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RASSEGNA STAMPA luglio - dicembre 2017
IL PICCOLO - DOMENICA, 31 dicembre 2017
Rifiuti pericolosi in Serbia, un affare da 8 miliardi -
È questa la cifra che il governo stima necessaria per adeguarsi agli standard Ue
Dalla battaglia alle discariche illegali alle pratiche di smaltimento
nelle città
BELGRADO - Per aspirare a entrare nel club più ambito, quello dell'Unione
europea, la Serbia deve portare avanti importanti riforme e soprattutto lanciare
il cuore oltre l'ostacolo siglando, il prima possibile, un accordo finale per la
"normalizzazione" dei rapporti con il Kosovo. Ma per Belgrado, prima
dell'adesione, c'è anche un altra questione, forse poco conosciuta e
sottostimata ma non per questo meno ardua da risolvere: è quella dello
smaltimento dei rifiuti, sia domestici, sia industriali, e dunque della
protezione ambientale in generale. Ed è un fronte che diventerà caldo nei
prossimi anni e costerà molto alle casse di Belgrado: almeno otto miliardi di
euro, nella stima dello stesso governo. A tenere alta l'attenzione sul tema,
alcune notizie che hanno molto colpito l'opinione pubblica in questo periodo.
Notizie come quelle sulle «centomila tonnellate di rifiuti pericolosi e non
adeguatamente custoditi», secondo le stime di Miodrag Mitrovic, presidente
dell'azienda Miteko, una delle imprese leader nel Paese nel management dei
rifiuti industriali e più nocivi per l'ambiente. Tonnellate che sono composte
«da sostanze chimiche» velenose, che «da anni sono ammassate», spesso in
«condizioni non idonee, in particolare nei «capannoni di imprese fallite», senza
contare poi «i terreni contaminati». In occasione di un forum sulla protezione
ambientale, Mitrovic ha ricordato anche che sono almeno 88 «le località con
inquinamento storico» a causa di rifiuti pericolosi, identificate dalle autorità
del Paese balcanico, che sono però riuscite finora a intervenire solo su nove di
esse. Ma non ci sono solo queste stime a far paura. Incutono, se possibile,
ancora più timore notizie come quelle arrivate nei giorni scorsi da Obrenovac,
città a un tiro di schioppo da Belgrado, dove le forze dell'ordine hanno
scovato, in un appezzamento privato, almeno 25 tonnellate di rifiuti chimici
altamente tossici, stoccati illegalmente in vecchi fusti da un imprenditore
senza scrupoli. E ieri il quotidiano belgradese Vecernje Novosti ha annunciato
la scoperta, sempre nello stesso terreno, di altri «cento barili» pieni di
sostanze chimiche velenose, con alta probabilità scarti industriali. Che non si
sia trattato di un ritrovamento di poco conto è confermato dalle dichiarazioni
del ministro dell'Ambiente, Goran Trivan, che ha apertamente parlato di rifiuti
che avrebbero potuto provocare una «catastrofe ecologica». Che almeno stavolta è
stata scongiurata. Ma non ci sono solo scarti industriali pericolosi. In Serbia,
Paese che non è un'eccezione nella regione, i rifiuti cittadini continua a
essere "smaltiti" attraverso lo schema «raccolta-trasporto in discarica», mentre
il riciclaggio non tocca l'8% a livello nazionale. E lì il terreno su cui si
deve lavorare al massimo, spiega l'esperto ambientale Dusan Jakovljevic, citando
numeri che non mentono. Per quanto riguarda i rifiuti comunali, sono «142 i
depositi» di rifiuti a livello nazionale, solo otto quelli che «rispettano gli
standard Ue». E, anche se le stime ufficiali riferiscono di 3.000, almeno dieci
volte tante sono le discariche illegali. Per mutare il quadro e avvicinarsi
all'Ue servono «due miliardi di euro e dieci anni, nell'ipotesi migliore». Ma
bisogna fare più in fretta, altrimenti l'apertura e chiusura del capitolo
negoziale numero 27, quello sull'ambiente, e di conseguenza l'adesione alla Ue
diventeranno chimere
Stefano Giantin
IL PICCOLO - SABATO, 30 dicembre 2017
Torna sui
binari il treno Trieste-Lubiana - Il collegamento nell'ambito della proroga del
contratto fra Regione e Trenitalia
UDINE - C'è anche il gran ritorno del Trieste-Lubiana nel "pacchetto"
contrattuale che rinnova per due anni l'accordo tra Regione Friuli Venezia
Giulia e Trenitalia per il servizio ferroviario regionale. Dal 2018, come
annunciato già in estate dal direttore del traffico passeggeri delle Ferrovie
slovene (Sz), Milos Rovsnik, la capitale della Slovenia sarà nuovamente
collegata con Trieste e, a quanto pare, pure con Venezia. Un ritorno, appunto.
Perché il Trieste-Lubiana, attivato nel dicembre 2003, era stato cancellato nel
2008 causa scarso interesse manifestato dall'utenza. Lo scenario è cambiato, a
quanto risulta, in conseguenza del progetto, in dirittura d'arrivo, del polo
intermodale di Ronchi: il treno, come avevano ipotizzato i vertici di Ferrovie
slovene, si dovrebbe infatti fermare anche nella nuova stazione in zona
aeroporto. L'iniziativa di ripristinare la tratta è stata proposta per la prima
volta nel 2015 dalla presidente Debora Serracchiani al ministro degli Esteri
sloveno Karl Erjavec in occasione della sessione inaugurale del Comitato
congiunto Fvg-Slovenia. Visto l'interesse pure del ministro delle Infrastrutture
Peter Gaspersic, la Regione si è poi attivata nelle sedi centrali e territoriali
di Rfi e di Trenitalia affinché predisponessero una serie di proposte tecniche
da condividere con gli omologhi sloveni e con il ministero sloveno competente.
Nell'agosto scorso la Regione anticipava quindi di voler coinvolgere la Regione
Veneto e il ministero italiano dei Trasporti «al fine di assicurare l'appoggio
di tutte le istituzioni per rendere pienamente operativo un servizio di
trasporto pubblico locale ai cittadini del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e
della Slovenia, rafforzando al contempo le zone transfrontaliere dell'area
italo-slovena, che oggi sono servite esclusivamente dalla mobilità stradale».
Già a luglio Serracchiani, nel corso del vertice di Trieste sui Balcani
occidentali, aveva tra l'altro informato dell'idea progettuale il commissario
europeo ai Trasporti Violeta Bulc, ricevendone un forte incoraggiamento a
portarla avanti. «Sta adesso alle autorità slovene e ai gestori del programma
Italia-Slovenia - precisava ancora la Regione - fare in modo che un servizio
così strategico per imprese e cittadini delle nostre regioni possa essere
adeguatamente finanziato». A concretizzare il progetto - che dovrebbe decollare
nel secondo semestre del prossimo anno - mancavano le firme. E ieri è infine
arrivata l'ufficializzazione da parte dell'assessorato alle Infrastrutture
nell'ambito di un'informazione complessiva sulla proroga biennale (dall'1
gennaio 2018 al 31 dicembre 2019) del contratto con la compagnia ferroviaria
nazionale. Il Trieste-Lubiana (due ore e mezza di percorrenza) rientra in un
contesto di potenziamento nel quale rientrano anche il riavvio dei servizi
ferroviari, attivati a dicembre 2017 tra Sacile e Maniago, sull'intera linea, da
Sacile fino a Gemona e i potenziamenti estivi sulle direttrici
Sacile-Udine-Trieste e Tarvisio-Udine-Cervignano-Trieste. Quest'ultimo è mirato
a migliorare le connessioni con la ciclovia Alpe Adria, sfruttando la riapertura
della tratta Udine-Cervignano nei fine settimana prevista sempre nel corso del
2018, anche al fine di valorizzare la città di Palmanova, patrimonio Unesco.
Viene inoltre prevista anche la collaborazione di Trenitalia per la
realizzazione di treni storici nell'ambito di una specifica convenzione da
stipulare con Fondazione Fs. Più in generale, la delibera approvata dalla giunta
regionale nell'ultima seduta dell'anno su proposta di Mariagrazia Santoro è
funzionale a garantire la continuità dei servizi regionali nell'attesa delle
valutazioni sul nuovo affidamento dei trasporti ferroviari, alla luce delle
modifiche del quadro normativo di riferimento, delle recenti indicazioni delle
autorità di settore e della presentazione, nel corso del 2017, di due
manifestazioni di interesse, da parte di operatori del settore (secondo
indiscrezioni si tratta di Trenitalia e del gruppo Arriva). Concretamente, la
Regione dovrà decidere se procedere a un affidamento diretto o se andare a gara
Marco Ballico
Anas entra nel gruppo Ferrovie dello Stato - Nasce un
gigante europeo della mobilità
Grandi numeri per il nuovo gruppo che nasce dall'incorporazione dell'Anas
nelle Ferrovie dello Stato dopo il via libera all'aumento di capitale di 2,86
miliardi di euro mediante conferimento dell'intera partecipazione Anas detenuta
dal Tesoro. Dall'operazione nasce infatti un big player della mobilità in
Europa. Con il conferimento di Anas e 81mila dipendenti, il gruppo Fs è infatti
in grado di sviluppare nel 2018 un fatturato di 11,2 miliardi di euro e una
capacità di investimento di 8 miliardi, con un capitale investito di circa 50
miliardi. É stato stimato che la sola gestione integrata delle infrastrutture
produrrà in dieci anni risparmi operativi non inferiori a 400 milioni di euro.
L'ad di Fs, Renato Mazzoncini (nella foto), ha parlato non a caso di «di una
tappa fondamentale nella realizzazione del piano industriale del gruppo che vede
Fs come principale promotore della mobilità integrata su ferro e gomma a
vantaggio di tutti gli italiani. É l'ulteriore conferma che il ruolo di Fs sta
cambiando: non più impresa ferroviaria nazionale ma impresa europea di
mobilita».
IL PICCOLO - VENERDI', 29 dicembre 2017
Crolla un muro a Gretta - Danni a un'auto in sosta
Ancora un muro crollato dopo per effetto delle abbondanti piogge. È accaduto
ieri sera attorno alle 22 nel rione di Gretta, proprio dietro la chiesa. A
cedere il muretto di contenimento di un'abitazione disabitata in via Camaur 11,
già in precarie condizioni. Franando a terra le pietre hanno colpito un'auto in
sosta. Fortunatamente nessun ferito. Sul posto polizia locale e vigili del
fuoco, che hanno transennato l'area interessata dal cedimento.In mattinata le
piogge avevano creato disagi in varie parti della città interessate da tombini
intasati e strade allagate. Un autentico "lago" comparso in via Errera, in
particolare, ha reso la vita difficile ai dipendenti di una ditta della zona.
Scongiurato invece, almeno nel corso della giornata, il temuto rischio neve e
ghiaccio in Carso. Numerosi i mezzi messi in campo per cospargere di sale le
aree critiche, che, oltre all'Altipiano, riguardano anche alcuni punti del
centro e della periferia. Agenti della Polizia locale, personale
dell'AcegasApsAmga e di Trieste trasporti hanno tenuto costantemente monitorato
il territorio nel timore, appunto, che si avverassero le previsioni meteo legate
all'arrivo di un fronte atlantico sulla regione. Fronte puntualmente arrivato
intorno alle 4 di ieri mattina, con il suo carico di precipitazioni abbondanti
che, sopra i 400 metri, avrebbero potuto trasformarsi in nevicate. La coltre
bianca però, alla fine, non si è vista. «I bollettini meteo, emessi dalla
Protezione civile, e le altre informazioni diramate dalle nostre strutture - ha
dichiarato nel pomeriggio il vicesindaco Pierpaolo Roberti - continuano a dirci
che la quota-neve, ogni ora che passa, si sta abbassando sempre di più. Gli
ultimi dati suggeriscono la possibilità di nevicate nel corso della nottata
nelle zone più alte del Carso». Roberti ha sottolineato che, nel caso di
ulteriori peggioramenti con calo delle temperature, si dovranno render necessari
altri interventi anche in centro città e in particolare in alcune zone a
rischio, come le vie in pendenza o dove tendenzialmente l'aria è più fresca e
quindi potrebbero concentrarsi strati di ghiaccio. «La situazione è sotto
controllo - ha aggiunto il vicesindaco - Attendiamo che le piogge si attenuino
per consentire una più efficace salatura delle strade. Preferiamo aspettare che
le temperature si abbassino ancora un po' con l'arrivo dei primi fiocchi di
neve, spargere il sale». «Questo ci consentirà di garantire il meglio possibile
la circolazione proprio in quelle zone dove di solito fa più freddo, da Opicina
a tutti i vari paesi del Carso triestino - ha aggiunto Roberti - Siamo anche in
collegamento con l'Anas per le strade non di competenza comunale e abbiamo
l'ausilio di Trieste trasporti che, dai propri mezzi, è in grado di trasmettere
informazioni in tempo reale su tutto il territorio».
(e.f.)
ARPA - Centralina anti-rumore a ridosso della Ferriera
L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha comunicato di aver
concluso il 15 dicembre scorso i lavori di installazione di una postazione
fonometrica fissa in prossimità dello stabilimento siderurgico della Ferriera di
Servola. La stazione fonometrica è gestita da remoto ed è quindi in grado di
fornire dati in continuo, senza la necessità di operatori in loco. I test di
verifica sono già iniziati e proseguiranno fino a inizio febbraio. Concluse le
verifiche i dati verranno pubblicati nell'apposita sezione dedicata del sito web
dell'Arpa. Il luogo dove è collocata la stazione fonometrica è stato scelto dopo
una attenta valutazione. La postazione, pur non collocata in facciata a
ricettori specifici per ragioni di sicurezza e di protezione dagli agenti
atmosferici, è direttamente esposta alle emissioni rumorose dell'impianto
siderurgico e consente l'acquisizione di misure di riferimento adatte a
riscontrare e valutare nel lungo termine le variazioni del clima acustico
esistente nell'area, anche a seguito di interventi di bonifica attuati sugli
impianti produttivi. Nella medesima posizione, l'Agenzia regionale per la
protezione dell'ambiente ha già effettuato a partire dal 2015 delle misurazioni
a campione e dispone delle serie storiche che potranno essere utilizzate nelle
future analisi ambientali.La comunicazione dell'Arpa arriva a pochi giorni di
distanza dall'avvio di un altro tipo di "progetto" legato sempre alla Ferriera
di Servola, quello di carattere legale voluto dall'amministrazione municipale.
