fine
dicembre tra i capi delle diplomazia di Italia, Croazia e Slovenia. Nonostante
le ritrosie e le paure (giustificate) di Lubiana. L'ultimo step nazionale è
stato superato ieri con la benedizione del Sabor (Parlamento croato) al
progetto. Dunque per Zagabria si parte.«Nel diritto internazionale, si definisce
zona economica esclusiva la porzione di mare adiacente alle acque territoriali,
che può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata
l'ampiezza del mare territoriale. Istituita dalla Convenzione delle Nazioni
Unite sul diritto del mare del 1982, la zona economica esclusiva diviene
effettiva a seguito della sua formale proclamazione da parte dello Stato
costiero. Rispetto a essa, lo Stato costiero è titolare di diritti esclusivi di
sovranità in materia di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione
delle risorse ittiche; ha inoltre giurisdizione in materia di installazione e
utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture, nonché in materia di
ricerca scientifica marina e protezione dell'ambiente, e può adottare leggi e
regolamenti in molteplici settori (come il rilascio di licenze di pesca e per la
determinazione delle specie e delle stagioni di pesca). Lo Stato costiero non
può tuttavia impedire agli altri Stati la navigazione e il sorvolo della zona
economica esclusiva, come pure il suo utilizzo per la posa di condotte e cavi
sottomarini». Così l'Enciclopedia Treccani la definisce. E ieri al Parlamento
croato è stato approvato l'emendamento alla legge che aveva già dato il via
libera alla Zona ecologica esclusiva il 18 dicembre scorso . Mancava solo di
indicare la data dell'entrata in vigore, ossia l'1 febbraio del 2021.A quanto si
era stabilito a Trieste la proclamazione della Zee dovrebbe avvenire
contemporaneamente tra Italia e Croazia. In quella sede il ministro degli Esteri
Grlic Radman aveva spiegato che i colloqui tra gli esperti sulla delimitazione
delle aree con l'Italia inizieranno dopo la loro proclamazione congiunta.
Zagabria si aspetta che si applichi un confine marittimo temporaneo fino
all'accordo, in conformità a quanto stabilito tra Italia ed ex Jugoslavia nel
1968. Dopo aver ricordato il summit trilaterale di Trieste, ieri in Parlamento
il ministro degli Esteri, Grlic Radman ha annunciato che la prima riunione della
trilaterale a livello di gruppo di esperti si terrà il 29 gennaio prossimo
tramite videoconferenza. L'incontro fornirà la base e sarà una sorta di
preparazione per il lavoro su singole proposte e programmi a livello di esperti,
al fine di convocare una riunione trilaterale a livello ministeriale a marzo. E
la Slovenia? La Slovenia rischia di fare la fine dei manzoniani vasi di coccio
fra vasi di ferro. Non ha la possibilità di dichiarare una zona esclusiva in
quanto i suoi confini marittimi non hanno accesso alle acque internazionali. In
primis Lubiana teme che la Croazia abusi del diritto di poter ispezionare le
navi nel territorio croato se si dovessero riscontrare violazioni delle leggi
marittime e soprattutto inquinamento ambientale. Questo rallenterebbe i traffici
da e per il porto di Capodistria che potrebbe pagare con la perdita di
importanti toccate che verrebbero sicuramente deviate verso i più veloci lidi
dello scalo di Trieste. E poi resta il quesito dei quesiti, ossia la definizione
del confine marittimo tra Slovenia e Croazia dopo che Zagabria ha disconosciuto
i lavori e la sentenza del Tribunale dell'Aja relativi all'arbitrato
internazionale tra i due Paesi. Qualcosa del genere «non è ancora accaduto»,
aveva detto a Trieste Grlic Radman sui timori sloveni relativi ai controlli, ma
non aveva detto che «non accadrà mai».
Mauro Manzin
Le reazioni su A2A - Ambientalisti spaccati sul futuro della centrale
Le associazioni ambientaliste sembrano spaccate sulla bontà della proposta di A2A di riconversione della centrale termoelettrica. Se FareAmbiente la promuove, per Legambiente regionale e locale non c'è nulla di "green" nel progetto, giudicato inoltre «in netto contrasto con le indicazioni dell'Ue, che prevede la neutralità climatica al 2050». Per Legambiente sono molti i punti deboli della proposta. A iniziare da una "decarbonizzazione" che per essere reale non può giustificare la riproposizione di una centrale a gas naturale di 850 megawatt, quando nella vicina Torviscosa ce n'è un'analoga sottoutilizzata. «L'ipotizzata produzione di idrogeno è poi poco più di una presa in giro, se la fonte sono i combustibili fossili: non c'è alcun beneficio in termini di riduzione di CO2, anzi», sempre Legambiente. E la Commissione europea si è espressa in materia a luglio, secondo l'associazione, che rileva come l'occupazione sarà poi di poche decine di addetti. «La nuova centrale non trova giustificazioni», aggiunge Legambiente, che addebita una situazione «priva di visione per un futuro di sostenibilità» ad A2A, «disinteressata nel proporre scelte innovative», ma anche a Regione e organizzazioni sindacali, pur comprendendone la preoccupazione per l'occupazione. «Nonostante la dichiarazione dell'amministrazione di escludere ogni ipotesi di polo energetico in città espressa a inizio mandato anche con atto amministrativo - conclude l'associazione -, oggi le dichiarazioni del sindaco sembrano andare in tutt'altra direzione, con aperture preoccupanti ad A2A». FareAmbiente parla invece di "svolta green", definendo «fondamentale il dialogo tra amministrazioni, azienda, territorio e parti sociali, per definire il miglior percorso sia ambientale sia dell'occupazione e sviluppo». Importante «l'attenzione del sindaco di Monfalcone a tutela degli interessi del territorio e dei cittadini e l'apertura a un progetto integrato», dice Giorgio Cecco, coordinatore regionale di FareAmbiente e referente per le tematiche ambientali di ProgettoFvg. «Dobbiamo sfruttare le opportunità di sviluppo più ecologico, tenendo il tessuto produttivo», evidenzia Alice Tessarolo sempre di FareAmbiente.
LA. BL.
Infrastrutture - Si accende la partita per elettrificare le banchine
L'Authorithy ha in progetto l'elettrificazione delle banchine dei porti di
Trieste e Monfalcone. Ma è ancora aperto il nodo su chi fornirà l'energia.
«Abbiamo iniziato a parlare con Terna per l'energia perchè non abbiamo la
capacità di fornirla - precisa il presidenbte D'Agostino - e la stessa Terna
dice che la centrale termoelettrica di Monfalcone, una volta riconvertita da
A2A, può diventare fondamentale in questo progetto».Non ci sono però in coso
trattative tra Autorità di sistema e A2A e non ci sono stati nemmeno incontri
dopo l'annuncio della riconversione degli impianti a metano e idrogeno dal 2024.
«La fonte dell'energia potrà essere anche quella di Monfalcone - conclude il
presidente - dipende se sarà effettivamente green. Dobbiamo tenere presente il
costo ambientale, non possiamo trasferire in porto la produzione di energia da
fonti inquinanti come il fossile».
Supertreno per Venezia, c'è il commissario
Il governo sceglie Vincenzo Macello, responsabile Direzione Investimenti
Rfi, per gestire la linea ferroviaria veloce da Trieste
Trieste. Sarà Vincenzo Macello, responsabile della Direzione Investimenti di
Rete ferroviaria italiana, il commissario per la velocizzazione della tratta
Trieste-Venezia. Ieri il governo ha inviato al Parlamento la lista dei
commissari designati per accelerare la realizzazione di 59 grandi opere. Ma
l'indicazione di Macello non risolve la mancanza di buona parte degli oltre due
miliardi necessari a far viaggiare più rapidamente i treni fra Trieste e lo
snodo di Mestre. Al momento risultano stanziati soltanto 200 milioni, ma altre
risorse potrebbero arrivare nei prossimi mesi grazie al Recovery Plan. Il
commissariamento dei lavori era stato previsto dai decreti Semplificazioni e
Sblocca cantieri, cui ieri è seguita l'indicazione dei responsabili incaricati.
La lista dovrà ora essere approvata dalle camere. Il nome di Macello compare fra
quello di una trentina di dirigenti di Rfi, Anas e ministero delle
Infrastrutture: toccherà a loro il compito di avviare o aumentare il ritmo dei
cantieri, il cui valore complessivo ammonta a 60 miliardi circa. Fra i sedici
interventi in ambito ferroviario c'è la Trieste-Venezia, per la quale si
procederà al potenziamento tecnologico e all'eliminazione dei colli di
bottiglia, in modo da rendere la tratta percorribile in poco più di un'ora,
senza la necessità delle misure più impattanti previste dall'alta velocità, che
è ritenuta non conveniente viste le scarse quantità di traffico previste. Il dl
Semplificazioni ha aggiornato il valore dell'opera, che costerà 2,2 miliardi, ma
che non figura tra quelle inserite nel Recovery Plan: il finanziamento dipenderà
dalle richieste della Regione, che ha già reso noto di aver inserito il
finanziamento dei lavori nel pacchetto da oltre 10 miliardi che sarà presentato
a Roma, con la speranza tuttavia di vederne approvato solo una frazione. Macello
si occuperà della Trieste-Venezia, ma anche dell'alta velocità
Brescia-Verona-Padova, del completamento del raddoppio della Genova-Ventimiglia
e del potenziamento della Orte-Falconara e della Roma-Pescara. Si tratta di una
parte delle opere infrastrutturali prioritarie, che a luglio sono state elencate
nella lista preparata dalla ministra dei Trasporti Paola De Micheli. Il
commissario potrà contare su procedure e valutazioni ambientali più rapide, ma
ad aver bloccato i lavori è finora soprattutto la mancanza di fondi. L'anno
scorso Rfi ha assicurato di poter completare il cantiere entro il 2025, ma
nemmeno un operaio si è ancora visto lungo i binari, anche se l'impegno è
appunto di far partire l'opera nel 2021. Restano però da chiarire il numero di
fermate previste per rispettare la percorrenza di poco più di un'ora e permane
ancora lo scontro politico fra chi, come Pd e M5s, ritiene che la velocizzazione
della linea sia sufficiente e chi, come l'assessore regionale Graziano
Pizzimenti, la ritiene propedeutica alla Tav vera e propria, che costerebbe
quattro-cinque volte di più.
Diego D'Amelio
Il Municipio di San Dorligo a fianco dei pacifisti «Denuclearizzare i porti
di Trieste e Capodistria»
SAN DORLIGO DELLA VALLE. Denuclearizzare i porti di Trieste e Capodistria
«per garantire sicurezza e pace». È questo l'appello lanciato ieri nel corso di
una conferenza online promossa dal Movimento per la democrazia in Europa 2025,
dal Comitato Dolci e dal Comune di San Dorligo. Dopo l'introduzione
dell'assessore comunale Davide Stokovac Alessandro Capuzzo (Di Em 25) ha
ricordato che «Trieste e Capodistria ospitano due porti militari nucleari che
possono diventare oggetto di attentato e le popolazioni residenti non sono a
conoscenza dei rischi che corrono. L'obiettivo è di denuclearizzare l'intero
Mediterraneo». Aurelio Juri, già sindaco di Capodistria, ha evidenziato che «la
Slovenia non ha aderito al trattato internazionale di abolizione delle armi
nucleari. Speriamo che il prossimo governo, che auspico di colore diverso da
quello attuale, aderisca». Werner Wintersteiner dell'Università di Klagenfurt ha
ricordato che «il Fvg è sempre stato considerato una zona pericolosa a causa
della presenza della base di Aviano. Il pericolo nucleare va combattuto a
livello internazionale e il nostro obiettivo è fare dell'Alpe Adria la regione
della pace». Carlo Tombolo, dell'Osservatorio sulle armi nei porti europei e del
Mediterraneo, ha spiegato che «bisogna battersi affinché le popolazioni siano
sempre messe a conoscenza delle merci che transitano nei loro porti. A Trieste
esiste un documento congiunto di Capitaneria di porto e Autorità portuale - ha
proseguito - che prevede che il materiale nucleare e in particolare gli
esplosivi prima di transitare nello scalo giuliano siano sottoposti ad
autorizzazione». Sibylle Hoffmann, pacifista di Amburgo, ha ribadito «la
necessità di diffondere le informazioni sui traffici di materiali nucleari».
Stokovac ha garantito la disponibilità «a ospitare sul sito del Comune le
documentazioni inerenti ai temi trattati».
Debutta a Trieste il servizio civile per valorizzare la cultura alpina
Per la prima volta sono a disposizione dei posti per riorganizzare libri
e video degli archivi Cai
Un progetto rivolto ai giovani nell'ambito del servizio civile per
diffondere e rilanciare la cultura di montagna partendo da testi, video, foto.
Che verranno riordinati con l'obiettivo futuro di aprire gli archivi - cartacei,
cinematografici e cartografici - alla cittadinanza. Per la prima volta a
Trieste, città che pur conta migliaia di appassionati, l'Arci servizio civile
del Fvg apre quest'anno ai giovani la possibilità di prestare servizio con tre
sodalizi che svolgono attività in montagna. Nonostante la grande tradizione, in
città sempre meno ragazzi frequentano infatti l'ambiente alpino e l'età media è
sempre più alta. Ed è proprio nell'ottica della rinascita della filosofia della
montagna e del coinvolgimento del mondo giovanile nelle attività che svolgono in
ambiente alpino, che le due sezioni triestine del Cai (Società Alpina delle
Giulie e XXX Ottobre), assieme a Monte Analogo, propongono un progetto che
consentirà a ragazzi e ragazze tra i 18 e 28 anni di fare questa esperienza.
«Questa opportunità - commenta il presidente della XXX Ottobre, Piero Mozzi -
rientra nella nostra propensione a rivolgerci ai giovani, garanzia del futuro,
che passa anche attraverso un concorso letterario per gli alunni delle medie».
La montagna è vista come maestra di vita, dove si instaura un rapporto con la
natura, ma anche con il compagno di cordata o escursione. «Le forze fresche -
riprende Mozzi - contribuiranno a completare la catalogazione, già in fase
avanzata, delle migliaia di volumi della biblioteca "Julius Kugy" , offrendo
loro l'opportunità di capire il valore della carta stampata. L'idea è di
affiancarli nelle nostre attività in modo che possano poi illustrare le
opportunità per un socio di praticare speleologia, alpinismo, sci alpinismo,
kayak e orienteering». «Da diversi anni Monte Analogo - spiega il presidente
Fulvio Mosetti - collabora con le due sezioni triestine del Cai per la
realizzazione di eventi culturali, incontri e proiezioni a tema, ma purtroppo la
presenza giovanile è scarsa. I pochi eventi che parlano di montagna inoltre
riguardano esclusivamente lo spettacolo e lo sport o sono spesso poco
pubblicizzati. Anche gli archivi risultano di difficile accesso, soprattutto per
mancanza di personale. La presenza dei volontari sarà un primo passo per creare
percorsi di confronto e dibattito dedicati soprattutto ai giovani». Le domande
dovranno pervenire entro il 15 febbraio attraverso la piattaforma Domanda online
(https: //domandaonline. serviziocivile. it).
Gianfranco Terzoli
Trieste Verde - Itinerari urbani nel Boschetto
Oggi alle 16 con ritrovo alla rotonda del Boschetto (rione di S. Giovanni) a Trieste si terrà il primo evento degli Itinerari Urbani organizzato dal gruppo "Trieste Verde" Verdi Trieste. Un breve itinerario nel rione per parlare degli spazi verdi, partendo dalla presentazione della radura di alberi di pregio siti alla rotonda del Boschetto.
Adesso Trieste - Passeggiata nella zona di Prosecco
Domani Adesso Trieste salirà in Carso. La nuova passeggiata porterà a scoprire il borgo di Contovello e il centro abitato di Prosecco. L'appuntamento fissato per le 10 davanti al monumento ai caduti di Prosecco.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 gennaio 2021
La sfida verde di A2A: puntare sull'idrogeno «Cresciamo in Europa»
L'ad Mazzoncini: «Il ciclo delle aggregazioni regionali è finito.
Investiamo 16 miliardi nell'economia circolare e sulle fonti alternative».
L'alleanza con Suez
Trieste. «Le aggregazioni regionali non sono più un pilastro della nostra
crescita in Italia. La nostra porta resta aperta ma un ciclo si è chiuso. Dopo
un anno e mezzo di pandemia le multiutility hanno mostrato resilienza ma ora è
arrivato il momento di reagire»: l'amministratore delegato di A2A, Renato
Mazzoncini, da meno di un anno alla guida della società controllata alla pari
dai Comuni di Milano e Brescia, presenta alla comunità finanziaria il piano
industriale al 2030 che prevede 16 miliardi di euro di investimenti in 10 anni
dedicati allo sviluppo dell'economia circolare e per la transizione energetica.
Una pesante svolta industriale «green» che guarda all'Europa dopo l'alleanza
stretta con la francese Suez e suona come un guanto di sfida nei confronti di
Hera che a Nordest ha comprato le utenze gas di Ascopiave e controlla AcegasAps.
Una svolta premiata dai mercati con il titolo sugli scudi (+3,43%). «Quando nel
2021 usciremo dalla pandemia ci aspettiamo una forte accelerazione della
crescita in linea con il Green New Deal europeo», sottolinea Mazzoncini. Nel
piano sono previsti interventi di potenziamento strategico e industriale con la
realizzazione di un nuovo impianto a ciclo combinato metano/idrogeno da 400
milioni che nascerà dalla riconversione della centrale termoelettrica di
Monfalcone. L'impianto nella città dei cantieri diventerà un modello industriale
strategico in tutto il Nord Italia considerato che l'idrogeno ormai è
considerato una risorsa fondamentale per lo sviluppo energetico a emissioni pari
a zero: il gas del futuro. Non a caso A2A a siglato proprio a Trieste
un'alleanza con Snam per studiare progetti comuni sulla tecnologia dell'idrogeno
che sarà probabilmente usata per la "rifondazione verde" della centrale
monfalconese. In Fvg il gruppo presieduto da Marco Patuano, controlla anche due
centrali idroelettriche a Somplago e Ampezzo, nella provincia di Udine. Nel
piano solo gli investimenti nelle rinnovabili saranno pari a 4,1 miliardi, di
cui il 60% nel fotovoltaico e il 40% nell'eolico, ma solo il 12% sarà destinato
ad acquisizioni e il resto alla crescita organica. Per entrare nell'era del
Green Deal il gruppo prevede 6 mila assunzioni dirette da qui al 2030. Durante
la presentazione virtuale al Museo del Novecento a Milano con vista Duomo, il
gruppo ha definito un piano di sviluppo nel campo dell'energia verde e delle
fonti rinnovabili. Lo smaltimento dei rifiuti, dove A2A è leader, diventa una
risorsa per la produzione di energia grazie a termovalorizzatori a basso impatto
ambientale. Inoltre il gruppo di Mazzoncini prevede di destinare oltre 4
miliardi di euro in investimenti e acquisizioni sul fronte delle energie
rinnovabili (solare, idroelettrico e eolico). Il piano industriale disegna
un'espansione industriale su scala internazionale in linea con la strategia
green della commissione europea di Ursula von der Leyen. La Spagna è il
«sorvegliato speciale» della crescita all'estero nella termovalorizzazione: «Già
oggi - spiega Mazzoncini- la nostra joint venture per lo smaltimento dei rifiuti
industriali con Suez è leader in Italia». Addio quindi alla concorrenza
domestica fra le multiutility e via libera a una transizione energetica che
punta sull'economia circolare: per questo A2a punta ad abbandonare il carbone
nel 2022, in anticipo rispetto all'obiettivo nazionale fissato al 2023. Come ha
spiegato Mazzoncini la transizione energetica legata alle rinnovabili prevede
una riduzione del 30% delle emissioni e la riconversione in energia verde di 4,5
milioni di tonnellate dei rifiuti destinati alle discariche equivalenti e 31
milioni di tonnellate di C02 movimentati dai camion che trasportano le merci su
strada. «Abbiamo obiettivi di sostenibilità sfidanti e target economici di
crescita molto importanti per il gruppo, che si affaccia al mercato europeo»,
commentato Mazzoncini, spiegando che «per la prima volta A2A ha una strategia di
lungo termine, con 16 miliardi di investimenti dedicati allo sviluppo
dell'economia circolare e alla transizione energetica. Queste sono le solide
basi che ci consentiranno di realizzare infrastrutture strategiche, innovative
ed essenziali per la crescita e il rilancio del Paese, di essere ambiziosi e
guardare all'Europa».
Piercarlo Fiumanò
Monfalcone strategica addio al carbone nel 2022 e riassetto da 400 milioni
Le risorse messe in campo dal gruppo con la nuova tecnologia che deriva
dal patto con Snam
E il gruppo si candida a fornire energia alle banchine del porto isontino e a
quello di Trieste
MONFALCONE. Nella svolta green di A2A Monfalcone riveste un ruolo di rilievo
con la centrale termoelettrica sulla quale saranno investiti 400 milioni per la
riconversione dal carbone al ciclo combinato a gas e poi l'idrogeno. Lo ha
confermato ieri durante la presentazione del nuovo piano industriale 2021-2030
l'amministratore delegato Renato Mazzoncini che ha ribadito il progetto
annunciato a settembre nel corso di una visita a Monfalcone e Trieste in
occasione della quale è stato firmato un memorandum di cooperazione tecnologica
tra A2A e Snam, tra lo stesso ad A2A e l'omologo Snam, Marco Alverà. Un progetto
sperimentale per verificare l'utilizzo di idrogeno combinato con il gas nelle
centrali termoelettriche e accelerare la transizione della produzione a impianti
ad emissioni zero.«Monfalcone è uno dei siti energetici più importanti per la
nostra svolta green - ha confermato l'ad di A2A - l'impianto a carbone verrà
dismesso per riconvertirlo al ciclo combinato a gas e l'utilizzo dell'idrogeno.
La chiusura è prevista entro il 2022, poi partirà il progetto di trasformazione
e parteciperemo anche al nuovo capacity market che serve per dare stabilità agli
investimenti e certezza all'occupazione degli addetti che sarà legata alla
crescita dell'impianto. Ma su Monfalcone, per garantire la piena occupazione,
penseremo ad attività integrative».Mazzoncini ieri non ha dato ulteriori
particolari, il tempo tra chiusura dell'impianto (2022) e ripartenza
dell'impianto a ciclo combinato (2024) è abbastanza lungo e ci sarà tutto il
tempo per perfezionare i dettagli. Quello che è certo è che per il mantenimento
dei circa 100 addetti (per il solo impianto a gas anche combinato con l'idrogeno
non servirà molta manodopera, si parla di alcune decine di addetti)si pensa
tutta una serie di attività collaterali. Legate alla gestione dell'idrogeno e al
ciclo combinato stesso gas-idrogeno, ma anche a un nucleo di fotovoltaico
all'interno della centrale, impianti "compensatori sincroni", storage delle
batterie a cella (c'è tutto il filone delle auto elettriche da sviluppare), ma
anche all'economia circolare (A2A è uno dei principali operatori in Italia) e
alla retroportualità visto che saranno liberate alcune aree della centrale in
pieno porto. Su questo fronte è ipotizzabile (erano stati annunciati contatti
mesi fa tra A2A e il presidente dell'Autorità di sistema portuale Zeno
D'Agostino) anche un impegno dell'azienda per la fornitura di energia a km zero
alle banchine dei due porti, Trieste e Monfalcone, che saranno elettrificate. La
stessa A2a poi ha iniziato l'installazione di colonnine per la ricarica delle
vetture elettriche a Monfalcone.Per la nuova centrale termoelettrica (con una
potenza di 850 megawatt) la trasformazione si annuncia radicale. Il capitolato
di gara per il revamping, ha spiegato A2A, prevede una centrale a ciclo
combinato a gas già pronta con le turbine in grado di funzionare ad idrogeno che
verrò miscelato al gas. Per la connessione alla rete di distribuzione verrà
utilizzato un tubo lungo poco meno di 2 chilometri che si collegherà alla cabina
del gas del Lisert poco distante dall'autostrada. E lo stesso tubo un domani
potrebbe essere utilizzato dalla Snam per distribuire anche idrogeno.«Noi saremo
gli utilizzatori, la Snam distribuirà l'idrogeno - aveva spiegato Mazzoncini - e
l'accordo con loro serve per avviare la sperimentazione. Una collaborazione che
rappresenta un'opportunità per valorizzare una filiera italiana di
infrastrutture chiave pe l'obiettivo europeo delle emissioni zero entro il
2050».
Giulio Garau
Stiamo distruggendo il mondo: la natura si ribella e il Covid-19 non è che
l'inizio
In "Qualcosa di nuovo sotto il sole" (Einaudi) lo storico John McNeill
analizza i mutamenti ambientali
Per quanto tenti di scacciare la natura col forcone, ammoniva Orazio in una
lettera ad Aristio Fusco, questa alla fine ritorna di corsa. E magari, ma questo
Orazio non lo diceva, anche un poco arrabbiata. Parliamo del Covid? Sì, ma non
solo. Natura sono anche i microbi, i virus, i batteri, gli organismi che si
muovono nella biosfera e fanno parte di quell'infinitamente piccolo che ci
circonda e che portiamo in noi. Natura sono l'aria, l'acqua, la terra, un tempo
elementi per filosofi, adesso risorse da sfruttare. L'equilibrio è stato
spezzato dal gesto prometeico dell'Homo sapiens così tronfio di hybris che vuole
sottomettere la natura, addomesticarla e piegarla con la mano armata della
tecnica gli si sta ritorcendo contro. Per migliaia di anni la colonizzazione
dell'ambiente è stata tutto sommato accettabile. L'accelerazione bruciante si è
avuta a partire dall'Ottocento, con lo sfruttamento del carbone per scopi
industriali. Da allora, in un tempo così breve, un battito di ciglia nella
storia del pianeta, tutto è cambiato. Tanto che si può dire, come fa lo storico
John McNeill, che c'è "Qualcosa di nuovo sotto il sole" (Einaudi, pagg. 487,
euro 28).E, diciamo la verità, di queste novità ne avremmo fatto anche a meno.
Come il Covid-19, un pacco regalo avvelenato che ci sta colpendo con forza
inaudita. D'altra parte se stuzzichi la natura capita che poi lei ti presenta il
conto. E i prossimi rischiano di essere anche peggio, lascia intendere, in
questa storia dell'ambiente nel XX secolo, uno studioso come McNeill che non è
un luddista anti industriale, né un integralista verde. Quello che è sotto gli
occhi di tutti, ammonisce McNeill, è che stiamo scegliendo, sia pur
involontariamente, un certo percorso evolutivo. Un quarto del genere umano ha
stili di vita connessi alla stabilità del clima al basso costo di energia e
acqua, alla rapida crescita di popolazione ed economia e il resto aspira a
vivere nello stesso modo. Ma la società basata sui combustibili fossili ha
prodotto uno 0sul piano ecologico, e lo sconquasso dell'ecologia globale sta già
mettendo a rischio l'organizzazione sociale di numerose società. McNeill disegna
un quadro in cui popolazioni e ambienti, storia dei popoli e storia del pianeta
sono strettamente connessi, e lo fa dal punto di vista dell'uomo, analizzando
incremento demografico, migrazioni, innovazione tecnologica,
industrializzazione. Un mix strettamente interdipendente che produce effetti di
lunga durata. Torniamo alla pandemia: i più grossi cambiamenti del Novecento
hanno riguardato le malattie. Alla fine del secolo scorso la battaglia contro i
microbi, che sembrava vinta con gli antibiotici e con i vaccini, era di nuovo in
corso e dagli anni Settanta le infezioni hanno ripreso a correre con la comparsa
dei batteri multiresistenti, come quelli della tubercolosi e della malaria. Se
l'uomo esercita una pressione sull'habitat della fauna selvatica, estendendo le
attività agricole o disboscando, aumenta il rischio di nuove zoonosi, un effetto
boomerang che ora ha un nome ben noto. È ancora troppo presto per dire se il
Coronavirus produrrà cambiamenti duraturi nella società o sarà solo una
deviazione momentanea, ma intanto il suo impatto sulla storia dell'ambiente ha
messo in luce, secondo McNeill, almeno due aspetti: il passaggio di virus
animali all'uomo e la relazione tra inquinamento e mortalità.
Paolo Marcolin
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 gennaio 2021
Arvedi conferma i tempi sulla nuova area a freddo - Zero esuberi dopo la Cig
Le risposte del gruppo all'incontro al Mise reclamato dai sindacati per
rompere il silenzio calato dopo l'Accordo di programma. Gli impianti forniti da
Danieli
La conferma del rispetto dei tempi con il completamento dell'area a freddo
entro 18 mesi. E tavoli di confronto frequenti. Sono i segnali venuti da Arvedi
ieri al ministero dello Sviluppo economico, dove si è tenuto l'incontro
richiesto dai sindacati della Ferriera di Servola per fare il punto della
situazione dopo la firma dell'Accordo di programma dello scorso giugno. I
vertici del gruppo Arvedi hanno confermato infatti il rispetto delle tempistiche
per la creazione degli impianti di zincatura e verniciatura che, e questo è
l'elemento di novità, arriveranno dal Friuli perché saranno forniti dal gruppo
Danieli di Buttrio. Secondo i nuovi dati, inoltre, non sarebbero previsti
esuberi. Uilm, Fiom Cgil, Failms, Fim Cisl e Usb avevano chiesto l'incontro a
novembre direttamente al ministro Stefano Patuanelli dopo «l'assoluto silenzio»
dalla firma dell'Accordo di programma. Ieri il grande assente era proprio
Patuanelli - al Senato, in cui è stato eletto, si votava per la fiducia al
premier Giuseppe Conte - e dalla Regione, al tavolo con gli assessori al Lavoro
Alessia Rosolen e all'Ambiente Fabio Scoccimarro, è trapelato un certo stupore
per l'assenza del ministro e pure per quella del sottosegretario Alessandra
Todde, atteso come un segnale capace di dare più concretezza all'incontro. Per
il Mise era presente Stefano D'Addona, della segreteria di Todda.All'incontro ha
preso parte anche Debora Serracchiani in qualità di presidente della Commissione
Lavoro della Camera. L'amministratore delegato di Arvedi Mario Caldonazzo,
secondo quanto riferito dai sindacati, ha confermato il rispetto dei tempi:
Invitalia - presente ieri - darà il via libera intorno al 25 gennaio allo
sblocco dei 45 milioni a fondo perduto, a quel punto verrà confermato l'ordine
per gli impianti di verniciatura e zincatura al gruppo Danieli, che in 18 mesi
li renderà operativi. Attualmente sono 412 i lavoratori del gruppo e al termine
dei due anni di Cassa integrazione non sono previsti esuberi. A febbraio - è
emerso sempre all'incontro - partirà anche un nuovo corso di formazione per un
numero di operai tra le 30 e le 50 unità, in aggiunti ad altri 50 che hano già
iniziato a novembre. Entro ottobre 2021 è prevista l'entrata in funzione della
centrale elettrica dopo la sostituzione della turbina che funzionerà a metano e
non con gli scarichi del ciclo siderurgico. Caldonazzo ha confermato quindi la
volontà di incontrare i sindacati appena ci sarà il via libera al finanziamento
mentre il Mise attiverà un tavolo mensile di confronto e monitoraggio.