La giunta Dipiazza ha infatti "ingaggiato" due avvocati veneti - Fabio Gusso del
Foro di Padova e Sebastiano Tonon di quello di Venezia -, con l'incarico di
studiare la situazione in vista della stesura di una specifica relazione
tecnica. Mansioni per quali i due legali percepiranno un compenso di 51mila euro
(cifra doppia rispetto a quella comunicata in un primo momento dall'esecutivo) a
fronte di cinque mese e mezzo di lavoro.
Nel mondo circolano più di due milioni di auto
elettriche
ROMA - Nel mondo circolano attualmente più di 2 milioni di veicoli
elettrici, grazie al boom che c'è stato nel 2016 anno in cui sono state
immatricolate oltre 750mila unità con questa tipologia di propulsione (erano
state 547.220 nel 2015). È quanto risulta da un recente rapporto
dell'International Energy Agency (Iea) che sottolinea come, nonostante la forte
crescita (+60%) al momento le auto elettriche costituiscano solo lo 0,2% del
parco circolante mondiale e, quindi, abbiano un limitatissimo impatto sulla
riduzione del gas serra che, secondo lo studio Intergovernmental Panel on
Climate Change, sono generati globalmente per il 14% dai mezzi di trasporto. A
livello di mercati, la Cina ha sorpassato nel 2016 gli Stati Uniti per acquisti
di veicoli elettrici, raggiungendo una diffusione dell'1,5% sul parco
complessivo e assorbendo il 40% di tutte le vendite. La Iea fa anche notare che
in Cina circolano 200milioni di mezzi elettrici a due ruote, e più di 300mila
autobus elettrici, che non vengono però computati in queste statistiche. In Usa
159.139 consegne (+37%) hanno permesso di raggiungere una quota dell'1,13%
(nelle passenger car), mentre in Europa è confermata l'importanza della
Norvegia, seguita da Olanda (6,4%) e Svezia (3,4%). Nello studio realizzato
dalla divisione Energy Technology Policy anche una previsione di quello che
potrebbe essere lo scenario elettrico nei prossimi anni: dagli attuali 2 milioni
- a seconda delle condizioni generali e locali e in base alla diminuzione dei
costi - si potrebbe arrivare ad un circolante elettrico tra 9 e 20 milioni di
unità nel 2020 e fra 40 e 70 milioni nel 2025.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 28 dicembre 2017
La battaglia legale contro la Ferriera affidata a due veneti - Il dossier Servola nelle mani degli avvocati Gusso e Tonon - Compenso da 51mila euro per un incarico di cinque mesi
Sono Fabio Gusso del Foro di Padova e Sebastiano Tonon di quello di Venezia gli avvocati ingaggiati dal Comune per affiancare il sindaco nella "battaglia" sulla Ferriera. L'incarico, che impegnerà i due professionisti dal 15 gennaio al 30 giugno 2018, prevede «la promozione - si legge nel contatto stipulato tra l'amministrazione e i legali - di atti rivolti alla risoluzione delle problematiche sanitarie ed ambientali lamentate dalla cittadinanza relative alla Ferriera di Servola derivanti dall'area a caldo». «L'obiettivo è l'incisività, - sottolinea Dipiazza - io ho dato l'indirizzo politico, chiesto di cercare dei professionisti che mi potessero affiancare su questo tema e gli uffici hanno provveduto ad individuarli». Nella delibera di giunta approvata il 21 dicembre scorso, si specifica che i due avvocati sono stati scelti ad intuitu personae, prendendo dunque in considerazione le qualità personali, professionali dei due legali. Si specifica inoltre che a fine novembre, facendo riferimento proprio all'attivita di consulenza legale al sindaco in merito alla Ferriera, era stata richiesta la disponibilità a fornire un supporto legale anche all'Avvocatura del Comune. Cosa che non è stata possibile visto soprattutto l'elevato numero di contenziosi in essere (1096) e che l'Avvocatura si trova ad affrontare. La collaborazione di Tonon e Gusso - per la quale è previsto un compenso di 51mila euro (comprensivi di Iva, ritenute fiscali e previdenziali di legge, piu' oneri previdenziali) - prevede una serie di attività che si articolano secondo una scaletta indicativa che prevede - come inserito nello schema disciplinare di incarico - quattro fasi. La prima, della durata di 15-30 giorni, servirà allo studio della documentazione e dello stato di fatto delle iniziative già avviate dal Comune. Ulteriori 30-40 giorni, la seconda fase, saranno utili alla redazione delle diffide, di atti stragiudiziali e delle comunicazioni occorrenti per dare seguito alle iniziative già avviate dall'amministrazione comunale e per l'avvio delle eventuali ulteriori iniziative stragiudiziali che verranno eventualmente individuate. La terza fase della durata di una novantina di giorni, servirà invece ai due professionisti veneti all'elaborazione e alla messa in atto di ulteriori contromosse. L'ultimo step prevede la redazione di una relazione sullo stato di fatto della vicenda, corredata da un parere legale con indicazione di alcune possibili evoluzioni della situazione e di determinare azioni legali che, all'occorrenza, potrebbero venire promosse. L'incarico prevede anche la partecipazione di Gusso e Tonon ad alcuni incontri. Sebastiano Tonon, 47 anni, è stato componete della Commissione consultiva del Settore politiche ambientali della Provincia di Venezia, collaboratore dell'Ispra, organismo tecnico del ministero dell'Ambiente. È stato chiamato anche a supporto dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia per i contenziosi civili e penali interessanti la materia ambientale. Fabio Gusso, una specializzazione in diritto ed economia dei mercati finanziari presso la scuola di formazione Ipsoa, tra le sue competenze indica fusioni e acquisizioni, diritto societario, finanziamenti, contrattualistica commerciale, diritto amministrativo dei servizi pubblici, procedure competitive e concorrenza, immobiliare e transazioni.
Laura Tonero
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 27 dicembre 2017
Tuffi non più proibiti dopo dodici anni a Porto San
Rocco - Revocata l'ordinanza del 2005 che vietava la balneazione nel tratto di
mare davanti alla spiaggia del comprensorio
MUGGIA - Lo specchio acqueo davanti alla spiaggia di Porto San Rocco torna a
disposizione dei bagnanti. Dopo 12 lunghi anni di attesa la Capitaneria ha
deciso di revocare l'ordinanza risalente al 2005 che aveva di fatto vietato
l'accesso al mare di uno dei tratti più belli del litorale muggesano. L'area in
questione era interdetta alla balneazione in seguito appunto a un'ordinanza,
firmata dall'allora comandante Paolo Castellani, in cui si evidenziava come
proprio «nello specchio acqueo antistante il tratto di litorale prospiciente la
zona verde e il parcheggio pubblico di Porto San Rocco» risultassero essere
presenti «alcuni residui in ferro sommersi affioranti dal fondale del mare». Per
12 anni, quindi, non essendo stata mai eseguita una bonifica di tali residui
ferrosi, l'area è rimasta ufficialmente off-limits, anche se quasi sempre i
bagnanti hanno continuato a usufruire della zona, rischiando peraltro di
incappare in una sanzione pecuniaria che ai sensi dell'articolo 1164 del Codice
della navigazione va dai 100 ai 1000 euro. Durante la scorsa estate
l'ingombrante e pericolosa presenza di materiale ferroso era tornata agli onori
della cronaca, essendo visibile uno spuntone di ferro affiorante dal mare, in
particolar modo nelle giornate di bassa marea. Per cercare di porre rimedio alla
situazione era intervenuta la Scuba Tortuga, l'associazione sportiva subacquea
muggesana che si era proposta, tramite i suoi volontari, di ripulire
gratuitamente l'area inquinata. Dalla Capitaneria, però, era arrivato il diniego
ad operare in quel tratto di mare. Nel corso di un colloquio avvenuto nel mese
di giugno con i rappresentanti della Scuba Tortuga e con Francesco Pilato,
quest'ultimo nelle vesti di rappresentante del Supercondominio di Porto San
Rocco, anch'esso interessato alla bonifica dell'area, il comandante della
Capitaneria, il capitano di vascello Luca Sancilio, aveva sostenuto di aver
negato il permesso alla pulizia dei fondali perché la presenza di un centinaio
di subacquei in acque interdette per presenza di elementi ferrosi, spuntoni e
altro, avrebbe potuto costituire un pericolo, anche in considerazione del fatto
che i subacquei potevano non essere perfettamente al corrente dello stato dei
fondali. Quasi contemporaneamente, però, Sancilio aveva inviato a Comune e
Autorità portuale una nota con la quale invitava i due enti a verificare lo
stato dei fondali e a rimuovere eventuali rifiuti ferrosi. L'Autorità portuale
aveva quasi immediatamente affidato ad un'impresa di lavori subacquei le
operazioni di taglio e rimozione di elementi metallici depositati sul fondale.
Una volta bonificata l'area, la Capitaneria, a seguito dei lavori eseguiti, ha
revocato la vecchia ordinanza 35 del 2005. «Mai più avremmo pensato che in
pochissimi mesi Capitaneria, Autorità portuale e Comune, lavorando in sinergia,
avessero risolto un problema che si trascinava da oltre 12 anni: a tutti questi
soggetti pubblici e in particolare al comandante della Capitaneria Luca Sancilio
va il nostro ringraziamento», le parole di Marco Russo, presidente della Scuba
Tortuga.Raggiante anche il sindaco di Muggia, Laura Marzi: "È un altro grande
passo nella direzione dello sviluppo turistico della costa, che ci stiamo
impegnando a portare avanti su più fronti. Un valore aggiunto per tutta la
comunità, che si sta riappropriando, passo a passo, di tutta la sua zona a mare.
Un valore aggiunto anche nell'ottica del rilancio in chiave turistica di Porto
San Rocco, che ben si inserisce nel progetto di riqualificazione che lo sta
interessando».
Riccardo Tosques
Torna la minaccia dell'ailanto nei parchi - La pianta
infestante si diffonde. Il Comune: «Stiamo valutando le contromisure assieme ai
tecnici»
Nonostante il taglio effettuato mesi or sono, tornano, sempre più numerosi,
a far capolino nella parte nord del frequentatissimo Giardino Pubblico, gli
inquietanti Ailanti, alberi pericolosamente infestanti che continuano a
conquistare porzioni di territorio ai danni degli altri vegetali. Di piante
aliene che invadono orti, giardini e boschi se ne parla ormai da tempo, eppure
enti preposti e amministrazioni sembrano trascurare o minimizzare un problema
che va di pari passo con quei cambiamenti climatici che già oggi impongono
scelte di vita penalizzanti. L'Ailanto è uno di quegli alberi che, giovandosi
del caldo torrido estivo, sta colonizzando città, versanti collinari, periferie
più o meno degradate. A Trieste non occorre girare tanto per imbattervisi. Basta
osservare quel mini boschetto che, nella parte a monte del centralissimo
giardino pubblico "Muzio de Tommasini", spunta sulla superiore via Volta. Già
nel dicembre dello scorso anno, proprio da queste pagine, era partita la
segnalazione della presenza dell'Ailanto nel principale parco cittadino con le
osservazioni di Livio Poldini, professore emerito del Dipartimento di Scienze
della Vita dell'ateneo triestino, a evidenziare la nocività di questa pianta
infestante originaria dell'Asia. Il Comune, qualche tempo dopo la segnalazione,
ha avuto modo di perfezionare il taglio della macchia di ailanti che
prosperavano in una zona defilata del giardino pubblico. Purtroppo l'intervento
non è servito: negli ultimi mesi gli alberi tagliati sono tornati a nuova vita,
se possibile ancora più robusti e alti. Una delle caratteristiche dell'Ailanto è
di riprodursi negli spazi più accidentati e degradati. A Trieste lo si trova
oramai dovunque. Originario della Cina, venne introdotto nel XVIII secolo per
realizzare dei nuovi allevamenti di baco da seta dimostratisi non redditizi.
Abbandonata la cultura, l'Ailanto ha continuato a riprodursi sino a diventare
quel pericolo pubblico odierno che botanici e forestali continuano a denunciare.
«Una vera e propria macchina da guerra vegetale che fa il vuoto attorno a sé -
rincara il professore Poldini - e che ormai troviamo dovunque. Ogni Ailanto
maturo produce annualmente oltre 250. 000 semi! A favorire la sua diffusione, il
clima caldo che oramai caratterizza le nostre estati». Come neutralizzare questo
infestante? «È necessario tagliare la pianta sinché non indebolisca e muoia».
Per il Comune risponde l'assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi: «Il problema è
noto e ci stiamo lavorando. Purtroppo non è di facile risoluzione, e il nostro
tecnico forestale sta valutando diverse ipotesi di intervento. Non sono ancora
in grado di fornire dei tempi, tuttavia la questione rimane assolutamente sotto
il nostro obiettivo».
Maurizio Lozei
GREENSTYLE.it - MARTEDI' 26 dicembre 2017
Come riciclare i rifiuti di Natale?
Le feste di Natale possono rappresentare un’occasione per dimostrarsi amici dell’ambiente, anche attraverso un corretto smaltimento dei rifiuti. Questo perché le cene in famiglia o con gli amici rischiano di trasformarsi in uno spreco di materiali riciclabili: secondo un’indagine statunitense il periodo natalizio fa registrare un incremento medio della quota “secco” o “indifferenziato” pari al 25%.
Non sono soltanto i normali rifiuti a preoccupare, ma anche quelli tipicamente associati al Natale. Tra questi luci e decorazioni, tappi di spumante e in diversi casi piatti, bicchieri e posate usa e getta acquistate per l’occasione. Meglio agire per tempo, selezionando prodotti facili da smaltire attraverso la raccolta differenziata e preparando prima dell’arrivo degli ospiti i vari secchi e sacchetti per ciascun materiale da riciclo (consultare per l’esatto conferimento la locale azienda di smaltimento e recupero).
Umido
Può sembrare un paradosso, ma anche una tra le più facili materie da smaltire come l’umido può finire impietosamente nell’indifferenziata. Accade soprattutto quando si utilizzando piatti e bicchieri di plastica usa e getta: gli eventuali avanzi di cibo presenti tendono a finire nel secco insieme ai loro contenitori, rappresentando un inutile spreco di risorse (che potrebbero diventare bioenergie o compost). Tenendo a portata di mano un sacchetto dell’umido e, soprattutto, ricorrendo alle stoviglie tradizionali, anche i più “scettici” saranno portati a separare gli avanzi da piatti e bicchieri. Discorso simile vale per i pezzetti di cibo rimasti sulla tovaglia, che spesso finiscono per l’essere gettati sul pavimento per poi essere raccolti con la scopa: così facendo però verranno mescolati a sporco e polvere, costringendo quindi a gettarli con gli altri rifiuti secchi nell’indifferenziata; con un po’ di attenzione si potranno far cadere direttamente nel sacchetto della frazione umida, minimizzando così il problema. Andranno conferiti nella frazione umida anche i tovaglioli di carta entrati a contatto con la frazione umida o utilizzati per pulirsi durante il pasto.
Piatti, bicchieri e posate “usa e getta”
Non è mai sbagliato ricordare che piatti, bicchieri e posate “di plastica” in
realtà devono essere conferite con l’indifferenziata e non con la plastica. Il
materiale di cui sono composte non è riciclabile insieme con altri rifiuti
precedentemente utilizzati come contenitori. Stesso discorso vale anche per
alcuni oggetti particolari come le palle dell’Albero di Natale o le lampadine
delle luminarie.
Luci e decorazioni
Entrando quindi nello specifico per quanto riguarda le luminarie, le luci
utilizzate durante le festività devono essere smaltite come rifiuti elettronici
e non gettate nell’indifferenziata o nella raccolta vetro. Come ricorda il
consorzio Ecolamp questi prodotti fanno parte del gruppo di RAEE noto con la
sigla R4, come tali quindi necessitano di essere conferite presso un’isola
ecologica o un apposito centro di smaltimento. Alcuni indirizzi di punti di
raccolta sono forniti dallo stesso consorzio attraverso il sito Internet
www.ecolamp.it/centri-raccolta.
Falsi amici e consigli utili
Dovranno finire tra i rifiuti inseriti nella raccolta indifferenziata, pena la
potenziale compromissione della “differenziata” erroneamente associata, anche
alcuni “falsi amici” come piatti e bicchieri di cristallo, prodotti in pyrex o
vetroceramica, così come ad esempio elementi in ceramica tra cui pirofile,
statuette del presepe, tazze e tazzine.
Secondo Tom Carpenter, direttore dei servizi di sostenibilità presso la Waste
Management, nel preparare i contenitori di prodotti ormai consumati non è
necessario che siano puliti alla perfezione e lavati con acqua, basterà
semplicemente togliere quanti più residui possibile con una posata: il rischio è
altrimenti uno spreco idrico superiore a quello generato dalla mancata pulizia.
Altro possibile motivo di “confusione” è il simbolo con le tre frecce
solitamente associato riciclo, presente su alcuni contenitori realizzati con
miscele in resina e in cui tale disegno serve unicamente per indicare il codice
di riferimento e non l’effettiva possibilità di recupero.
Ultima nota in merito alla carta da regalo utilizzata per incartare i pacchi natalizi. Spesso si tratta di fogli trattati e resi lucidi attraverso processi che ne rendono impossibile il riciclo. Meglio utilizzarne di prodotti con carta riciclata o magari utilizzare fogli di giornale per nascondere un dono atteso e gradito, così da aumentare ulteriormente la sorpresa in chi scarterà il pacchetto.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - DOMENICA, 24 dicembre 2017
La Slovenia vince la battaglia per salvare le api
BELGRADO - Inquinamento, pesticidi e parassiti stanno mettendo a rischio le
api in tutto il mondo. Ma i piccoli insetti hanno da mercoledì un alleato a
sorpresa. È la Slovenia, che ha vinto una lunga e sentita battaglia per
sensibilizzare il mondo intero sull'importanza delle api, non solo per la
produzione di miele, ma soprattutto come impollinatrici. Vittoria che si è
concretizzata con il voto dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove 115
Paesi hanno recepito la proposta di Lubiana, nata da un'idea dell'Associazione
degli apicoltori sloveni, di dichiarare il 20 maggio «Giornata internazionale
delle api». Paesi - tra cui vi è la Cina, gli Usa, la Russia e tutti gli Stati
membri dell'Ue - che si sono così impegnati a «osservare» il giorno dedicato
alle api «attraverso educazione e attività pensate per aumentare la
sensibilizzazione sull'importanza delle api e di altri impollinatori, sulle
minacce che incombono e sul loro contributo a uno sviluppo sostenibile», ha
specificato l'agenzia di stampa slovena, Sta. Venti maggio, è stato precisato,
che è stato scelto sia perché in quel periodo dell'anno maggiore è l'attività
delle api nell'emisfero boreale, sia perché è la data di nascita del pioniere
dell'apicoltura nell'impero austro-ungarico, lo sloveno Anton Jansa (1734-1773).
Per Lubiana «la dichiarazione sulla Giornata delle api è primariamente un
obbligo», ha commentato il ministro sloveno dell'Agricoltura, Dejan Zidan,
«vogliamo fare di più per la protezione delle api e altri impollinatori» e per
la difesa «della biodiversità», ma anche per la lotta «alla fame» nel mondo,
dove un terzo del cibo prodotto a livello globale dipende appunto dal lavoro
d'impollinazione delle api. In Slovenia sarà anche aperta un'Accademia
internazionale d'apicoltura
s.g.
IL PICCOLO - SABATO, 23 dicembre 2017
«La prima pietra del Parco del mare entro la fine 2018»
- Paoletti fiducioso: «Iter amministrativo chiuso in estate» - Il Municipio
valuterà se ricorrere a una variante al Prg
Comune, Camera di commercio, Autorità portuale definiranno tra la fine di
gennaio e l'inizio di febbraio un accordo di programma, che costituirà la base
amministrativa per avviare il Parco del mare. Il documento, sul quale sono al
lavoro gli staff tecnici degli enti interessati, dettaglierà e ripartirà gli
interventi da eseguire. In particolare, il Municipio valuterà - ha riferito
l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli - se ricorrere o meno alla variante al
Piano regolatore. L'altra mattina Antonio Paoletti, presidente della Camera di
commercio e principale assertore del progetto, ha accompagnato il sindaco
Roberto Dipiazza in un sopralluogo sul sito "candidato" ad accogliere il Parco
del mare: siamo nell'area ex Cartubi ed ex PortoLido, vicino alla Lanterna e al
"Pedocin" in molo fratelli Bandiera. Il progetto PortoLido, che era stato
lanciato da Italia Navigando (agenzia del ministero dello Sviluppo Economico), è
rimasto al palo e la controllata "Trieste Navigando", detentrice della
concessione deliberata dall'Autorità portuale, è stata acquisita dalla Camera di
commercio e dalla partner Fondazione CrT. Paoletti è parso fiducioso sul decollo
di un'iniziativa che, per una ragione o per l'altra, ha fatto discutere ed è
stata al centro del dibattito politico triestino. Il presidente camerale ritiene
possibile «sia la posa della rituale prima pietra entro la fine del prossimo
anno che l'espletamento dell'iter amministrativo entro l'estate 2018». Il clou
della procedura - ha riepilogato Paoletti - si sostanzierà in un bando integrato
che conterrà progetto, costruzione, gestione (perlomeno fino al rientro
dell'investimento effettuato nello spirito del project financing). La struttura
finanziaria dell'operazione resta confermata in 44 milioni di euro: la metà sarà
a cura di Camera, Fondazione, Regione Fvg, l'altra metà dovrà essere la dote
dell'investitore privato. Costa Edutainment, gerente dell'Acquario di Genova,
pare una possibile candidata, ma Paoletti non esclude la partecipazione di più
cordate alla gara. «Abbiamo ricevuto parecchie richieste per visitare il sito»,
gli piace chiarire. Il sopralluogo sembra aver ulteriormente convinto Dipiazza.
Nel senso che «è una delle zone più degradate di Trieste, se non la più
degradata». Quindi - sostiene il sindaco - chi si oppone al Parco del mare,
vuole lasciare nello sfacelo una zona centrale, affacciata sul mare, «che
diventerà un importante attrattore turistico». «Come si fa a dire - s'infervora
il primo cittadino - che il Parco del mare rovinerà un'area che oggi giace nel
completo abbandono?».Il Parco del mare consta essenzialmente in un grande
acquario. Un paio di anni fa la Fondazione aveva affidato al gruppo Acb uno
studio preparatorio dell'operazione. Studio che aveva esaminato tre scenari: la
proposta di Peter Chermayeff, l'ipotesi Lisbona, una versione ridotta che è poi
servita come "filo rosso" per le mosse successive. Comunque gli importi sono
significativi: 19 milioni per gli interni e gli impianti, quasi 16 milioni per
la realizzazione edile, poco meno di 4,5 milioni destinati alla progettazione. A
regime una settantina gli addetti.
Massimo Greco
«Duino Aurisina rischia la paralisi edilizia» - Comune
e agricoltori puntano il dito contro il Piano paesaggistico della Regione che
blocca di fatto ogni ampliamento
DUINO AURISINA - Niente ampliamenti di ville e appartamenti, nonostante il
Piano casa. Nessuna possibilità di ingrandire e ristrutturare costruzioni
dedicate alle attività agricole e alla viticoltura, stalle, depositi di
attrezzi. Rischia di bloccarsi quasi del tutto l'attività edilizia nel Comune di
Duino Aurisina. È questa la diretta e inattesa conseguenza dell'adozione, da
parte della Regione, del Piano paesaggistico per il Friuli Venezia Giulia. Un
documento che ha messo in allarme l'intera amministrazione comunale e
l'Associazione agricoltori del Carso. «Dovessimo applicare alla lettera il
dettato del Piano - spiega l'assessore per i Lavori pubblici, Lorenzo Pipan - il
95% della superficie del nostro territorio comunale ne sarebbe coinvolta, con la
drammatica conseguenza di un'immediata interruzione di numerose attività
economiche, in primis quella edile e quella legata all'agricoltura. Invece di
pensare alla valorizzazione del territorio - aggiunge - qui si va verso il
congelamento di qualsiasi progetto». Una reazione che vede l'esponente della
giunta sulla stessa linea di Edi Bukavec, segretario dell'Associazione degli
agricoltori del Carso: «Innanzitutto lamentiamo il fatto di non essere stati
convocati preventivamente - protesta Bukavec -, perché avremmo potuto esporre le
nostre ragioni prima di vedere adottato questo Piano. In secondo luogo -
prosegue - questo documento ci preoccupa perché va a condizionare l'intero
sviluppo del territorio del Carso».Il segretario dell'Associazione agricoltori,
da tempo impegnato nella battaglia per il recupero di aree dell'altipiano da
destinare alla viticoltura («bisognerebbe unire le forze di tutti i Comuni
coinvolti - precisa su questo fronte - per rinnovare il protocollo che
disciplina le attività legate alla produzione del Prosecco»), ha espresso le sue
ragioni in relazione al Piano paesaggistico regionale nel corso di un incontro
che ha visto presenti, fra gli altri, il sindaco di Duino Aurisina, Daniela
Pallotta, il suo vice, Walter Pertot, e l'assessore Andrea Humar. «Chiediamo
anche l'istituzione di uno Sportello - sottolinea Bukavec - al quale gli
agricoltori si possano rivolgere per qualsiasi autorizzazione necessaria per lo
svolgimento dell'attività, in modo da snellire la burocrazia».«Va ricordato -
riprende Pipan, tornando al Piano paesaggistico - che negare il diritto ad
ampliare, nelle aree che il Piano regolatore definiva edificabili,
significherebbe per l'amministrazione perdere un notevole gettito Imu. I
proprietari - continua l'assessore - non sarebbero più tenuti a versare le
aliquote maggiori, perché i loro terreni perderebbero la qualifica di
edificabili».«Scriverò alla presidente Serracchiani - annuncia intanto Pallotta
- per chiedere un incontro e cercare di chiarire questa complicata situazione».
Ugo Salvini
PISINO - Una mangiatoia per salvare dall'estinzione il
gipeto barbuto
PISINO - Anche in Croazia il gipeto barbuto uccello rapace della famiglia
Accipitridae noto anche come avvoltoio barbuto o avvoltoio degli agnelli, è in
pericolo di estinzione. Si calcola che ne siano rimaste in vita poco più di un
centinaio di coppie adulte e la drastica riduzione viene attribuita
all'abbandono delle forme tradizionali di agricoltura e alla riduzione
dell'allevamento estensivo. In questo modo si sono ridotti sensibilmente la
quantità di cibo disponibile e la superficie del loro habitat. In Istria per
correre ai ripari, sul Monte Maggiore è stata costruita una mangiatoia per il
gipeto barbuto poichè è risaputo che nel periodo dell'annidamento e nel primo
anno di vita questo rapace ha necessità di una fonte sicura e affidabile di
cibo. Come spiega il direttore del Parco del Monte Maggiore Egon Vasilic, la
mangiatoia è stata realizzata con i mezzi della donazione del Fondo per
l'ambiente.