«L'incontro - conferma Marco Relli della Fiom - è servito per avere delle
certezze. Ricordo che è stata chiusa l'area a caldo per una questione politica e
non economica o ambientale. Per noi è fondamentale tenere alta l'attenzione
anche sui lavoratori dell'indotto». Un tema caro anche Cristian Prella della
Failms: «Sull'indotto manca un coordinamento e vogliamo che quei lavoratori
siano inseriti nel confronto con il Mise». Antonio Rodà della Uilm aggiunge che
«finalmente vediamo un percorso. Prima di esprimere un giudizio di
soddisfazione, però, attendiamo l'incontro con la proprietà per avere gli
approfondimento del caso. Spiace per l'assenza, oggi, di Patuanelli». La
preoccupazione dei sindacati è legata alla durata della Cassa integrazione.
Nell'accordo è previsto un periodo di due anni, allungabili a tre: «Un'ipotesi
da evitare a tutti i costi - aggiunge Umberto Salvaneschi della Fim - e per
questo è indispensabile recuperare il tempo perso in questi mesi. Abbiamo
impegni verbali, ora attendiamo atti concreti». Sasha Colautti, dell'Usb, ha
chiesto dettagli «sugli impegni assunti da Fincantieri per quanto riguarda i
tempi determinati, ma non sono arrivati. L'elemento che preoccupa maggiormente è
l'assenza di una regia forte del governo. Ci saremmo aspettati una relazione dal
ministro vista la complessità degli incastri dell'intero Accordo di programma».
Infine Michele Piga, segretario provinciale della Cgil, ha evidenziato «la
necessità di allargare il tavolo permanente sulla Ferriera, annunciato dal Mise,
ai possibili investimenti del nuovo manifatturiero che potrebbero arrivare a
Trieste anche in relazione al Recovery Plan».
Andrea Pierini
I serbatoi cilindrici saranno conservati «per tenere viva la storia
dell'impianto» - le indicazioni della soprintendenza
La memoria della Ferriera va conservata. Lo dicono coloro che per anni ci
hanno lavorato. E lo dice anche la Soprintendenza archeologia, belle arti e
paesaggio del Friuli Venezia Giulia. L'emanazione territoriale del ministero per
i Beni e le Attività culturali è tra gli attori che in questi giorni hanno
partecipato con alcune prescrizioni a una conferenza dei servizi cosiddetta
asincrona. È questo lo strumento di confronto che si articola in un carteggio
telematico tra gli enti interessati al tavolo comune, al fine in questo caso
della redazione del via libera definitivo allo smantellamento della Ferriera da
parte del ministero dell'Ambiente, che dovrebbe arrivare a fine mese, secondo
indiscrezioni dei componenti del "tavolo virtuale".le prescrizioni - Al
dicastero romano sono stati indirizzati dei pareri, che ricalcano l'Accordo di
programma per l'attuazione del progetto integrato di messa in sicurezza,
riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell'area dell'ex
impianto siderurgico di Servola. Tra i documenti, l'elemento di novità sono le
prescrizioni che ha avanzato la Soprintendenza, richiedendo che vengano
conservati alcuni elementi di archeologia industriale per conservare la memoria
dell'ex fabbrica di oltre cent'anni. L'individuazione di questi elementi dovrà
essere concordata con la Soprintendenza stessa. «Alla dismissione della Ferriera
abbiamo dato parere positivo - sottolinea il soprintendente Simonetta Bonomi -.
Abbiamo chiesto però d'individuare degli elementi da salvare, fissi o mobili, a
memoria dell'impianto, perché ha avuto un peso nella storia di Trieste. È giusto
che vada via, però con tutto quello che ha significato di positivo e negativo
nella storia della città, è giusto se ne mantenga la memoria». i serbatoi
cilindrici - L'idea è in particolare quella di lasciare sul posto due dei
serbatoi cilindrici dove si formava l'aria calda attorno ai 1.100 gradi, che
veniva iniettata nell'altoforno per la produzione della colata di ghisa. Inoltre
si è pensato di mantenere dei macchinari, con la prospettiva d'inserirli un
giorno in un museo dedicato. Passato e futuro sostenibile saranno collegati
anche da un monumento, da realizzare tramite un concorso d'idee che ricordi gli
oltre 120 anni di storia della Ferriera. il monumento - L'idea è dell'assessore
regionale all'Ambiente Fabio Scoccimarro, che spiega su quali basi si
concretizzerà: «Partendo dal carbone, passando per gli uomini di ferro, la
simbiosi con il borgo che per un periodo cambiò nome in Ilvania, fino ai binari
del futuro polo logistico». «Legittime - sottolinea inoltre Scoccimarro - le
richieste della Soprintendenza sul concordare il mantenimento di alcune parti
dello stabilimento come manufatti di archeologia industriale, auspico però che
questa opera vada oltre, perché l'operazione della riconversione dell'area a
caldo non è stata una chiusura, ma un punto di partenza per un nuovo sviluppo
dell'area. La collocazione dell'opera poi chiaramente verrà condivisa con il
sindaco, il presidente dell'Autorità portuale ed ovviamente le associazioni e
tutti coloro che sono stati attori di questo nuovo progetto».
Benedetta Moro
Discarica nel bosco a Banne - vicino al raccordo
Scoperta una discarica abusiva nel bosco tra Banne e Fernetti a una
cinquantina di metri dal raccordo autostradale: in una dolina si scorgono decine
di bottiglie, lattine, contenitori di plastica e pezzi di tubi.
IL PICCOLO - MARTEDI', 19 gennaio 2021
Neoclassico in via Ghega - La Soprintendenza avvia l'iter di interesse
culturale - lo storico palazzo Degasperi
Palazzo Degasperi, pur senza vantare alcun rapporto con lo statista trentino
Alcide, è uno degli edifici di maggiore pregio architettonico tra quelli
allineati in via Carlo Ghega: la Soprintendenza ha ritenuto di "premiarlo"
avviando la procedura che ne dichiara l'interesse culturale. Il civico 6, con la
restaurata facciata dalla «moderata» intonazione neoclassica, è di agevole
individuazione, perchè gran parte del pianterreno è occupato dai magazzini "Fam
store". Sullo stesso marciapiede, a pochi metri di distanza, la gelateria
Zampolli. A progettarlo fu negli anni Trenta del XIX secolo Giovanni Degasperi,
un muratore autodidatta, proveniente dal Canton Ticino come molti altri
protagonisti della stagione neoclassica triestina. Al solito, il soprintendente
Simonetta Bonomi ha informato gli interessati con una missiva spedita a 28
indirizzi, di cui 25 i proprietari, nella quale spiega i perchè del
procedimento. L'immobile - scrive - è un esempio di particolare interesse nel
documentare ancora oggi la sintassi realizzativa di metà Ottocento: semplicità,
severo rigorismo, la disposizione di buona parte degli enti fedele al progetto
originario, finiture ed eleganza della facciata principale, vano scala, alcuni
ambienti del primo piano. Per questi motivi merita il timbro di interesse
culturale. La Bonomi ricorda ai destinatari che qualsiasi intervento sul bene
dovrà ottenere l'autorizzazione della Sovrintendenza. A seguire il fascicolo
sarà l'architetto Francesco Krecic.Strada di forte passaggio veicolare, via
Ghega soffre di questa funzione viaria che non contribuisce a valorizzare le pur
interessanti presenze culturali: il palazzo Rittmeyer (conservatorio Tartini),
l'edificio neoclassico disegnato da Angelo Gorian dirimpetto a palazzo Degasperi,
un lato di palazzo Panfilli (ora sottoposto a terapia restaurativa) nella curva
che reca in piazza Libertà. Insomma, mangiando un gelato si può ripassare un po'
di storia patria. Lo stesso Degasperi, pur non appartenendo al gotha dei
colleghi contemporanei (Pietro Nobile, Matteo Pertsch, Antonio Mollari, Antonio
Buttazzoni), è un dignitoso e dinamico interprete di una fase espansiva che
caratterizza la città dei "borghi" teresiano, giuseppino, franceschino, dove
firma in quasi trent'anni 18 progetti. Forse il più noto, o comunque il più
visibile, è l'ex albergo Metternich, poi Nazionale, poi Hotel de la Ville, oggi
quartier generale di Fincantieri, tra Rive, via Genova e via Mazzini.Negli
ultimi anni le dichiarazioni di interesse culturale da parte della competente
Commissione regionale per il patrimonio Soprintendenza si sono fatte piuttosto
frequenti, avendo riguardato epoche costruttive diverse. A fianco del palazzo di
Giustizia il "quartiere Oberdan" anni Venti-Trenta del secolo scorso, via
Rossetti 8 agli albori del Novecento, via Piccardi 12 anch'esso in era liberty,
via Lazzaretto Vecchio 13 nell'ultima parte dell'800: ecco gli ultimi attestati
rilasciati da palazzo Economo. A volte c'è una griffe progettuale riconosciuta
(come quella di Eugenio Geiringer in via Rossetti e in via Lazzaretto Vecchio),
altre volte no: la qualità dell'immobile, i vantaggi fiscali soprattutto sulle
seconde case, la valorizzazione del bene sono in primo piano nel motivare la "dop"
culturale.
Magr
Il destino dell'area verde di via Tigor fa litigare Adesso Trieste e dem -
piano particolareggiato del centro
Oggi è l'ultimo giorno utile per presentare osservazioni al Piano
particolareggiato per il centro storico, approvato dal Consiglio comunale a
novembre. Adesso Trieste ne approfitta per esprimere solidarietà a un gruppo di
residenti - il Comitato per il giardino di via Cereria - e per andare
all'attacco al contempo di giunta e consiglieri di minoranza. Minoranza accusata
di non essersi sufficientemente opposta al progetto di un futuro parcheggio in
via Tigor. Ma il Pd non ci sta e controbatte. L'area in questione è quella
attorno al civico 6 di via Tigor, appunto, dove un tempo sorgevano le carceri
femminili: nel Piano si legge che, dal momento che quell'edificio in particolare
«si presenta in evidente stato di degrado», al suo posto «è ammessa la
realizzazione di un autosilo». Una scelta difesa in passato l'assessore
all'Urbanistica, Luisa Polli, sostenendo che i nuovi parcheggi saranno costruiti
«nel rispetto del verde e in sicurezza», allo scopo di dare «respiro al centro
storico, togliendo le macchine dei residenti dalle strade». Ieri gli attivisti
del movimento guidato da Riccardo Laterza hanno tuttavia diffuso una nota di
contrarietà: «Tra via Cereria e via Tigor, dietro alla Biblioteca civica, si
spalanca una vasta area di proprietà comunale. Adesso ci sono solo ruderi e
verde incolto, ma un tempo vi erano le carceri. Si tratta di un bene comune il
cui uso dovrebbe essere restituito alla collettività. Purtroppo invece qui si è
permessa l'edificazione di un parcheggio: lo stesso che una decina di anni fa
doveva cancellare l'area verde tra le stesse due vie. Il progetto fu fermato dai
residenti della zona». Su queste basi, oggi, At aderisce dunque alle
«osservazioni presentate dal Comitato per il giardino di via Cereria (la cui
telenovela continua dal 2005, ndr) e dal cittadino Paolo Radivo (contrari al
parcheggio, considerato troppo vicino alle scuole, tra le varie motivazioni,
ndr). Sconcertante che nessuno, tra chi siede all'opposizione, abbia mai pensato
di informare la popolazione né di opporsi a questo ennesimo atto di svilimento
urbano». Un'affermazione, quest'ultima, contestata appunto dal Pd. I dem
replicano attraverso Giovanni Barbo e Marco Rossetti Cosulich, consiglieri
rispettivamente comunale e circoscrizionale: «Negli anni abbiamo seguito con
attenzione gli spazi verdi. Nel Piano regolatore approvato (nel 2015, ndr) dal
centrosinistra avevamo recepito l'istanza che chiedeva che il giardino di via
Cereria fosse reso Verde pubblico. Quando poi a novembre dello scorso anno
abbiamo discusso il Piano particolareggiato del centro storico, il Partito
democratico ha votato contro, anche nella convinzione che la qualità della vita
in centro non possa dipendere da un aumento dei parcheggi. Siamo favorevoli a
mantenere un confronto con i residenti, sul futuro dell'ex carcere e sulle altre
questioni irrisolte della zona, come abbiamo continuato a fare anche dai banchi
dell'opposizione».
Lilli Goriup
Fi attacca sull'aumento della Tari «Gestione dei rifiuti fallimentare»
L'azzurro Mariucci: «Rincari diluiti in tre anni perché siamo vicini al
voto - Sul "porta a porta" la giunta ha dimostrato tutta la sua debolezza»
MUGGIA. «Nonostante tutte le promesse di un servizio migliore e di costi
della Tari che sarebbero diminuiti, assistiamo a un ulteriore aumento di un
servizio molto al di sotto delle aspettative». È il commento del consigliere
comunale di Forza Italia Andrea Mariucci a proposito dell'approvazione in
Consiglio comunale del Piano economico-finanziario (Pef) del servizio integrato
di gestione dei rifiuti del Comune di Muggia, validato dall'Agenzia regionale
sui sistemi idrici e sui rifiuti (Ausir) per il 2020, i cui costi saranno
recuperati con le Tari negli anni 2021, 2022 e 2023. «Tutto inizia - insiste
Mariucci - da una valutazione vincolante sulle scelte del Comune da parte dell'Ausir,
costituita in era Serracchiani, la quale ha imposto sul territorio un diverso
algoritmo di calcolo che penalizza i piccoli comuni, in barba alle economie di
scala». E questo, secondo Mariucci, «avviene mentre la giunta Marzi, per
ricordarci che siamo vicini alle elezioni, diluisce in tre anni questo aumento».
«Una scelta, quella dell'inhouse providing, che era stata condivisa in aula
diversi anni fa con ampio consenso politico: gli affidamenti interni però -
specifica il consigliere azzurro - possono essere una valida opzione solo se il
Comune mantiene il controllo della gestione e ottiene più servizi con minori
costi. Invece nella gestione del "porta a porta" in tutti questi anni questa
giunta ha dimostrato tutta la sua debolezza».Pronta la reazione dell'assessore
all'Ambiente Laura Litteri: «Il nuovo servizio di raccolta dei rifiuti ha
raggiunto un livello buono, soprattutto per l'impegno profuso dall'Ufficio
ambiente del Comune che collabora costantemente con la Net».L'assessore
chiarisce inoltre che l'aumento dei costi del Pef «è da imputare esclusivamente
al fatto che il piano non viene più redatto dal Comune ma dall'Ausir, come
peraltro si vede nella delibera che è stata approvata dall'Assemblea regionale
d'ambito, nella quale il Comune di Muggia non è presente, mentre, voglio
ricordarlo ai consiglieri di Fi, è presente il Comune di Trieste, nella persona
del sindaco Dipiazza, che tale delibera ha votato».
LU.PU.
Cio' che non va - Il bosco di Altura usato come una discarica e nessuno interviene.
Nel periodo Covid-19 capita di addentrarsi su sentieri che mai avevi preso e spesso anche quelli intorno al tuo isolato sono meta di scoperte incredibili. Il 4 gennaio, arrivato al "tornantone" di Altura (area giochi) mi addentro sul largo sentiero sterrato che porta nel bosco. Fatti circa 150/200 metri mi imbatto in 2 carcasse di cambiamonete delle slot machine a occhio, viste le condizioni, abbandonate da un bel po'. Ritengo un orrore vedere tali carcasse in un bosco ma ai ladri di sicuro poco importa: a me sì. Essendo "merce" riconducibile a un furto, è normale chiamare le forze dell'ordine. Dopo una carambola di numeri telefonici (non ha senso andare in Questura per una "sciocchezza" simile in tempo di virus) riesco a segnalare la presenza dei due orribili macchinari. Scatta il terzo grado, ci stà ma non ho nulla da nascondere. La mia unica preoccupazione è di fare sparire quanto prima le cambiamonete dal bosco di Altura, prima che scatti la "fase discarica" con altri abbandoni. Dopo 10 giorni sono tornato sul posto per verificare se nel frattempo erano state recuperate: purtroppo no. Capisco il Covid-19, l'immigrazione, la Sanità, il vaccino ma non può diventare un miracolo far portar via da un bosco (facile da raggiungere) vecchie cambiamonete.
Marcello Corso
Porto vecchio proibito per chi pesca - Si rischiano multe fino a tremila euro
Lo sviluppo dello scalo impone una revisione degli spazi. Ordinanza
restrittiva della Capitaneria in vigore dal 15 febbraio
Cambiano le regole per la pesca sportiva e ricreativa da terra nella zona
portuale di Trieste, che si estende da Porto vecchio a Porto San Rocco escluso.
Il 15 febbraio entrerà in vigore una nuova ordinanza della Capitaneria di porto
che andrà a revisionare il testo precedente del 2010, disciplinando le zone in
cui si potrà pescare appunto previa autorizzazione, visibili con l'apposita
segnaletica in italiano, inglese e sloveno, corredata da dei grafici. La Guardia
costiera ha ridimensionato gli spazi dedicati nella zona di Trieste a fronte di
un ampliamento sul versante di Muggia. Questo perché, visto il forte sviluppo
portuale di cui il capoluogo giuliano è protagonista in questi ultimi anni, è
necessario garantire una maggiore sicurezza della navigazione e delle attività
portuali e rispondere alle esigenze di "security" (il contrasto al terrorismo).
«Tale documento - sottolinea il tenente di vascello Alessandra Vaudo, a capo
della Sezione Pesca - non vuole andare contro il singolo pescatore: ci sono
tante attività marittime e vanno contemperate le rispettive esigenze».Tra le
novità principali, l'esclusione alla pesca dell'area di Porto vecchio. Come già
nella precedente normativa sarà vietato fruire dei moli. È stata anche ridotta
l'area lungo le Rive. Gli spazi consentiti (definiti in metri e individuabili
dalle bitte citate nell'ordinanza) sono i seguenti: il tratto tra Molo Audace e
Molo Bersaglieri, esclusa Scala reale, e quello adiacente alla radice del Molo
Pescheria. Più esteso invece il permesso per gli amatori che decideranno di
usare canna e lenza a Muggia. Qui è possibile stazionare sul lungomare Venezia e
tra il pontile a T e Punta Ronco, ma non nell'orario riservato alla balneazione
durante la stagione estiva. Da Punta Ronco verso la Slovenia non si rientra più
nell'ambito del Porto di Trieste e, pertanto, la pesca è libera senza
autorizzazione, così anche a Trieste lungo la costa dopo Porto Vecchio, quindi
da Barcola in poi, fino a Duino (esclusi i porticcioli). L'ordinanza disciplina
esclusivamente la pesca sportiva/ricreativa da terra all'interno dei porti di
competenza, quindi quella subacquea e quella da unità da diporto in tutte le
acque portuali rimangono vietate, senza possibilità di deroga. Chi non avesse
ancora il permesso, che dura un anno solare, lo può richiedere alla Sezione
Pesca della Capitaneria.«Il modulo è pubblicato sul nostro sito», spiega Vaudo:
«È possibile anticiparlo anche via mail, ma lo si deve poi venire a ritirare qui
con una marca da bollo da 32 euro». La validità delle autorizzazioni rilasciate
nell'anno 2020 è automaticamente prorogata sino alla data di entrata in vigore
del nuovo regolamento. Attenzione, però, perché chi non rispetterà le nuove
disposizioni incorrerà in sanzioni, che possono essere elevate dalla Guardia
costiera ma anche dalle altre forze dell'ordine. Due le tipologie di multe in
cui si rischierà d'incorrere in caso di violazione delle norme. Per la pesca
ricreativa in aree diverse da quelle individuate dall'ordinanza la sanzione va
da mille a tremila euro. È prevista anche la confisca di attrezzi e pescato. Chi
venisse trovato a pescare nelle aree consentite, ma senza l'autorizzazione,
dovrà pagare fino a 50 euro. Il contenuto dell'ordinanza è stato diffuso in
anticipo anche «per dare la possibilità agli utenti di conoscere le nuove
disposizioni, che sono più razionali», sottolinea il comandante della
Capitaneria, l'ammiraglio Vincenzo Vitale: «In questo periodo verrà anche
disposta la segnaletica che sarà trilingue, realizzata in collaborazione con
l'Autorità portuale».
Benedetta Moro
L'orso avvistato a Peteano e il precedente di Gabria «Segue la stessa pista»
Proprio a gennaio del 2020 un esemplare lungo il Vallone e la circostanza
convince il docente Filacorda, mentre Ambrosi parla di cinghiali
L'avvistamento di un orso avvenuto nei giorni scorsi da parte di un rider a
bordo del suo scooter ha inevitabilmente incuriosito e sorpreso, ma ha anche
sollevato i dubbi di molti, tra gli altri quello di Renzo Ambrosi, presidente
del distretto venatorio "Carso", ma dal mondo scientifico arrivano conferme
sulla possibile correttezza dell'avvistamento. Ambrosi, che a Peteano vive,
propende per la tesi del grosso cinghiale scambiato per un giovane esemplare di
plantigrado perché, osserva, «sul Carso goriziano e triestino ci sono almeno 400
fototrappole, ma l'orso è stato fotografato soltanto due volte nella zona di
Jamiano. Si tratta dell'unico riscontro fotografico. Se l'area fosse popolata da
orsi, ne avremmo molti di più». «Il dubbio è giusto porlo, ma è plausibile che
si sia trattato davvero di un orso», nota, dal canto suo, Stefano Filacorda,
ricercatore e coordinatore degli studi sulla fauna selvatica dell'Università di
Udine, ricordando che la presenza degli orsi sul Carso è un dato di fatto
documentato con elementi di tipo sia biologico, sia tecnico. «Premesso con un
bisticcio che le osservazioni dipendono dall'osservatore, non è che se l'orso
non viene fotografato non esiste», dice l'esperto, aggiungendo che un anno fa è
stato campionato materiale organico di un orso nella zona di San Michele.
«Dobbiamo abituarci all'idea che il Carso è frequentato da giovani esemplari
d'orso». Anche le telemetrie dei radiocollari indicano l'area come zona di
passaggio di questa specie di animali: è come se seguissero un percorso
predefinito e non ci sarebbe da stupirsi se l'esemplare avvistato a Peteano
fosse lo stesso avvistato in questi stessi giorni dello scorso gennaio a Gabria
mentre attraversava la Strada statale 55 "del Vallone" all'altezza dell'albergo
"da Tommaso". Era la notte tra sabato 18 e domenica 19. «La coincidenza
temporale è molto interessante - sottolinea Filacorda - e sarebbe altrettanto
interessante avere dei campioni genetici per confermare l'identità
dell'esemplare perché sappiamo che gli orsi hanno una fedeltà temporale. Si
muovono alla ricerca di cibo, sono molto affamati e scendono dal Carso. Il
dubbio che si sia trattato di un cinghiale, rimane; gli orsi, però, sul Carso ci
sono: sono rari e pochi, ma ci sono. Si muovono sempre lungo lo stesso percorso
e ragionevolmente è già rientrato nel suo territorio». Il Carso è un po' come il
casello di un'autostrada che arriva fino a Logatec. L'orso va e viene verso il
monte Nanos seguendo sostanzialmente sempre gli stessi passaggi. Secondo i
tracciamenti dei ricercatori si sposta lungo la valle del Vipacco e, passando
sotto l'autostrada, arriva fino al fondovalle dove alcuni esemplari rimangono
anche per mesi. Seguendo la dorsale del Carso sloveno rimanendo nei boschi, gli
orsi arrivano a Opacchiasella, scendono verso Rubbia e raggiungono Peteano dove
il rider lo ha avvistato. «A Peteano è almeno la quarta segnalazione in una
quindicina d'anni che registriamo. Ripeto: il dubbio può esserci, ma non possono
certo essere tutti ubriachi quelli che li vedono», conclude Filacorda
sdrammatizzando con una battuta.
S. B
Cinghiali in zona depuratore e i cervi tornano sul Carso
L'allarme del consigliere di Staranzano Bortolus: «A
Bistrigna meglio tenere i cani al guinzaglio o si rischiano spiacevoli
contatti». La Forestale sollecita a mantenere prudenza e distacco
In piena zona arancione, senza discernere confini tra comuni, loro
caracollano fendendo i campi agricoli dove altre bestiole, labrador, bassotti,
spinoni, chihuahua, li osservano: chi con piglio guardingo chi con latrato
aggressivo. Sicché il richiamo all'uso senza deroghe del guinzaglio diventa
d'obbligo, almeno per il consigliere di Staranzano Enrico Bortolus, che nel
week-end da ritorno agli spostamenti contingentati ha assistito (e fotografato)
situazioni di promiscuità tra cittadini e cinghiali, con tutti i pericoli
annessi. Cinghiali che, per inciso, hanno saputo mandare gambe all'aria perfino
il traffico sull'A4 sabato mattina, con chilometriche code al rientro sul
casello di Palmanova per l'interdizione del tratto tra Ronchi e la città
stellata, in direzione Udine. «Ma i cinghiali non hanno colpa - interviene in
difesa il consigliere leghista Bortolus - sono le persone che si spingono in
aree verdi, alla ricerca di spazi, senza pensare che non si tratta di parchi
urbani, bensì di zone agricole e boschive dove, proprio per il possibile
incontro con animali selvaggi, sarebbe bene mantenere il guinzaglio, a
comportarsi male». Raccomandazione, quella dell'utilizzo del laccio, peraltro
condivisa dalla Forestale, con il commissario Paolo Benedetti, esperto in
ungulati selvatici. «Le femmine di cinghiale, se in presenza di cuccioli,
possono diventare particolarmente apprensive e aggressive nel caso in cui
avvertano una minaccia», chiarisce. Il fenomeno si è reso evidente, secondo
quanto riferito dal consigliere staranzanese, nella zona campestre del
depuratore di Bistrigna, «un tratto intensamente frequentato da sportivi, amanti
della passeggiata e possessori di cani». «L'amico a quattro zampe, è il suo
istinto, sente l'odore del cinghiale e si tuffa nei cespugli - prosegue Bortolus
-, ma il cinghiale è un animale tarchiato, intelligentissimo che arriva a pesare
tranquillamente cento chili e può fare dei danni. Si trova nel suo habit e
giustamente cerca di preservarsi: è l'uomo, spesso, a sbagliare condotta». La
proliferazione del cinghiale è fatto ormai notorio, anche nella zona del
depuratore di Bistrigna, oltretutto attigua alla riserva naturale della Cona, e
viene monitorata dalla Guardia forestale. Meno la crescita di esemplari di
cervo, che per esempio sul Vallone si iniziano ad avvistare: l'elegante
mammifero dall'imponente palco (se maschio) è sempre più diffuso in Slovenia e
si fa vedere ormai anche dalle nostre parti. Qualche carcassa è stata recuperata
in sede incidentale, sicché la presenza di questo animale va tenuta in debita
considerazione nei tragitti notturni poiché in caso di collisione, per stazza e
dimensioni, il quadrupede può esser causa di sinistri gravi. La nutrita presenza
di cinghiali ha scalzato i caprioli e il cervo sta trovando un habitat
confacente pure sul Carso. «I comportamenti da osservare - conclude Benedetti
della Gf -, in presenza di suidi, è di non dare mai loro del cibo, non
disturbare né far scappare i cinghiali per evitare fuggano verso strade urbane,
con il rischio di incidenti e, se in presenza di animali d'affezione, mantenere
il guinzaglio: in particolare i cani di tagli piccola tendono ad abbaiare e il
messaggio di aggressività può essere mal interpretato».
Tiziana Carpinelli
IL PICCOLO - LUNEDI', 18 gennaio 2021
Il declino della residenza Engelmann e il restauro conservativo di villa Ada
L'edificio in stile neoclassico dalle pareti gialle ospita ora
appartamenti di prestigio mentre l'immobile donato alla città è in attesa di
rilancio
In molti lo confondono con villa Engelmann, ma in realtà l'edificio dagli
esterni color giallo, che si affaccia sul grande giardino comunale di 14mila
metri quadrati di via di Chiadino, si chiama villa Ada. Si tratta di un
prestigioso condominio privato in stile neoclassico che accoglie sei unità
immobiliari, frutto di un restauro conservativo ultimato ormai da più di cinque
anni. Quattro delle sei unità sono abitate da triestini ma anche da austriaci
mentre le restanti due sono attualmente in vendita. A testimoniarlo è l'agenzia
La Chiave Immobiliare, che si occupa dell'operazione. La stessa dimora è
circondata da un grande spazio verde, costantemente ripulito e curato dai
proprietari. «Architetto dell'iniziale progetto della villa, costruita nella
seconda metà dell'800, è stato il figlio dell'architetto Pertsch - specifica
Giulia Demarchi, inquilina di uno degli appartamenti -. L'immobile negli anni è
stato di proprietà di diverse famiglie che vi hanno apportato delle modifiche.