(pr)
IL PICCOLO - VENERDI', 22 dicembre 2017
Ue: 84 milioni di aiuti illegali per l'Ilva - Chiusa
l'indagine dell'Antitrust. Calenda: soddisfatto, cifra contenuta. La commissaria
Vestager: «Avanti con la bonifica»
ROMA - L'Italia dovrà recuperare dall'Ilva 84 milioni di euro di aiuti di
Stato illegali, sugli oltre 2 miliardi di interventi messi in campo dal Governo
italiano dal 2014. Una cifra che lascia il ministro dello Sviluppo economico
Carlo Calenda molto soddisfatto, e che mette fine all'indagine approfondita che
la Commissione europea aveva aperto a gennaio 2016. Restano ora aperte la
procedura per aver disatteso le norme ambientali, di fatto in stand-by in attesa
della vendita, e l'esame dell'operazione di fusione con Arcelor Mittal, che deve
terminare entro il 4 aprile 2018. Intanto, ieri al Mise è stato convocato un
nuovo tavolo per riprendere la discussione con i sindacati sul piano industriale
dell'acquirente, mentre Bruxelles invita a procedere senza ritardi
nell'operazione di bonifica. L'indagine della Commissione riguardava cinque
misure di sostegno, per un totale di 2,4 miliardi. Soltanto due interventi
«hanno conferito all'Ilva un vantaggio indebito», nel 2015, cioè nel periodo
dell'apertura della procedura d'insolvenza. Illegali sono le condizioni
finanziarie di una garanzia statale su un prestito di 400 milioni di euro e di
un prestito pubblico di 300 milioni.«Tali importi sono stati utilizzati per
finanziare il fabbisogno di liquidità dell'Ilva relativo alle sue attività
commerciali e non per sopperire ai costi della bonifica ambientale. Entrambe le
misure sono state concesse a condizioni più favorevoli rispetto alle condizioni
di mercato e hanno avvantaggiato l'azienda rispetto agli altri produttori di
acciaio dell'Ue, che devono finanziare a proprie spese le operazioni correnti e
gli interventi di ristrutturazione», scrive la Ue. L'Ilva deve ora rimborsare
circa 84 milioni di euro di aiuti (interessi esclusi), corrispondenti alla
differenza tra le condizioni finanziarie del prestito e della garanzia di cui ha
beneficiato, e le condizioni prevalenti sul mercato. Il rimborso rimane una sua
responsabilità, e non può essere trasferito al nuovo acquirente. Per quanto
riguarda però il resto del sostegno, gli oltre 2 miliardi «non si qualificano
come aiuto di stato perché sono in linea con le condizioni del mercato, o perché
non coinvolgono fondi pubblici». Come gli 1,1 miliardi che i proprietari
dell'Ilva hanno trasferito alla società nel giugno 2017 e destinati alla
bonifica. Bruxelles riconosce poi che la procedura di vendita degli attivi di
Ilva «si è svolta in modo aperto, corretto e trasparente». La «grande
soddisfazione» di Calenda non è quindi solo per la cifra ridotta degli aiuti da
recuperare, ma anche «per il riconoscimento che la Commissione ha voluto
esprimere sulla conduzione da parte del governo italiano del processo di gara».
E la ritiene «una tappa significativa di un percorso lungo e complesso per
garantire il futuro del più grande sito siderurgico europeo». Da parte sua la
commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ricorda che l'indagine sugli
aiuti non ha intralciato in alcun modo gli interventi di bonifica.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 21 dicembre 2017
L'auto elettrica corre in Fvg - Piano Enel per 252 stazioni - Su scala nazionale previste 14 mila colonnine per la "ricarica"entro il 2022
In provincia di Trieste saranno 44. Asse con i Comuni e
le Regioni -
il piano nazionale ENEL per l'auto elettrica
TRIESTE - La rivoluzione dell'auto elettrica arriva anche in regione. Il
piano nazionale dell'Enel si propone di distribuire in modo uniforme nel Paese
le colonnine elettriche, simbolo del nuovo paesaggio urbano senza benzina. Un
flusso silenzioso di auto e mezzi pubblici che si ricaricherà grazie a 7mila
centraline entro il 2020 con l'obiettivo di arrivare a quota 14mila entro il
2022. Di fatto si ripresenta lo stesso scenario avvenuto con le rinnovabili che
una decina di anni fa sembravano un business di nicchia mentre oggi con una
produzione di 20mila megawatt solo in Italia diventano realtà e infrastruttura
nel Paese. La crescita della mobilità elettrica sembra inarrestabile anche se
siamo ancora all'inizio. Secondo la società di consulenza globale AlixPartner da
una quota di mercato frazionale (solo lo 0,21%) nel primo trimestre del 2013 si
è passati all'1,19% dei primi tre mesi di quest'anno. Nello stesso periodo di
tempo il numero di veicoli elettrici venduti è passato da 41.023 a 260.411. Le
colonnine di rifornimento elettrico oggi nel Paese sono relativamente poche
(circa 900) e distribuite in modo non uniforme. Il gruppo investirà così fino a
300 milioni di euro in 5 anni nella rivoluzione elettrica sulle ruote che nel
giro di qualche anno potrebbe sconvolgere il panorama della mobilità urbana nel
Paese e in Friuli Venezia Giulia. Nel quartier generale dell'Enel confermano
infatti che il piano nazionale per la mobilità elettrica lanciato
dall'amministratore delegato Francesco Starace prevede uno sbarco in forze anche
in Friuli Venezia Giulia. I numeri cominciano a essere importanti: 252 stazioni
elettriche da realizzarsi entro il 2022. Nella suddivisione per province al
primo posto c'è la provincia di Udine con 103 stazioni, segue Pordenone con 75,
Trieste con 44 e Gorizia con 30. Le tipologie di infrastrutture di ricarica che
saranno installate dall'Enel saranno di tipo Quick (con potenze fino a 22kw per
il traffico urbano) e Fast Recharge per i collegamenti extraurbani. Enel propone
tre modelli di ricarica di diversa potenza e con diverse velocità. Le più
rapide, destinate alle strade extraurbane, consentono di fare il pieno di
energia in 20-30 minuti. Le stazioni saranno distribuite non solo sulle strade.
Circa l'80% dei punti di ricarica verrà installato nelle zone cittadine, di cui
il 21% nelle grandi aree metropolitane e il 57% nelle altre città, e il restante
20% circa a copertura nazionale, per garantire gli spostamenti di medio e lungo
raggio, nelle zone extraurbane e nelle autostrade. La nuova colonnina elettrica,
progettata da Marco Susani e Defne Koz, aumenta le possibilità di interazione
con il cliente attraverso wifi e bluetooth: basterà una semplice applicazione.
Il Piano nazionale verrà sviluppato in collaborazione con i Comuni e le Regioni
interessate, dove Enel investirà direttamente nelle infrastrutture di ricarica,
e insieme ai soggetti privati che vorranno partecipare al progetto, con un
contributo da parte dell'azienda che potrà arrivare fino al 65%
dell'investimento. Si punta anche a incentivare i privati: supermercati,
ristoranti, garage. Di recente il gruppo elettrico ha siglato un protocollo
d'intesa con Enel che prevede l'installazione di circa 250 postazioni di
ricarica nei supermercati e centri commerciali dal Nord al Sud. «Siamo
fortemente impegnati a dare all'Italia un contributo decisivo all'evoluzione di
un sistema di mobilità sostenibile. Questo porterà grandi benefici per
l'ambiente, il sistema economico, le imprese e i cittadini. Il mondo energetico
sta attraversando una profonda fase di cambiamento che coinvolge tutti i suoi
aspetti e apre grandi opportunità grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, come
quelle legate alla e-mobility, che cambiano le abitudini delle persone,
migliorandone la vita quotidiana all'interno e all'esterno delle aree urbane»,
ha detto Starace.
Piercarlo Fiumanò
Il ministero "blinda" l'ordinanza antibici nel centro
di Muggia - Respinto da Roma il ricorso presentato da tre cittadini - A giugno
2018 tre vie torneranno off-limits per le due ruote
MUGGIA - Il Ministero ha definitivamente bocciato il ricorso proposto da tre
cittadini contro l'ordinanza antibici del Comune di Muggia. Tramite una lettera
inviata al municipio rivierasco, il Ministero delle Infrastrutture e dei
trasporti ha dato dunque ragione all'amministrazione Marzi nella querelle sorta
dopo il ricorso presentato da tre cittadini muggesani - Christian Bacci, Gaetano
Maggiore e Carlo Canciani - contro l'ordinanza dirigenziale del 18 luglio
scorso, con cui la Giunta aveva decretato le nuove regole per la viabilità
all'interno del centro storico. Ma la partita potrebbe non essere ancora chiusa
del tutto. «Stiamo valutando se fare o meno ricorso al Tar del Friuli Venezia
Giulia» conferma Bacci. Sebbene l'ordinanza "della discordia" non sia più in
vigore dal 30 settembre, essendo terminata la stagione estiva, con i divieti che
scatteranno nuovamente dal primo giugno 2018, la lettera spedita dal Ministero
con la bocciatura totale del ricorso presentato dai tre cittadini ha di nuovo
riproposto la questione che aveva fortemente scaldato gli animi in estate.Il
documento, che dallo scorso giugno regolamenta la viabilità del centro storico
inserendo, tra i tanti punti, anche l'obbligo di spingere le biciclette a mano
in tre zone del centro - corso Puccini, via Dante e piazza Marconi - era stato
fortemente contestato dalla sezione muggesana di Fiab Ulisse, l'associazione di
ciclisti presente sul territorio provinciale. Tramite l'ufficio legale
dell'associazione Christian Bacci, Gaetano Maggiore e Carlo Canciani avevano
presentato a luglio un ricorso al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti
contro l'ordinanza sindacale di Muggia. Inizialmente il Ministero aveva accolto,
seppur con riserva, il ricorso dei cittadini tanto da inviare al Comune una nota
con la sospensione del documento. Una sospensiva peraltro senza tempistiche
precise e con la possibilità da parte dell'amministrazione di appellarsi a
motivi di sicurezza per un eventuale ripristino. E non essendovi, infatti, alcun
pronunciamento, il Comune aveva ripristinato l'ordinanza fornendo delle
controdeduzioni. Dopo aver fornito a Roma i documenti necessari per avvalorare
la necessità di una regolamentazione della presenza delle biciclette in alcune
zone del centro storico il Comune ha ricevuto la risposta da parte del
Ministero: il ricorso proposto da Bacci, Maggiore e Canciani è stato respinto.
Ora i tre cittadini avranno 60 giorni di tempo per farsi valere davanti al Tar
del Friuli Venezia Giulia oppure 120 giorni per presentare un ricorso
straordinario al presidente della Repubblica. Soddisfatta il sindaco di Muggia,
Laura Marzi: «Fa indubbiamente piacere che il Ministero abbia ritenuto che la
nostra ordinanza tuteli la sicurezza di tutti i cittadini e non sia
discriminante nei confronti di alcuna categoria. Siamo consapevoli di non ledere
l'interesse di nessuno, anche perché l'ordinanza in questione è stata modulata
morbidamente attraverso stagionalità e orari precisi. Il parere del Ministero
non fa che confermare quanto di buono fatto».
Riccardo Tosques
Grignano - Muro crolla sulla scalinata del "Sentiero
Natura"
TRIESTE - Le forti piogge di metà dicembre continuano a creare problemi di
stabilità sui versanti collinari triestini. A farne le spese non solo condomini
e case, ma pure quegli antichi percorsi rurali che solcano boschi e valli. Tra
questi, decisamente mal ridotto, è il classico "Sentiero Natura" che dalla parte
alta di Grignano arriva a Contovello, grazie a una splendida e antica scalinata
in pietra che si inerpica attraverso la boscaglia regalando scorci incantati sul
parco di Miramare e sul golfo. Proprio in questi giorni un muretto di
contenimento sovrastante il sentiero è franato sulla scalinata rendendola
parzialmente inagibile. Non sarà purtroppo né il primo né l'ultimo pezzo di muro
che cadrà al suolo: buona parte delle strutture di contenimento dei pastini che
circondano il sentiero sono prossimi a cadere. Umidità e rovesci stanno
letteralmente gonfiando i muretti ed è probabile che altri smottamenti non
tarderanno a verificarsi. I danni sono notevoli e diffusi. Con il dissesto degli
antichi percorsi che dal mare portano al ciglione carsico, scalinate e sentieri
che servivano a pescatori e agricoltori per portare i frutti del proprio lavoro
nelle località carsoline, vanno a perdersi dei brani di storia contadina
tutt'altro che secondari. Nel caso del Sentiero Natura, che tra l'altro culmina
nell'area verde dell'altrettanto antico stagno di Contovello, si rischia di
perdere uno dei percorsi più belli e frequentati dai turisti. Tra questi,
infatti, non sono pochi gli ospiti dell'Ictp che si avventurano lungo questa
direttrice, con potenti obiettivi, per cogliere le bellezze del golfo. Accanto
al sentiero, risulta da tempo accidentata anche la scalinata in arenaria che
dall'inizio del "Natura" collega alla stazione ferroviaria di Miramare e
all'entrata a est del parco. Complessivamente un itinerario che ha pochi eguali
per chi insegue un turismo provinciale alternativo ricco di scorci e attrattive.
(m. l.)
Scatta sabato in Croazia il fermo pesca per l'«azzurro»
- Fino al 15 febbraio
FIUME - Scatterà sabato in Croazia il fermo pesca per sardelle, acciughe e
papaline, misura che dal 2006 viene applicata ogni anno in dicembre. Il
ministero dell'Agricoltura, in accordo con i pescatori professionisti istriani,
quarnerini e dalmati, ricorre al fermo biologico per tutelare le biomasse di
queste tre minuscole specie di azzurro che, grazie ai costi contenuti e alle
proprietà delle loro carni, sono le più acquistate nei mercati ittici delle
regioni orientali dell'Adriatico. Facendo tesoro di quanto avvenuto nel 2016,
quando il malumore di pescatori e Assoconsumatori colse nel segno, il divieto di
pesca è stato stabilito a partire dal 23 dicembre, il che vuol dire che per la
Vigilia di Natale si potrà avere a tavola l' azzurro di piccole dimensioni. Non
tutti in Croazia, dato il tenore di vita, possono permettersi il 24 dicembre di
avere a tavola pesci pregiati. Dopo la pescata (meteo permettendo) a cavallo tra
il 22 e il 23 dicembre il fermo durerà fino al 15 febbraio. In quel periodo
comunque non c'è alcun divieto nelle acque slovene e italiane: le sardelle
arriveranno così comunque a Fiume, anche se a prezzi naturalmente più alti.
(a.m.)
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017
Metalli tossici per l’uomo: quali sono
La tossicità dei metalli pesanti è una delle principali minacce per la salute dell’uomo e, ancora, dell’ecosistema in generale. Tra questi elementi ve ne sono alcuni in grado di esercitare un effetto tossico diretto, altri invece lentamente si accumulano in animali e piante che fanno parte della nostra catena alimentare, depositandosi poi nei tessuti e negli organi umani. I metalli pesanti sono inquinanti ambientali e la loro tossicità è un problema di crescente importanza per ragioni ecologiche, evolutive, nutrizionali e ambientali. A livello internazionale, sono state intraprese varie misure per controllare e soprattutto prevenire l’esposizione a queste sostanze.
Tra tutti i metalli, sono definiti pesanti quelli che
hanno una densità specifica superiore a 5g per centimetro quadro. In piccole
quantità sono necessari per mantenere una buona salute, ma in dosi maggiori
possono diventare tossici o pericolosi. I metalli a cui siamo esposti sono nel
complesso 35, di questi solo 23 sono definibili come pesanti: antimonio,
arsenico, bismuto, cadmio, cerio, cromo, cobalto, rame, gallio, oro, ferro,
piombo, manganese, mercurio, nichel, platino, argento, tellurio, tallio, stagno,
uranio, vanadio e zinco. Nella maggior parte dei casi, l’eccessiva esposizione a
questi elementi causa astenia e stanchezza eccessiva, danni cerebrali, ai
polmoni, ai reni, al fegato e anomale variazioni della composizione del sangue.
L’esposizione a lungo termine porta in genere a progressiva degenerazione
muscolare e neurologica, con l’insorgenza di sintomi e segni tipici anche di
altre gravi malattie degenerative come la sclerosi multipla, il morbo di
Parkinson, il morbo di Alzheimer e la distrofia muscolare, oltre ai tumori.
Vediamo alcune informazioni sui metalli pesanti più spesso coinvolti in gravi
avvelenamenti e quali sono i sintomi con cui si manifesta l’esposizione.
Arsenico
L’intossicazione, prima acuta e successivamente cronica, si verifica sia per
inalazione che per ingestione. La dose tossica è compresa tra 5 e 50 mg, in
dipendenza del peso del soggetto, mentre quella letale è di circa 120 mg,
corrispondenti a 1-2 mg per chilo di peso corporeo. Tra tutti i composti
dell’arsenico, il più tossico è l’arsenito di sodio, un sale molto solubile.
L’avvelenamento con questo metallo può avvenire per
ingestione. Gli alti livelli di arsenico nelle falde acquifere sono di origine
geologica e di inquinamento da attività industriali, dall’utilizzo di
antiparassitari, diserbanti e fertilizzanti. Il metallo passa anche facilmente
la barriera placentare e l’esposizione del feto è causa di danni anche gravi.
L’eccesso di arsenico viene eliminato per via renale, anche se ci vogliono circa
10 giorni affinché tutte le quantità vengano eliminate dopo una intossicazione
acuta. L’esposizione professionale può essere causa di avvelenamento cronico,
che si manifesta con sintomi dermatologici e neurologici, mentre l’avvelenamento
da gas arsenicali di solito si presenta con la classica triade: dolori
addominali, ittero e sangue nelle urine.
Piombo
L’intossicazione da piombo si presenta di solito con sintomi poco evidenti in
fase iniziale, tuttavia l’esposizione cronica è causa di encefalopatia acuta,
lesioni d’organo irreversibili e deficit cognitivi. Tutte le concentrazioni di
piombo nel sangue hanno effetti negativi sullo stato di salute, anche se il
rischio di deficit cognitivo si manifesta con concentrazioni di piombo nel
sangue maggiori di 10 microgrammi per decilitro. Coliche addominali, stipsi,
tremori e cambiamenti dell’umore si manifestano successivamente, e i segni di
encefalopatia si sviluppano a partire da una piombemia maggiore di 100
microgrammi per decilitro di sangue.
Mercurio
Tra tutti i composti chimici del mercurio, i più tossici sono quelli solubili.
L’80% del mercurio nell’ambiente deriva da fonti naturali, come ad esempio
l’erosione delle rocce, mentre il restante 20% è immesso nell’ambiente ad opera
dell’uomo soprattutto con l’inquinamento industriale. È invece ormai in disuso
l’impiego di questo metallo in agricoltura. Il mercurio che raggiunge falde,
fiumi e mari può trasformarsi in metilmercurio, che entra nella nostra catena
alimentare attraverso il consumo di pesce e vongole. L’avvelenamento acuto
causato da questo metallo si manifesta con gravi sintomi a carico dell’apparato
gastrointestinale, circolatorio, respiratorio e successivamente anche dei reni.
L’esito è spesso funesto. In caso di avvelenamento acuto per ingestione, è
consigliabile la somministrazione di latte e bianco d’uovo, che hanno dimostrato
di essere buoni antidoti, anche se la terapia è comunque di competenza del
medico che potrà decidere di impiegare sostanze che legano con il metallo, come
dimercaprolo, la penicillamina ed il succimer.
Cadmio
L’intossicazione acuta o cronica da cadmio può essere causata sia per inalazione
che per ingestione del metallo. In genere, l’esposizione al cadmio è di natura
professionale e ne sono coinvolti i lavoratori che operano nell’industria che
produce cuscinetti a sfere, accumulatori e cavi elettrici e cellule
fotoelettriche e reattori nucleari. I primi sintomi sono di natura respiratoria,
ma nel caso di esposizione cronica viene coinvolto tutto l’organismo.
Cromo
Sono tossici i composti solubili del cromo, come acido cromico, cromati e bicromati. Anche nel caso di questo metallo, l’esposizione è di solito di natura professionale e sono coinvolti coloro che operano nell’industria delle vernici, inchiostri, cemento ed elettronica.
Francesca Antonucci
IL FATTO QUOTIDIANO - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017
Sacchettini per frutta e verdura dal 1° gennaio a pagamento nei supermercati. Il ministero: “No a buste riutilizzabili”
Dovranno essere tutti in plastica biodegradabile e compostabile, ma solo usa e getta e sempre a pagamento. La legge non dice quanto dovranno costare i sacchetti, ma ipotesi circolate in questi mesi parlano di una cifra compresa tra i 2 e i 5 centesimi
Sostenibilità sì, ma solo a metà. Dall’1 gennaio 2018 i
sacchetti che al supermercato usiamo per frutta e verdura dovranno essere tutti
in plastica biodegradabile e compostabile, ma solo usa e getta e sempre a
pagamento. Per gli alimenti sfusi, infatti, le buste riutilizzabili sono
bandite. A mettere nero su bianco il divieto è una lettera con cui il ministero
dell’Ambiente ha risposto ai dubbi della grande distribuzione: ambientalisti e
persone attente al portafogli dovranno mettersi l’animo in pace. Alternative non
ce ne sono a quello che a tutti gli effetti appare l’ennesimo balzello a carico
dei consumatori, nonostante in Europa ci siano supermercati in cui i sacchi
riutilizzabili sono ammessi e incentivati anche per frutta e verdura.
NO SACCHETTI RIUTILIZZABILI PER L’ORTOFRUTTA – La lettera del ministero, inviata
ai responsabili degli uffici legali di Coop, Conad e dell’associazione di
categoria Federdistribuzione, è chiara: “Non viene contemplata la possibilità di
sostituire con borse riutilizzabili le borse fornite a fini di igiene come
imballaggio primario per alimenti sfusi”, scrivono dagli uffici del ministro
Gian Luca Galletti. Così, se al posto delle buste per la spesa in bioplastica
alla cassa si possono usare borse riutilizzabili portate da casa, questo non
vale per i sacchi per confezionare gli alimenti sfusi nei reparti del
fresco.“Anche per un coordinamento con le regole di sicurezza alimentare e
igiene degli alimenti”, è la motivazione addotta dal ministero. Se è vero che
per carne, pesce e latticini l’uso di sacchi riutilizzabili potrebbe creare
problemi, per frutta e verdura la posizione del ministero è più difficile da
comprendere. Basta pensare ai mercati, dove in molti casi frutta e verdura non
vengono insacchettate per tipo e finiscono tutte insieme in un’unica busta.
SACCHETTI RIUTILIZZABILI PERMESSI IN SVIZZERA – A chiedere
all’Italia di ridurre l’uso di sacchetti in plastica tradizionale è l‘Europa. Ma
davvero non ci sono alternative alle bustine usa e getta, seppur biodegradabili
e compostabili? Nelle Fiandre, in alcuni punti vendita delle insegne principali
della grande distribuzione, è stato lanciato dall’associazione dei commercianti
un progetto pilota sull’introduzione di sacchetti riutilizzabili e nella Coop
svizzera in tutti i punti vendita i clienti sono incoraggiati a fare a meno dei
sacchetti in plastica. “Dal 6 novembre mettiamo a disposizione un sacchetto a
rete realizzato in fibra di cellulosa, lavabile e riutilizzabile. Permettiamo
anche ai nostri clienti di portare il proprio sacchetto o contenitore per
l’acquisto di ortofrutta. L’unico presupposto è che esso sia trasparente, in
modo da permettere al personale di cassa di vederne il contenuto. I clienti
possono anche mettere diversi tipi di ortofrutta nelle stesso sacchetto
apponendo più etichette”, spiega Guido Fuchs della Coop Svizzera a
ilfattoquotidiano.it.
“OCCASIONE MANCATA PER RIDURRE I RIFIUTI”- Per ridurre l’uso di bicchieri usa e
getta, la Coop elevetica ha anche sviluppato una tazza termica per le bevande
vendute nei propri punti vendita e ristoranti: “L’adozione di queste tazze che
sono in vendita ad un prezzo vantaggioso viene premiata con un piccolo sconto
sul prezzo della bevanda”, aggiunge Fuchs. E proprio nell’ottica di riduzione
dei rifiuti, la scelta italiana di bandire i sacchetti riutilizzabili per
l’ortofrutta viene vista da alcuni come un’occasione mancata. “Purtroppo,
nonostante le normative europee ci spingano a cambiare stili di vita e di
consumo e a ridurre i rifiuti, leggi nazionali come questa vanno, aldilà delle
buone intenzioni, in tutt’altra direzione”, spiega dall‘associazione dei Comuni
Virtuosi la responsabile Campagne Silvia Ricci, che dal 2010 con l’iniziativa
“Mettila in rete” propone alla grande distribuzione di affiancare ai normali
sacchetti per l’ortofrutta anche delle borse riutilizzabili.
NO DEROGHE E PROROGHE – La lettera del ministero agli operatori della grande distribuzione sgombra il campo anche da altri dubbi. Prima di tutto chiarisce “il divieto di distribuzione a titolo gratuito” delle nuove borse ultraleggere in bioplastica, senza deroghe né esenzioni. Non importa, spiegano dagli uffici del ministro Galletti, qual è il tipo di alimento sfuso, oppure se a confezionarlo sia un commesso o direttamente il consumatore. La legge non dice quanto dovranno costare i sacchetti, ma ipotesi circolate in questi mesi parlano di una cifra compresa tra i 2 e i 5 centesimi. Inoltre, non è chiaro cosa succederà se i supermercati decideranno di sostituire le buste in plastica trasparente con altre di carta: in quel caso i consumatori dovrebbero pagarle? Contattati da IlFatto.it, dal ministero non rispondono alla domanda. La lettera poi dice no a possibili proroghe: il divieto dei sacchettini in plastica trasparente scatterà dall’1 gennaio 2018 e sarà totale. Le scorte accumulate dai supermercati non potranno essere smaltite, ma dovranno essere subito tolte dalla circolazione: questa eventualità, scrive il ministero, “vanificherebbe l’obiettivo della norma volta alla riduzione effettiva del consumo delle borse” in plastica fossile.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 20 dicembre 2017
«La Regione sbarri la strada al rigassificatore» -
L'appello di Legambiente alla giunta Serracchiani per cancellare definitivamente
l'ipotesi impianto
«Per chiudere definitivamente con l'impianto di rigassificazione nella baia
di Zaule e con il metanodotto Trieste-Grado-Villesse, la giunta regionale deve
chiedere al governo un impegno esplicito contrario a queste opere e quindi in
tempi brevi la convocazione della conferenza dei servizi al Ministero dello
Sviluppo economico». È la richiesta del Circolo Verdeazzurro Legambiente
Trieste, che ieri in una conferenza ha fatto il punto sulla situazione dei due
impianti, chiedendo che Regione e governo si esprimano al più presto in modo
definitivo sui due progetti. È stato anche sottolineato come da un po' di tempo
l'attenzione non sia più puntata sulle due opere, dopo un interesse iniziale che
aveva suscitato un acceso botta e risposta tra pareri positivi e negativi per
mesi. «I cittadini pensano che il rigassificatore sia un progetto morto, ma ha
tutte le autorizzazioni ufficiali - è stato ricordato - nonostante l'espressa
contrarietà generale del territorio, delle amministrazioni locali e delle forze
politiche». Da qui la volontà di Legambiente di mettere la parola fine
all'ipotesi delle strutture, ricordando le parti che in passato hanno espresso
perplessità nei confronti delle due novità. «Come prima cosa gli amministratori
e i parlamentari del Friuli Venezia Giulia - è stato sottolineato - hanno già da
tempo constatato che i due progetti minerebbero lo sviluppo economico di
Trieste, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro ecosistema marino.