Fino all'ultimo restauro conservativo, realizzato seguendo con fedeltà il
carattere neoclassico della villa e facendo risaltare il pregio e i materiali
originali, dai marmi ai pavimenti. Questo, pur dandone una chiave moderna,
pratica e funzionale grazie anche a un ascensore interno e a delle terrazze a
vasca che si affacciano sul parco». Al contrario villa Engelmann, che è situata
all'interno del parco di via di Chiadino, è ridotta a rudere ed è di proprietà
del Comune. Resta bloccata da vincoli e da mancate manutenzioni che si
protraggono da decenni. Si presenta con le finestre cadute, il tetto collassato
e i muri sgretolati. Non ha aiutato lo stato di decadimento un incendio
scoppiato nel 2013. Il suo progetto, che comprende anche il parco, come si legge
sul sito del Comune, è del 1840 a opera di Francesco Ponti di Milano. La
costruzione fu completata nel 1843. L'immobile diventò nel 1888 proprietà di
Frida Engelmann e nel 1938 passò a Guglielmo Engelmann. Il figlio di Guglielmo,
Werner, donò il parco alla città. Il giardino è stato oggetto di
ristrutturazione nel 1980. Ideato ed eseguito con un alto contenuto progettuale,
ha vinto nel 1998 il premio Milflor come miglior realizzazione in ambito
pubblico di media-piccola grandezza.
b.m.
IL PICCOLO - DOMENICA, 17 gennaio 2021
Demolizioni a Servola e area a caldo in pezzi «Il simbolo dell'addio
alla vecchia Ferriera»
Le operazioni di dismissione dell'impianto fra cokeria e altoforno - Gli
ex operai: «Chiusa una storia di oltre 120 anni». «Ora una mostra»
C'era una volta la Ferriera di Servola. Quello che fino a ieri poteva
sembrare l'inizio di una storia di fantasia da oggi è una realtà che, dopo anni
di polemiche, ha iniziato a materializzarsi con l'abbattimento di parte
dell'impianto che si estende per 560.000 metri quadrati fra Servola e il mare.
Cokeria, impianto di agglomerazione, altoforni e macchina a colare sono stati
puntellati ed è iniziata la demolizione, con i pezzi che, uno dopo l'altro,
vengono accatastati sul terreno, reso nero da più di un secolo di lavorazione
della ghisa e del carbon coke. Centoventiquattro, per l'esattezza, sono gli anni
di vita dell'insediamento industriale sorto a fine '800 alle pendici del colle
di Servola, che ha scandito la vita di molte famiglie del rione e della città in
genere. Così, ad esempio, per la famiglia Bianchini: Osvaldo vi ha lavorato per
30 anni, che aggiunti ai 35 di suo papà fanno 65, ossia oltre metà della vita
dell'impianto. Una simbiosi. «La Ferriera fa parte della mia famiglia -
sottolinea Osvaldo Bianchini -, quando vi sono entrato ero giovanissimo. Una
volta finito l'Istituto Nautico e svolto il servizio militare mi stavo
accingendo a lavorare sulle navi. All'epoca però, parliamo dell'inizio degli
anni '60, ero fidanzato e volevo sposarmi. Mi dispiaceva partire e allora feci
domanda per entrare in Ferriera, su suggerimento di mio padre, e poco dopo mi
assunsero. Vi sono entrato nel 1961 per poi andare in pensione nel 1989».
Osvaldo la chiama "la Fabbrica" quasi a voler dare un nome e un cognome a
qualcuno che l'ha accompagnato per quasi tutta la vita. Ancora oggi frequenta il
Circolo per giocare a carte con i vecchi colleghi. «Questa era una fabbrica che
inquinava - prosegue - ma negli ultimi anni l'inquinamento era diminuito di
almeno 10 volte. Secondo me l'abbattimento dell'area a caldo è una catastrofe.
Qui si tratta della fine di tutta la Ferriera perché chiudere l'area a caldo
significa fermare il motore dell'impianto. La politica alla lunga ha assecondato
gli ambientalisti sulla pelle degli operai e così adesso 600 persone più quelle
che lavoravano nell'indotto sono rimaste con un futuro tutto da scrivere. Io per
fortuna sono in pensione ma c'è un'intera generazione costretta alla cassa
integrazione». La sensazione di incertezza parte da Servola e abbraccia l'intera
città. «Trieste ormai è rimasta senza un'industria - conclude l'ex operaio
Bianchini -, tutte le speranze per la ripresa economica sono delegate al porto,
ma basterà per rimettere in circolazione tutte le persone che lavoravano
qui?».Roberto Decarli ha lavorato nello stabilimento servolano per 32 anni,
lasciandovi anch'egli un pezzo di cuore e di impegno sindacale. «Sono finito qui
dentro subito dopo aver svolto il servizio di leva - spiega -. Grazie alla
Ferriera ho potuto sposarmi e mettere su famiglia. Tutta la mia vita si è svolta
dentro e attorno allo stabilimento. Qui sono nate amicizie, momenti di
solidarietà, altri di difficoltà, la nascita di una coscienza sindacale che ha
attraversato periodi anche tesi». La speranza di Decarli è quella che il
patrimonio storico e industriale ora non vada perduto. «La nostra intenzione -
racconta - è quella di creare un museo documentale per valorizzare ciò che resta
dell'impianto. Sarebbe bello creare una mostra dove poter riprodurre oltre 120
anni di vita della fabbrica. Ne abbiamo già parlato con il Comune - anticipa -,
ora non resta che coinvolgere anche Arvedi, la Regione e lo stesso Ministero del
lavoro».
Lorenzo Degrassi
Ok a pesca artigianale e attività scientifiche nel mare delle Falesie
Da inizio marzo al 5 giugno nuove regole in vigore nell'area - Ammesse le
imbarcazioni sotto i 10 metri di lunghezza
DUINO AURISINA. Valorizzare le Falesie di Duino, per farne uno dei
principali elementi di richiamo turistico del territorio. È questo l'obiettivo
che si è posto il Comune di Duino Aurisina, con l'approvazione in giunta di una
nuova ordinanza che, di fatto, apre lo specchio di mare situato sotto le
splendide rocce duinesi all'attività di piccola pesca artigianale e a quella con
finalità scientifiche, oltre che alla pesca ricreativa di cefalopodi, categoria
che comprende seppie, calamari e polpi. Nel testo del documento firmato dal
sindaco Daniela Pallotta, si legge infatti che dette attività saranno
autorizzate «nella zona marina denominata B nelle cartografie ufficiali, dal 1.o
marzo al 5 giugno di ogni anno per i prossimi 5 anni». Si tratta, in sostanza,
di quella fascia di mare che corre sotto il sentiero Rilke, nel tratto fra
Sistiana e il castello dei principi di Torre e Tasso, compresa all'interno della
Riserva naturale delle Falesie, un'area protetta, istituita nel 1996 e passata
alla diretta gestione dell'amministrazione comunale di Duino Aurisina nel
novembre del 2019, in virtù dell'approvazione, da parte della giunta regionale,
del nuovo Regolamento in materia. La zona B comprende gran parte dei 63 ettari
che formano la parte a mare della Riserva, in pratica si esclude solo la fascia
più vicina alla costa. Grazie al provvedimento approvato dall'esecutivo guidato
da Pallotta, vi potranno entrare, ed è questo l'unico limite posto nel testo, i
natanti di lunghezza non superiore a 10 metri. Una dimensione che di fatto
permetterà l'ingresso a un considerevole numero di imbarcazioni. Per quanto
riguarda la regolamentazione di dettaglio, per attività di piccola pesca
artigianale si intende quella che prevede l'utilizzo della «rete a tramaglio,
avente la maglia del pannello interno della rete non inferiore a 30 millimetri
di lato». Il titolare di ogni natante dovrà annotare, con cadenza quotidiana, su
un apposito registro, le date e la quantità del pescato. Per chi vorrà praticare
la pesca ricreativa dei cefalopodi si potranno utilizzare esclusivamente le
lenze a mano e le canne da pesca. Anche in questo caso sarà necessario compilare
il registro quotidiano. Rimane tassativamente vietata la pesca con fucile
subacqueo. Gli strumenti per l'attività scientifica dovranno invece essere
«adeguatamente segnalati». In ogni caso, i natanti che accederanno alla zona B
non potranno superare la velocità di 5 nodi. «Questa ordinanza - ha spiegato
l'assessore comunale di Duino Aurisina per le Politiche per il mare e il
Turismo, Massimo Romita - rientra nel più generale rilancio delle Falesie come
elemento che caratterizza il nostro territorio e che intendiamo mettere a frutto
per aumentare il potenziale turistico dell'area che rientra nella nostra
giurisdizione. A questo proposito - ha aggiunto - abbiamo anche avviato un nuovo
rapporto di collaborazione con la Baia Holiday, società che ha notevoli
interessi in loco, in particolare con il campeggio Mare pineta di Sistiana e
che, grazie al proprio potenziale di promozione turistica a livello
internazionale, potrà fungere da traino per l'intera area».
Ugo Salvini
Vantaggioso introdurre i filobus nel trasporto urbano di Trieste - La lettera del giorno di Nevio Poclen
Nel corso della trasmissione televisiva di una emittente locale, l'ospite in studio prospetta la possibilità di realizzare ex novo una linea di trasporto pubblico su rotaia che da Barcola, attraversando la città, giunga fino in centro città, e a borgo San Sergio. Tutto ciò nell'ottica di una riduzione del traffico privato e, di conseguenza, di una riduzione delle emissioni nocive. Tuttavia il primo problema che si pone è proprio ciò che riguarda l'armamento, il cantiere e i relativi costi. Il costo per la realizzazione di un percorso su rotaia si aggira attorno ai 9 milioni di euro a chilometro. Questa soluzione presenta subito un aspetto negativo, però. Il cantiere per la realizzazione della linea ferrata impegnerebbe, con tutti i relativi disagi, un asse viario importante che attraversa la città per un lungo periodo. Essendo un tragitto obbligato da rotaie, motrice e carrozze, in caso di estrema necessita ovviamente non possono deviare dal loro percorso. Inoltre, il trasporto su rotaia dal punto di vista della rumorosità può costituire un problema serio. Viceversa valuterei attentamente (con il medesimo criterio) l'opzione, quale alternativa, del trasporto mediante filobus. Questa soluzione presenta due vantaggi immediati. Il primo, di natura economica, dal momento che l'armamento per una linea filobus viene a costare 4 milioni di euro al chilometro. Quindi la metà. Il secondo vantaggio è rappresentato dal fatto che i mezzi su ruota attuali, oltre a non essere obbligati dal percorso su rotaia, possono avere una doppia alimentazione e, in caso di estrema necessità, scollegandosi dalla linea aerea, possono muoversi come una vettura ibrida essendo dotati di un sistema di alimentazione autonoma che consente una certa autonomia su brevi tragitti. Senza poi contare l'estrema silenziosità dei mezzi. Quindi, in ultima analisi, al pari del trasporto su rotaia, il filobus è un mezzo di trasporto versatile, non inquina e la relativa costruzione costa molto meno.
Giovani - Al via i progetti di servizio civile
Sono diventati oltre 55mila i posti disponibili per i giovani tra i 18 e i 28 anni che vogliono diventare operatori volontari di servizio civile. Arci Servizio Civile è la più grande associazione di scopo italiana dedicata esclusivamente al servizio civile. Sul sito www.arciserviziocivilefvg.org sono illustrati tutti i progetti di Arci Servizio Civile che daranno l'opportunità ai giovani di fare questa esperienza nella nostra regione. Alla selezione possono partecipare ragazze e ragazzi tra i 18 e i 28 anni (non superati) interessati a un'esperienza di cittadinanza attiva in settori come promozione della coesione sociale, prevenzione e lotta all'esclusione sociale, cooperazione allo sviluppo e per la pace, difesa ecologica, tutela e promozione di un ambiente sostenibile, promozione della pratica sportiva e motoria, educazione e promozione culturale. Gli aspiranti operatori volontari devono presentare la domanda attraverso la piattaforma Domanda on Line (Dol) raggiungibile tramite pc, tablet e smartphone all'indirizzo https://domandaonline.serviziocivile.it. Il termine di scadenza per la presentazione delle domande è lunedì 15 febbraio 2021. Il servizio civile universale dura 12 mesi per un impegno di 1.145 ore articolato su base settimanale (25 ore) ed è previsto un riconoscimento economico mensile di 439.50 euro.
IL PICCOLO - SABATO, 16 gennaio 2021
POLA - Capannoni ex Scoglio Olivi, si punta al gas
La Rektor Lng compra all'asta per oltre 9 milioni le strutture del
cantiere navale: in vista la costruzione di serbatoi criogenici
A Dignano i capannoni dell'ex cantiere navale Scoglio Olivi, cuore
dell'ormai defunto Gruppo Uljanik finito in fallimento e poi messo in
liquidazione, stanno per essere acquisiti dalla società Rektor Lng che se ne è
aggiudicata la vendita all'asta bandita dal Tribunale amministrativo di Pisino.
Quella di Rektor Lng è risultata l'unica offerta e ora l'acquisizione può
ritenersi definitiva. Nel poco probabile caso di una retromarcia, la società
perderebbe la cauzione di 1,85 milioni di euro: è questione di giorni il
versamento dei restanti 7,43 milioni. La Rektor Lng intenderebbe avviare nei
capannoni la costruzione di serbatoi criogenici Lng, come suggerito dalla
recente integrazione delle sue attività sul registro delle società commerciali:
vi sono state aggiunte infatti proprio quelle legate al business del gas. E una
di queste è la costruzione dei serbatoi criogenici, che secondo gli esperti
rappresentano il metodo migliore per il trasporto e l'immagazzinamento del Gnl.
In questo scenario viene data per scontata la collaborazione con il
rigassificatore galleggiante di fronte a Castelmuschio sull'isola di Veglia,
entrato in funzione all'inizio dell'anno.Come risulta dall'apposito registro, la
Rektor Lng è stata fondata da Josip Peranic di Crikvenica e da Marino Linardon,
ex dipendente del cantiere di Pola che dieci anni fa ha lasciato lo Scoglio
Olivi per entrare nel mondo del business privato, fra cui appunto quello del
gas. Quanto all'acquisto dell'ex reparto del cantiere di Dignano, esso fu aperto
nel 1981 principalmente quale sede di costruzione di container; in seguito si
specializzò nella costruzione di sezioni metalliche di navi di ogni tipo. Queste
sezioni poi venivano trasportate a Pola (per lo più di notte, per non
intralciare il traffico), con camion speciali e scortati. Ma non solo solo i
capannoni di Dignano a cambiare proprietà. Sono numerosi altri i beni che il
Tribunale commerciale di Pisino venderà all'asta per far fronte - almeno in
parte - agli obblighi dell'ex Gruppo Uljanik nei confronti dei creditori. Non si
toccano però le gru, i macchinari, i veicoli e le attrezzature entrate a far
parte del capitale sociale della nuova società Uljanik Brodogradnja 1856,
tramite la quale il governo di Zagabria tenta di rimettere in modo la
cantieristica navale a Pola. In vendita verrà messa innanzitutto la nave in
costruzione per il trasporto di animali commissionata a suo tempo da un armatore
kuwaitiano, che dopo il crac del Gruppo Uljanik ha attivato le garanzie
bancarie. Il valore dell'unità non ultimata è viene stimato sui 17 milioni di
euro, ma il prezzo di base d'asta sarà di 4,3. Lo stesso armatore sarebbe
interessato ad acquistarla, ma servono altri 50 milioni per completarla. E
proprio questa unità viene considerata come possibile punto di ripartenza del
cantiere di Pola.Tra gli altri beni in vendita figura poi la Costruzione 514,
ossia l'unità per il trasporto di automobili in fase di completamento al
cantiere 3 Maggio di Fiume, che però rientra nella massa attiva del fallimento
della società Uljanik spa, "figlia" dell'ex Gruppo Uljanik. Al cantiere di Pola
poi ci sono sezioni di nave, lamiere e altri semilavorati in attesa di tempi
migliori per evitare di finire fra i ferrivecchi.
Valmer Cusma
IL PICCOLO - VENERDI', 15 gennaio 2021
Operai della Ferriera in piazza "Certezze sugli investimenti" - il presidio organizzato dai sindacati
Chiesto anche il rispetto, da parte di Arvedi, degli impegni presi con i lavoratori in cassa integrazione. Martedi' vertice al ministero dello Sviluppo economico.
Chiedono chiarezza sui tempi degli investimenti che il gruppo Arvedi deve fare nello stabilimento della Ferriera e soprattutto il mantenimento degli impegni sul futuro dei lavoratori oggi in cassa integrazione. Ieri piazza Unità ha ospitato il presidio degli operai dello stabilimento di Servola. I rappresentanti di Fim Cisl, Uilm, Failms, Usb e Fiom Cgil hanno incontrato il prefetto Valerio Valenti, in attesa della riunione con la proprietà di martedì prossimo al ministero dello Sviluppo economico - crisi di governo permettendo -. Valenti ha assunto l'impegno di aprire un tavolo permanente per seguire l'evoluzione dell'accordo di programma sottoscritto lo scorso giugno. «Dopo sei mesi vediamo andare spedite solo le demolizioni - ha evidenziato Antonio Rodà della Uilm -, ma non gli interventi che dovranno garantire il rientro dei lavoratori. Sicuramente l'incontro di martedì al Mise, chiesto a inizio novembre, sarà importante per verificare gli investimenti e i tempi di realizzazione degli stessi visto che in questo periodo abbiamo sentito solo silenzio». Marco Relli della Fiom Cgil, unico sindacato a non aver sottoscritto l'accordo di programma, ha sottolineato che «il tavolo permanente può essere fatto al ministero o in prefettura, fondamentale è la presenza del sindacato». Attualmente, secondo fonti sindacali, ci sono ancora poco più di 250 operai in cassa integrazione, 150 persone (contando contratti a tempo determinato e interinali) hanno accettato incentivi e pensionamenti e 120 operai stanno lavorando nel laminatoio. A febbraio si valuteranno nuovi pensionamenti. «Non abbiamo visto passi avanti nella creazione degli stabilimenti di zincatura e verniciatura, il vero core business di Arvedi - ha sottolineato Umberto Salvaneschi della Fim Cisl -. Ora non possono esserci rallentamenti: l'accordo per la cassa integrazione prevede al massimo due anni, il terzo è solo un'ipotesi remota, e sono già passati sei mesi. Il prefetto in questo momento è l'unico attore presente, mentre da tutte le parti politiche abbiamo sentito solo promesse elettorali». Un attacco ripreso da Sasha Colautti della Usb: «Non è tollerabile il silenzio istituzionale, un fatto che riteniamo gravissimo». Infine Cristian Prella della Failms ha evidenziato la necessità di «non abbassare la guardia: la città non si deve dimenticare di noi». A chiedere risposte è anche il Pd con Roberto Decarli: «La cassa non è un anestetico con cui tener buoni i lavoratori dopo le promesse fatte in questi anni».
Andrea Pierini
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 13 gennaio 2021
«Il Comune non cede azioni Hera» - L'impegno di Dipiazza per il 2021
Trieste ha una dotazione complessiva pari a 170 milioni di euro: 140
intoccabili, 30 sono trasferibili
Il Comune di Trieste non venderà azioni Hera con riferimento al prossimo
bilancio 2021: lo ha precisato ieri mattina il sindaco Roberto Dipiazza. Per una
semplice ragione: perché la struttura finanziaria dell'amministrazione è
sufficientemente robusta per non dover intaccare quanto resta del "tesoretto"
azionario. Incalza il "vicario" leghista Paolo Polidori: mettere azioni sul
mercato non ha senso dal momento che è assai più conveniente, agli attuali tassi
bancari, accendere debiti. Premessa: Hera è la seconda multiutility nazionale
(acqua, gas, ambiente, elettricità) e dall'estate 2012 (o dal gennaio 2013, a
seconda) controlla AcegasApsAmga, società del Nordest che raccoglie i territori
di Trieste, Padova, Udine. Trieste detiene un posto nel consiglio di
amministrazione. Il primo cittadino è stato contattato in vista della riunione
della III commissione consiliare, che domani giovedì 14 alle ore 9, sotto la
presidenza di Massimo Codarin, discuterà sul sindacato di voto e sui
trasferimenti azionari Hera nel quadriennio 2021-24. Le cifre: il socio Comune
di Trieste ha nel suo portafoglio 55.569.983 titoli pari a un controvalore di
circa 170 milioni di euro, considerando che ieri Hera ha chiuso in Piazza Affari
a 3,07 euro. Questa partecipazione rappresenta il 3,73% del capitale Hera e si
distingue in due tipologie di azioni, le "bloccate" e le "trasferibili". Le
"bloccate", cioè non vendibili, sono 46.305.038 per un controvalore di circa 140
milioni di euro, mentre quelle vendibili sono 9.264.945 per un controvalore di
circa 30 milioni di euro. Prima Cosolini poi Dipiazza, hanno ceduto in complesso
circa 18 milioni di azioni, più o meno i due terzi del "tesoretto" vendibile:
poiché negli anni il valore del titolo è cambiato, è difficile computare con
precisione la traduzione monetaria, a livello del tutto indicativo possiamo
parlare di 40-45 milioni di euro introitati e reinvestiti nelle opere pubbliche.
Il robusto ricorso alle vendite ha significativamente ridotto la quota del
Comune nel capitale Hera, quota che dal 5% è scesa - come abbiamo visto - al
3,7%. Ciononostante, Trieste mantiene la dotazione azionaria più consistente
rispetto ai 46,1 milioni padovani e ai 44,1 milioni udinesi. Da notare che
Padova non ha più titoli vendibili, mentre Udine ha una riserva commerciabile di
15,4 milioni di azioni. Di cosa deve dibattere la III commissione, in
preparazione dell'appuntamento con l'aula? Valuterà l'adesione al cosiddetto
patto sindacale stretto tra ben 111 azionisti pubblici, che garantisce il
controllo di Hera con una quota del 38,42%. La massima parte delle
amministrazioni socie sono emiliane e romagnole (Bologna, Modena, Ferrara,
Forlì, Cesena, Ravenna, Rimini). Si tratta di un accordo parasociale che viene
rinnovato ogni quadriennio, quello oggi in vigore è stato sottoscritto nel 2018
e scadrà il 30 giugno, quindi deve essere ritessuto. Anche se non vengono
segnalate novità di rilievo nel "contratto di sindacato di voto". Uno dei punti
di maggiore rilievo riguarda il collocamento delle azioni non soggette al
"blocco", operazione che va calibrata e governata per evitare negative
ripercussioni sul mercato. L'eventuale dismissione - spiega la delibera che sarà
firmata dallo stesso primo cittadino - sarà supportata da un consulente
finanziario, che fornirà un contributo di natura consulenziale volto a
confermare la congruità del prezzo di cessione ai soci pubblici venditori. La
vendita sarà coordinata in sede di "comitato di sindacato" (di cui farà parte
anche Trieste). Potrà essere richiesta la sottoscrizione di impegni di
inalienabilità delle residue azioni «alfine di garantire adeguata stabilità al
titolo».
Massimo Greco
IL PICCOLO - MARTEDI', 12 gennaio 2021
Rebus investimenti e "cassa" - Operai di Servola in presidio - le incertezze
sulla riconversione della ferriera
I lavoratori della Ferriera tornano a mobilitarsi. I sindacati protestano
perché non ricevono da mesi informazioni sul percorso di riqualificazione
dell'area a caldo e sul futuro che attende i dipendenti attualmente in cassa
integrazione. Giovedì mattina si terrà allora un presidio in piazza Unità per
chiedere al prefetto Valerio Valenti di assumere ancora una volta il ruolo di
mediatore fra istituzioni e imprese private, affinché sia fatta chiarezza sugli
investimenti destinati agli impianti che dovranno assorbire la manodopera non
più impiegata fra altoforno, cokeria, agglomerato e macchina a colare. La
mobilitazione sarà unitaria. I sindacati favorevoli alla riconversione (Fim
Cisl, Uilm, Failms e Usb) e l'unica sigla contraria (Fiom Cgil) hanno ripreso a
dialogare dopo mesi di rapporti difficili, seguiti al referendum tra i
lavoratori, che col 59% dei voti si sono espressi per la chiusura dell'area a
caldo, in cambio di certezza di reimpiego fra laminatoio, centrale elettrica e
attività logistiche. I sindacati animeranno dunque insieme il presidio, la cui
protesta andrà soprattutto all'indirizzo del ministro Stefano Patuanelli. In una
lettera congiunta al prefetto, le segreterie territoriali spiegano di aver
inviato il 18 novembre a Patuanelli una richiesta di convocazione del tavolo di
monitoraggio previsto dall'Accordo di programma, ma di non aver mai ricevuto
risposta. «L'obiettivo - scrivono - era fare il punto sull'attuazione dell'Adp e
sul piano industriale del gruppo Arvedi per i prossimi mesi. Purtroppo non
abbiamo avuto risposta. Consideriamo l'assenza di interlocuzione come un fatto
negativo in particolar modo se riferito a un processo industriale molto
articolato come quello della Ferriera. In tal senso, era stato lo stesso
ministro a fornire ampie rassicurazioni su una disponibilità al confronto
costante». La missiva continua sottolineando che «i mesi stanno passando
velocemente e, mentre le demolizioni procedono celermente, non possiamo dire la
stessa cosa sugli investimenti nei reparti che dovranno assorbire i lavoratori,
oggi collocati in Cigs. Tutto ciò accresce la preoccupazione tra i lavoratori».
d.d.a.
Pulizia dei sentieri: al via l'iter per chiedere i fondi alla Regione - dopo
il passaggio dei migranti
MUGGIA. Anche il Comune Muggia, come già fatto da quello di San Dorligo
della Valle, attingerà dal fondo di 150 mila euro messo a disposizione dalla
legge di stabilità 2021 della Regione Friuli Venezia Giulia, che prevede un
contributo straordinario per interventi di cura e pulizia dei territori
interessati dal passaggio dei migranti della rotta balcanica. Oltre a quelli di
Muggia e San Dorligo sono destinatari del fondo i comuni di Monrupino, Sgonico e
Trieste. Si tratta per l'appunto di un contributo straordinario a sostegno delle
spese organizzative, di personale e materiali per la pulizia dei propri
territori interessati dal passaggio dei migranti, che spesso abbandonano
soprattutto vestiti, con l'obiettivo generale della salvaguardia degli habitat e
del contenimento e del contrasto della diffusione del Covid-19. Ora il Comune di
Muggia, come fatto come si è detto da quello di San Dorligo, che ha già ottenuto
25 mila euro, sta preparando la domanda, da prsentare entro 90 giorni dalla data
di entrata in vigore della Finanziaria regionale, ossia entro il 6 aprile. Nella
domanda occorrerà riportare una descrizione illustrativa del progetto e il
preventivo di spesa. «Oggi (ieri, ndr) - spiega il sindaco di Muggia Laura Marzi
- abbiamo fatto un incontro con l'assessore regionale ad Autonomie locali e
Sicurezza Pierpaolo Roberti e con i tecnici della Regione preposti a questo tema
e abbiamo concordato che entro aprile, dunque, invieremo alla Regione le nostre
richieste».La genesi di questo intervento, evidenzia Marzi, «nasce da una
precisa richiesta avanzata dal Comune di San Dorligo della Valle, che è il
comune più colpito dal passaggio delle rotte migratorie. Gli altri comuni hanno
solo parti limitate del loro territorio interessate da questi passaggi. Noi
abbiamo soprattutto la porzione che confina proprio con San Dorligo, parte delle
sponde del Rio Ospo e una quota del territorio che confina con la Slovenia, come
la zona della ciclabile Parenzana». Va chiarito che il fondo non eroga
automaticamente 25 mila a comune: «Noi - così Marzi - dobbiamo presentare un
preventivo di spesa concordato con chi ci farà il servizio».
lu.pu.
Lo stallo assurdo sulla piscina terapeutica di Campo Marzio - la lettera del
giorno di Tiziana Cimolino (Medici per l'ambiente)
Il nuovo anno è iniziato e ancora niente si muove. Per la piscina
terapeutica di Campo Marzio il dissequestro è saltato ad aprile e ancora non è
stata fatta luce sulle cause del crollo. Il ponte Morandi è stato costruito in
due anni e noi siamo ancora qui dopo un anno e mezzo per un tetto crollato. Le
amministrazioni da tempo ci dicono che la priorità è la salute, ma la mancanza
della piscina terapeutica non è forse un fattore che ne determina la perdita? I
triestini hanno bisogno di avere al più presto una nuova piscina terapeutica e
soprattutto potremmo cogliere l'occasione per farla meglio di prima. Le
associazioni si sono organizzate in banchetti e hanno raccolto 6.000 firme con
la mia. Hanno ascoltato politici che hanno proposto soluzioni e proposte, ma
siamo ancora fermi. Bisogna dare alla città con urgenza una piscina adeguata in
cui siano presenti supporti, scale e rampe adeguate, ausili che determineranno
la garanzia di una corretta e totale fruizione degli spazi e dell'accesso allo
spazio acqua da parte di persone con ridotte capacità motorie e non. Si potrebbe
inoltre per innovare l'impianto di trattamento delle acque usare quello ad
ozono, che non presenta i disagi causati dal cloro e garantisce nel contempo una
disinfezione dagli standard molto più elevati, migliorare l'accessibilità che
presentava in Acquamarina problemi per certe disabilità. Molte persone hanno
dovuto rinunciare ai loro trattamenti terapeutici in acqua e sappiamo bene che
nelle persone diversamente abili se non porti avanti un trattamento
riabilitativo di recupero funzionale continuativamente le complicanze della
patologia arrivano presto. Quindi abbiamo disabili più disabili, un tetto a
terra e nessuno che si muove.