Come secondo aspetto, è stato recentemente pubblicato il documento definitivo
della Strategia energetica nazionale, che dichiara come non sia prevista la
realizzazione in Italia di altri impianti onshore, come quello di Zaule, o
offshore, perché quelli attuali sono già in grado di soddisfare le esigenze del
Paese. A suo tempo - rimarcano - il Ministero dello Sviluppo economico aveva
dichiarato che proprio l'impianto di Zaule non era più ritenuto strategico». Ma
secondo Legambiente questi due fattori non bastano, serve un impegno in prima
linea da parte della Regione, «che ora deve confermare la propria "non intesa"
ai due progetti, affinché siano definitivamente cancellati dall'agenda
riguardante il futuro del territorio triestino. È una scelta di cui la Regione
deve farsi carico - concludono - per essere coerente con gli impegni presi con i
cittadini e con quanto più volte affermato».
Micol Brusaferro
Putin dà il via libera a Vucic - Belgrado riesporterà
il gas russo - Su del 15% il metano diretto in Serbia
BELGRADO - La Serbia diventa un Paese "esportatore" di gas, gas russo.
Grazie agli amici di Mosca. È questo uno dei risultati più significativi della
visita in Russia del presidente serbo, Aleksandar Vucic, ieri per due ore al
tavolo del leader del Cremlino, Vladimir Putin. Russia e Serbia, proprio in
occasione della trasferta in terra russa di Vucic - che prima di partire aveva
promesso «buone notizie» in arrivo da Mosca - hanno firmato alcuni emendamenti a
un precedente accordo governativo del 2012 sulle forniture di gas dalla Russia
alla Serbia, che conteneva un espresso divieto di riesportare il metano di Mosca
fuori dai confini nazionali, superandolo. Divieto di utilizzare quel gas «solo
per il mercato serbo» che andrà a cadere, permettendo a Belgrado, fino al 2021 -
anno in cui scadrà l'intesa - di esportare e rivedere il gas russo. Non è
finita. Secondo quanto reso noto ieri da Mosca, la Serbia riceverà quantità di
gas maggiori già a partire dal prossimo anno. Il gigante dell'energia Gazprom,
infatti, ha già messo in conto di aumentare del 15% le esportazioni di metano
verso la Serbia. Secondo la presidenza russa, si tratta della conferma di una
cooperazione in positiva evoluzione con Belgrado, capitale verso la quale già
quest'anno l'export di gas è aumentato del 26%, superando i due miliardi di
metri cubi. Gazprom, nei giorni scorsi, aveva chiuso un accordo anche in
Republika Srpska, l'entità dei serbi di Bosnia, per la costruzione di un
impianto a gas liquefatto nei pressi di Zvornik, costo 70 milioni di euro,
finalizzato soprattutto a usi di riscaldamento e produzione di elettricità, che
potrebbe essere alimentato proprio dal metano in arrivo dalla Russia via Serbia.
Ma Vucic e Putin a Mosca hanno anche discusso d'altro; soprattutto di economia,
uno dei punti-chiave dell'incontro. E di come portare la cooperazione economica
tra i due Paesi «al più alto livello possibile», ha raccontato dopo il meeting
l'agenzia Tass, ricordando che l'interscambio commerciale tra Russia e Serbia è
cresciuto dell'1,3% nel 2016, raggiungendo gli 1,7 miliardi di dollari, mentre a
settembre 2017 la crescita è stata del 26,3%. Mosca, ha promesso Putin,
continuerà a sostenere la Serbia anche sull'agone internazionale, difendendo
«l'integrità territoriale» del Paese, un chiaro riferimento alla questione
Kosovo, da risolvere nell'ambito della risoluzione Onu 1244, ha ribadito il
leader russo. La Serbia, ha detto da parte sua Vucic, rimarrà grata a Mosca sia
per l'appoggio sul fronte Kosovo, sia per aver evitato che il Paese venisse
bollato come «genocida» per Srebrenica, grazie al veto posto a una risoluzione
Onu, sponsorizzata da Londra, dall'allora ambasciatore russo Vitaly Churkin,
morto a febbraio. E la cui vedova, Irina Churkina, ha ricevuto proprio dalle
mani leader serbo un'altissima onorificenza serba postuma. Gratitudine che, per
un Paese lanciatissimo verso l'integrazione nell'Ue ma - come evidente dai
contorni della visita di Vucic a Mosca - molto legato a Mosca, si tradurrà in
azioni concrete. Belgrado, ha infatti ribadito Vucic, mai accetterà di imporre
sanzioni contro la Russia, anche se Bruxelles dovesse chiederlo con rinnovato
vigore. Parole che evidenziano come i rapporti tra Belgrado e Mosca, che ha
assicurato di voler contribuire alla stabilità nei Balcani, si mantengano
ottimi. Rapporti che saranno ulteriormente approfonditi nel 2019, quando Putin
dovrebbe tornare a Belgrado, su invito di Vucic, per l'inaugurazione della
maestosa cattedrale ortodossa di San Sava, a cui la Russia ha contribuito con un
gigantesco mosaico per la cupola.
(s.g.)
Scontro sulla Ferriera - Il Comune ingaggia un pool di avvocati - Incarico ad uno studio di Padova. Spesa di 25mila euro - Le associazioni ambientaliste: «Necessario riaprire l'Aia»
--- leggi il documento delle associazioni e del comune di Trieste ---
Il Comune ha ingaggiato una squadra di avvocati di Padova per azioni legali in tutte le sedi in tema di Ferriera di Servola. E il sindaco Roberto Dipiazza si dice «moderatamente ottimista» sul futuro: «Nei primi mesi del 2018 potrebbero arrivare delle belle notizie. Penso sia ora di iniziare a pensare a un tavolo sul lavoro, perché la consapevolezza della necessità di chiudere l'area a caldo è sempre più condivisa». Sono le principali notizie emerse ieri sera durante la conferenza con cui il Comune e una serie di associazioni ambientaliste hanno tirato le somme dell'attività condotta nel corso dell'anno sullo stabilimento siderurgico. Le sigle presenti erano le sezioni locali di Legambiente, Fare Ambiente e la onlus No Smog. L'adozione dei nuovi consulenti legali, che comporterà una spesa di circa 25mila euro, è stata annunciata a inizio serata dall'assessore all'ambiente Luisa Polli: «Giovedì (domani ndr) approveremo in giunta la collaborazione con un pool di avvocati. Preso atto del fatto che su questo fronte la Regione non intende ascoltare i nostri appelli a un percorso comune, dobbiamo ricorrere a un'interlocuzione più asettica, quella che intercorre tra studi legali». Da qui la scelta di un gruppo di avvocati di Padova, «per allontanarci da pressioni territoriali». Dipiazza ha dichiarato: «Quella in corso è una dura battaglia, ci sentiamo dire dalla proprietà che a inquinare sono gli impianti di riscaldamento e l'autostrada. Ma l'obiettivo del sindaco è la chiusura dell'area a caldo. L'apporto delle associazioni è molto importante. Il mio invito è pensare a un tavolo sul lavoro, perché è giunto il momento di rifletterci. Chiunque vinca le elezioni, i primi sei mesi dell'anno prossimo potrebbero portare a una svolta». Durante la conferenza sono intervenuti il consulente del Comune Pierluigi Barbieri e i rappresentanti delle associazioni: Giorgio Cecco di Fare Ambiente, Lino Santoro e il professor Mario Mearelli per Legambiente, Alda Sancin di No Smog. Gli interventi vertevano sugli impatti ambientali sul benessere della popolazione derivanti dall'attività della Ferriera. A tal proposito è stato prodotto un dossier che verrà inviato a tutti gli enti coinvolti, dai ministeri alla Regione, passando per la prefettura. La richiesta è rimettere in discussione l'Aia e l'accordo di programma che definiscono l'attuale gestione dello stabilimento. Cecco ha dichiarato che «i problemi non si stanno risolvendo. Le segnalazioni continuano ad arrivare. L'unica soluzione è la chiusura dell'area a caldo, anche perché le alternative non sono economicamente sostenibili». Santoro ha ripercorso la storia degli accordi politici dal 2012 a oggi, ricordando come «ancora nel 2013 gli accordi in sede ministeriale avessero come obiettivo la riconversione dell'impianto, entrando anche nel dettaglio della trasformazione dell'area in spazio portuale. Il problema sta nell'ultimo accordo di programma, le cui contraddizioni sono sfociate nell'Aia».Il professor Mearelli si è dilungato sugli aspetti dell'Aia che, almeno in teoria, richiedono un ampio schieramento di analisi sulla salute della popolazione: «Misure in effetti necessarie, ma per le quali l'Aia non prevede ripercussioni in caso di mancata applicazione. Su questo presupposto, l'imperfezione dell'Aia stessa, è possibile chiedere la sua revisione». Sancin di No Smog ha proiettato immagini scattate dai residenti di Servola, ricordando le condizioni di vita nel quartiere e criticando a sua volta l'Aia. Barbieri ha esposto tutto il lavoro compiuto nella raccolta di dati, evidenziando come sia necessario un monitoraggio ben più centrato sull'area di Servola: «Etica pubblica richiede che non si eluda o ritardi la produzione tempestiva di informazione rilevante rispetto alle criticità segnalate dalla popolazione e per cui vi sono fondate ipotesi di severità. L'informazione deve essere utile a prendere decisioni tempestive e a fornire supporto alla cittadinanza per azioni di prevenzione anche in autotutela della salute».
Giovanni Tomasin
Pronti a giugno gli 83 alloggi all'ex Sadoch -
Sopralluogo dell'assessore regionale Santoro in viale Ippodromo. Per l'housing
sociale 71 unità
L'ex Sadoch, convertita a condominio solidale, sarà pronta a giugno 2018. Il
maxicantiere in viale Ippodromo si avvia alla conclusione. A fare il punto sullo
stato dei lavori, ieri, durante un sopralluogo dell'assessore regionale alle
Infrastrutture e territorio del Friuli Venezia Giulia, Mariagrazia Santoro, le
ditte che si stanno occupando dei vari interventi, l'Archest di Palmanova
insieme alla pordenonese Cooprogetti. La parte strutturale è stata completata,
così come gli impianti, e nei primi piani sono già presenti anche piastrelle e
controsoffitti. In totale saranno realizzati 83 appartamenti da un minimo di 70
a un massimo di 100 metri quadrati, 71 riservati all'housing sociale, mentre
sesto e settimo piano, per totali 12 appartamenti, saranno invece messi in
vendita a privati. Nella palazzina, completamente ristrutturata, tenendo conto
anche del vincolo della Soprintendenza per la facciata nord, troveranno spazio
anche due ambienti che gli inquilini potranno condividere, per attività di
aggregazione. Al piano terra e in quello interrato ci saranno i parcheggi, con
un ingresso da viale Ippodromo e uno in via del Pollaiuolo. La vecchia Sadoch,
chiusa oltre 20 anni fa, non verrà stravolta ma recuperata, senza cambiamenti
radicali nell'aspetto esterno. È stata conservata anche l'insegna originale, che
dopo il termine degli ultimi interventi in facciata, sarà riposizionata nella
sua tradizionale collocazione, a ricordo della storica realtà produttiva
triestina. Le ditte hanno sottolineato come la struttura fosse in ottime
condizioni e come sia stato quindi possibile rimodellare l'edificio senza grandi
problemi, nonostante i tanti anni di oblio successivi alla dismissione. «Un'area
della città che per molto tempo ha rappresentato uno spazio di degrado - ha
detto l'assessore Santoro - che oggi rinasce nell'ambito di un'iniziativa
abitativa rivolta a quella fascia di cittadini i quali hanno un reddito troppo
alto per le case popolari e che allo stesso tempo manifestano una difficoltà, o
per ragioni economiche o per l'assenza di un'offerta adeguata, di reperire un
alloggio nel mercato privato». Il Fondo Housing sociale Fvg è un fondo
immobiliare che investe prevalentemente in alloggi residenziali da destinare a
vendita e locazione convenzionate nel territorio regionale. Ad oggi, ha
ricordato l'assessore, gli interventi in corso corrispondono a un totale di 720
nuovi appartamenti.
(mi.br.)
Report Acegas - Differenziato e recuperato il 97 per
cento dei rifiuti
Verde, carta, organico, legno, plastica, ferro, vetro e metallo a Trieste
vengono effettivamente differenziati e il 97% finisce a recupero: è questo il
dato fondamentale che emerge dal report di AcegasApsAmga "Sulle Tracce dei
rifiuti". Il rapporto, giunto all'ottava edizione del Gruppo Hera, e alla quarta
nella multiutility del Nord-est, sfata da tempo il mito secondo cui i rifiuti
vengono conferiti tutti insieme: grazie ad una grafica intuitiva e, da
quest'anno, rinnovata è possibile seguire le tracce delle singole filiere dei
rifiuti e scoprire il percorso che attraversano per rinascere a una nuova vita.Il
documento fornisce un'ampia panoramica sui processi di economia circolare che si
attivano grazie all'impegno dei cittadini e dell'azienda per una corretta
raccolta differenziata: dal materiale immesso nelle filiere del recupero,
all'impatto positivo sui costi del servizio di raccolta. La versione di
quest'anno, che rendiconta i dati della raccolta differenziata del 2016, come
usuale è disponibile sul sito istituzionale con le informazioni di dettaglio,
fruibili anche grazie ai contenuti ricchi di infografiche. È così possibile
avere una visione chiara e immediata delle singole filiere della differenziata,
dei quantitativi raccolti in tutti i territori serviti da AcegasApsAmga e degli
impianti in cui i rifiuti dei triestini vengono mandati a recupero,
rendicontando nella massima trasparenza il percorso compiuto dai rifiuti a valle
dei contenitori.Il rapporto è anche disponibile in versione cartacea ed è
distribuito gratuitamente in questi giorni alla casina di Natale dell'Azienda
presente in piazza Sant'Antonio, insieme ad un kit per la raccolta differenziata
domestica composto da una pratica borsa tripartita e un cestino per la raccolta
differenziata. Nel merito "Sulle tracce dei rifiuti", dà conto dei risultati
raggiunti nell'avvio a recupero da AcegasApsAmga nei territori serviti in Fvg e
Veneto. Complessivamente, nel 2016 l'azienda ha mediamente destinato a recupero
a Trieste il 97% di quanto raccolto in modo differenziato (139 kg/abitante), a
dimostrazione di come gli sforzi di azienda, Comune e cittadini vadano
effettivamente a buon fine.
Trieste invoca lo "sconto" sui ticket online - Pressing
sulla giunta per eliminare la maggiorazione di 25 centesimi prevista per i
biglietti dei bus comprati in rete
TRIESTE - Piero Camber, capogruppo di Forza Italia in Comune a Trieste,
firma la mozione, approvata all'unanimità, che invoca l'allineamento delle
tariffe tra il biglietto dell'autobus acquistato online (1,50 euro), e quello
messo in tasca secondo modalità tradizionali (1,25 euro). La Regione prende atto
e fa sapere di essere pronta a ragionare al ritocco all'ingiù. «Sempre che i
gestori, che avevano imposto quel prezzo - si informa dall'assessorato -,
cambino idea». Il tema emerge a pochi giorni dalla definizione delle tariffe per
il 2018 del Trasporto pubblico locale, servizio ancora provinciale, nell'attesa
che decolli il modello unico in capo a Tpl Fvg Scarl, ancora nel mirino di
Busitalia, azienda nazionale che non accetta il secondo posto nella gara
regionale bandita nel 2014. Nella mozione azzurra si ricorda che in Fvg le
tariffe sono stabilite annualmente con delibera della giunta regionale (accadrà
anche quest'anno, tra Natale e Capodanno), si denuncia che «molto spesso i
biglietti non si riescono a trovare causa orari di chiusura dei rivenditori o
eccessiva distanza degli stessi dalla fermata» e si sottolinea che per questo
nel 2017 è stato introdotto l'acquisto online dei ticket tramite sms o app,
«servizio particolarmente apprezzato a Trieste». Ma la differenza non è da poco:
per il biglietto orario intera rete si spendono 25 centesimi in più via web,
«nonostante le aziende di trasporto non debbano accollarsi nemmeno i costi della
stampa». Di qui, ricordato che l'assessore regionale alle Infrastrutture
Mariagrazia Santoro «si era pubblicamente impegnata all'equiparazione delle
tariffe», la mozione sollecita sindaco e giunta a intervenire affinché il
prossimo anno l'acquisto del biglietto online e attraverso le emettitrici
automatiche sia lo stesso: 1,25 euro. La risposta della Regione? Di
disponibilità. Fermo restando che le aziende del Tpl siano disponibili allo
"sconto" dopo un anno sperimentale servito a verificare l'effettivo interesse
dell'utenza. Tra una decina di giorni, nell'ultima seduta del 2017, la giunta
deciderà nel merito. Un anno fa, con tariffe congelate rispetto al 2015, i
triestini si ritrovarono per la prima volta a pagare il biglietto dell'autobus
(non online) come nel resto della regione: 1,25 anziché 1,35. Novità nel
contesto di un Tpl che ha mantenuto comunque le agevolazioni per chi, lavoratori
e studenti, i mezzi pubblici li deve prendere quasi tutti i giorni. Sempre
l'anno scorso si è chiusa tra l'altro un'epoca storica, quella dell'accesso
gratuito per i minori fino a un metro di altezza, e se ne è aperta un'altra: a
viaggiare senza pagare un centesimo sono tutti gli under 10. Nell'attesa della
delibera di fine anno, è ancora Fi a intervenire sul tema. Il consigliere
regionale Bruno Marini, via interrogazione alla presidente Serracchiani e
all'assessore Santoro, chiede di prevedere la gratuità del tesserino d'identità
di trasporto. «Per il 2017 - rileva Marini - è stato previsto anche che le
aziende possono obbligare gli utenti a munirsi di un documento valido per cinque
anni al prezzo di 5 euro e che tale facoltà è obbligatoria per l'abbonamento
annuale». Trieste Trasporti, Saf di Udine e Atap di Pordenone, prosegue Marini,
«hanno deciso di avvalersi di questo tesserino, anche perché lo ritengono un
indispensabile strumento di prevenzione e di lotta all'evasione tariffaria. È
evidente però che si tratta di un onere aggiuntivo per quegli utenti onesti che
hanno sempre pagato la tessera mensile o annuale e non hanno mai pensato di
truffare le aziende».
Marco Ballico
Reti e new jersey ridisegnano il volto del Porto
vecchio
TRIESTE - L'area sdemanializzata di Porto vecchio, al centro di continue
idee per la sua rinascita, fa parte della città. Un dato di fatto che in questi
giorni viene sancito da una vera e propria barriera che funge da demarcazione
tra la zona comunale e il territorio portuale, ma anche da protezione per
eventuali vandalismi. Gli operai dell'Autorità portuale sono al lavoro per
realizzare tutta la linea, costruita con rete metallica molto resistente e new
jersey, che va dall'inizio, in largo Santos, fino allo sbocco su viale Miramare.
Le tute blu ne stanno realizzando un chilometro e mezzo, per il momento, con 700
dispositivi in calcestruzzo, che vengono installati a partire dall'area del Molo
zero fino all'arco dietro la stazione dei pullman, simbolo che designa l'entrata
nell'antico scalo. La prima parte dell'operazione terminerà in primavera.
«Questa recinzione, molto più efficiente di quella che c'era precedentemente,
cerca di risolvere i problemi di qualche mese fa, quando c'era un via vai
continuo di persone nell'area portuale e comunale - spiega il segretario
dell'Authority Mario Sommariva -. Si tratta di un intervento di messa in
sicurezza per evitare che si possa accedere ai magazzini. Ma si tratta anche di
un intervento più grande, che vede la recinzione come demarcazione portuale e
doganale, anche se la definizione delle due zone è già stata stabilita da tempo.
Abbiamo così limitato gli ingressi nei magazzini, anche quelli di area comunale.
Questa azione l'abbiamo decisa in accordo in una riunione con Prefettura, Comune
e Questura». Tutta la barriera è comunque fisicamente labile - ma non i confini
stabiliti dalle carte tra Comune e Autorità portuale -, si modificherà quando le
proposte di imprenditori, soprattutto stranieri, per insediarsi in Porto
vecchio, diventeranno realtà. «Di questa struttura ci facciamo carico noi,
quando verrà recuperata l'area, potrà cambiare», specifica Sommariva. Da una
parte la protezione, dall'altra una pioggia di studi di fattibilità, business
plan, progetti che stanno scolpendo il futuro del Porto vecchio. Sono tutti al
vaglio del Comune ma anche dalla Regione, che assieme hanno sottoscritto un
accordo di programma: «Ogni cosa deve avere una variante», specifica infatti il
sindaco Roberto Dipiazza. È lui ad accogliere l'andirivieni di possibili
investitori che avanzano prospetti sui 600mila metri quadrati. Ma lo stesso
primo cittadino azzarda qualche sogno. «Immaginate qui degli appartamenti agli
ultimissimi piani dei magazzini, come a Porto Madero, con la vista sul mare,
potrebbe essere un'idea che si realizza in pochi anni». Dal suo viaggio a Buenos
Aires ha colto alcuni spunti, supportati da foto: «Dovete vedere come loro hanno
saputo coniugare il residenziale con il resto delle attività», ha detto ieri
durante l'ufficializzazione della cessione in comodato gratuito della
Sottostazione elettrica alla Fondazione Internazionale Trieste per l'Esof 2020.
E lo ha detto proprio dalla terrazza della Sottostazione elettrica. Ma tutto
potrebbe cambiare ad esempio se Msc decidesse di insediare uno scalo in quella
fetta della città. Allora il residenziale dovrebbe lasciare spazio solo ad
attività commerciali. Tra le future ipotesi c'è anche una scuola di restauro
della Soprintendenza. La sede è il magazzino 20. La volontà è quella di farlo
diventare un centro di raccolta a livello regionale dei reperti archeologici di
competenza dell'ente al fine della catalogazione e del restauro. Il progetto,
ancora in divenire, è condiviso con la Regione e con il Comune e prevede anche
la realizzazione di una scuola di restauro dei beni archeologici al fine della
formazione di esperti nel campo. Il rilancio del Porto vecchio, nella mente del
Comune, passa anche per la Biennale di Architettura di Venezia del prossimo
anno. Perché non inserirvi un pezzetto in Porto vecchio, magari presentando
lavori di ricerca sul recupero dell'area? Il sindaco ha inviato una lettera al
curatore del padiglione Italia, Mario Cucinella. La risposta non è ancora
arrivata, ma da alcune indiscrezioni sembra ci siano ottime possibilità.
Benedetta Moro
La "cittadella" fa gola agli austriaci - Investitori
d'Oltralpe interessati agli spazi oggi in concessione alla Greensisam
TRIESTE - I primi cinque magazzini del Porto vecchio, che fanno parte della
cosiddetta cittadella Greensisam, in concessione a Pierluigi Maneschi, numero
uno del Molo Settimo e di Italia Marittima, sono sotto gli occhi di un gruppo di
austriaci. Ormai Trieste e i vicini d'Oltralpe non riescono più a staccarsi.
Ieri mattina il team di investitori, che per il momento rimane ancora
top-secret, ha presentato un progetto al sindaco Dipiazza, che ha subito inviato
alla Soprintendenza. Questi spazi nella mente dei foresti sono dedicati al
settore residenziale e alberghiero. Ma i sili numero 2A, 2, 1A, 4 e 3 hanno un
futuro fatto anche di grandi parchi. «Confermo che ci sono nuovi potenziali
acquirenti - aveva detto poco tempo fa Maneschi -, austriaci in particolare e
supportati anche da un fondo bavarese, intenzionati a rilevare la maggioranza
della società, mentre io terrei una quota di minoranza». I tempi per eventuali
sviluppi ancora non sono chiari. Anche perché, tra i vari inghippi da risolvere,
ci sono questioni legate alle opere di urbanizzazione e della bonifica del
torrente Chiave che spetterebbero alla parte pubblica e poi non sarebbe ancora
chiaro come si potrà passare dalla concessione alla vendita. Questa parte
dell'antico scalo è stata a lungo sede di tante ipotesi e soluzioni, che fino a
oggi non si sono concretizzate. Trentasettemila metri quadrati che da anni sono
in attesa di qualcuno che creda in un vero progetto e lo finanzi. Ma ci sono
anche novità sul fronte Immaginario Scientifico. I due milioni e 400 mila e
rotti euro che spettavano alla realizzazione dell'ex Meccanografico, in Campo
Marzio, sono destinati ufficialmente al Magazzino 26, quale sede idonea per
l'Immaginario scientifico, che dovrebbe trasferirvisi «sicuramente prima di
Esof, puntiamo al 2019», auspica la direttrice Serena Mizzau. Conferma anche che
i fondi che Miur e Regione hanno promesso verranno mantenuti tali e verranno
quindi traslati per la costruzione della nuova sede. Si parla di 400mila eruo
del Miur che servirebbero per gli allestimenti, e due milioni di euro invece per
la struttura. L'area centrale del Magazzino 26, di circa 3mila metri quadrati,
ospiterà la realtà scientifica che ormai da anni è ubicata a Grignano. «Che
aiuterebbero a non stare più stretti», aggiunge la direttrice. A cui si aggiunge
un centinaio di migliaia di euro del Fondo Trieste. «Sono in atto le procedure
amministrative per rendere questo passaggio possibile - conferma Mizzau -, siamo
fiduciosi».
(b.m.)
Il quartier generale di Esof debutta nella
Sottostazione - Consegnate dal sindaco le chiavi dell'edificio accanto alla
Centrale idrodinamica
Sale lettura e conference room per i componenti della task force del
gruppo Tesi
TRIESTE - Più ufficiale di così non si poteva. Il Comune ha consegnato le
chiavi della Sottostazione elettrica alla Fondazione Internazionale Trieste (Fit).
Sarà il quartier generale di Esof2020 in Porto vecchio. Nell'edificio ubicato
accanto alla Centrale idrodinamica opererà la squadra che organizza l'evento.