IL PICCOLO - LUNEDI', 11 gennaio 2021
Piano alienazioni: il polo Greensisam in Porto vecchio messo sul mercato
Il Comune riduce a 7,4 milioni il valore dei cinque magazzini -
Nell'elenco anche l'ex centro civico di via Gatteri-via Giotto
La novità di maggiore rilevanza sembra essere l'inserimento del "villaggio
Greensisam" all'inizio di Porto vecchio nell'elenco degli immobili da vendere:
il Comune fa il periodico punto sui beni alienabili, documento che sarà
presentato stamane alle 11.15 nell'insolito contesto di piazza della Borsa al
cospetto di un pensoso Gabriele D'Annunzio, assiso in lettura. Ma soprattutto
Lorenzo Giorgi, assessore all'Immobiliare, spiegherà il cambio di marcia che la
civica amministrazione intende conferire nel confronto con il mercato: basta con
inutili aste a quotazioni inusitate che vanno puntualmente deserte, avanti con
modalità alternative come le concessioni, gli affitti a lungo termine, il
cosiddetto "rent to buy".Quest'ultimo istituto, introdotto nel nostro
ordinamento con il decreto "sblocca Italia" di renziana memoria, prevede che il
proprietario consegni fin da subito l'immobile al conduttore-futuro acquirente,
il quale paga il canone. Dopo un certo periodo di tempo il conduttore può
decidere se acquistare - senza obbligo però - il bene, detraendo dal prezzo una
parte delle locazioni pagate.È il ragionamento che Giorgi ha già anticipato su
palazzo Carciotti, una sorta di
bella-di-Torriglia-che-tutti-vogliono-ma-nessuno-piglia (detto genovese),
esempio di un approccio troppo abitudinario e burocratico che alla fine ha
portato a vendere pochissima merce. L'Immobiliare, diretta da Luigi Leonardi, ha
tentato di vivacizzare la solita lista di mezze "ciofeche" estraendo dalla
panchina qualche rinforzo come l'ex scuola di via Combi (stima di 3,4 milioni ma
calerà) e l'edificio di via Gatteri angolo via Giotto (1,3 milioni) antica sede
di centro civico. Si è finalmente abbassata a 2,6 milioni la richiesta per l'ex
mensa dei Cantieri riuniti tra via Locchi e Passeggio Sant'Andrea: sarà stata
pure firmata da Marcello D'Olivo, ma pretendere 5,7 milioni per un covo di
roditori era un'autentica astruseria. Più ragionevole, per quanto ancora alta,
la quotazione di 1,9 milioni per Villa Cosulich in strada del Friuli.Sempre a
proposito di stime riviste, emblematico il caso di "villaggio Greensisam"
accennato all'inizio. La vecchia valutazione dei cinque magazzini, che
l'Autorità portuale diede in concessione a Pierluigi Maneschi oltre tre lustri
addietro, ammontava a circa 16 milioni di euro e il canone pari a 513.000 euro
annui, pagato prima all'Autorità portuale poi al Comune, era calibrato non solo
e non tanto sulla qualità degli stabili (non certo in gran forma), quanto sulla
prospettiva di utilizzo dell'area, che pareva avviata a grandi progetti (a
cominciare dalla sede europea dell'armatore taiwanese Evergreen) rimasti però
allo stadio onirico. L'antico valore di 16 milioni, che fino a un po' di tempo
fa avrebbe dovuto rappresentare la base d'asta, si riduce drasticamente nella
nuova edizione Giorgi-Leonardi a 7,4 milioni, destinati a un'ulteriore probabile
contrazione quando giungerà il verdetto di Stefano Stanghellini, l'esperto di
estimo incaricato di formulare il nuovo prezzo. Adesso la situazione è la
seguente: i magazzini 1-3, che sono sul mare e che resteranno ad Antonio
Maneschi, sono valutati 2,4 milioni; i magazzini 2-4, che dovrebbero passare
alla Regione Fvg, sono quotati 4,7 milioni; il magazzino 2A, che sembrava
avviato a fungere da parking per Ttp, vale 320.000 euro. Sembrano prezzi
accessibili, ma l'entità dei lavori, che attende i futuri gestori-proprietari,
allontana l'idea di un facile business.
Massimo Greco
Controllo di qualità sul progetto di Vazquez Consuegra al "26"
Il futuro Museo del mare: gli interessati all'appalto per la validazione
devono farsi avanti entro il 26 gennaio. Al vincitore 241 mila euro
C'è un termine che il Comune non può assolutamente permettersi di snobbare:
il 31 dicembre dell'anno appena iniziato. Entro San Silvestro la stazione
appaltante municipale dovrà aver messo in gara i lavori per trasformare il
Magazzino 26 in Museo del mare. Il cronoprogramma comincia a farsi impietoso,
perché il confronto con la Soprintendenza sul progetto dell'architetto
sivigliano Guillermo Vazquez Consuegra ha portato via più tempo del previsto. Il
"definitivo" è stato alfine presentato lo scorso 14 dicembre e prospetta un
importo di poco inferiore a 20 milioni (sui 33 complessivamente disponibili per
l'opera).Il "rup", il dirigente comunale Lucia Iammarino, ha chiesto con urgenza
al collega Riccardo Vatta di bandire la gara per individuare il soggetto
"validatore" del progetto, per il quale la norma indica particolari requisiti in
tema di controllo-qualità. Le aziende, interessate a verificare il lavoro dei
progettisti, sono invitate a mandare le offerte entro le ore 12.30 di martedì 26
gennaio, offerte che saranno aperte il giorno dopo alle 9. Il vincitore avrà a
disposizione 241.244 euro, compresi Iva e oneri previdenziali (al netto
190.000).Si tratta di un passaggio che di recente ha interessato anche la
realizzazione del Centro congressi, sempre in Porto vecchio: in quell'occasione
della "validazione" si occupò Bureau Veritas. I candidati debbono aver fatturato
380.000 euro per tre esercizi nell'ultimo decennio. La squadra, pilotata da
Vazquez Consuegra, aveva vinto la gara nell'estate 2019 con un'offerta pari a
1,6 milioni di euro in base al miglior rapporto qualità-prezzo rispetto alle
proposte degli altri 15 concorrenti, tutti di livello internazionale. Della
cordata fanno parte, oltre al professionista andaluso, la modenese Politecnica,
la fiorentina Consilium, la pordenonese Cooprogetti, il romano Filippo
Lambertucci, la trevigiana Monica Endrizi, gli studi triestini Sgm, Mads,
Re.Te.In un primo tempo Vazquez Consuegra aveva pensato di inserire una torretta
di vetro sopra il Magazzino 26, ma l'idea è stata bloccata dalla Soprintendenza.
Magr
IL PICCOLO - DOMENICA, 10 gennaio 2021
L'Italia acquista ancora acqua oltreconfine - 400 mila euro l'anno alla
Slovenia dal 1947
È previsto dal Trattato di Parigi per Fontefredda finito alla Jugoslavia.
Ma ora ci sono i pozzi di Mochetta e risalita al Castello
"Contributo statale per il rifornimento idrico della città di Gorizia.
Accertamento e impegno per 400 mila euro".Potrebbe sembrare una delle tante
determine tecniche, importanti ma dallo scarso interesse di cronaca, che
compaiono settimanalmente sull'Albo pretorio del Comune. In realtà, il contenuto
è quantomeno curioso perché si tratta di un aiuto economico da parte dello Stato
che si rinnova da decenni.
La guerra e il Trattato di Pace
Quei soldi, semplificando al massimo, servono all'ente locale per andare ad acquistare un certo quantitativo di acqua dalla Slovenia, dove c'è l'impianto di Fontefredda. Il tutto trae origine dal Trattato di Pace di Parigi, sottoscritto il 10 febbraio 1947. «Tale contributo - si legge nella determina -, per gli anni successivi, è annualmente rivalutato rispetto a quello dell'anno precedente, in relazione all'aumento del prezzo dell'acqua da determinarsi, ogni 12 mesi, in base alla modalità previste dall'accordo medesimo».Da molti anni, il criterio per la quantificazione del contributo consiste nel riconoscimento di un importo pari al 98% del costo complessivo sopportato dal Comune per l'acquisto dell'acqua oltreconfine. Nel 2007, la commissione mista italo-slovena, composta da Irisacqua e dall'omologa Vodovodi in Kanalizacjia Nova Gorica, determinò il prezzo dell'acqua, a partire dal 2008, in 25 centesimi al metro cubo. L'ultimo stanziamento statale, relativo al 2018, è di 400 mila euro. Della serie: paga in ritardo lo Stato, ma paga per l'acqua prelevata dall'impianto in riva sinistra dell'Isonzo, ai piedi del Monte Santo. A spiegare, più nel dettaglio, i termini dell'operazione sono il sindaco Rodolfo Ziberna e il parlamentare Guido Germano Pettarin, già assessore comunale a Bilancio e Partecipate. Il primo rammenta come nel 1947, in seguito agli esiti della Seconda guerra mondiale, Gorizia non poté più accedere alla fornitura idrica che era "rimasta" nell'altro Stato. «I pozzi, infatti, sono restati al di là del confine imposto nel 1947 con il trattato di pace di Parigi. Da qui, l'indennizzo che è diventata una voce fissa del documento contabile. Nel frattempo, la città si è riorganizzata realizzando i pozzi alla Mochetta e nella risalita al Castello».
Le motivazioni del contributo
Più nel dettaglio entra Pettarin, conoscitore della materia. «Terminato il secondo conflitto mondiale, le fonti d'acqua non rientrarono più nel territorio italiano. E fu necessario accordarsi per fare in modo che Gorizia avesse le disponibilità idriche e si strutturasse per realizzare fonti proprie, superando quella fase di difficoltà. E così si fece. E oggi si può dire che quella che era una fornitura indispensabile nel dopoguerra, oggi non lo è nemmeno più. Ma si tratta, comunque, di avere a disposizione una riserva», argomenta il parlamentare. Che guarda oltre. E evidenziando l'affermazione per la Capitale della Cultura 2025, sottolinea come «le due città siano sulla strada per diventare un'unica città. E anche nell'ambito dei servizi, bisognerà cominciare a pianificare e a ragionare come un'unica entità».Un altro passaggio della determina è fondamentale. Si rammenta come il trattato internazionale che regolamenta il rapporto fra Italia e Slovenia è «vigente, finché non venga espressamente modificato in seguito a eventuali diverse intese fra i due Paesi».
L'attività di Irisacqua
In ultimo, alcuni numeri (su scala provinciale) dell'importante attività svolta da Irisacqua. Dati desunti dagli ultimi documenti di bilancio. «I vari sistemi idrici gestiti da Irisacqua sono composti da 7 impianti di captazione dove l'acqua viene prelevata da 36 pozzi, 4 impianti di sollevamento principali con adduzioni verso i serbatoi e 12 impianti di risollevamento distribuiti lungo le reti di distribuzione - si legge nel documento -. La rete acquedottistica, adduzione e distribuzione, è pari a 1.074 km. A completare i sistemi idrici ci sono 42 serbatoi. I metri cubi immessi in rete sono stati 19.183.958, di cui 10.630.531 mc fatturati agli utenti: la percentuale d'acqua non contabilizzata diminuisce sensibilmente rispetto allo scorso anno in virtù delle attività sulla rete idrica inerenti mitigazione delle perdite e riduzione della pressione».
La sottoscrizione - Gli accordi firmati dopo la Seconda guerra mondiale
I trattati di Parigi furono firmati il 10 febbraio 1947. La sottoscrizione
fu preceduta da una conferenza di pace tra luglio e ottobre 1946. L'Italia,
oltre ai territori occupati durante la guerra, cedeva alla Jugoslavia la
provincia del Carnaro, la provincia di Zara, gran parte della provincia
dell'Istria (venne creata una zona A gestita dal Gma e una zona B affidata
sempre a Tito), del Carso triestino e goriziano, e l'alta valle dell'Isonzo. A
Gorizia venivano tagliati a metà anche i cimiteri. --
Le municipalizzate - Il Trattato di Osimo modificò i criteri di trent'anni
prima
Dal dopoguerra fino al 1977, specifici accordi internazionali tra Italia e
Jugoslavia fissavano il quantitativo massimo di acqua riservata al Comune e i
relativi prezzi d'acquisto. Con il Trattato di Osimo, venivano modificati i
criteri adottati trentatré anni prima: il contributo veniva accreditato al
Comune e veniva rivalutato sulla base del costo dell'acqua che, anno dopo anno,
sarebbe stato concordato dalle Aziende municipalizzate e dall'omologa società
jugoslava.
Francesco Fain
Il piano green Fincantieri per le navi all'idrogeno che piace all'Europa:
così salviamo l'ambiente
Il gruppo ha sviluppato il progetto Zeus: un'unità navale sperimentale
prima nel suo genere al mondo. Laboratorio anche in Area di Ricerca
È stato l'economista Jeremy Rifkin, in un saggio dei primi anni Duemila, a
individuare all'orizzonte un nuovo modo di sfruttare l'energia in grado di
«rivoluzionare la civiltà»: l'economia all'idrogeno. La materia di cui sono
fatte le stelle e il sole. Si trova in tutti gli esseri viventi, nell'acqua e
nei combustibili fossili. Potrebbe essere la seconda rivoluzione dopo quella di
Internet. Tramonterebbe le geopolitica del petrolio: «La rete energetica
mondiale dell'idrogeno sarà la prossima rivoluzione economica, tecnologica e
sociale della storia».L'idrogeno applicato alla propulsione delle navi e al
risparmio energetico. Sono questi i nuovi scenari industriali dove Fincantieri,
come ha spiegato di recente il presidente Giampiero Massolo, oggi è in prima
linea: «Con il Recovery fund puntiamo anche a progetti sulle batterie al litio
per arrivare alle navi a idrogeno. Una grande sfida». Di recente, insieme con le
altre aziende partecipate pubbliche, il gruppo guidato da Giuseppe Bono ha
presentato al Mise i progetti in materia di innovazione e di energia verde da
finanziarie con il Recovery Fund. Su quali obiettivi?«Il cuore del business di
Fincantieri sono le navi da crociera e militari ma negli anni abbiamo molto
diversificato la produzione - ha spiegato Massolo in una conversazione con il
Sole 24 Ore. Tutto ciò ci spinge ad essere "smart" nella gestione degli impianti
e l'emergenza Covid ha accelerato questa spinta verso la sostenibilità,
interconnessa, tra sistema nave e sistema-porti». A Trieste si cerca di
"disegnare" industrialmente un futuro in cui le navi saranno sempre più green.
«Stiamo trovando la nostra via d'uscita dalla crisi Covid-19. Con il recovery
plan, abbiamo un'opportunità eccezionale per gli investimenti verdi. Vedo
l'inizio di una rivoluzione per una nuova economia dell'idrogeno in Europa.
Abbiamo opportunità immediate nelle nostre mani. E nella nuova economia
del'idrogeno Fincantieri è un'eccellenza»: sottolinea Kadri Simson, commissario
europeo all'energia. Intervenendo di recente all' European Hydrogen Forum,
Simson ha ricordato il prototipo Zeus, un'unità navale sperimentale alimentata
tramite fuel cell (cella a combustibile) realizzata da Fincantieri nel cantiere
di Castellamare di Stabia: «Stiamo vedendo opportunità nel trasporto marittimo
grazie a Fincantieri, che ha iniziato a lavorare sulla prima Zero Emission
Ultimate Ship». La ricerca alla base del prototipo Zeus punta a migliorare la
sostenibilità ambientale di navi cruise, mega-yacht, traghetti, ferry e navi da
ricerca oceanografica, attraverso la riduzione delle emissioni di gas effetto
serra. Un progetto che coinvolge, oltre a Fincantieri, le società del gruppo
Isotta Fraschini Motori. Il gruppo di Bono ha inoltre avviato un secondo
laboratorio presso l'Area Science Park di Trieste in collaborazione con
l'Università di Trieste, con l'obiettivo di testare impianti di generazione
basati su differenti tipologie di fuel cell.Ci vorrà almeno un decennio per
raggiungere una riduzione delle emissioni del 55% tuttavia la crisi da Covid-19
ha messo in campo enormi risorse finanziarie a livello europeo che possono
accelerare i tempi: «Grazie al Recovery plan abbiamo un'opportunità eccezionale
per gli investimenti verdi nel trasporto marittimo proprio grazie a
Fincantieri», commenta Simson.Nel corso degli anni il gruppo triestino ha
avviato numerosi progetti di ricerca per studiare e verificare l'applicabilità
delle tecnologie ad idrogeno e delle fuel cells a bordo delle navi, sia con
risorse proprie sia con il supporto di programmi di ricerca ed innovazione
finanziati a livello nazionale: «Queste iniziative sono cruciali per la
sostenibilità futura a livello globale. Fincantieri, da sempre attenta a queste
tematiche, studia la generazione e la distribuzione dell'energia a bordo delle
navi da crociera, traghetti e megayacht. Per questo molte delle iniziative di
ricerca e innovazione del gruppo sono focalizzate all'aumento del grado di
elettrificazione delle navi e all'uso di vettori energetici sostenibili», si
sottolinea nel quartier generale del gruppo a Trieste.«Tutto ciò ci spinge ad
essere "smart" nella gestione degli impianti e l'emergenza Covid ha accelerato
questa spinta verso la sostenibilità», ha spiegato Massolo.
Piercarlo Fiumanò
I segreti per trattare gli alberi - Vademecum per pollici verdi - libro per esperti e non
La cura degli alberi attraverso un approccio naturali e dettami tecnici alla portata di tutti. Si intitola "Amici alberi, semplici regole per trattarli bene" ed è l'opera edita da Libreria della Natura attesa a giorni nelle librerie, scritta a sei mani da Roberto Barocchi, Aldo Cavani e Giorgio Valvason. Una ottantina le pagine e settanta le illustrazioni che corredano una sorta di manualetto concepito per ribadire non solo l'importanza vitale degli alberi, ma anche le modalità per l'accudimento: «Si tratta intanto di un testo alla portata di tutti, ideato soprattutto per le persone non molto esperte - premette Roberto Barocchi, coautore, architetto ed ex direttore dell'Ispettorato delle Foreste di Trieste -. L'idea è nata dopo aver discusso con gli altri autori della situazione locale e della necessità di ribadire alcuni punti fermi, ma facendolo con un linguaggio popolare e facilmente comprensibile». Il libro richiama intanto sul valore dell'albero, ma non si sofferma troppo sugli aspetti simbolici, quanto sugli effettivi riverberi sulla natura, la società e la salute stessa dell'uomo: «L'albero è un vero amico e dovrebbe essere trattato come tale - prosegue Roberto Barocchi - ha il dono di migliorare non solo il paesaggio ma di influire sul microclima producendo ossigeno e annientando altri gas nocivi». Il libro si sofferma su alcuni tratti fondamentali, vedi la debita distanza da adottare per permettere lo sviluppo della chioma e rami, oppure come affrontare la potatura e quando farne uso. Una curiosità. Anche gli alberi soffrono di "stress urbano". Sì, perché stando alle analisi emerse nel libro, gli alberi che strutturano un viale in città sono destinati a vita breve, quasi cinquant'anni in media a fronte di qualche secolo. Barocchi ha scritto anche il "Dizionario di Urbanistica". Giorgio Valvason è un arboricoltore, mentre Aldo Cavani è dottore forestale, anch'egli ex direttore dell'Ispettorato locale.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - SABATO, 9 gennaio 2021
Le critiche all'ovovia si basano sui documenti ufficiali del Comune - la lettera del giorno di Andrea Wehrenfennig, presidente Legambiente
Per correttezza nei confronti dei lettori del Piccolo e soprattutto di Gianpaolo Penco (segnalazione dell'8 gennaio), ricordo che le critiche sollevate dalle undici associazioni ambientaliste e civiche - che ora sono dodici - nei confronti dell'infelice progetto di ovovia si basano sui documenti ufficiali dei progettisti e del Comune. In particolare con la delibera n. 577 del 28 dicembre 2020 la giunta comunale "delibera di presentare istanza per l'accesso ai finanziamenti destinati ai sistemi di Trm ad Impianti fissi con la proposta progettuale denominata "Cabinovia metropolitana Trieste - Porto Vecchio - Carso" per una spesa complessiva presunta di euro 48.768.102,54 Iva inclusa interamente a carico del Ministero", il che conferma quanto affermato dalle associazioni. Inoltre secondo il progetto preliminare la stazione "Opicina" e il vicino parcheggio - che in realtà sono collocati presso l'abitato di Campo Romano - sono da realizzare in un'area boscata, il che comporta numerosi abbattimenti. Approfittiamo di questa precisazione per invitare il Comune a pubblicare sul proprio sito tutti i documenti del progetto preliminare, il documento di fattibilità delle alternative progettuali e le delibere di giunta, in modo che i cittadini possono avere tutte le informazioni necessarie a conoscere il progetto e poterlo commentare in base ai fatti (per evitare "informazioni sbagliate e fuorvianti").
GORIZIA - Lotta allo smog, da domani i nuovi divieti
Out dalle 18 alle 20 i mezzi e i ciclomotori più vecchi da un ring del
centro cittadino. Provvedimento sino al 27 febbraio
L'ordinanza parla chiaro. A decorrere dal 10 gennaio (ovvero da domani) sino
al 27 febbraio, «allo scopo di prevenire episodi acuti di inquinamento
atmosferico», viene introdotto il divieto di transito degli autoveicoli
alimentati a benzina o a gasolio con caratteristiche emissive antecedenti alla
classe Euro 4, nonché dei ciclomotori e delle moto pre Euro 3 nella fascia
oraria compresa tra le 18 alle 20. In sostanza, le misure preventive contro
l'inquinamento riguarderanno i veicoli più "vecchi", ovvero le auto a benzina o
a gasolio Euro 1, Euro 2 ed Euro 3 e i motoveicoli e ciclomotori Euro 1 ed Euro
2: mezzi che non potranno circolare nel perimetro individuato dalle vie e dalle
piazze seguenti: via Santa Chiara, via Mameli, via Roma, largo Martiri delle
foibe, via De Gasperi, piazza del Municipio, via Generale Cascino, corso Italia
(tratto via Cascino-via Garibaldi), via Diaz (tratto via Garibaldi-via Rismondo),
via Rismondo, piazza Battisti, via Petrarca (da piazza Battisti a via Cadorna),
via Cadorna (tratto da via Petrarca a via Boccaccio), via Boccaccio (da via
Cadorna a piazzale Donatori di sangue).«Un mini-blocco - spiegano l'assessore
comunale Francesco Del Sordi e il comandante dei vigili urbani Marco Muzzatti -
che scatta ogni anno puntualmente e sempre nelle stesse date perché si tratta di
misure preventive». Peraltro, quest'anno, con i lockdown e il calo evidente del
traffico in città, a beneficiarne è stata proprio la qualità dell'aria. Ci sono,
però, parecchie deroghe: potranno in primis circolare liberamente, oltre agli
autoveicoli omologati Euro 4 o superiori e i motoveicoli e ciclomotori Euro 3 o
superiori anche i veicoli ad emissione zero, alimentati con motori elettrici e
ibridi e che utilizzano come carburante alternativo metano, Gpl, bioetanolo o
idrogeno. Inoltre l'accesso nel ring sarà consentito a veicoli riservati al
trasporto pubblico di linea o turistico con pullman, autobus, scuolabus, taxi e
autovetture in servizio di noleggio con conducente e veicoli con almeno tre
persone a bordo. Circoleranno anche mezzi per i servizi socio-sanitari e per il
soccorso sanitario, compresi quelli dei medici e dei veterinari, muniti di
apposito contrassegno distintivo. Infine, potranno accedere anche autoveicoli a
servizio degli invalidi, per il trasporto di persone soggette a trattamenti, di
particolare gravità, sanitari e riabilitativi programmati, nonché vetture che
trasportano persone con ridotta capacita deambulatoria e altre gravi patologie e
impossibilitate temporaneamente a servirsi dei mezzi pubblici. Disco verde anche
ai veicoli dei paramedici e dei tecnici ospedalieri in servizio di reperibilità,
dell'Azienda sanitaria e di associazioni ed imprese che svolgono servizio di
assistenza sanitaria e sociale. «Praticamente, è stata riproposta la stessa
ordinanza dell'anno passato che scatta, a meno di modifiche intervenute nel
frattempo, in automatico - conclude Marco Muzzatti, comandante della Polizia
locale -. Verranno predisposti controlli da parte dei vigili urbani».
Francesco Fain
Nell'Isontino ci sono ancora 6 mila automobili Euro zero - parco macchine datato
All'interno c'è di tutto. Anche le auto d'epoca che hanno la loro ragione d'esistere e vanno preservate gelosamente. Ma non parliamo soltanto di "gioiellini" a quattro ruote perché, sulle nostre strade, girano anche tante "carrette": automobili vecchie e inquinanti. Ed è una testimonianza del fatto che circolano pochi soldi e che gli ultimi modelli sono sicuramente molto belli ma costano troppo. Decisamente troppo. Un po' di numeri che parlano da soli. Secondo l'elaborazione di "Facile.it", realizzata su dati ufficiali del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nei registri della motorizzazione del Friuli Venezia Giulia risultano ancora iscritte 49.953 automobili Euro zero, corrispondenti al 6,21% del totale vetture ad uso privato registrate in regione. Come sono distribuite a livello provinciale queste autovetture? Nell'Isontino ci sono 5.934 vetture Euro zero, pari al 6,45% del totale. Non poche. Se si guarda ai valori assoluti delle sole Euro zero, la maglia nera della regione spetta alla provincia di Udine (23.121 auto private; 6,27% del totale), seguita da Pordenone, (11.991; 5,57%) e Trieste (8.907, 6,94%). E il quadro si incupisce ulteriormente se si allarga l'analisi. Considerando le automobili Euro 0-1-2-3 si arriva, in totale, a circa 239 mila vetture circolanti: vale a dire che quasi un terzo della auto potenzialmente in strada in Friuli Venezia Giulia (30%) ha 15 anni o più di anzianità. Auto d'epoca a parte, costituiscono molte volte un danno non solo per l'ambiente e per la sicurezza stradale, ma anche per le tasche dei proprietari. Secondo le simulazioni, a livello medio nazionale, assicurare un veicolo Euro 3 del 2005 può costare fino al 156% in più rispetto allo stesso veicolo, nella sua versione Euro 6, immatricolato nel 2020.
Giù i magazzini dell'ex fabbrica Fissan simbolo della storia industriale di
Trieste
Al via le demolizioni del complesso in via Muggia. La nuova proprietà,
un'azienda slovena di logistica, ci farà uffici e piazzali
Addio al vecchio stabilimento Fissan, simbolo del passato produttivo della
città. È iniziata in questi giorni la demolizione dell'ex sede Trieste del
marchio, in via Muggia, nella zona industriale. L'area, di 17 mila metri
quadrati, come conferma il Coselag, Consorzio di Sviluppo economico locale
dell'Area giuliana, è stata venduta ad un'azienda slovena, che si occupa di
logistica e che darà vita a nuovi spazi, più funzionali. Se ne va così un pezzo
della storia di Trieste, quella fabbrica che per molti anni ha "sfornato"
prodotti per i bambini conosciutissimi, in particolare bagnoschiuma e creme per
l'infanzia e, in una fase successiva, anche articoli di altri noti brand, come
Glysolid, Depilzero o Badedas.Una serie di fabbricati che per anni sono stati
abbandonati dopo la chiusura avvenuta nel 2006, con diversi tentativi di vendita
andati a vuoto, fino alla svolta recente e all'abbattimento delle strutture.
Anche perché, per i nuovi acquirenti, non sarebbe stato facile riutilizzare un
comprensorio nato con una destinazione precisa. «Quando lavoravo all'Ezit -
spiega Dario Bruni, presidente di Confartigianato Trieste - ricordo che era
impossibile trovare investitori potenzialmente interessati a una locazione o a
un subentro nella proprietà. Gli spazi erano pensati per un'attività specifica,
e sarebbe stato molto complesso adattarli ad altri utilizzi. Non mi meraviglia
la notizia della demolizione - aggiunge - solo così, probabilmente, quella zona
potrà tornare in attività».Un'asta andata deserta nel 2011 fissava il prezzo a 6
milioni 210 mila euro. Impossibile capire al momento quale sia l'importo
stabilito nell'ultima vendita andata a buon fine. Famoso soprattutto per la
pasta Fissan, lo stabilimento risale al 1965, un anno che determina anche un
salto importante per l'azienda, che grazie a spazi più ampi e a un costante
aumento degli ordini, passa dai 15 ai 300 operai in poco tempo. Il declino
arriverà una quarantina di anni più tardi. Le ruspe hanno già abbattuto alcuni
edifici, destinati un tempo a magazzini. A terra resta un enorme tappeto di
detriti, che arriva quasi alla recinzione blu, che delimita tutta l'area.
Rimangono ancora in piedi la palazzina principale, dove si trovava l'ingresso
del personale e dove, dopo alcuni gradini, si nota ancora la zona dove veniva
timbrato il cartellino prima dell'inizio del turno. Ci sono poi i laboratori,
gli uffici e il cuore produttivo, con i grandi contenitori dai quali scendevano
le varie tipologie di creme che poi venivano confezionate. Dentro, per molti
anni, sono rimaste abbandonate montagne di flaconi, dopo la dismissione del
2006, insieme ad arredi, macchinari e pure a qualche vecchio mezzo di trasporto,
dimenticato nel piazzale alle spalle dei fabbricati, dove la merce veniva
caricata e spedita. Centinaia di prodotti, ancora imballati, sono rimasti per
anni fermi anche fuori, a pochi metri dal cancello principale. Tra il 2019 e il
2020 gli ambienti interni e le aree esterne, già presi di mira dai vandali, sono
stati poi sgomberati. Ieri molte persone, passando con l'auto, si sono fermate a
osservare gli scavatori in azione, catturati dal vuoto lasciato dai grandi
magazzini che per decenni sono rimasti al loro posto, seppur vuoti. Sul cartello
appeso al cancello dove i mezzi entrano, si legge che l'importo complessivo dei
lavori è di 800 mila euro.
Micol Brusaferro
Arvedi, 240 milioni per accelerare nella produzione di acciaio sostenibile
Finanziamento nell'ambito del Green New Deal europeo con garanzia Sace:
in ballo tre progetti a Cremona e Trieste
Trieste. Un prestito da 240 milioni di euro per accelerare sulla via della
decarbonizzazione. Il gruppo siderurgico Arvedi è il primo in Italia a
sottoscrivere un finanziamento nell'ambito del Green New Deal europeo con la
garanzia di Sace, società di Cassa depositi e prestiti, specializzata nel
sostegno economico alle imprese italiane. Attraverso il nuovo strumento
finanziario, la compagnia che a Trieste possiede la Ferriera di Servola incamera
una cospicua somma di danaro per riconvertirsi alla produzione pulita di
acciaio: risorse che vanno ad aggiungersi agli 80 milioni, stavolta a fondo
perduto, che saranno versati dal Mise a sostegno della riqualificazione della
Ferriera, con la trasformazione dell'area a caldo in terminal portuale e il
rafforzamento della capacità produttiva del laminatoio a freddo.Arvedi è uno dei
principali attori europei nel campo dell'acciaio e sigla ora la prima operazione
italiana legata al Green New Deal, il piano Ue pensato per promuovere l'economia
circolare e sistemi di produzione più sostenibili. Il gruppo è attento alle
opportunità che arrivano da Bruxelles, tanto che nel 2015 Arvedi fu la prima
azienda europea ad attingere ai fondi del piano Junker. In questo caso il
finanziamento beneficia anche di un sistema premiante in funzione del
raggiungimento di determinati parametri di sostenibilità nel ciclo produttivo
dell'acciaio. Si tratta di un campo in cui la società cremonese è
all'avanguardia a livello mondiale, dopo aver introdotto cicli produttivi che
partono dai rottami ferrosi e non hanno dunque bisogno di ghisa e carbone,
perché basati su riciclo e impiego di forni elettrici. Al di là delle spinte
politiche, la dismissione dell'altoforno triestino dipende in buona parte da
questo e dalla decisione di acquistare ghisa direttamente dall'estero.
L'obiettivo di Arvedi è basare il 75% della propria produzione su acciaio
riciclato entro il 2023. L'operazione poggia su un contratto di finanziamento
siglato dal gruppo con un pool di banche finanziatrici: oltre a Intesa San Paolo
nel ruolo di capofila, la lista si compone di Bln, Bnp Paribas, Banco Bpm,
Crédit Agricole, UniCredit, Unione di banche italiane, Monte dei Paschi, Banca
del Mezzogiorno e Banca di Piacenza. Sace si farà garante del 70% dei 165
milioni della prima tranche. Si tratta di una prima volta per il mercato
finanziario nazionale: mai finora una società italiana aveva sottoscritto un
finanziamento garantito da Sace nell'ambito del Green New Deal. Arvedi riceverà
in sei anni un prestito da 240 milioni, che interesserà diversi rami del gruppo:
una prima tranche da 165 milioni andrà a favore di Acciaieria Arvedi, mentre i
75 milioni rimanenti andranno sia ad Acciaieria Arvedi che alle controllate
Arvedi tubi acciaio e Centro siderurgico industriale. Stando alla nota diramata
per annunciare il finanziamento, le risorse daranno corpo a tre progetti fra
Trieste e Cremona. La compagnia non entra nel merito, ma nel caso di Trieste si
tratta quasi certamente di interventi dedicati a laminatoio e centrale
elettrica, interessati anche dai finanziamenti a fondo perduto che verranno
erogati dal ministero dello Sviluppo economico per incentivare la chiusura
dell'area a caldo, con la trasformazione in chiave logistica dei terreni
occupati da altoforno e cokeria. Il ministro Stefano Patuanelli ha stanziato in
totale 80 milioni: 55 saranno impiegati a Servola e altri 25 ricadranno sugli
impianti di Cremona. Nel caso di Trieste, i fondi serviranno al potenziamento
del laminatoio e alla riconversione della centrale, che cesserà di usare i gas
residui della produzione di ghisa e passerà al metano.
Diego D'Amelio
Da Belgrado a Sarajevo, le citta' soffocate dall'inquinamento - il problema resta irrisolto
Belgrado. Il mondo cambia, sotto i colpi della pandemia. Ma qualcosa rimane sempre uguale. È la cappa di smog che, ogni inverno, puntualmente copre i vicini Balcani, prodotta dalla circolazione di vecchie auto, sistemi di riscaldamento obsoleti spesso a nafta o carbone, impianti industriali e di teleriscaldamento, antiquate centrali elettriche alimentate a lignite. E l'attuale stagione invernale non sta facendo eccezione, con varie città della regione - in particolare Sarajevo, Skopje, Pristina e Belgrado - che hanno superato più volte nelle scorse settimane i livelli di guardia sul fronte inquinamento. Anche ieri il quadro è stato confermato. A Sarajevo, Goradze, Skopje, Niksic, Lazarevac, aria «molto inquinata», a Novi Pazar, Smederevo, Nis, «insalubre» o «pericolosa per le fasce a rischio», alcuni dei dati raccolti ieri pomeriggio dal portale "World Air Quality Project". Il quadro potrebbe anche essere peggiore di quanto si creda, e ciò diventa fonte di polemiche. È il caso della Serbia, al top in Europa per l'aria mefitica e fra i dieci Paesi peggiori al mondo per morti per smog (175 per centomila abitanti, secondo i dati della Global Alliance in Health and Pollution, Gahp), dove tiene banco il caso di Milenko Jovanovic, già capo della sezione del monitoraggio dell'aria della locale Agenzia dell'ambiente. Ex, perché Jovanovic sarebbe stato fatto fuori, hanno denunciato decine di Ong e associazioni ambientaliste, per aver denunciato "ritocchi" alle misurazioni dello smog nel Paese balcanico. Ora ad esempio l'aria in Serbia è considerata inquinata se si superano i 55 microgrammi di Pm2.5, contro i 40 precedenti, trasmettendo coi dati falsati una percezione di finta sicurezza nei cittadini, ha sintetizzato il portale specializzato Balkan Green Energy.Non servono app e misurazioni per comprendere, annusando l'aria, il problema smog anche nella vicina Bosnia. Pure tra Sarajevo e Mostar non si registrano significativi miglioramenti sul fronte smog e anche per questo la comunità internazionale ha iniziato a "bacchettare" le istituzioni locali. I bosniaci hanno «diritto all'aria pulita» ed è ora «che si facciano i conti» «con un problema che mette seriamente a rischio la salute di tutti», ha ammonito a fine 2020 il rappresentante Ue a Sarajevo, Johann Sattler, ricordando che l'Ue ha messo a disposizione nove miliardi per investimenti nei Balcani, inclusa l'energia verde. «Ma la Bosnia non ha finora compiuto alcun passo per la protezione dell'ambiente», il duro j'accuse. Stesso discorso vale per la Macedonia, dove lo smog è tornato ad affumicare le città con l'arrivo del freddo. Smog fuori controllo anche in Kosovo. Essere parte della Ue cambia però poco le cose. Lo si vede in Bulgaria, già sanzionata da Bruxelles per l'inazione nel controllo dell'inquinamento, dove nelle scorse settimane i social sono esplosi di critiche per l'aria irrespirabile, un problema ormai cronico di tutti i Balcani, dentro e fuori la Ue. Secondo lo studio del Gahp, reso pubblico nel 2019, dopo la Serbia gli Stati con più vittime per smog in Europa sono stati appunto la Bulgaria (137), seguita da Bosnia-Erzegovina (125), Croazia (108), Romania (106) e Ungheria (105).
Stefano Giantin
In piazza per dire basta ai trattamenti disumani ai danni dei migranti
Presidio in piazza Goldoni sotto al Consolato croato - Nel mirino
l'emergenza nella regione bosniaca al confini con l'Unione europea
Almeno centocinquanta persone ieri pomeriggio hanno manifestato «contro pushback, violenza dell'Unione europea e della polizia» ai danni dei migranti lungo la rotta balcanica. Il luogo scelto per il presidio è stato piazza Goldoni, a due passi dal consolato generale della Repubblica di Croazia, Paese che rappresenta la cerniera tra Paesi comunitari ed extra-comunitari per i profughi che tentano di raggiungere l'Occidente. Anche a livello nazionale, in questi giorni, ad accendere i riflettori su questi temi è l'emergenza in corso nella città di Bihac e, più in generale, nel cantone bosniaco di Una Sana, entrambi affacciati sul confine croato, vale a dire ai limiti dell'Unione europea. Il 23 dicembre l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) ha chiuso il campo di Lipa, poco lontano da Bihac. Proprio mentre era in corso lo sgombero di 1500 persone da parte di Iom, all'improvviso è scoppiato un incendio che ha distrutto tre delle grandi tende che ospitavano migranti e rifugiati, i quali si sono pertanto ritrovati all'addiaccio. Secondo gli organizzatori del presidio di ieri, ovvero "No Cpr no frontiere Fvg", "Linea d'Ombra" e "Strada Si.Cura", a partire da quel momento «i giornali italiani hanno iniziato a raccontare che in Bosnia è in atto una crisi umanitaria, come d'altronde gli attivisti sul posto denunciano da anni», si legge in un volantino. «Si tratta in realtà di una situazione sistemica, che si estende alla gestione dei grandi campi da parte di Iom, alle violenze sistematiche della polizia croata e alla catena di respingimenti che arriva fino a Trieste». A proposito di stampa, ieri a giornalisti e fotografi è stato chiesto più volte di non filmare i volti dei manifestanti, nonostante ci si trovasse in luogo pubblico.Tornando ai migranti, è appena stata pubblicata da Repubblica la storia di Osman (nome di fantasia), ventunenne pachistano arrivato a Bihac all'inizio del 2020. Ha provato "the game" ("il gioco", così i migranti chiamano in gergo il tentativo di passare il confine tra Bosnia e Croazia senza essere catturati dalla polizia) 15 volte prima di arrivare a Trieste, a luglio. Nell'intervista Osman racconta che qui gli è stato fatto firmare un foglio che lui credeva essere una richiesta di asilo, ma che probabilmente era invece un modulo di riammissione: la polizia italiana l'ha riportato in Slovenia e da lì, a bordo di camion, è tornato fino al confine con la Bosnia, dove è stato lasciato di notte e picchiato. Esistono decine e decine di testimonianze simili, raccolte dalle Ong a Trieste come a Bihac. «Da maggio 2020 si è inserita in questo meccanismo anche l'Italia», prosegue il volantino: «Ciò che chiamiamo "riammissioni informali in Slovenia" è solo il primo anello di questa catena». Quanto appunto alla Bosnia, la situazione evolve di ora in ora. Secondo le ultime notizie pubblicate dall'emittente televisiva di Sarajevo "N1", ieri i migranti sono entrati nelle tende riscaldate appositamente allestite a Lipa dall'esercito bosniaco, mentre il Ministero per la Sicurezza della Bosnia Erzegovina ha preso in consegna il campo.
Lilli Goriup
Sport, innovazione e aiuto ai più fragili - Caccia ai volontari del Servizio
civile
I posti a Trieste saranno 164, molti dei quali gestiti da Arci Fvg.
Selezioni fino all'8 febbraio
È partita la selezione per "arruolare" 164 volontari per il Servizio civile
a Trieste. Una maxi squadra di giovani che opereranno nel campo dell'inclusione
sociale, del sostegno ai più fragili, del pubblico servizio, in particolare
attraverso lo sport e l'assistenza. Un'esperienza di cittadinanza attiva che
potranno provare quest'anno più di 460 ragazzi e ragazze del Friuli Venezia
Giulia, il cui numero sarà ulteriormente ampliato nel corso dell'anno. Di
questi, 164 a Trieste, 200 a Udine, 64 a Pordenone e 32 a Gorizia. È stato
infatti pubblicato il bando del Dipartimento della Gioventù e del Servizio
civile universale. Alla selezione possono partecipare giovani tra i 18 e i 28
anni, italiani, dell'Ue e cittadini stranieri regolarmente soggiornanti. Le
domande vanno presentate entro le 14 dell'8 febbraio su https: //domandaonline.serviziocivile.it.
Il servizio dura 12 mesi e prevede un impegno di 1.145 ore (25 a settimana) con
un riconoscimento economico mensile di 439,50 euro. Tra i protagonisti c'è Arci
Servizio Civile Aps, la più grande associazione italiana dedicata esclusivamente
al servizio civile, che gestirà un'importante quota dei progetti e di posti
messi a disposizione. Sul sito www.arciserviziocivilefvg.org ne sono illustrati
per ora 8, messi a disposizione dall'Asc per 37 posti in regione (32 a Trieste)
che poi saliranno a oltre 60. «In un periodo difficile - commenta il presidente
regionale di Arci Servizio civile Aps, Giuliano Gelci - il Paese potrà avere a
disposizione, fin dalla primavera, anche questa risorsa per affrontare le grandi
difficoltà che ci attendono e i giovani potranno esprimere le loro energie e
capacità, lavorare insieme». Tra i progetti proposti da Arci Servizio civile in
regione, quelli di "Comunità inclusiva per menti creative 2" per favorire gli
scambi tra le diverse comunità con 4 posti a Trieste, "Fuoricasa - percorsi di
autonomia per giovani e adulti con disabilità", allo scopo di agevolarne i
percorsi di integrazione e inserimento (4 posti a Trieste), "Storie, saperi,
culture 2020" che vuole sviluppare momenti formativi e culturali in un'ottica di
pace e solidarietà (4 posti a Trieste), "Orizzonti d'apertura" che intende
ampliare il supporto offerto alle persone con disabilità intellettiva in età
scolare con 5 posti in città, "Famigliarizzare" destinato alle famiglie di
richiedenti asilo e rifugiati con figli minori (4 i posti a Trieste), "Crescere
assieme", mirato a contrastare l'esclusione sociale di soggetti a rischio di
fragilità, in particolare minori, con 4 posti a Trieste, "Amico: esperimenti
innovativi per creare valore sociale" di contrasto al fenomeno di
istituzionalizzazione di persone non del tutto autosufficienti con 4 posti a
Trieste e infine "Inclusivamente", che vede lo sport come strumento di
convivenza tra i popoli (3 posti a Trieste).-
Gianfranco Terzoli
IL PICCOLO - VENERDI', 8 gennaio 2021
Dalla Tripcovich al mercato ortofrutticolo le tredici incompiute in attesa di
verdetto
Nell'elenco idee ferme da anni come il campus di via Rossetti e "grane"
più recenti tra cui lo stop al villaggio sportivo Samer
Il Comune fa tredici al toto-progetto a cinque mesi dalla fine del
campionato. Tredici sono le più significative "incompiute", cioè le maggiori
iniziative non ancora ultimate o lontane dall'esserlo. Perchè le "incompiute"
sono come i giorni, non sono tutti uguali, quindi necessitano di
sotto-classificazioni tra situazioni bloccate, meno bloccate, "in fieri". Un
elenco redatto con la collaborazione di Enrico Conte, direttore dei Lavori
Pubblici, che proprio tra cinque mesi raggiungerà l'agognata quiescenza e lascia
a Roberto Dipiazza un documento aggiornato dei dossier più impegnativi, su cui è
atteso lo sprint del mandato. Covid permettendo.
I CASI GRAVI
Campus Rossetti, sala Tripcovich, i tre mercati, casa Francol, palazzo Carciotti sembrano essere i fascicoli più scottanti. Sull'ex caserma di via Rossetti, in predicato di trasformarsi in campus scolastico, è tutto fermo da giugno, da quando cioè Cassa depositi e prestiti e il sindaco si erano confrontati su un'ipotesi di acquisto. Congelata anche la questione Tripcovich, poiché, tramontata l'idea di ricorrere al Tar contro il "niet" ministeriale, la ventilata soluzione politica non si è vista: non va dimenticato che Roma ha raccomandato al Comune di riqualificare il "bene". Triplice stallo sui mercati: i padovani non si sono fatti vivi per gestire l'Ortofrutta all'ex Duke; il rilancio del Coperto è rimasto all'idea (bocciata) di Andrea Monticolo viziata da uno sgradito leasing in costruendo; sull'Ittico c'è il pressing della Regione che sollecita uno standard migliore dell'ex Gaslini. Nota in calce: se non si muove l'Ortofrutta, non si muove di conseguenza la "redenzione" dell'area annonaria in Campo Marzio. Casa Francol, dopo assaggi di mercato andati a vuoto, aspetta un privato che, facilitato dal nuovo Piano del centro storico, scommetta 3 milioni. Del palazzo Carciotti, dopo l'imbarazzante forfait di Invimit, ha parlato l'assessore Giorgi: niente vendita, sì alla concessione.
I RESILIENTI
A questa categoria partecipano faldoni in lento, lentissimo movimento, che avrebbero bisogno di essere velocizzati. In rassegna servizi cimiteriali, ex Ardiss, villaggio Greensisam, piscina terapeutica. Sui servizi cimiteriali, partita pluriennale finora sottotraccia da 90 milioni, AcegasApsAmga sembrerebbe pronta a un passo indietro a fronte del project financing targato dall'altra bolognese Altair, ma ci sarebbero resistenze sindacali. Incomprensibile l'impasse sulla gara per affidare la concessione-gestione degli appartamenti ex Ardiss in zona Urban: la delibera è pronta da mesi, perchè non va avanti? Rivolgersi a Giorgi. La recente decisione della Regione di investire su metà villaggio Greensisam per trasferire gli uffici ha spinto il proprietario Comune a rinfrescare la stima dei beni (ferma ai 16 milioni per tutti i 5 magazzini), affidando l'incarico a Stefano Stanghellini, docente allo Iuav veneziano ed esperto di estimo. Dipiazza ci tiene a finire il mandato con la nuova piscina terapeutica in Porto vecchio: ma gli uffici stanno ancora attendendo la proposta ufficiale progettuale e finanziaria di Terme Fvg e del soggetto attuatore Icop.
PIU O MENO IN MOTO
Museo del mare e villaggio sportivo Samer sono i due esempi più importanti. Per il Magazzino 26 futura dimora museale (33 milioni stanziati dal MiBac) sta scattando la gara per individuare il "validatore" del progetto firmato da Guillermo Vazquez Consuegra, cosi come già si fece per il Centro congressi, passaggio indispensabile per bandire poi l'affidamento dei lavori. L'azienda-studio, che vincerà l'attività di verifica, riceverà una parcella di 241.244 euro. Avanti adagio anche per il villaggio sportivo Samer, project financing nel compendio comunale di via Locchi: si dovrà iscrivere l'iniziativa nel Piano triennale del Bilancio 2021; si sarebbe potuto accelerare ma la ragioneria s'impuntò. Comunque procede.
Massimo Greco
Cinque palazzine da 4 piani nella "voragine" di Gretta
Nel piazzale lasciato vuoto dalla demolizione delle case in cui avvenne
nel 2011 l'omicidio Novacco, saranno costruiti 86 nuovi alloggi Ater. Lavori al
via in estate
Adesso è spoglio e desolante. Ma il prato, ampio 6mila metri quadrati, che
si trova tra via Gemona e via Gradisca a Gretta, fra due anni ospiterà 86
alloggi per dare nuova linfa vitale ai bandi Ater. È infatti sullo stesso sedime
su cui sorgevano le palazzine in cui si è consumato uno degli omicidi più
efferati che la cronaca nera di Trieste abbia mai registrato, quello del giovane
Giovanni Novacco, nell'agosto 2011, che l'ente per l'edilizia sovvenzionata
ricostruirà cinque nuovi edifici. I lavori da 9 milioni di euro dovrebbero
partire all'inizio della prossima estate mentre la gara per individuare
l'impresa sarà avviata all'inizio di febbraio. Quest'ultimo step doveva avvenire
a settembre scorso, ma il Covid e alcune modifiche normative hanno richiesto un
adeguamento del progetto esecutivo, della cui validazione si occupa la società
di ingegneria Simm-Masoli/Messi. Puntualizza il presidente Riccardo Novacco:
«Sono state rilevate offerte minime non conformità tra i diversi elaborati
progettuali, che hanno comunque richiesto l'intervento dei progettisti per una
parziale rielaborazione». Gli aggiornamenti sono stati richiesti prevalentemente
per gli impianti elettrici ma anche per disporre i piani sicurezza
anti-Covid-19, per cui è stato necessario qualche piccolo incremento economico.
«Entro fine mese è prevista l'approvazione del progetto ai fini dell'avvio della
gara di appalto - specifica Novacco -, che potrà consentire la partenza dei
lavori entro l'inizio dell'estate, utilizzando le procedure acceleratorie
introdotte con il recente Decreto Semplificazioni». Questo vuol dire che il
rischio ricorsi, forse anche più elevato visto che la gara è europea, sarà
ridotto: «In caso di ricorso infatti - spiega il direttore Ater Franco KoreniKa
- la norma permette di procedere comunque con l'affidamento dei lavori. Al
momento del giudizio, se il procedimento viene vinto dall'impresa che aveva
fatto ricorso, quest'ultima verrà risarcita e quindi il cantiere potrà
proseguire».Il progetto prevede la realizzazione appunto di 86 appartamenti,
disposti in cinque edifici da quattro piani (quattro palazzine comprenderanno
due vani scala, una ne avrà solo uno), caratterizzati dalla stessa altezza e
volumetria dei precedenti. Sarà inserito inoltre l'ascensore. I vecchi alloggi,
realizzati negli anni '50, erano molto piccoli. Ora invece si è cercato di
renderli più ampi e moderni, pensando anche alle famiglie numerose, con più
figli, grazie a una metratura quindi di oltre 100 metri quadrati e con la
possibilità di avere tre o quattro stanze. Si scaverà fino a quattro metri
sottoterra per ricavare dei parcheggi per un numero di veicoli pari a quello
delle abitazioni. Una ventina sarà disposta in superficie. Uno spazio inoltre
sarà riservato anche agli stalli per motorini. I lavori partiranno a due anni e
mezzo dall'abbattimento degli edifici, la cui demolizione era stata decisa tempo
dopo che gli appartamenti, divenuti vetusti e scomodi, erano stati svuotati e
gli inquilini trasferiti in altre zone. «Il ritardo è dovuto al fatto che
nell'ultimo periodo - afferma Korenika -, per dare una risposta più pronta alle
esigenze abitative, l'ufficio tecnico ha dovuto dedicare molto tempo al recupero
degli alloggi sfitti, più semplici da rimettere a posto. Questo progetto invece
riguarda un cantiere che si concluderà più in là nel tempo».
Benedetta Moro
Sos di Legambiente per salvare i gelsi Alberi in siti privati - il cantiere in Via Brigata Etna
Legambiente lancia l'allarme: «I lavori per il nuovo sistema di irrigazione nella zona di via Brigata Etna e via degli Scogli mette a rischio la sopravvivenza di alcuni esemplari monumentali di gelso». E parte così l'appello a tutelare le piante rivolto al Comune (ma anche a Irisacqua e Consorzio di Bonifica), che da parte sua precisa che i gelsi si trovano in proprietà private, ma assicura di avere già da tempo in progetto di valorizzare l'intera area di Montesanto, e che dunque monitorerà attentamente la questione. «Abbiamo notato che i mezzi utilizzati per il cantiere hanno già urtato e danneggiato la base delle piante, ed è a rischio anche il cippo che delimitava il pomerio di Gorizia, l'antico confine cittadino, già inclinato - la preoccupata segnalazione di Legambiente Gorizia -. Inoltre temiamo che lo scavo possa andare ad intaccare l'apparato radicale dei gelsi, mettendone ulteriormente in pericolo la sopravvivenza. Si tratta di esemplari vetusti ma ancora perfettamente vitali». Legambiente vorrebbe promuovere l'inserimento dei gelsi nell'elenco degli alberi monumentali del Fvg, ricordandone la funzione storica di demarcazione dei confini tra le proprietà e quella di fornitura delle foglie per l'alimentazione dei bachi da seta per la fiorente industria di inizio Novecento. «Stiamo parlando di una zona che racconta parti importanti della storia della città, e per questo stiamo ragionando su come valorizzarla nell'ambito della Capitale della Cultura - spiega in proposito l'assessore comunale all'Ambiente Francesco Del Sordi -, anche attraverso la tutela di alberi come i gelsi. In tal senso accogliamo l'intervento di Legambiente che va nella direzione che già abbiamo intrapreso, e abbiamo già parlato con i vertici di Irisacqua e del Consorzio di Bonifica perché prestino particolare attenzione durante i lavori. Gli alberi dimorano comunque in aree private su cui il Comune non ha potere di intervento se non in presenza di norme precise di tutela. Alcune di queste proprietà sono peraltro praticamente abbandonate e abbiamo dovuto sanzionare i proprietari per il degrado che si era creato».
M. B.
Nuovo sistema di raccolta, è partito il conto alla rovescia
Si comincerà il 3 febbraio. L'ultima settimana di gennaio spariranno i
cassonetti. L'assessore Petenel: «Necessario sforzo collettivo»
Cervignano. Una data storica per il capoluogo della Bassa friulana. Si
avvicina il 3 febbraio, giorno in cui prenderà avvio il nuovo sistema di
raccolta denominato "Casa per Casa Hybrid". Esattamente tra un mese, infatti, il
sistema sarà in piena fase di rodaggio e il primo venerdì di febbraio sarà
terminato il primo ciclo di raccolta casa per casa: un'occasione per capire dal
vivo come il tutto funzionerà. Intanto, in questi giorni, sta continuando la
distribuzione del kit contenente il bidoncino per la carta, quello per il secco
indifferenziato, i sacchetti per la raccolta della plastica e la smart card che
aprirà i nuovi cassonetti stradali dell'umido. Queste prime tre tipologie di
rifiuto passeranno appunto al porta a porta: in specifici giorni della settimana
saranno esposti fuori dalla porta, sul marciapiede, e successivamente gli
operatori della Net passeranno a raccoglierli. A fine mese è in programma la
rimozione definitiva dei vecchi cassonetti stradali dedicati alla carta, alla
plastica e al secco indifferenziato e il posizionamento di quelli nuovi per
l'organico. Oltre all'organico, rimarranno nella sede stradale i cassonetti per
gli sfalci e le campane del vetro. La sera del 2 febbraio i cervignanesi
esporranno i contenitori con il coperchio blu, dedicato a carta, cartone e
tetra-pak fuori dalla propria abitazione. Semaforo verde per contenitori delle
uova, giornali, tetra pak, libri, giornali, scatolette di medicinali, cartoni
della pizza e buste per la spesa di carta, ma assolutamente vietato buttare
scontrini fiscali, fazzoletti da naso carta da cucina e carta vetrata. Il giorno
successivo, la sera di mercoledì, dalle 19 alle 24, sarà la volta
dell'esposizione del contenitore di colore grigio dedicato al secco
indifferenziato: verranno raccolti spazzolini, cotton fioc, spugne, posate
monouso, scarpe, lettiere, gusci di molluschi, penne a sfera, imbuti, e vecchi
dischi o Dvd. Semaforo rosso però, per tipologie di rifiuti che potrebbero
essere scambiati per materiale similare: no a vecchi elettrodomestici, anche se
piccoli, lampadine, pile, siringhe e medicine scadute. Nelle notti tra giovedì e
venerdì sarà la volta della raccolta della plastica, comprese le retine di
frutta e verdura, i vasi di piccole dimensioni, blister, bottiglie, contenitori
di polistirolo, vaschette per alimenti e pellicole alimentari. Per le singole
utenze, è prevista l'erogazione di un massimo annuale di 50 sacchetti che si
potranno ritirare rivolgendosi all'eco sportello di via Terza Armata, mentre per
i condomini è prevista la distribuzione, che terminerà a breve, dei bidoncini
con il coperchio giallo. I sacchetti di plastica potranno essere esposti
direttamente fuori dalla propria abitazione. L'assessore comunale all'ambiente,
Loris Petenel: «Confido nel buon senso dei cittadini, ma è inevitabile che,
almeno nei primi tempi, sarà necessario fare uno sforzo di impegno collettivo».
Luca Visentin
Ecco il murales per Nadia Toffa simbolo di rinascita per il rione -
l'inaugurazione a Servola
Per Servola è un segno di rinascita. Anche per questo ieri sono passati per
dare un'occhiata all'opera finita e per scattare foto ricordo o selfie. È stato
infatti inaugurato ufficialmente "Look Up", il murales di Gabriele Bonato che
ricorda la giornalista Nadia Toffa, inviata de Le Iene, più volte presente nel
rione nel corso del tempo per sostenere gli abitanti in lotta contro
l'inquinamento provocato dalla Ferriera. A presentare il disegno finito è stata
Francesca De Sants, assessore comunale ai Giovani, insieme a Maria Pittini,
presidente della Fondazione Pietro Pittini, che ha sostenuto l'intervento, al il
direttore della scuola Edilmaster Walter Lorenzi, all'artista Bonato con i suoi
collaboratori, e ancora ai consiglieri comunali Michele Babuder e Alberto
Polacco, promotori della mozione per ricordare Toffa. «Grazie al suo impegno -
ha sottolineato la De Santis - è stato fatto un passo importante verso la
risoluzione della problematica ambientale, con la chiusura dell'area a caldo.
Questa meravigliosa opera, attraverso un'allegoria, la ricorda volgendo lo
sguardo verso il cielo e verso una vita del rione». "Look Up" è il primo murales
del progetto Chromopolis realizzato su una proprietà di un privato, nel
dettaglio sul muro esterno di una casetta, ed è l'ultimo dei cinque interventi
artistici dello StreeTSart Festival che finora ha riqualificato diverse
superfici di Trieste, grazie agli artisti Sara e Davide Comelli, Emanuele Poki,
Fabrizio Di Luca, Matteo Rota, Elisa Vladilo e gli studenti di Edilmaster.A
margine dell'inaugurazione sul tema è intervenuto con una nota Roberto Decarli
(Pd), già consigliere comunale e storico esponente della comunità di Servola.
«Ho partecipato all'inaugurazione - dice - con spirito pacificato, ma anche
preoccupato, penso ai problemi aperti, al commercio di prossimità, alla
viabilità, al verde, al cimitero completamente abbandonato, alla Chiesa che ha
bisogno di un'attenta manutenzione. Spero che le autorità siano andate a fare un
giro per Servola, a rendersi conto della situazione del villaggio, che ora è un
dormitorio, l'auspicio è che questo murales non sia una scenografia che nasconda
il vuoto».
m.b.
Nuove barriere fonoassorbenti - Rumori ridotti fino a 11 decibel
Dopo due anni di lavori i primi test certificano la riduzione
dell'impatto acustico - A beneficiarne sono i residenti delle case vicine.
Autovie ha investito 5,2 milioni
Duino Aurisina. Due anni di lavori e i risultati si vedono: le barriere
fonoassorbenti in comune di Duino Aurisina hanno ridotto l'impatto acustico. Lo
certificano le misurazioni di verifica, informa Autovie Venete: l'abbattimento è
calcolato fra i 9 e gli 11 decibel. Concretamente, dove il rumore raggiungeva i
63,5 decibel nelle ore notturne, oggi, proprio grazie alle barriere, si
registrano 53,4 decibel. Con evidente beneficio per i residenti in prossimità
della A4. «È un progetto che dà risposte concrete ai cittadini, che ha seguito
più che un iter un percorso a ostacoli ma che, grazie alla sinergia fra
amministrazione comunale e Autovie è giunto finalmente a compimento», furono le
parole del sindaco Daniela Pallotta al via dei lavori, mirati ad assorbire il
rumore prodotto dal traffico, così da evitare che il suono venisse riflesso
dalla parte opposta. Il cantiere era stato aperto nel giugno del 2018.
Esattamente 24 mesi dopo, a inizio estate 2020, la conclusione di un'opera da
5,2 milioni di euro per quattro chilometri di barriere antirumore a costeggiare
l'autostrada fra il cavalcavia della Strada Regionale 55 e lo svincolo di
Sistiana: 2.950 metri proteggono la carreggiata in direzione Trieste e 900
quella in direzione Venezia per un totale di 18 mila metri quadrati. «Contenere
l'inquinamento acustico è un dovere della concessionaria», fanno sapere da
Autovie nel ricordare l'obbligo di legge di tutelare la salute dei cittadini che
abitano nei comuni limitrofi alla Trieste-Venezia. Lungo l'intera rete gestita
dalla società sono attualmente installati quasi 64 chilometri di barriere per
225 mila metri quadrati, infrastrutture posizionate sul ciglio autostradale che
garantiscono il rispetto dei limiti di rumore entro i 250 metri dal bordo della
carreggiata. Nei primi cento metri l'intensità del suono non deve superare i 70
decibel nelle ore diurne (6-22) e i 60 in quelle notturne (22-6), nei successivi
150 metri i paletti sono invece 65 e 55 decibel. Nel caso di ricettori sensibili
(scuole, ospedali e case di riposo) la soglia di rumore da non oltrepassare si
abbassa a 50 decibel diurni e 40 notturni. In prossimità di Duino, le barriere
fonoassorbenti poggiano su una struttura costituita da pilastri in calcestruzzo
armato ai quali sono agganciati pannelli acustici di due tipi. Sul lato strada,
la sorgente del rumore, sono montati pannelli metallici scatolari realizzati in
acciaio Corten contenenti un materassino fonoassorbente in fibra di poliestere;
sul lato campagna, ricettore del suono, sono stati invece previsti pannelli in
calcestruzzo con un rivestimento a vista in pietra che ricorda quella tipica di
Aurisina. Una scelta dettata dunque anche dalla necessità di inserire l'opera
nel territorio circostante, tutelato dalle norme paesaggistiche.
Marco Ballico
SEGNALAZIONI - Mobilità - Il progetto dell'ovovia non è da buttare
In questi giorni ho letto spesso di articoli contro l'ovovia, sempre le stesse persone che affermano pure che tutti i triestini sono contro. Vorrei precisare e segnalare che solamente "quattro gatti" in percentuale sono contro. Più precisamente o sono quelli che abitano nella zona interessata alla realizzazione o quelli che politicamente a mio avviso sono contro l'attuale giunta e che invece di collaborare e fare osservazioni positive (ad esempio la cabina sarebbe più bella verde anziché blu o si può ampliare e modificare il percorso proposto), per partito preso sono contro forse perché a giugno ci sono pure le elezioni e da fastidio oggettivamente vedere che la giunta attuale ha lavorato e sta lavorando molto bene. Per chi non conosce la materia, "dieci associazioni hanno scritto", così sembrano un "reggimento", per formare un'associazione bastano soli tre iscritti/soci. Premetto, che non desidero scrivere da professionista ma in questo caso da umile cittadino. Condivido infatti la premessa delle Associazioni, che riporta la decisione del Parlamento Europeo del'8 ottobre 2020 di ridurre le emissioni di gas con effetto serra entro il 2030. Condivido pure l'incremento e l'efficientamento del trasporto pubblico, con rapida transazione ai mezzi elettrici. Sono però fermamente contrario a quanto riportato dalle varie associazioni contro la realizzazione dell'ovovia. Viene riportato che il Comune spenderà 45 milioni di euro di fondi statali per un'ovovia, informazione completamente sbagliata e fuorviante almeno da quanto indicatoci ed a mia conoscenza, sono fondi europei e ci accede chi vince una gara europea per la mobilità. Quindi se il Comune di Trieste vince è gratis, sono fondi gratuiti, se perde, quei fondi vanno destinati ad altra città o altro Paese europeo. Vengono indicati disboscamenti: errato, l'ovovia passerebbe da una zona da poco ritornata a Trieste, oggi senza abitanti ed abbandonata in restauro, cioè il Porto vecchio ad Opicina Obelisco, dove ci sono pochi giardini, un bosco quasi abbandonato perché in forte pendenza e tantissime case perché zona quasi completamente edificata. Viene indicato "il numero irragionevole di rispetto e bisogni, dove vengono riportati circa 1500 pendolari", in realtà solo la popolazione di Opicina ne ha quasi 10.000, poi ci sono gli altri comuni limitrofi che potrebbero utilizzarla ed i cittadini che vivono in città e lavorano sull'altopiano. A questi, vanno poi aggiunti tutti i pendolari transfrontalieri della vicina e confinante Slovenia oltre a quelli della Croazia che lavorano in centro città a Trieste.Fatta la semplice somma matematica con i dati alla mano, i possibili quindi utenti italiani, senza turisti che l'ovovia sicuramente ne incrementerebbe il numero e senza i vicini cittadini di oltreconfine sarebbero oltre i 220.000. Se poi l'ovovia, in progetto, verrà addirittura prolungata sino a Prosecco servirà tutto il Carso ad ovest. Inoltre, da non dimenticare, sempre nei pressi vicino a Prosecco, nel Comune di Sgonico, c'è la Grotta Gigante attrattiva turistica non da poco. Dimenticavo, l'ovovia funziona ad elettricità quindi a basso inquinamento e consuma meno in rapporto di una nuova tipologia di tram perché il servizio è continuo oltre a non creare raggruppamenti di persone perché non è come un tram dove alla fermata bisogna aspettare l'arrivo della carrozza successiva che normalmente arriva dopo parecchi minuti!
Gianpaolo Penco
SEGNALAZIONI - Traffico - I bus "sismici" di via Mazzini
Abito in via Mazzini in un edificio ottocentesco, all'ultimo di cinque piani. La casa vibra quando passano gli autobus. Anche per le scosse sismiche in Croazia oscilla in modo preoccupante. Il problema però è che, da quando c'è il lockdown e il traffico si è molto ridotto, le centinaia di bus delle tante linee che passano su via Mazzini corrono all'impazzata e ciò crea vibrazioni ancora più forti del solito. Il risultato è che si ha la sensazione di vivere 24 ore su 24 dentro uno sciame sismico. Quali possono essere le conseguenze sulla sicurezza statica di questi edifici sottoposti alla sollecitazione di tali vibrazioni costanti?Penso che lungo tutta via Mazzini la velocità degli autobus debba essere ridotta drasticamente, visto anche l'alto numero d'incidenti.
Elisabetta d'Erme
IL PICCOLO - GIOVEDI', 7 gennaio 2021
La Butterfly di Pistoia porterà in Porto vecchio il Museo del mare -
Trasloco da 56 mila euro
«Butterfly Transport. La grande arte in movimento». Non capita tutti i
giorni di traslocare un intero museo. Sarà una ditta di Pistoia a trasferire il
Museo del mare da Campo Marzio al Porto vecchio, al terzo piano del Magazzino
26. Si tratta di una collocazione provvisoria in attesa di entrare a far parte,
assieme al Museo di storia naturale di via Cumano, del nuovo Museo del mare
disegnato dall'architetto spagnolo Guillermo Vázquez Consuegra che sarà
realizzato tra cinque anni (si spera) nell'ala sud del Magazzino 26. «Una tappa
propedeutica e tassello del futuro polo museale», si legge nella determina. Il
trasloco del Museo del mare, chiuso al pubblico dal primo aprile del 2019, è
stato affidato per la cifra di 56 mila euro alla Butterfly Transport di Pistoia.
L'azienda toscana, nata nel 2011, è specializzata nella movimentazione di opere
d'arte. Il trasloco è stato autorizzato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle
Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia in data 7 dicembre 2020. Le
collezioni di Campo Marzio si ricongiungeranno con le mostre del Museo del mare
presenti al Magazzino 26: "Pescatori si diventa" e "Lloyd Deposito a vista". Il
Magazzino 26 ospita già da tempo oltre 1.000 dei beni della collezione del Lloyd
Triestino. Per la collocazione provvisoria del Museo del mare è stata
individuata un'area di circa 2.000 metri quadrati al terzo piano dell'ala nord
del Magazzino 26. Il Museo del mare, fondato nel 1904, è, nel suo genere, uno
dei principali istituti del Mediterraneo: raccoglie e presenta sezioni di
diverso tipo, dalla storia della marineria in generale a aspetti fortemente
collegati con Trieste e la sua natura di porto dell'Impero Austriaco e
Austro-Ungarico con la presenza di figure di primo piano come Ressel e Marconi.
La Butterfly Transport di Pistoia dovrà traslocare anche un oggetto di piccole
dimensioni ma dal grande valore simbolico: il pulsante con cui il 26 marzo 1930,
alle 11.03, Guglielmo Marconi dalla nave Elettra ancorata a Genova invia il
segnale che accende le tremila lampadine del Municipio di Sydney a 14.000 miglia
di distanza.
Fa.Do.
San Dorligo, in arrivo 25 mila euro per la pulizia di boschi e sentieri
Contributo regionale per rimuovere i rifiuti lasciati dai migranti - Il
sindaco Klun: «Incaricherò la ditta A&T 2000 di Pasian di Prato»
SAN DORLIGO. Ammonta a 25 mila euro la somma che la Regione metterà a
disposizione dell'amministrazione di San Dorligo della Valle, per pulire
sentieri e boschi nelle frazioni di Caresana, Crociata e Prebenico del Comune
guidato dal sindaco Sandy Klun, dopo il transito dei migranti. «La promessa mi è
stata fatta dall'assessore regionale per la Sicurezza, Pierpaolo Roberti -
spiega Klun - nell'ambito di un recente colloquio, nel corso del quale ho
spiegato all'esponente della giunta regionale le gravi problematiche che si
generano nel nostro territorio, a causa del notevole e costante transito di
migranti'».San Dorligo della Valle, sia per la sua collocazione a ridosso del
confine con la Slovenia, sia per la conformazione del suo territorio, è il
Comune più esposto sotto questo profilo, al punto che lo stesso sindaco lo ha
definito «la porta aperta sulla rotta balcanica». Una delle conseguenze del
ciclico arrivo di migranti è rappresentata proprio dal fatto che sul terreno,
dopo il loro passaggio, si trova di tutto, dai capi di abbigliamento a residui
di cibi e bevande a effetti personali. «Non abbiamo i mezzi per sobbarcarci da
soli il lavoro di pulizia - aggiunge Klun - che prevede fra l'altro anche una
serie di accorgimenti indispensabili in tempi di Covid, perciò ci siamo rivolti
alla Regione e ben venga questo aiuto finanziario, che gireremo all'azienda che
svolge per noi il compito di asporto immondizie, la A&T 2000 spa di Pasian di
Prato». Nell'occasione, Roberti aveva anche alimentato una polemica, spiegando
che «la Regione non può accollarsi da sola l'onere della pulizia del territorio
dopo il transito del migranti, ma serve anche un sostanzioso contributo dello
Stato, perché il Friuli Venezia Giulia non può sobbarcarsi le conseguenze delle
scelte del governo sull'accoglienza». Spunto che ha provocato l'immediata
reazione della consigliera regionale del Movimento 5 Stelle, Ilaria Dal Zovo, la
quale ha ricordato che «in virtù di un recente emendamento, è stato istituito un
fondo di 5 milioni di euro il 2021, finalizzato all'erogazione di contributi a
favore dei Comuni che confinano con altri Paesi europei».
Ugo Salvini
Quell'isola di plastica e rifiuti che deturpa le acque della Drina
Decine di migliaia di metri cubi a ridosso di una diga in Bosnia. Ma non
è un caso isolato
Una enorme e inquietante "isola" artificiale, fatta di rifiuti e bottiglie
di plastica, che insudicia il grande fiume cantato da Ivo Andric e conferma
quanto siano gravi i problemi ambientali e d'inquinamento delle acque, polmoni
azzurri dell'intera regione. Accade nel cuore dei Balcani, tra Serbia e Bosnia,
dove da giorni hanno profondamente colpito e fatto discutere l'opinione pubblica
le immagini di enormi quantitativi di spazzatura che lordano la superficie del
fiume Drina, poco più a monte di Visegrad - la città bosniaca teatro del romanzo
epico "Il ponte sulla Drina" del premio Nobel Andric - storico centro a ridosso
della diga-centrale idroelettrica denominata Hidroelektrana Visegrad.Parliamo di
«decine di migliaia di metri cubi» di rifiuti, contenitori vuoti, bottiglie e
sacchetti di plastica, legname e immondizia varia che sono confluiti nell'area
di Visegrad trascinati da piccoli fiumi tributari della Drina - in particolare
il Lim - fiumi che scorrono in territorio serbo e montenegrino, ha riassunto il
portale specializzato Balkan Greeen Energy News. Ma da dove arrivano, quei
rifiuti? Con altissima probabilità si tratta di "scarti" di discariche illegali
che fioriscono sulle sponde del Lim, in Serbia e più a monte in varie parti del
Montenegro, finiti in acqua a causa delle forti piogge. Problemi simili sono
stati segnalati anche in altri fiumi, come la Praca, la Tara e la Piva e nel
bacino di Potpecko. I rifiuti poi vengono convogliati in gran parte nella Drina,
con effetti disastrosi come quelli osservati in questi giorni. «Non siamo
ottimisti» perché questi sono problemi che si ripresentano a scadenza annuale,
per risolvere i quali bisogna adoperarsi a rimuovere, almeno in parte, «alcune
decine di migliaia di metri cubi di rifiuti» che ostruiscono il flusso delle
acque, ha illustrato sconsolato il direttore della centrale di Visegrad,
Nedeljko Perisic.Il problema si ripete a intervalli regolari ed è
internazionale, visto che oltre alla Bosnia riguarda anche Serbia e Montenegro,
Stati che in anni recenti si erano incontrati per concordare di sciogliere una
volta per tutte il nodo immondizia scaricata nei fiumi, con esiti sconfortanti,
non solo d'immagine e per le acque della Drina. I rifiuti infatti, dopo essere
stati rimossi a ridosso della diga-centrale di Visegrad, vengono trasferiti in
discariche presso la città, provocando altri problemi ambientali. Lo scandalo
tuttavia non è un caso isolato né riguarda solo la Drina dalle (ex) acque verde
smeraldo. Analisi e studi, a più riprese, hanno infatti segnalato guasti
ambientali che interessano altri fiumi balcanici: quelli minori, minacciati da
centinaia di mini-centrali idroelettriche sorte come funghi negli ultimi anni; e
quelli maggiori, come la Sava avvelenata dagli antibiotici, il Crni Timok, il
canale Dtd, tra Vrbas e Novi Sad, e la Borska Reka, degradati da scarichi
selvaggi. O infine il maestoso Danubio, che soffre quando bagna Belgrado,
megalopoli che continua a sgravarsi delle sue acque reflue senza filtri e
depuratori. Senza alcun rispetto per il suo Dunav.
Stefano Giantin
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 gennaio 2021
Campane del vetro insonorizzate e a prova di perdita - installate da ACEGAS
Un aspetto sobrio e pulito, che meglio si inserisce nel contesto urbano,
oltre alla migliore funzionalità: si tratta delle nuove campane dedicate alla
raccolta di vetro e lattine comparse in una decina di isole ecologiche. Ampi
contenitori in acciaio zincato (capienza 3.000 litri) di color antracite scuro,
meno vistosi rispetto alle campane verdi. Sono dotati di un particolare sistema
di insonorizzazione e di un sistema antiperdite.
Scorie nucleari, è rivolta per i siti -
le zone prescelte
La Sogin annuncia le 67 località fra cui selezionare il deposito
nazionale e in 7 regioni scoppia il caos
Altro che zone rosse: in piena emergenza Covid un incubo ben peggiore per le
Regioni e le città italiane è quello di diventare zone radioattive, in quanto
deposito di scorie nucleari. La Sogin, società incaricata dello smantellamento
delle vecchie centrali atomiche e della gestione dei rifiuti radioattivi, ha
identificato, dopo un lunghissimo studio, 7 Regioni con 67 siti che sembrano
idonei per stabilità geologica, fra cui sceglierne uno soltanto, dove
convogliare tutte le scorie atomiche in una grande discarica nazionale; ma, come
si poteva immaginare, appena sono stati diffusi i nomi delle località candidate,
è scoppiata la rivolta. Le Regioni selezionate come potenzialmente idonee alla
costruzione del mega-deposito sono sette: Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia,
Basilicata, Sicilia e Sardegna e Sicilia. La Tavola generale allegata alla Cnapi
(Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del
deposito nazionale dei rifiuti radioattivi) rivela anche i singoli Comuni
interessati; non li citiamo tutti, limitandoci, a titolo di esempio, ai due
estremi d'Italia: nella Regione più a Nord, cioè il Piemonte, ce ne sono 8 (fra
cui 2 nel Torinese e 6 in provincia di Alessandria) mentre in Sicilia sono 4; in
mezzo il Lazio, che ne ha più di tutte (22), cioè quasi un terzo del totale.
Ovviamente il tema è delicato perché le scorie radioattive fanno (giustamente)
paura; ma tali scorie ormai esistono, anche se l'Italia ha spento da molti anni
le sue poche centrali nucleari; inoltre il nostro Paese continuerà ad
accumularne altre, derivati degli usi medici delle apparecchiature radianti. Al
momento tutti questi rifiuti vengono sistemati in depositi provvisori. Averne
invece uno solo, nazionale, aumenterebbe grandemente la sicurezza e la tutela
della salute pubblica, ma costruirlo non sarà facile, perché chiunque accetti di
ospitarlo sul suo territori avrebbe l'impressione di finire con il cerino acceso
fra le dita. Per allettare i destinatari sono previsti nella zona prescelta 900
milioni di investimento e 4000 mila posti di lavoro per 5 anni. Poi ci saranno,
a tempo indeterminato, la gestione ordinaria dell'impianto, oltre a quella di un
parco tecnologico. E di sicuro arriveranno sussidi pubblici supplementari. Per
adesso nessuno di questi argomenti fa breccia. Ad esempio - ma si potrebbero
trovare gli stessi concetti, espressi quasi con le stesse parole, in tutti gli
altri 66 Comuni - a Carmagnola (Torino) la sindaca Ivana Gaveglio insorge: «Non
siamo stati informati preventivamente. È una situazione assurda e siamo
determinati a dimostrare la non idoneità dell'area individuata e a proteggere il
territorio carmagnolese e i suoi abitanti. Lancio un appello a tutte le forze
politiche, associazioni di categoria e a tutti i cittadini di affiancarci in
questa battaglia». E in effetti è facile prevedere che non solo qui, ma anche
nel resto d'Italia si faccia muro, senza distinzioni di partito, contro
l'ipotesi di ospitare il deposito. Lo dimostrano le dichiarazioni di due
governatori di Regione di diversa tendenza politica. Il sardo Christian Solinas
respinge «ogni ipotesi di diventare pattumiera radioattiva nel centro del
Mediterraneo. Questo è un oltraggio di Stato e una scelta di sapore
neocoloniale». Per Michele Emiliano (Puglia) «non si possono imporre, ancora una
volta, scelte che rimandano al passato più buio, quello dell'assenza della
partecipazione e dell'umiliazione delle comunità».
Luigi Grassia
Produzione di energia sfruttando le maree in laguna - la tesi di uno studente
di Dolegna
MARANO LAGUNARE. Installare turbine per la generazione elettrica nella
laguna di Marano e Grado sfruttando le correnti di marea. È il tema della tesi
di laurea di Giorgio Casella, studente originario di Trieste residente a Dolegna
del Collio, appassionato di mare e ambiente, tanto da iscriversi alla facoltà di
ingegneria navale. La tematica ambientale gli è sempre stata molto a cuore e
così ha deciso di portare la sostenibilità ambientale di un sistema che ben
conosce, come quello della laguna di Grado, per la sua tesi di laurea. La sua
speranza è che gli spunti vengano colti e si investa anche su queste fonti di
energia per mantenere intatte le caratteristiche dell'ecosistema. La laguna di
Marano e Grado si estende per 160 km ed è un ambiente salmastro. L'apporto di
acqua dolce è dato dai fiumi Stella, Cormor, Zellina, Aussa-Corno, Natissa ed è
messa in comunicazione con il mare Adriatico tramite cinque bocche, dette bocche
tidali, da cui si estendono i canali che si ramificano in tutta la laguna. E da
ambiente ricco di biodiversità è da sempre studiato ai fini della sua
conservazione. L'Ismar di Venezia ha sviluppato un modello matematico in grado
di fornire velocità e direzione della corrente in ogni punto della laguna.
Grazie a queste informazioni si sono valutati i cinque punti con valori di
intensità di corrente maggiore, che si trovano sulle bocche tidali di Grado e
Lignano e in altre zone di canali principali. Dopo la simulazione di Ismar è
risultato che la bocca tidale di Grado e di Lignano producono rispettivamente
2.010 kWh/anno e 1.425 kWh/anno (il sito di Grado potrebbe soddisfare il
fabbisogno di una famiglia di due persone). La volontà dello studio è quella di
pensare anche a una mobilità senza emissioni all'interno della laguna,
integrando fonte di produzione e di ricarica.
F.A.
IL PICCOLO - MARTEDI', 5 gennaio 2021
Viale monumentale e parco archeologico per collegare Porto vecchio e centro
città
Ipotizzata dal Comune la realizzazione di due nuovi assi viari attraverso
l'antico scalo. Prevista una spesa di 40 milioni
Un viale monumentale, un percorso pedonale da Barcola al centro, cinque
edifici fatiscenti da recuperare. Se il Recovery Fund dovesse infine aprire il
cassetto dei sogni del Comune per il Porto vecchio, agli uffici dell'ente non
mancheranno certo progetti da fare. La relazione inviata a Roma dal Comune,
contenente sette proposte per un totale di 67 milioni, deve aver convinto gli
uffici del ministero della Cultura: come anticipato su queste pagine, il Porto
vecchio figura al secondo posto dei nove interventi su «grandi attrattori»
turistici e culturali inseriti dal Mibact tra le richieste del governo per il
Recovery Fund. Il testo, se approvato, destinerà alla voce nel suo complesso 890
milioni, anche se è ancora ignota l'entità del riparto triestino e in che misura
vada a esaudire le richieste. A quale punto di elaborazione sono le sette
proposte che l'ente ha inviato al Ministero? La relazione, spiega il direttore
dipartimentale Giulio Bernetti, si basa su altrettanti studi di fattibilità
prodotti dagli uffici, che dello sviluppo dell'area si occupano ormai da diversi
anni. Se il finanziamento dovesse venir stanziato, conferma Bernetti, si farebbe
sentire il problema di carenza di personale in fase di progettazione, antico
cruccio degli enti. Veniamo alle proposte nel dettaglio. La relazione parla di
un "Viale monumentale" (19 milioni): collegherebbe Magazzino 26 a piazza Duca
degli Abruzzi, creando una nuova arteria cittadina e urbanizzando di fatto buona
parte del Porto vecchio: «Una parte minoritaria del percorso sarà riservata alla
carreggiata stradale - scrivono gli uffici - mentre la maggior parte della
sezione degli edifici sarà dedicata a un percorso pedonale». Sono previsti spazi
verdi, ma il viale non sarà alberato, precisa Bernetti, per tutelare la
visibilità del Faro della vittoria e del castello di San Giusto ai due estremi
dell'asse stradale. Vale invece 21 milioni il "Parco lineare verde di
archeologia industriale dal Terrapieno di Barcola al centro storico". Cos'è? Un
lungo parco «pedonale e ciclabile - si legge - che ospiterà aree verdi
diversificate a seconda della specifica vocazione della zona (laboratorio
didattico/scientifico, area di sosta pedonale, area sportiva) e della
destinazione d'uso degli edifici presenti». La parte nord del parco avrà una
destinazione sportiva, mentre la parte sud, più "urbana", sarà decorata con
elementi storici del porto («bitte, particolari di meccanismi di sollevamento,
trasporto merci, statue eccetera»).La relazione elenca poi cinque strutture da
restaurare (per il magazzino 20 vedi a destra). Son previsti lavori da 3 milioni
per il magazzino 19, l'ultimo palazzo prima della curva dopo il rettilineo,
entrando nello scalo da sud: «Le facciate esterne risultano fortemente
ammalorate così come i serramenti e tutti gli elementi costruttivi metallici».
Altri tre milioni vanno ai varchi monumentali vicino a piazza Libertà: «Il
progetto prevede l'esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria e
restauro della quanta architettonica, volti a ripristinarne l'aspetto
originario». Prevista anche l'illuminazione decorativa. Due milioni servono
invece all'ex locanda Zaninovich, edificio novecentesco di valore, già colpito
da un incendio nel dicembre passato. Previsto anche il recupero del verde
circostante. Sono 5 infine i milioni chiesti per l'ex rimessa locomotive,
l'ultimo deposito ferroviario asburgico rimasto a Trieste.
Giovanni Tomasin
E la Soprintendenza punta a un nuovo centro servizi dentro al Magazzino 20,
per farne un archivio e un luogo di conservazione
Spazi espositivi e didattici, ma anche un laboratorio di restauro. Vale 20
milioni di euro il progetto per un nuovo centro servizi della Soprintendenza da
collocarsi al Magazzino 20, inserito tra le proposte inviate dal Comune al
governo per richiesta di finanziamento per il Recovery Fund.Non a caso gli enti
attuatori individuati dal piano di rilancio di Roma per il Porto vecchio sono
proprio il Comune e la Soprintendenza. Spiega la Soprintendente Simonetta Bonomi:
«L'idea è realizzare un centro servizi, per il quale il ministero ha già
stanziato nel 2018 un milione e 350 mila euro». L'annuncio delle trattative con
il Comune era stato fatto tre anni fa: gli uffici dei due enti si sono
confrontati sullo strumento migliore da adottare per la cessione del magazzino,
e il Comune ha optato per una concessione triennale in comodato d'uso, la più
comoda per la Soprintendenza. Quali saranno le finalità dell'edificio? Spiega
Bonomi: «L'idea non è farne una nuova sede della Soprintendenza, ma un luogo di
conservazione, archiviazione ma anche di esposizione. Ci sono bellissimi spazi
per mostre temporanee. Faremo dei laboratori di restauro e dei luoghi di
conservazione intesi nel senso più ampio moderno del termine».La Soprintendenza
ha assegnato gli incarichi di rilievo e di verifica sismica, con l'anno nuovo,
dice la soprintendente, «saranno affidati i servizi di progettazione». Aggiunge
Bonomi: «Se ora arriveranno i fondi del Recovery Fund, ben venga». Tempistiche?
«Se andasse tutto bene mi piacerebbe iniziare il cantiere in autunno - conclude
la soprintendente -. È un desiderio per ora, non è una certezza».Nella relazione
del Comune, si legge a proposito dell'edificio, che sta allineato al più noto
magazzino 18: «Riveste particolare interesse dal punto di vista strutturale
perché su di esso venne sperimentato il sistema delle Einbetonierte Eisensäulen
(profilati di ferro annegati nel calcestruzzo) proposto dal Politecnico di
Vienna». Allo stato attuale, si legge, il magazzino versa in uno stato di
conservazione «mediocre, in alcuni punti pessimo», pur essendo accessibile in
tutte le sue parti. L'intervento prevede «la ristrutturazione completa
dell'edificio nel rispetto delle sue caratteristiche architettoniche e
strutturali originali, prevedendo opere edili e impiantistiche».
G.Tom.
Blitz anti Ogm a Vivaro - Archiviate le accuse a carico degli attivisti -
coinvolti anche alcuni triestini
Correva l'anno 2014, per la precisione era il 24 giugno, quando decine di
attivisti calarono a Vivaro per manifestare e alcuni, mascherati e in tuta
bianca, per distruggere il campo di mais coltivato a Ogm dall'agronomo di Arba
Giorgio Fidenato mentre altri li attendevano alle auto. Tre testimoni
assistettero al blitz. Sei anni dopo l'indagine della polizia, a carico di 45
soggetti residenti nelle province di Trieste, Vicenza, Verona, Padova, Lecco,
Treviso, Cuneo, Venezia, si è chiusa con un'archiviazione. Così ha disposto il
gip Rodolfo Piccin. L'imprenditore agricolo, assistito dall'avvocato Giovanni
Martorana, si era opposto due volte alla chiusura del caso. La Questura di
Pordenone, il 20 febbraio 2017, aveva ritenuto di aver individuato i
partecipanti alla distruzione del campo. Gli investigatori si erano concentrati
sui soggetti noti per il loro attivismo in materia di Ogm che erano stati
fotografati lungo le strade e ai caselli autostradali il 24 giugno, in
prossimità del luogo del danneggiamento. Il pm aveva chiesto una prima volta
l'archiviazione, osservando che il danneggiamento fosse pacifico ma non fosse
possibile provare il coinvolgimento degli indagati. Non c'era stato un
riconoscimento fotografico degli autori, non era stata fatta una verifica sulle
utenze agganciate alle celle telefoniche. Il pm aveva inoltre osservato che non
era possibile distinguere fra chi aveva manifestato pacificamente e chi invece
aveva distrutto il campo. Uno dei testimoni aveva riconosciuto l'ex consigliere
regionale Alessandro Metz, ma non aveva precisato se fosse uscito dal campo o
fosse vicino alle auto. Il 23 aprile Fidenato si era opposto all'archiviazione.
Il giudice aveva disposto un'indagine integrativa, chiedendo ai testimoni se
fossero in grado di riconoscere gli autori del danneggiamento: avevano però
risposto di non essere in grado. Fidenato si era nuovamente opposto
all'archiviazione. Il gip Piccin ha osservato alla fine come non sia possibile
attribuire le condotte illecite a taluno dei partecipanti, ma solo provare la
presenza di qualcuno di loro sul luogo e al momento della manifestazione.
Dalmazia del Sud - Esperti in allarme per un'alga invasiva
Segnalata per la prima volta in Adriatico nel 2008, è comparsa nell'area
di Ragusa
Ancora un'insidia, e non di poco conto, per le acque croate dell'Adriatico
già messe a dura prova da inquinamento, pesca indiscriminata e specie alloctone,
sia vegetali che animali. È di pochi giorni fa l'allarme lanciato dagli esperti
dell'Istituto spalatino di Oceanografia e Pesca, che hanno registrato la
proliferazione accentuata di un'alga invasiva, la Acrothamnion preissii (non ha
un nome italiano), la cui espansione ha toccato i fondali della Dalmazia
meridionale, quelli intorno a Ragusa (Dubrovnik).«Purtroppo questo minuscolo
vegetale sta attaccando le praterie di poseidonia, tra i 5 e i 20 metri di
profondità - ha spiegato Ante Zuljevic, dottore in Scienze naturali, che lavora
al Laboratorio Izor di Spalato - la sua presenza soffoca la posidonia e tutti
gli altri vegetali autoctoni, rappresentando un grave pericolo per la
biodiversità dell'area in cui appare. La Acrothamnion preissii, probabilmente
nativa di acque indopacifiche, è ospite del Mediterraneo già da una cinquantina
d' anni, ma in Adriatico è stata segnalata per la prima volta nel 2008. Negli
ultimi tempi - ha aggiunto lo studioso - abbiamo assistito a una diffusione
quasi esponenziale, che ci preoccupa molto. In questo momento possiamo solo
monitorare il fenomeno in quanto risulta impossibile rimuovere questa alga quasi
microscopica: una creatura che impedisce agli altri vegetali di vivere, come
succedeva fino a qualche anno fa con le alghe Caulerpa taxifolia e racemosa». Il
biologo marino Ivan Cvitkovic, dello stesso laboratorio di Spalato, ha detto che
«si ha ragione di credere che l'alga sia stata introdotta nel Mediterraneo da
qualche grossa nave, con la prima segnalazione avvenuta nel porto di Livorno. È
una specie che si riproduce in modo alquanto veloce, creando problemi alle
biocenosi dei fondali. Purtroppo negli ultimi decenni, e mi riferisco al
Mediterraneo, non sono stati condotti studi approfonditi sulla sua presenza e il
relativo impatto sull'ambiente».Il fatto che si fissi sui rizomi della Posidonia
oceanica, come nelle acque ragusee, non è una buona notizia poiché parliamo di
una specie (la posidonia) estremamente importante per l'ecosistema adriatico e
mediterraneo, che ospita 400 specie vegetali e un migliaio di quelle animali.
Zuljevic ha rivelato che la Acrothamnion preissii è stata notata pure sui
fondali dell'isola di Meleda e dell'arcipelago delle Incoronate: «La nostra
speranza, come verificatosi per la Caulerpa, è che si ritiri progressivamente.
Ma non abbiamo certezze», ha concluso.
a.m.
IL FATTO QUOTIDIANO - LUNEDI', 4 gennaio 2021
Gas e petrolio, in Italia torna trivella continua. Col mancato stop nel Milleproroghe ripartono gli iter bloccati 2 anni fa.
Sono a rischio quasi tutte le coste italiane. Il 2021 è l’anno delle trivelle? Almeno 90 richieste in attesa. Una contraddizione rispetto al “green deal” cui orientare i fondi Ue
La transizione verde dell’Italia potrebbe dover aspettare ancora, nonostante i buoni propositi di cui sono pieni i progetti per il Recovery Fund: mettendo per un attimo da parte le intenzioni e analizzando lo stato delle cose in questo momento ad agosto potrebbero essere almeno 90 i permessi per la ricerca di idrocarburi che potranno riprendere il loro cammino verso l’approvazione dopo due anni di stop. Molte sono nell’Adriatico, tra Marche e Abruzzo, altre in Sicilia magari vicinissime a Pantelleria e Favignana. Poi in Calabria, in Salento e fino a Santa Maria di Leuca. Più di cinquanta sono quelli per la terraferma. Nonostante il tentativo appoggiato da due ministri (Sviluppo Economico e Ambiente) di inserire nel prossimo Milleproroghe una moratoria totale sulle trivelle, la bocciatura arrivata a provare l’assenza di un accordo politico (Italia Viva e il centrodestra i principali oppositori) non fa presagire una svolta rapida. Nei giorni scorsi il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, ha però rassicurato: se l’Italia sposa davvero il cambiamento, non ci saranno nuove trivelle. L’idea è infilare la moratoria in una norma a gennaio.
L’ORIGINE DELLA MORATORIA.
Nel 2018, il decreto semplificazioni aveva introdotto la sospensione dell’iter per i permessi di ricerca e di prospezione per 18 mesi (inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale) in attesa della stesura del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI), ovvero una mappatura dell’Italia che tenendo conto del territorio stabilisse dove e se fosse possibile trivellare. Il via libera sarebbe stato rilasciato solo se le istanze fossero ricadute in quei territori. Dopo due anni, però, il piano manca, i lavori sono ancora nelle primissime fasi, complice anche la speranza che l’Italia della transizione energetica non ne avesse davvero più bisogno. La mappa d e i permessi in attesa non risparmia nessun angolo della penisola. Le richieste pendenti in mare sono per lo più concentrate tra l’Adriatico e il Canale di Sicilia: basta consultare le mappe del Mise per avere chiara la situazione. C’è l’inglese Northern Petroleum con circa 300 km quadrati di fronte a Gela. Accanto Pantelleria è la società piemontese Audax Energy Aad a chiedere di svolgere ricerche in un area di circa 350 km quadrati. Tra Puglia (adriatica), Calabria e Basilicata (Ionio) sono almeno otto le richieste di rircerca in mare: Aleanna Italia, Eni, Global Petroleum e la Northern Petroleum vogliono perforare per non meno di 740 chilometri a testa per ogni richiesta. La situazione non migliora risalendo l’Adriatico, anzi: coste abruzzesi, marchigiane e romagnole sono al centro delle richieste. Così come sulla terraferma: Rockhopper e altre vogliono trivellare tra Isernia, Campobasso e Chieti; l’Eni a Potenza; Aleanna Italia nel bolognese, la Delta Energy tra Sannio e Irpinia. E si potrebbe proseguire ancora a lungo. Abbiamo chiesto al Mise come sia cambiato l’assetto della presenza dei petrolieri in Italia nell’ultimo anno, ma al momento non abbiamo ancora ricevuto risposta. Quello che si sa è che a dicembre dello scorso anno - seppur con qualche mese di ritardo - è scattato l’aumento dei canoni concessori, sia per la coltivazione che per lo stoccaggio. Una delle maggiori conseguenze è stata la riduzione dell’estensione delle aree di ricerca e coltivazione. Il decreto di febbraio prevedeva infatti che per queste zone le aziende dovessero corrispondere 1.481 euro per chilometro quadrato per la concessione di coltivazione (prima era di 59 euro), 2.221 per chilometro quadrato per la concessione di coltivazione in proroga (invece di 88 euro) con maggiori entrate per il bilancio dello stato previste “nell ’ordine di circa 16 milioni di euro per l’anno 2019 e 28 milioni per ciascuno degli anni successivi ” secondo la relazione tecnica che identificava in queste maggiori entrate, la fonte di risarcimento per tutte le eventuali cause e richieste di risarcimento qualora aree già produttive dovessero rientrare in quelle indicate dal piano come non idonee alla coltivazione di idrocarburi. Soldi che sarebbero fondamentali se si dovesse procedere davvero con uno stop totale ma di cui non si conosce l’entità. Sono invece stati almeno 45, a inizio dell’anno, i decreti di riduzione delle aree di concessione di coltivazione di idrocarburi sia on - shore , sia offshore . Gli interessi petroliferi nel Mediterraneo sono alti. Le attività, secondo la Confindustria Energia, nel 2018 ha generato un valore aggiunto di oltre 3 miliardi di euro impiegando circa 30 mila addetti. E nei prossimi quindici anni, prima che mutasse lo scenario a causa del Covid e degli impegni legati ai fondi che dovranno arrivare, erano previsti investimenti di almeno 10 miliardi che, come raccontiamo nell’articolo accanto, potrebbero star cambiando volto.
IL FUTURO PROSSIMO.
Intanto, si mira ad ottenere almeno una proroga. La scorsa settimana un deputato del Movimento 5 Stelle in commissione Ambiente, Giovanni Vianello, ha annunciato un emendamento per prorogare il PiTESAI e per bloccare in maniera definitiva tutte le nuove trivelle e gli air gun . Potrebbe essere la battaglia finale del Movimento e di certo nel corso del 2021 tornerà ad essere un tema politico centrale: “Così - ha spiegato Vianello - il ministero dell’A mbiente avrà la possibilità di completare la VAS e la Conferenza unificata avrà il tempo utile per siglare l’intesa, e inoltre predisporremo lo stop a tutte le nuove trivelle e air gun”. La battaglia è solo all’inizio.
Virginia Della Sala
E i colossi lasciano ai “piccoli” arrembanti: ecco il caso Energean
Accadono strane cose nel Mediterraneo. A parole tutti dipingono le trivelle come un settore vitale. Eppure i big lo considerano morente o dannoso per l’immagine e lasciano il campo a nuove società arrembanti. È il caso di Edison: il colosso francese, tra i maggiori produttori offshore della penisola, ha deciso di vendere i suoi titoli minerari italiani a una società inglese che qui vuole fare buoni affari. Gran parte delle concessioni sono però in scadenza e serviranno ingenti costi di bonifica dei siti, mentre il settore è in bilico. E infatti, attraverso il Sole 24 Ore, l’acquirente, Energean - che per fare l'operazione ha costituito una società cipriota – ha subito chiesto garanzie al governo: non ha fatto un’operazione da 284 milioni per nulla, il sottotesto, e per questo garantisce l’occupazione “almeno per 18 mesi”, poi si vedrà. Tutti i soggetti rassicurano sulla bontà dell’operazione, ma ci sono nodi critici. Il primo a identificarli è il ministero dello Sviluppo Economico, stando ai documenti consultati dal Fatto . “Il portafoglio titoli di Edison E&P presenta un numero considerevole di titoli maturi, con prospettive significative di esborsi per dismissione e ripristino a terra e a mare – spiegava a marzo il dg della Direzione Attività minerarie (Unmig), dando l’ok condizionato all’acquisizione -. Sia la società sia la controllante si impegnano a portare a termine queste attività almeno per il periodo 2020-2024”. La ces sione, quindi, viene autorizzata ma col vincolo di garantire le dismissioni ed evitare azioni che riducano la capacità aziendale. Energean, infatti, già “presenta capacità tecnica significativamente inferiore a quella di Edison E&P”. Il suo maggior asset è “il campo di Karish (offshore di gas in Israele da 68 miliardi di metri cubi) i cui cronoprogrammi consegnati prevedono una produzione con first gas nel primo quadrimestre del 2021”. Tra le prescrizioni delMise c’è quella di comunicare subito eventuali ritardi. Che, peraltro, sembrano essersi verificati. Al Fatto Energean spiega che la produzione partirà nell’ultimo trimestre 2021: “Siamo sulla buona strada per portare Karish in funzione entro tale data. Tuttavia, qualsiasi ritardo può essere risolto senza impatto rilevante sull'attività”. L’operazione si è chiusa nei giorni scorsi. Le concessioni italiane sono 53, concentrate soprattutto tra Abruzzo, Marche e Sicilia. Di queste, solo tre sono al 100% di Edison, le altre in condivisione. Il diamante è la piattaforma Vega, a largo di Scicli, di cui Edison ha il 60%, il resto è di Eni. È qui che si punta a fare più ricavi: “Se Eni non vuole continuare, Energean è qui per discutere con loro sul futuro delle licenze”, spiegano dal gruppo, che vuole raddoppiare il giacimento, anche se poche settimane fa il Comune di Scicli su Vega ha chiesto il pagamento di 89 milioni di Imu e Tasi arretrate. L’operazione ha ottenuto anche l'ok dei sindacati: “Siamo in fase di transizione energetica - ci spiega un sindacalista - Per noi è importante ottenere le massime tutele per i lavoratori ”. Chi è nel settore ci spiega che le grosse oil company stanno diversificando e che nel mondo ci sono molte aziende che “mettono insieme quattro- cinque investimenti, soprattutto su società che sono in crisi di liquidità, per spremerle e spremerne le riserve. Poi passano oltre. Il rischio è che si lascino dietro relitti che toccherà poi ad altri bonificare”. Energean si sta espandendo, ha fatturato nel 2019 79 milioni di dollari e, spiegano dal Mise, ha licenze in Israele e Grecia occidentale e per sfatare ogni sospetto ha dichiarato di voler utilizzare le strutture italiane di Edison come centro di gestione e sviluppo di tutte le altre attività nel Mediterraneo. L’azienda, quotata alle Borse di Londra e Tel Aviv, spiega al Fat - to che intende investire in questi asset per “miglio - rarne l’efficienza”e“prolungarne la vita produttiva”e assicura di avere gli strumenti finanziari per assolvere ai doveri di dismissione. Non è chiaro, però, perché ha costituito una controllata di diritto cipriota per rilevare Edison E&P. Intanto, ha dovuto rinunciare agli asset algerini e norvegesi di Edison perchè “l’autorizzazione normativa sarebbe stata protratta”. L’operazione, comunque, non deve essere stata facile. Tanto che Edison a maggio ha assoldato come consulente Franco Terlizzese, l’ex dg della direzione Unmig del ministero che aveva espresso parere favorevole (è in pensione da fine 2018). Il contratto - 60 mila euro l’anno, esclusi benefit e rimborsi, più 20 mila di “success fee”- prevedeva, tra le altre cose, assistenza tecnico legale per predisporre i documenti necessari a ottenere il via libera del Mise a trasferire i titoli minerari alla controllata Edison E&P. Abbiamo chiesto spiegazioni al Mise, che risponde di aver “accertato che il contratto... su iniziativa dello stesso Terlizzese è stato risolto consensualmente il 6 luglio 2020 con effetto retroattivo dalla data di decorrenza, e quindi esso è nullo e privo di effetti”. In ogni caso, il Mise “ha segnalato tale fatto all’Autorità anticorruzione”.
Carlo Di Foggia e Virginia Della Sala
COSA C'E' DA SAPERE. L’operazione (in perdita) e i paletti fissati dal Mise - L’accordo tra i 2 gruppi
Nei giorni scorsi Edison (controllata dai francesi di Edf) ha ceduto per 284 milioni i suoi titoli minerari italiani a Energean, gruppo quotato a Londra e Tel Aviv, che ha costituito una controllata cipriota. Il Mise ha segnalato che in gran parte si tratta di titoli “maturi” che necessitano di ingenti costi di dismissione e ripristino dei siti ma Energean ha fornito garanzie adeguate. La cessione è avvenuta in forte perdita per Edison, che ha svalutato per 460 milioni la controllata Edison E&P
IL PICCOLO - LUNEDI', 4 gennaio 2021
«Tutti hanno ricevuto la stessa dotazione di sacchetti per i rifiuti» - botta
e risposta a Muggia sulla differenziata
Muggia. Il 2020 amministrativo del Comune di Muggia si chiude con
un'interrogazione presentata all'ultimo Consiglio comunale dello scorso 29
dicembre, relativa alla fornitura e distribuzione dei sacchi differenziati per
la raccolta e il conferimento della nettezza urbana. È stata la consigliera
civica di "Meio Muja" , Roberta Tarlao, a chiedere lumi all'assessore comunale
all'Ambiente Laura Litteri. Oggetto del contendere il quantitativo di sacchi
consegnati nel centro storico della città rivierasca. L'assessore Litteri ha
risposto che «tutti hanno ricevuto 52 sacchi per plastica, 52 per carta e 104
per secco residuo», gli stessi distribuiti fuori dalla cerchia muraria tranne
che per il secco residuo, che sono 52 anziché 104.La prossima fornitura, sempre
a detta dell'assessore all'Ambiente, «sarà effettuata tra un anno».
Relativamente al nome della ditta incaricata della distribuzione, l'assessore
Litteri ha informato che «si tratta della Work Service srl con un costo per la
distribuzione sull'intero territorio comunale pari a 7 mila 390 euro, iva
esclusa». Litteri ha poi evidenziato che le modalità di distribuzione dei sacchi
«sono diverse tra il centro storico e le aree esterne allo stesso». Tarlao ha
inoltre chiesto ragguagli sulla gestione dei sacchi non ritirati per
conferimento non corretto e segnalati da appositi bollino giallo e sugli
eventuali costi aggiuntivi a carico della collettività. Domanda a cui Litteri ha
risposto ricordando che «è la persona che ha depositato il sacco a doverlo
ritirare, e qualora non lo facesse, quando possibile, si può agire nei suoi
confronti. In caso contrario il sacco viene prelevato nella giornata successiva
dagli operatori addetti alla raccolta, senza l'applicazione di costi
aggiuntivi».
L.P.
IL PICCOLO - DOMENICA, 3 gennaio 2021
Via al cambio di rotta su palazzo Carciotti: concessione o affitto
Il Comune, dopo quattro aste senza esito, punta sull'affidamento
pluridecennale dell'edificio neoclassico. Ipotesi hotel, con negozi al
pianterreno, residenze o uffici
C'è una nuova chance per palazzo Carciotti. L'aggiornato piano delle
alienazioni che la giunta comunale licenzierà nella seduta di giovedì prossimo,
per lo splendido edificio neoclassico progettato dall'architetto Matteo Pertsch
prevede, oltre alla vendita, anche la possibilità della messa sul mercato con
una concessione che consenta, di fatto, di dare in uso l'intero imponente
immobile per decenni, mantenendolo nel contempo nel patrimonio
dell'amministrazione. Una soluzione sul piatto potrebbe essere anche quella
della locazione diretta, ma certamente più complessa da strutturare
contrattualmente, con ingranaggi non facili da incastrare come quelli delle
spese straordinarie che dovrebbero far capo alla proprietà. Nel giro di alcuni
mesi verrà indetto un avviso per raccogliere eventuali manifestazioni di
interesse. Poi, «perfezioneremo una formula contrattuale a seconda delle
proposte progettuali che ci verranno sottoposte - precisa l'assessore al
Patrimonio Lorenzo Giorgi -. In questo modo - continua - il Comune manterrebbe
la proprietà dell'immobile, dandolo in concessione per 50 o 90 anni.
Un'operazione che alla fine porterebbe nelle casse dell'amministrazione più di
quanto si potrebbe ricavare dalla vendita, valutando che allo scadere della
concessione, l'immobile riqualificato assumerebbe un valore decisamente
superiore a quello attuale». Nel piano delle alienazioni, la stessa possibilità
verrebbe allargata anche agli altri immobili del Comune oggi sul mercato. La
proposta avanzata da Giorgi per il Carciotti, avvallata dal sindaco Roberto
Dipiazza, entra in campo dopo quattro vani tentativi di vendita all'asta,
malgrado con il passare degli anni la base di partenza si sia notevolmente
ridotta. Nessuna proposta di acquisto alla prima battuta d'asta nel settembre
del 2018, quando il Carciotti era quotato 22,7 milioni di euro, e neppure alla
seconda a 19,9 milioni. Al terzo tentativo, l'austriaco Gehrard Fleissner
presentò sì l'offerta ma auto-riducendo la cauzione da un milione e mezzo a 155
mila euro. Per cui, dal punto di vista formale, l'asta si tenne ma senza
aggiudicazione. Lo scorso febbraio, l'ultimo tentativo d'asta partiva da una
base di 14,9 milioni di euro. E non c'è stato un seguito nemmeno all'interesse
manifestato la scorsa primavera da Invimit, la controllata dal ministero
dell'Economia che aveva chiesto il congelamento di eventuali trattative per
poter presentare una proposta a settembre. Un'impasse che ha spinto il Comune a
esplorare una collocazione alternativa sul mercato, «resa ora più appetibile -
spiega Giorgi - anche dal nuovo Piano del centro storico, che consente soluzioni
che semplificano il restauro anche del Carciotti, ovviamente sempre nel rispetto
dei vincoli posti dalla Soprintendenza». In pratica, una società interessata a
realizzare e gestire in quell'immobile una struttura alberghiera, dedicando poi
la parte che si affaccia su via Cassa di Risparmio a uso residenziale o a uffici
di rappresentanza, e il piano terra a locali commerciali, potrebbe investire nel
restauro, pagare un canone annuale, e mantenere la disponibilità del palazzo per
metà secolo o più. L'immobile necessita di profondi lavori di ristrutturazione.
«Sono certo che in questo modo l'immobile riscontrerà l'interesse di qualche
gruppo - assicura l'assessore - perché negli ultimi anni diverse cordate si sono
fatte avanti avanzando soluzioni di questo tipo, ma la decisione che prevedeva
solo la vendita del bene non mi consentiva di prenderle in considerazione».
Laura Tonero
Dal vecchio macello all'ex ospizio in Carso, l'elenco dei "gioielli" a caccia
di compratori
Nella lista dei beni municipali da anni in attesa di acquirenti figurano
anche residenze storiche e spazi industriali ora usati come bivacchi
Alcuni sono destinati a vivere piccole rivoluzioni nel 2021. Per altri il
futuro non prevede ancora una svolta. Per altri ancora, invece, si annunciano
novità, che al momento restano top secret. Il panorama dei beni dismessi di
proprietà del Comune è ampio e qualche fabbricato potrebbe uscire dall'oblio e
dal degrado nei prossimi mesi. Una delle novità più importanti riguarda la
grande casa di riposo Don Marzari, a Borgo San Nazario, chiusa dal 2007, che nel
2021 andrà all'asta come annunciano dal Comune. Risolti dagli uffici alcuni
problemi urbanistici, il grande comprensorio sarà messo in vendita e pare che di
recente abbia già attirato l'attenzione di qualche potenziale acquirente. Negli
anni scorsi è stato più volte preso di mira dai vandali che, in un'occasione,
hanno rubato pure i caloriferi. La palazzina ha quattro piani, compreso un
seminterrato, per complessivi 15 mila metri quadrati, in aggiunta a un parco di
5 mila metri quadrati. Il prezzo dovrebbe superare abbondantemente il milione di
euro. Si apre uno spiraglio per un cambiamento anche all'ex mensa Crda di via
Carli, che apparteneva all'ex fabbrica macchine, ferma dal 1971. L'attuale
palazzo, unico rimasto in piedi, concluso nel 1958 e nato per ospitare duemila
operai, conta su cinque piani e una piccola area scoperta. Da qualche settimana
ci sarebbe un progetto in piedi, che dovrebbe prendere forma nel 2021 ma che il
Comune per ora non intende rivelare. Che sia connesso alla futura cittadella
dello sport che dovrebbe sorgerà a pochi metri in via Locchi? Bocche cucite al
momento, ma qualcosa si starebbe muovendo. Nel frattempo nei mesi scorsi l'area
è stata bonificata dopo anni: ripulito anche il verde e sono stati rimossi i
rifiuti accumulati nel tempo all'esterno. Continuerà a ospitare gli allenamenti
di softair e le esercitazioni dei cani impegnati nel servizi di soccorso l'ex
Macello di Aquilinia, a Muggia, ma di proprietà del Comune di Trieste.
Abbandonato da anni, occupa una superficie complessiva di oltre 7 mila metri
quadrati, divisi tra edifici e spazi all'aperto. Messo all'asta varie volte, la
prima nel 2007, per un prezzo di oltre 2 milioni di euro, scesi negli anni
seguenti, non è mai stato acquistato. Proprio per la difficoltà di vendita del
comprensorio, dal Municipio non escludono di pensare ad altre formule, come
quelle ora ipotizzate per palazzo Carciotti. Ci sono poi le residenze storiche.
Per Villa Stavropulos il Comune intende tornare alla carica nel 2021, nel
tentativo di togliere quella clausola presente nel lascito, che blinda un
possibile riutilizzo della dimora da sempre, da quando è stata donata
all'amministrazione locale dall'omonimo mecenate greco nel 1960, con precise
volontà testamentarie. Anche qui, tra l'altro, i vandali sono entrati negli anni
scorsi, fortunatamente senza provocare troppi danni. Per Villa Haggincosta
invece, l'assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi aveva proposto una vendita,
bocciata poi dal Consiglio comunale. E poi ci sono altri beni abbandonati,
alcuni anche molto grandi, per i quali l'anno da poco iniziato non prevede
nessun tipo di cambiamento. È il caso di Villa Engelman, nel parco di via
Chiadino, bloccata da vincoli e da mancate manutenzioni che si protraggono da
decenni, fino a ridurla a un colabrodo, tra le finestre cadute, il tetto
collassato, i muri sgretolati, colpita anche dalle fiamme nel 2013. Impossibile,
secondo il Comune, pensare a qualsiasi tipo di intervento. E infine le scuole
dismesse e dimenticate da anni, abbandonate spesso dopo incendi che le hanno
rese inagibili, come accaduto per la Kajuh di Gropada, circondata da un grande
giardino, o la Suppan-Levstik di Santa Croce, sulla strada provinciale, ormai
quasi completamente crollata, e ancora l'edificio scolastico di via Fianona, a
più riprese sgomberato a causa di bivacchi all'interno, che un tempo ospitava le
aule della Jakob Ukmar e della Gregoric Stepancic. Nessuna possibilità di
intervento per queste palazzine perché, ricorda il Comune, le scuole non sono
alienabili.
Micol Brusaferro
Demanio - Il nodo caserme
Non è solo il Comune a fare i conti con difficili compravendite. Anche il
Demanio tenta da tempo di piazzare alcuni fabbricati ormai in disusoa. Sono
tornati all'asta di recente l'ex caserma dei Carabinieri a Basovizza, vicino al
valico, poco distante anche la struttura metallica della Polizia di Frontiera, e
ancora l'ex caserma dei Carabinieri di Gropada. Offerte presentabili fino a
marzo.
A Chiadino - Degrado infinito
Perchè non mettere a posto le ville storiche in attesa di venderle? Perchè
interventi di "rattoppi", tra vincoli e cantieri troppo onerosi, sarebbero
difficilmente sostenibili dal Comune. È il caso di Villa Engelmann, in via
Chiadino, immersa in un parco, realizzata nel 1843 e ormai ridotta a un rudere,
tra tetto sfondato, vari crolli e il verde incolto.
A Borgo San Nazario - Profughi in fuga
L'ex Don Marzari, costruita tra gli anni '50 e '60 dall' Opera come
struttura a disposizione dell'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati per fini
assistenziali, è stata successivamente convertita in casa di riposo. Al suo
interno, al momento della chiusura, sono stati abbandonati anche molti degli
arredi e delle attrezzature di stanze e spazi comuni. Ad approfittarne, in molti
casi, sono stati i vandali.
In arrivo di fronte a Sant'Anna la rotatoria e un nuovo market
Verrà rivista la circolazione tra via dell'Istria, via Fianona e il
parcheggio davanti all'ingresso del cimitero. Il supermercato sarà gestito dal
gruppo veneto Cadoro
Davanti al camposanto di Sant'Anna, dall'altra parte di via dell'Istria nel
tratto caratterizzato dalla presenza di alcuni operatori specializzati in lapidi
a destinazione cimiteriale, sorgerà un nuovo edificio commerciale al dettaglio,
che sarà gestito dal gruppo veneto Cadoro. Siamo in un pezzo di via dell'Istria,
staccato dall'asse principale dell'arteria: il marmista Faele e il locale "da
Lazzaro ex Cadavere" sono i riferimenti più immediati per individuare il sito.
In verità l'operazione rientra in un più ampio riaggiustamento viario che
interessa l'intersezione tra via dell'Istria, via Fianona, il parcheggio davanti
al cimitero, dove funzionerà una rotatoria. Frutto della collaborazione tra
Lavori Pubblici e Urbanistica è la delibera portata in giunta a fine anno da
Elisa Lodi e Luisa Polli: l'importo dei lavori previsti dal progetto esecutivo
ammonta a 650.000 euro, di cui mezzo milione finanziato da contributi privati e
150.000 a scomputo degli oneri di urbanizzazione. L'intervento sarà realizzato
dalla Altinos srl, che ha la sede a Quarto d'Altino. È inoltre prevista -
ricorda il direttore dipartimentale Giulio Bernetti - un'appendice di cantiere
per mettere in comunicazione via dei Vigneti, nel rione di Servola, con l'area
sottostante. L'iniziativa ha una storia e un punto d'arrivo piuttosto
particolari, che potrebbero fungere da modello per altre combinazioni
pubblico-private. Come narra il testo della delibera, tutto ha preso inizio
dall'agosto 2019, quando la sgr Prelios presentò un progetto relativo alla
costruzione di un supermarket in via dell'Istria 135, previa demolizione
dell'edificio esistente. Davanti al futuro esercizio si sarebbe allargata una
zona di parcheggio pensata per agevolare la clientela. Dentro al dossier
dell'investimento commerciale finì la riorganizzazione dell'incrocio via
dell'Istria/via Fianona/parking Sant'Anna, che Altinos, avendo aderito alla
proposta di Prelios, metterà a punto come da convenzione stipulata lo scorso 26
agosto "rogante" il vicesegretario comunale Fabio Lorenzut. A ottobre dell'anno
passato l'azienda veneziana ha ottenuto il permesso di realizzare il
supermarket. La vicenda ha preso progressivamente corpo, avendo ricevuto un via
libera con prescrizioni dalla Soprintendenza e l'autorizzazione da AcegasApsAmga
per tutte le opere collegate allo spostamento dei servizi a rete (pubblica
illuminazione, fognatura, elettricità, acqua, gas). La rotatoria servirà a
smistare il traffico tra cimitero, supermarket, da/per centro città. Il marchio
Cadoro nasce a metà anni '70 su iniziativa del trevigiano Cesare Bovolato,
gestore di un negozio di alimentari a Mestre: tra il 1964 e il 1968 apre due
supermercati sulla Terraferma veneziana. Nel giro di mezzo secolo la famiglia
Bovolato conterà una forza commerciale basata su 23 punti di vendita nel
Nordest, dal Friuli Venezia Giulia all'Emilia, in grado di fatturare 200 milioni
di euro e di dare lavoro a un migliaio di dipendenti. E adesso tocca a Trieste.
Massimo Greco
Limite di 30 all'ora nelle frazioni del Carso Scintille dem-Dipiazza
I consiglieri Pd al sindaco: «Velocità ridotta e più sicurezza» - La
risposta: «La Zona 30 a Opicina dà già abbastanza guai»
TRIESTE. Portare a 30 all'ora la velocità massima sulle strade che
attraversano le frazioni carsiche del Comune di Trieste. È una richiesta che le
circoscrizioni prima e seconda, sostenute anche da una petizione di cittadini,
hanno presentato al Comune attraverso due apposite mozioni. In dicembre il
problema è stato posto al sindaco Roberto Dipiazza dal gruppo del Partito
democratico in Consiglio comunale, dando il via a un lungo carteggio, nel quale
il primo cittadino rivendica quanto fatto con il Piano urbano della Mobilità
sostenibile (Pums).Andiamo con ordine. La tenzone ha inizio con la lettera dei
consiglieri Pd: «Il Pums che l'amministrazione ha presentato nello scorso luglio
non considera minimamente i problemi specifici del Carso triestino in termini di
mobilità sostenibile, di corrispondenza del trasporto pubblico alle effettive
esigenze della popolazione e in particolare di sicurezza della circolazione di
veicoli e pedoni, che è ritenuta da quasi tutti ancora gravemente
insufficiente». I consiglieri dem chiedono quindi l'adozione del limite di 30 su
tutte le direttrici che attraversano le frazioni carsiche, una maggiore
inclusione e verifica dei paesi carsici nel sistema del trasporto pubblico
urbano, l'estensione delle reti ciclabili. Temi che, proseguono i dem, «sono già
stati presentati in forma di mozioni o ordini del giorno, senza ricevere
risposta».La risposta stavolta arriva, vergata da Dipiazza: «Non vi nascondo un
certo imbarazzo personale nel dovervi dire che sono trasecolato nel constatare
la lacunosa conoscenza da parte vostra - scrive il primo cittadino -, sia sulle
tematiche in questione che sulla posizione del territorio in oggetto». Il
sindaco spiega di aver realizzato la Zona 30 a Opicina, voluta da Cosolini, pur
non essendo «particolarmente convinto», e rivendica le azioni prese dal Pums,
dalle ciclabili all'ovovia: «Quando parlate di attenzione inadeguata verso il
Carso forse vi riferite alla vostra amministrazione, dato che questa ha
recuperato ritardi di cinque anni ed è intervenuta nella realizzazione di
infrastrutture e servizi fondamentali per le nostre comunità carsiche».I
consiglieri dem rispondono: «L'istituzione del limite di velocità di 30 all'ora
su tutte le direttrici di attraversamento dei borghi carsici ha poco o nulla a
che vedere con il modello di Zona 30 messo recentemente in opera in alcune parti
di Opicina. La proposta (delle circoscrizioni, ndr) può essere realizzata
tempestivamente con la sola installazione di segnaletica verticale e orizzontale
e di strumenti di vigilanza elettronica». Il sindaco ribatte nell'ultima
lettera: «Se il problema è solo il limite di velocità, mi sembra evidente che
avete dimenticato, e forse avete fatto bene, il progetto del vostro assessore
(Zona 30, ndr) che avete creato e che sta creando più di qualche problema». La
questione resta aperta per il 2021, commenta la consigliera Pd Valentina Repini:
«Il limite 30 serve per una questione di sicurezza. Il territorio lo chiede».
Giovanni Tomasin
E per i tre polmoni verdi della città scatta il restyling da 200 mila euro -
il piano del verde
«Un prezioso serbatoio di biodiversità e un corridoio ecologico da
proteggere». Così Francesco Panepinto, dottore forestale e funzionario comunale,
descrive la funzione dei tre parchi cittadini Villa Giulia, Farneto e Strada
Vicentina nella relazione che ha accompagnato in giunta la delibera
dell'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi. La stessa relazione in cui si
parla di polmoni verdi di «elevato pregio paesaggistico», nonchè «oggetto di
elevata frequentazione». Lo stato manutentivo generale dei tre spazi verdi
urbani - precisa Panepinto - è «soddisfacente», però appaiono necessari puntuali
interventi straordinari, in modo da evitare situazioni di pericolo e riuscire ad
eliminare situazioni di degrado o di dissesto. Per esempio: staccionate,
segnaletica, cancelli, muri a secco, pavimentazione dei viali.A cura del
servizio strade e verde pubblico, diretto da Andrea De Walderstein, è scattata
così l'operazione-parchi, che prevede un appalto da 200.000 euro per
incrementare livello e qualità della tutela. Dal punto di vista finanziario, la
somma è fornita dalla recente definizione della vendita del Broletto a Trieste
Trasporti. Il cronoprogramma, a partire dal prossimo aprile, impegna un anno
fino alla primavera 2022. Le principali categorie di lavori inseriti nel carnet
del futuro appaltatore riguardano potature, abbattimenti, asfaltature, viali
sterrati, riparazione dei muri, miglioramenti selvicolturali, messa a dimora
delle piantine forestali (quercus petraea, quercus pubescens, crataegus monogyna,
sorbus torminalis). E adesso qualche elemento che inquadra le tre zone
interessate, tratto dalla relazione del dottor Panepinto. Il parco di Villa
Giulia è a est del centro urbano, in prossimità dell'Università e del monte
Fiascone, a cavallo tra i quartieri di Scorcola e Cologna. La priorità è
asfaltare il tratto che da via Monte San Gabriele conduce all'ex cava, così da
migliorare la transitabilità soprattutto dei mezzi anti-incendio. In via
Settembrini e in via Amendola interventi su sentieri e panchine. I quasi 100
ettari del bosco Farneto sono ubicati tra le vie Marchesetti, Pindemonte e il
torrente Farneto. La parte tra l'Orto Botanico e via Pindemonte abbisogna di una
rimozione dell'abbondante materiale lapideo, scivolato dalle scarpate spesso per
opera dei cinghiali. Verrà inoltre ripristinato il manto in asfalto del vialetto
che da piazzale Alma Vivoda risale verso l'Orto Botanico. Il parco lungo strada
Vicentina è ubicato in prossimità del ciglione carsico, non lontano dal
territorio o di Opicina. Al suo interno corrono sentieri molto frequentati come
la "Napoleonica" e il "Cobolli Gigli". A seguito del fortunale del 3 agosto 2020
- informa Panepinto - si sono formati piccoli solchi erosivi per un centinaio di
metri a partire dalla sbarra di chiusura. Infine l'adeguamento della segnaletica
punterà, in corrispondenza degli ingressi, a ricordare i principali divieti
(fuochi, campeggi, caccia, mezzi a motori, cani al guinzaglio).
Massimo Greco
Abbattuti quattro pini nel cortile della Sauro: «C'era rischio di caduta» -
nel comprensorio della scuola muggesana
Muggia. Nei giorni scorsi sono stati tagliati quattro pini presenti nel
cortile della scuola media Nazario Sauro, di via D'Annunzio. A segnalare la
vicenda il comitato Sos Muggiambiente, per il quale «la colpa dei pini
ultrasessantenni era quella di sfiorare col misero ciuffo delle fronde più alte
un lato dell'edificio scolastico e che non erano mai stati piegati o danneggiati
da bore, terremoti o allagamenti». Il comitato ha chiesto al Comune rivierasco
la perizia di un tecnico o agronomo, «che giustifichi questo ultimo scempio».
Sulla questione è intervenuto il vicesindaco di Muggia, Francesco Bussani, anche
attraverso i social: «Sono stati tagliati alcuni pini nel giardino della scuola
Nazario Sauro che erano troppo alti e che col vento forte risultavano pericolosi
anche a causa delle radici poco profonde. La scuola stessa ne aveva denunciato
la pericolosità. Verranno sostituiti con nuove essenze dal fusto più basso la
prossima primavera. Questo è avvenuto in un generale intervento di potatura nei
giardini delle scuole effettuato approfittando della chiusura. Non fa mai
piacere intervenire con l'abbattimento di alberi - ha commentato Bussani - ma
prioritario è evitare situazioni di rischio per gli alunni e per chi in quella
zona risiede o transita. Come avvenuto negli anni precedenti e come faremo
ovunque sia possibile, le piante abbattute saranno sostituite». Sulla gestione
prossimo-futura del verde cittadino Bussani ha ricordato che «l'anno scorso
insieme all'assessore Litteri ho incontrato Legambiente per realizzare un
regolamento per la gestione del verde cittadino. L'associazione, poco più di un
mese fa, ci ha presentato una sua proposta di regolamento, che è al momento al
vaglio degli uffici tecnici comunali per tararla sulla realtà muggesana. Entro
qualche mese - ha concluso - la proposta di regolamento dovrebbe essere ultimata
e sarà argomento di discussione nel prossimo periodo».
LU.PU.
Veglia, rigassificatore a regime proteste per la rumorosità
A protestare il sindaco Mirela Ahmetovic, storica avversaria del nuovo
impianto e il governatore della Regione quarnerino-montana Zlatko Komadina
FIUME. Il rigassificatore offshore di Castelmuschio (Omisalj), sull'isola di
Veglia, è entrato in funzione su base commerciale dopo settimane di attività
sperimentale. La prima nave gasiera ad attraccare nelle acque vegliote è stata
la Tristar Ruby, partita il 19 dicembre scorso dal terminal statunitense di Cove
Point con a bordo 143 mila metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl).Le
operazioni di scarico, secondo quanto reso noto da Lng Hrvatska - gestisce
lavoro e attività distributiva dell'impianto - dovrebbero concludersi in
giornata, dopo di che la metaniera lascerà il golfo di Fiume. «Sono molto
soddisfatto di questo inizio - è quanto dichiarato dal direttore di Lng
Hrvatska, Hrvoje Krhen - le operazioni si sono svolte senza il minimo intoppo e
dunque il mercato del gas in Croazia e nei Paesi vicini ha finalmente un nuovo
corridoio di approvvigionamento, con il Gnl che può arrivare nel Quarnero da
ogni parte del mondo e quindi venire erogato a consumatori nazionali e
d'oltreconfine. I serbatoi del rigassificatore Lng Croatia possono contenere
fino a 140 mila metri cubi e pertanto il lavoro di trasbordo, rigassificazione
ed immissione nella rete distributiva avviene in modo parallelo. Fino al
prossimo 30 settembre è stato annunciato l'arrivo a Castelmuschio di 22 navi
cisterna».Krhen ha confermato che le capacità produttive del terminal sono state
acquistate per i prossimi due anni nella misura del 100 per cento, con i
maggiori acquirenti che rispondono ai nomi di Mfgk, Met Energy e Power Globe
Qatar, mentre quantitativi minori sono stati rilevati dalla società petrolifera
croato-ungherese Ina e dall'Azienda elettrica croata. Il rigassificatore
riceverà gas naturale specialmente da Stati Uniti e Qatar.Fin qui le note
melodiose, ma ci sono anche quelle stonate: oltre ai problemi causati la
settimana scorsa dalla bora (ci sono voluti tre rimorchiatori per tenere ferma
Lng Croatia), il lavoro in questi primi giorni è stato caratterizzato da un
rumore molto sgradevole, un inquinamento acustico che ha smentito quanto
asserito da Krhen nelle settimane scorse. Infatti, la perturbazione sonora
levatasi dal terminal a partire dallo scorso dicembre era stata giustificata da
Krhen con l'attività sperimentale. «Stiamo mettendo alla prova tutti gli
impianti, anche quelli ausiliari - aveva detto Krhen - i rumori cesseranno o
saranno minimi non appena comincerà il lavoro su base economica». Non è così e
allora le proteste sulle reti sociali si sprecano, con la sindaca di
Castelmuschio, Mirela Ahmetovic e il governatore della Regione
quarnerino-montana, Zlatko Komadina, che hanno annunciato concrete iniziative di
dissenso. Del resto, il rigassificatore viene udito fino alla località costiera
di Crikvenica, ad una ventina di chilometri da Castelmuschio.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - SABATO, 2 gennaio 2021
Riconversione della Ferriera: Icop acquisisce Logistica giuliana - Passa di
mano la società creata da Arvedi
La riconversione della Ferriera fa un passo avanti sul fronte degli assetti
societari necessari a dare nuova funzione al comprensorio di Servola. Una firma
arrivata negli ultimi giorni del 2020 ha definito il primo passo dell'operazione
di scambio, che alla fine vedrà Piattaforma logistica Srl assumere la
concessione dei terreni dell'area a caldo, dove sarà realizzato il terminal di
terra a servizio del futuro Molo VIII. Il meccanismo è intricato ed è partito
dalla creazione da parte di Arvedi di una newco, ovvero una nuova società che ha
preso in carico le attività di banchina svolte finora dal gruppo attraverso la
controllata Siderurgica triestina, per movimentare materie prime e acciaio. È
nata così Logistica giuliana che, grazie all'intesa firmata nei giorni scorsi
davanti ai notai, viene ora acquisita da Icop, che opera nel comprensorio per
conto di Plt. Icop verserà ad Arvedi 20 milioni, rilevando Logistica giuliana e
permettendo di fatto a Plt di svolgere per conto di Arvedi, sulla banchina
antistante la Ferriera, le attività di movimentazione che restano necessarie
data la presenza del laminatoio. Nei prossimi mesi avverrà il passaggio formale
da Arvedi a Logistica giuliana di 32 dipendenti, che manterranno le stesse
mansioni di oggi, con la prospettiva di essere poi assorbiti da Plt, che nei
prossimi mesi dovrà presentare anche il piano per assumere i primi settanta
addetti alla logistica, da affiancare alla trentina ereditata da Arvedi. Tutto
sarà definito dopo l'ingresso ufficiale dei tedeschi di Hhla nella compagine
societaria di Plt. Ma più di tutto, la creazione della newco e la sua vendita a
Icop servono ai concessionari della Piattaforma logistica per ottenere la
concessione dell'area a caldo. Come stabilito dall'Accordo di programma,
infatti, nei prossimi mesi i terreni demaniali dove sorge il laminatoio saranno
privatizzati e ceduti definitivamente ad Arvedi dall'Autorità portuale, che in
cambio demanializzerà (cioè renderà pubblici grazie a una permuta alla pari) i
terreni privati di Arvedi, che ospitano altoforno e cokeria in via di
demolizione. Una volta demanializzata, l'ex area a caldo potrà essere data in
concessione a Logistica giuliana e dunque a Icop-Plt, che potrà così operare a
pieno titolo tanto sulla Piattaforma logistica quanto nel terminal adiacente, la
cui costruzione spetta proprio a Icop. Arvedi ha già avviato il percorso di
permuta dei terreni, mentre spetterà a Icop chiedere la concessione, con un
percorso che dovrebbe concludersi a maggio, se i tempi dello scambio di aree
saranno rispettati. Allo stesso tempo, dopo il via libera della Corte dei conti
all'Adp, comincerà a breve il confronto tra ministero dell'Ambiente e Icop sulla
messa in sicurezza ambientale dei terreni dell'area a caldo.
Porto vecchio nell'elenco dei poli turistico-culturali - Scommessa da 67
milioni
Nel documento dell'esecutivo nazionale l'area dell'antico scalo figura al
secondo posto di una lista di nove, alle spalle di quella della Biennale di
Venezia. Il programma del Comune
Il Porto vecchio è inserito tra i «grandi attrattori turistico-culturali»
che il governo conta di rilanciare attraverso il Piano nazionale di ripresa e
resilienza per il Recovery Fund: Trieste figura infatti fra le nove città in cui
sono previsti interventi di «restauro e rifunzionalizzazione di complessi di
elevata valenza storico-architettonica», una voce per cui sono previsti 890
milioni di euro. A tal fine il Comune ha presentato a Roma proposte per 67
milioni: il fine realizzare un viale monumentale, un parco pedonale ciclabile,
una nuova sede della Soprintendenza al magazzino 20, e restaurare gli edifici
più fatiscenti. Trieste figura al secondo posto dei nove «grandi attrattori»
individuati da Roma, subito dopo l'area della Biennale di Venezia, assieme ad
altri progetti come il recupero delle fortificazioni di Genova o del Parco del
Po di Torino. Il piano fissa anche dei paletti temporali: si prevede l'indizione
del 70% delle gare d'appalto entro settembre 2022 e l'aggiudicazione entro il
giugno 2023. Il nome dato all'intervento è piuttosto generico: "Riqualificazione
in ambito scientifico/culturale/museale/sportivo del Porto vecchio di Trieste".
gli enti attuatori sarebbero il Comune e la Soprintendenza archeologica
regionale. A novembre il ministro della Cultura Dario Franceschini aveva
confermato al consigliere regionale dem Francesco Russo il suo interesse a
intervenire sul Porto vecchio, anche attraverso il Recovery Fund. Allora la
disponibilità del ministero risultava ballare fra i 40 e i 60 milioni. Dal canto
suo il Comune ha spedito a Roma una serie di proposte, per un investimento
complessivo da 67 milioni, che - dovessero venir finanziate - consentirebbero di
risolvere un buona porzione dei problemi infrastrutturali dell'area. Il
prospetto prodotto dagli uffici comprende sette interventi principali: il
restauro dei varchi monumentali dell'accesso meridionale; la messa in sicurezza
del magazzino 19; il restauro del magazzino 20, destinato a diventare la nuova
sede della Soprintendenza; il restauro dell'ex locanda Zaninovich; il restauro
dell'ex rimessa locomotive; il viale monumentale e il recupero del tracciato
ferroviario; un «parco lineare verde di archeologia industriale».«È un bel modo
di iniziare l'anno sapendo che il governo ha inserito il Porto vecchio nel piano
- commenta il sindaco Roberto Dipiazza -. Le nostre proposte non nascono da un
giorno all'altro, il piano regolatore dell'area è definito al dettaglio».
Dipiazza non risparmia una frecciata all'opposizione, critica verso la sua
gestione dello scalo: «Chi mi accusa di voler fare uno spezzatino è in malafede,
o non sa leggere le carte». Il recupero più consistente tra quelli proposti dal
Comune è quello del magazzino 20, 14 milioni: «La futura destinazione d'uso -
scrivono gli uffici - prevede la realizzazione di una sede della Soprintendenza
Fvg, in cui troveranno ubicazione uffici tecnici ed amministrativi, laboratori e
spazi espositivi». I progetti più ambiziosi sono altri due. Costa 19 milioni il
viale monumentale dal magazzino 26 a piazza Duca degli Abruzzi: in buona parte
pedonale, si legge, con aree verdi. Sono 21 i milioni necessari a realizzare il
parco pedonale e ciclabile da Barcola al centro, comprensivo di strutture
ludico-sportive: gli uffici prevedono di impiegarvi bitte e marchingegni del
vecchio porto, dando un carattere archeologico al parco.
Giovanni Tomasin
Guerra delle antenne al Tar: Muggia vince due battaglie
L'assessore Litteri: «La scelta di delocalizzare gli impianti risulta
legittima» Il sindaco Marzi: «Questi risultati danno ragione al piano inserito
nel Prgc»
Muggia. Nell'arco di un mese il Comune di Muggia ha ottenuto due importanti vittorie nella battaglia contro l'inquinamento elettromagnetico causato dai ripetitori radio e tv presenti sul proprio territorio. La prima riguarda la sentenza del Tribunale amministrativo regionale (Tar) del 17 novembre. «Finmedia - ha spiegato l'assessore all'ambiente del comune rivierasco, Laura Litteri - aveva chiesto di sopraelevare di trenta metri il proprio traliccio che si trova a Chiampore per ospitare un'altra emittente ed è ricorsa al Tar di fronte al rifiuto del Comune. Tribunale che ha dato pienamente ragione al Comune, ribadendo la piena legittimità della scelta di delocalizzare gli impianti che affollano la località di Chiampore». La seconda vittoria è nuovamente una sentenza del Tar del 9 dicembre sul ricorso presentato da un'altra società, la Monte Barbaria, che, come ha raccontato Litteri «chiedeva l'annullamento della delibera del Consiglio comunale che imponeva lo spostamento del traliccio esistente a Santa Barbara in un'altra zona non gravata da vincoli archeologici, come previsto dall'accordo procedimentale firmato nel 16 dicembre 2013 con il quale la società si impegnava allo spostamento entro 18 mesi dalla messa in esercizio dell'infrastruttura. Il Comune ha fatto la sua parte assieme alla Sovrintendenza nel reperire un'area alternativa non interessata dal vincolo archeologico». La delibera approvata dal Consiglio comunale del 29 aprile dello scorso anno relativa alla variante 38 al Piano regolatore del Comune di Muggia, è l'ultimo passaggio in ordine di tempo di un processo iniziato nel 2013 che aveva come obiettivo quello di riportare nei limiti di legge l'inquinamento elettromagnetico nella zona di Chiampore, con la contestuale eliminazione delle antenne abusive e la delocalizzazione in siti alternativi individuati attraverso uno studio commissionato all'Università di Udine, tra cui il sito di Monte Castellier, successivamente tolto dalla Regione dal piano in quanto sono venuti alla luce reperti di interesse archeologico. Infatti, fino ad allora nell'abitato di Chiampore erano sorti 14 tralicci che ospitavano emittenti radiotelevisive e 5 di questi erano abusivi. «La battaglia per l'eliminazione dell'inquinamento elettromagnetico e per la delocalizzazione degli impianti radio televisivi dall'abitato di Chiampore - ha sottolineato l'assessore Litteri - iniziata con l'amministrazione precedente, è stata portata avanti con coraggio e determinazione dal nostro Comune raggiungendo obiettivi che molti consideravano irraggiungibili nel nome della salute dei cittadini e dell'ambiente». «Un ringraziamento va di certo agli uffici che in questa dura vicenda non si sono risparmiati - ha evidenziato il sindaco d di Muggia, Laura Marzi -. È sempre grazie alla determinazione e al duro impegno che in questi anni siamo riusciti a conseguire importanti risultati quali l'abbattimento degli impianti abusivi, con relativo valore aggiunto dell'ottimizzazione degli esistenti e del miglioramento anche sul piano paesaggistico, e la riduzione dell'inquinamento, testimoniata dagli ottimi dati emersi dalla misurazione Arpa. In quest'ottica non potevamo non continuare a batterci a sostegno di quel piano di delocalizzazione entrato a far parte del nostro Piano regolatore comunale».
Luigi Putignano
La storia - Nove i tralicci abbattuti negli ultimi anni
L'ultimo è stato demolito nel luglio scorso a Chiampore, in Valle San
Bortolo. Sono nove gli impianti di ricetrasmissione radiotelevisiva demoliti a
Muggia. Si è partiti con la demolizione delle antenne abusive nell'abitato di
Chiampore - una vicino alla caserma dei Carabinieri, una nei pressi di via
Vivoda, due sul Monte San Michele e quella nei pressi dell'abitato di San
Floriano / Ligon - a cui poi si sono aggiunte appunto altre quattro, l'ultima
delle quali proprio ora in Valle San Bortolo. Quest'ultimo è il quarto traliccio
"ex Towertell" demolito. Oltre alla demolizione di tutti i tralicci classificati
come abusivi è stato approvato un piano di delocalizzazione, con un'apposita
variante al Piano regolatore comunale.
Via al Balkan Stream, il gas russo arriva in Serbia dal Mar Nero
Dopo Sofia raggiunta anche Belgrado. Il prossimo passo sarà la sezione
che si snoderà in Ungheria
BELGRADO. Un cavallo di Troia russo nel cuore dei Balcani. Oppure la via
obbligata per raggiungere la sicurezza energetica. Comunque la si veda, il primo
gennaio 2021 sarà ricordato come un giorno fondamentale, sul fronte energetico e
geopolitico nei Balcani. Ieri infatti è stato ufficialmente aperto il braccio
serbo di quello che doveva essere South Stream, rinato come Balkan Stream, il
gasdotto che via Mar Nero-Bulgaria fa da ieri affluire gas russo in Serbia, ma è
destinato in futuro a soddisfare anche i bisogni di Macedonia del Nord, Grecia,
Bulgaria, Bosnia e soprattutto Ungheria, raggiungendo così l'Europa centrale. Si
tratta di un'opera imponente, oltre 400 chilometri di grandi condotte che si
diramano da Zajecar, nella Serbia orientale, al confine con la Bulgaria, fino a
Horgos, estremo lembo settentrionale del Paese balcanico, a ridosso
dell'Ungheria. Ieri mattina, alle sei in punto, «il gas dalla Bulgaria», dove
l'opera era già stata precedentemente portata a termine, «ha iniziato a
riversarsi nel nuovo gasdotto costruito» nel Paese balcanico: «Un grande giorno
per la Serbia», ha scritto sul proprio profilo Instagram il presidente serbo,
Aleksandar Vucic, che ha partecipato alle cerimonie inaugurali assieme
all'ambasciatore russo a Belgrado, Aleksandr Botsan-Kharchenko e al potentissimo
numero uno di Srbijagas, Dusan Bajatovic. Il progetto del gasdotto è la «chiave
per il futuro sviluppo» della Serbia, «per le sue industrie, per la crescita
economica e il benessere dei cittadini», ha assicurato Vucic. Tutto grazie al
nuovo gasdotto sponsorizzato da Mosca che ha il suo braccio principale che si
distende dalla Russia sotto il Mar Nero per raggiungere la Turchia (TurkStream).
Il secondo, conosciuto appunto come Balkan Stream, tocca Bulgaria, Serbia e poi,
a breve, l'Ungheria, garantendo attraverso la rete l'afflusso di gas anche ai
Paesi vicini come Bosnia e Macedonia del Nord. Gasdotto che assicurerà «la
sicurezza energetica» non solo a Belgrado, ma «all'intera Europa centrale», dopo
aver bypassato l'Ucraina, ha sottolineato anche Botsan-Kharchenko. Il tutto
realizzato rispettando le norme Ue e della Comunità energetica, ha voluto
osservare Bajatovic. Ma il gas russo che scorrerà nel cuore dei Balcani
preoccupa gli osservatori più attenti. Washington non a caso aveva parlato di
gasdotti sponsorizzati da Mosca come «strumenti» taciti «del Cremlino» per
minare la stabilità dell'Ucraina e rafforzare la presenza russa all'estero. Con
il via libera al gasdotto «la dipendenza energetica della Serbia dalla Russia»,
sempre collegata a quella politica, è «cresciuta» ulteriormente, ha spiegato
ieri via Twitter il politologo Dimitar Bechev, che già nel 2019 aveva ammonito
che TurkStream altro non sarebbe che un cavallo di Troia del Cremlino «per
aumentare l'influenza russa nel cortile di casa» Ue, i Balcani, mentre Bruxelles
assiste senza reagire all'«audace iniziativa geopolitica e commerciale» di
Mosca, che colpisce duramente l'Ucraina e «cementa» la presenza russa in Turchia
e nei Balcani. La «tacita approvazione Ue» è un serio e pericoloso precedente,
ha avvisato nei giorni scorsi anche Olga Bielkova, rappresentante della rete di
distribuzione del gas ucraina. Bechev ieri ha sottolineato che «Gazprom
controlla il 51% del braccio serbo» e che «Gazprom Neft ha acquisito la
compagnia energetica nazionale» serba Nis già nel 2008. Ma il «boccone pregiato»
è «l'Ungheria», ha aggiunto l'analista. Ungheria che, nel 2019, ha ricevuto
addirittura dieci miliardi di metri cubi di gas russo, «più di Bulgaria e Serbia
insieme». E ne riceverà tanti altri attraverso Balkan Stream-TurkStream,
attraverso il connettore con la Serbia da completarsi entro inizio 2022.
TurkStream e le sue propaggini balcaniche, ha specificato anche un recente
rapporto dell'Ispi, che «dimostrano che sia i Balcani occidentali sia l'Europa
sudorientale nel suo insieme sono un'area dove agenti esterni», Mosca in testa,
«proiettano la loro influenza». E quella russa è destinata ora solo a crescere.
E a rafforzarsi.
Stefano Giantin