Nei suoi locali avranno luogo, in particolare, i lavori di Tesi (Trieste
Encounters for Science and Innovation), il formato messo a punto da una parte
per far aumentare la consapevolezza delle opportunità legate alla manifestazione
che si terrà fra due anni a Trieste e soprattutto nei paesi del Europa
Centro-Orientale, dall'altra di sostenere le proposte che ambiscono a diventare
progetti concreti prima e durante l'evento clou. In particolare Tesi servirà
anche a costruire gli eventi del programma ProEsof, l'insieme di attività che a
partire dal prossimo maggio e nei prossimi tre anni circa segneranno il percorso
di avvicinamento a luglio 2020, quando verrà inaugurato «l'Esof più bello della
storia», ha esclamato Stefano Fantoni, presidente della Fit. La concessione in
uso dell'immobile del Comune alla Fit è stata sancita ufficialmente ieri con la
"consegna delle chiavi" da parte del sindaco Roberto Dipiazza al presidente
Stefano Fantoni, presente anche l'assessore all'Educazione, Università e Ricerca
Angela Brandi. «Esof2020 -ha detto il sindaco Dipiazza- ci porterà sicuramente
una grande visibilità a livello internazionale, perciò abbiamo dato quello che
avevamo di meglio per gli scienziati che verranno a Trieste. È un momento
importante per la città: ieri abbiamo sottoscritto l'accordo con 18 milioni di
euro per Rozzol-Melara e questa mattina gli austriaci hanno presentato il
progetto per cinque magazzini del Porto Vecchio. La città sta correndo come non
mai e siamo tutti uniti sugli obiettivi da raggiungere».«Questa è una delle
giornate più importanti nell'ambito del percorso che ci porterà a Esof 2020 -ha
specificato Fantoni-. Il 14 luglio riceveremo da Tolosa il testimone di Trieste
Capitale europea della scienza e ora abbiamo già il nostro quartier generale
dove lavorare e tutto ciò è davvero molto importante. Da gennaio cominciamo
subito a lavorare qui, in un luogo che pullulerà di persone, con un centinaio di
scienziati ed esperti che stanno aspettando di poter lavorare. È una felicità
essere qua e poter veramente cominciare questa operazione che ci porterà al
2020». Le stanze per lavorare infatti ci sono eccome. La struttura al suo
interno è stata completamente restaurata da tempo. Ci sono librerie, sedie, sale
lettura, tutto arredato con gusto e sobrietà, conservando gli impianti
industriali esistenti e trasformando la struttura in una sede museale (che
resterà comunque aperta e fruibile al pubblico). Tavoli grandi sono a
disposizione di tutte le persone che contribuiranno a realizzare l'evento
importantissimo per Trieste. L'edificio è molto ampio, composto da seminterrato,
piano terra, primo piano, e piano copertura, in parte praticabile, ed è stato
costruito nel secondo decennio del XX secolo. Rappresenta una testimonianza di
estremo interesse del patrimonio storico di architettura industriale, mantenendo
ancora oggi al suo interno le apparecchiature originali. Le geometrie decorative
delle facciate ripetono i caratteri stilistici dell'architetto Giorgio
Zaninovich e ciò ha indotto diversi studiosi ad attribuirgli la paternità
dell'edificio. Il progettista - attivo a Trieste fra il 1902 e il 1923 - lavorò
nell'ufficio tecnico del Governo Marittimo ed entrò in contatto con la
Wagnerschule all'Accademia di Vienna, cogliendone le matrici stilistiche
ispirate alla fusione tra eredità classica rivisitata secondo principio
funzionali ed un rinascimento libero che dialoga con le architetture locali e
con le nuove tecniche costruttive.
(b.m.)
Plastica in mare - Passa la norma anti cotton-fiocc
Il mondo ambientalista esulta: la battaglia contro plastiche e microplastiche in mare sembra ormai vinta con l'approvazione dell'emendamento Pd alla manovra da parte della commissione Bilancio della Camera. Dal primo gennaio 2019 scatterà il divieto di commercializzare e produrre in Italia "cotton fioc" non biodegrabili, e dal 1 gennaio 2020, il divieto verrà esteso ai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche. «L'Italia è il primo Paese al mondo a farlo: una vittoria contro il marine litter, a tutela di ambiente e cittadini» commenta Ermete Realacci, il presidente della Commissione Ambiente della Camera che ha firmato questo emendamento ricordando su 46 spiagge italiane il 91% dei rifiuti è fatto proprio dai bastoncini per la pulizia delle orecchie».
Stanziamento da 12 milioni per l'Ogs - Via libera in
commissione Bilancio alla Camera alla proposta Pd per la nuova nave
TRIESTE - La commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento
alla legge di Bilancio a prima firma Tamara Blazina, deputata Pd, con il quale
vengono stanziati 12 milioni di euro a favore dell'Ogs di Trieste, per
l'acquisto di una nuova nave per la ricerca scientifica nelle aree polari.
L'unica imbarcazione da ricerca italiana che opera in zone polari oggi è l'Ogs
Explora, che però non potrà più essere utilizzata a tale fine dopo il 2019, cioè
dopo l'entrata in vigore del cosiddetto "Polar code".«La nuova imbarcazione -
commenta Blazina - risulta quindi uno strumento fondamentale per continuare a
sostenere la ricerca scientifica italiana, in coerenza con gli obiettivi del
Programma nazionale delle ricerca 2015-2020 e del Programma nazionale in
Antartide. Il finanziamento consentirà l'acquisto di una nave quale
infrastruttura di ricerca scientifica e di supporto alla base italiana
Antartica. Effettuerà attività di ricerca, a partire dalla raccolta di dati
scientifici, e servizi di logistica, incluso il rifornimento dei velivoli che
opereranno a servizio della base. «La disposizione non comporta nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica prosegue - perché è a carico delle
disponibilità dello stanziamento dell'esercizio finanziario 2018 del Fondo
integrativo speciale per la ricerca». Grande soddisfazione per l'approvazione
dell'emendamento è stata espressa anche dalla segretaria regionale Pd Antonella
Grim. «Si tratta di un'altra testimonianza dell'attenzione verso il mondo della
ricerca dimostrata dal governo e dalla sua maggioranza, in particolare i
deputati Pd».
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 19 dicembre 2017
Cotton fioc non compostabili: stop da gennaio 2019
È stata recuperata all’ultimo momento la normativa sulla cosmesi ecologica, una legge che si trovava bloccata al Senato. Il testo rischiava di non essere più preso in considerazione a causa della prossima fine della legislatura. Le norme sulle microplastiche nei cosmetici e sui cotton fioc non biodegradabili sono state però riprese grazie ad un emandamento della legge finanziaria.
L’emendamento è stato approvato alla Camera dalla commissione Bilancio e inserisce questo argomento tra quelli che dovranno essere discussi entro la fine della settimana. Sono diverse le novità previste in questo testo, a partire dal divieto di utilizzo di bastoncini per le orecchie non biodegradabili. La legge vieterà le attività di produzione e di messa in commercio dei cotton fioc realizzati con elementi in plastica. I produttori, che dovranno attenersi ai principi della cosmesi ecologica, avranno l’obbligo di indicare sulle confezioni anche dei dettagli precisi su come smaltire i cotton fioc, scrivendo delle diciture chiare sul divieto di smaltimento tramite i servizi igienici. È una normativa importante per evitare che vengono dispersi ancora bastoncini non biodegradabili in acqua, dei prodotti che secondo alcune analisi recenti rappresentano un vero e proprio problema per le nostre spiagge. L’inquinamento prodotto dai cotton fioc è davvero rilevante, considerando il rapporto di Legambiente sull’argomento, che ha messo in evidenza come il 91% dei rifiuti individuati su 46 spiagge del nostro Paese sia rappresentato proprio dai cotton fioc per la pulizia delle orecchie. A partire dal 2018 sarà lo stesso Ministero dell’Ambiente a mettere a punto una campagna di informazione con lo scopo di spiegare le motivazioni alla base di questa scelta e le conseguenze di un cattivo smaltimento dei prodotti non biodegradabili. Nello stesso testo di legge sulla cosmesi ecologica è previsto anche il divieto di utilizzo di microplastiche nei cosmetici, sempre per impedire l’inquinamento delle acque dei mari. L’Onu suggerisce che annualmente vengono riscontrati dei livelli di plastica molto elevati nelle acque di tutto il mondo, corrispondenti a 8 milioni di tonnellate. Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera, commentando le nuove norme ha dichiarato: L’Italia è il primo Paese al mondo a farlo: una vittoria contro il marine litter, a tutela di ambiente e cittadini.
Gianluca Rini
Caldaie e pompe di calore: Legge di Bilancio 2018, le novità
Novità in arrivo per caldaie, pompe di calore e interventi condominiali. A introdurli sono due emendamenti alla Legge di Bilancio 2018, approvati sabato dalla Commissione Bilancio della Camera, relativi alle detrazioni fiscali che possono essere sfruttare per migliorare l’efficienza energetica degli immobili. In modo particolare sono interessati dal provvedimento i sistemi di riscaldamento che potranno usufruire dell’ecobonus.
Per quanto riguarda caldaie e pompe di calore sono positive le novità in arrivo con gli emendamenti alla Legge di Bilancio 2018 approvati sabato. Chi deciderà di aggiornare il suo sistema di riscaldamento con un impianto più efficiente manterrà la percentuale di detrazione fiscale al 65%, anziché al 50% come era stato approvato in Senato. Tre sono le possibilità di continuare a sfruttare l’ecobonus più “consistente”, ovvero sostituendo la vecchia caldaia o in generale l’impianto obsoleto con: impianti ibridi costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione di classe A o superiore; generatori d’aria calda a condensazione; caldaie a condensazione di classe A o superiore abbinata sistemi di termoregolazione evoluti (appartenenti alle classi V, VI oppure VIII della comunicazione della Commissione 2014/C 207/02), ovvero termostati abbinati a sistemi modulanti. In caso di installazione di nuove caldaie, l’ecobonus verrà riconosciuto soltanto qualora i nuovi impianti risultino appartenere alla classe A. Venendo invece agli interventi nei condomini, il secondo emendamento porta all’85% (rispetto al precedente 80) la detrazione fiscale massima per interventi sulle “parti comuni” dei condomini i cui effetti risultano sia ridurre il rischio sismico che migliorare l’efficienza energetica. Per poter usufruire della percentuale maggiore di detrazione fiscale i condomini dovranno trovarsi in zone sismiche di livello 1, 2 e 3, l’opzione è alternativa alle altre agevolazioni e prevede due differenti scaglioni: riducendo il rischio sismico di due classi si otterrà uno sgravio dell’85%, se la classe ridotta sarà soltanto una allora la percentuale sarà dell’80%. Confermate le 10 quote annuali di pari importo per il recupero della spesa, il cui tetto massimo si otterrà moltiplicando la quota di 136 mila euro per il numero delle unità immobiliari presenti nel condominio.
Claudio Schirru
COMUNICATO STAMPA - MARTEDI', 19 dicembre 2017
Legambiente chiede che la Regione e il Governo si
esprimano in maniera definitiva contro il progetto di rigassificatore e
metanodotto a Zaule.
Al decreto di compatibilità ambientale del 2009 riguardante il progetto
del rigassificatore di Zaule proposto dalla Gas Natural, si è aggiunto il 12
giugno 2017 analogo decreto per il gasdotto marino della Snam.
È prassi e norma corrente che si eviti di collocare questi impianti in siti
che possano rappresentare un rischio per le popolazioni, un impatto negativo
sulle attività economiche e sull'ambiente. I due progetti sono antitetici allo
sviluppo del territorio di Trieste, cadrebbero in un’area densamente popolata e
in contrapposizione con l’ampliamento dei traffici portuali. È stato
recentemente pubblicato il documento definitivo della Strategia Energetica
Nazionale che prevede da una parte anche un possibile incremento dei traffici di
gas naturale in fase liquida da stoccare in impianti ancorati lontano dalla
costa, ma d’altra parte dichiara che non è prevista la realizzazione in Italia
di altri impianti onshore (come quello di Zaule) o offshore, perché quelli
attuali sono già in grado di soddisfare le esigenze del paese. A suo tempo da
parte del Mise (Ministero dello sviluppo economico) era stato dichiarato che
l’impianto di Zaule non è più ritenuto strategico. Riteniamo che questi due
elementi non siano sufficienti per rassicurare la popolazione sulla definitiva
rinuncia all’impianto di Zaule. Gli amministratori e i parlamentari della nostra
Regione hanno già da tempo constatato che i due progetti - l’impianto di
rigassificazione di Zaule e
il metanodotto Trieste-Grado-Villesse – minerebbero lo sviluppo economico di
Trieste, la sicurezza dei cittadini e la salute del nostro ecosistema marino. In
passato la Regione non aveva emesso un parere ufficiale di contrarietà al
metanodotto, eludendo la richiesta dal Ministero dell’ambiente. Le frequenti
dichiarazioni della Regione FVG sull’incompatibilità dei due progetti con i
traffici portuali non sono sufficienti a concludere questa decennale vertenza, e
i cittadini sono indotti dai media a credere che il rigassificatore di
Trieste-Zaule sia un progetto già morto. Ma il progetto ha tutte le
autorizzazioni ufficiali – nonostante l'espressa contrarietà generale del
territorio, delle amministrazioni locali e delle forze politiche - e per farlo
partire mancherebbe soltanto l’ultimo passaggio: l’autorizzazione unica in sede
di Conferenza dei servizi nazionale. Non esistono percorsi alternativi. Secondo
Legambiente, per chiudere definitivamente con l’impianto di rigassificazione
nella baia di Zaule e con il metanodotto Trieste-Grado-Villesse, la Giunta
regionale deve chiedere al Governo un impegno esplicito contrario a queste
opere, e quindi, in tempi brevi, la convocazione della Conferenza dei servizi
presso il Ministero dello sviluppo economico. Qui la Regione potrà confermare la
propria non intesa ai due progetti affinché siano definitivamente cancellati
dall’agenda riguardante il futuro del territorio triestino. È una scelta di cui
la Regione deve farsi carico per essere coerente con gli impegni presi con i
cittadini e con quanto più volte affermato.
Circolo Verdeazzurro LEGAMBIENTE Trieste
IL PICCOLO - MARTEDI', 19 dicembre 2017
Il porta a porta dei rifiuti a Muggia scatta da marzo -
L'annuncio dell'assessore Litteri in Consiglio comunale - Da metà gennaio
partirà la campagna informativa
MUGGIA - Finalmente c'è una data: la raccolta dei rifiuti "porta a porta" a
Muggia partirà il primo marzo 2018. La notizia è emersa dall'ultima seduta del
Consiglio comunale, riunitosi in seduta straordinaria. Un'interrogazione,
inserita nella nuova voce del question time, da parte del consigliere leghista
Giulio Ferluga, che chiedeva delucidazioni sullo stato attuale
dell'organizzazione della raccolta differenziata porta a porta nel territorio,
ha permesso ai muggesani di scoprire quando avverrà la tanto attesa
"rivoluzione" della raccolta dei rifiuti. «L'avvio della raccolta differenziata
secondo il modello "porta a porta" è fissato per il giorno primo marzo 2018 - ha
spiegato in aula l'assessore all'Ambiente, Laura Litteri -. L'attività di
informazione degli alunni delle scuole primarie e medie del territorio comunale
è in fase di svolgimento e sarà completata entro l'anno in corso. Gli incontri
di informazione con la cittadinanza si svolgeranno invece da metà gennaio a fine
febbraio 2018». L'esponente del Pd ha poi fornito altre informazioni sull'iter e
sulla filosofia che porterà all'inizio della nuova raccolta: «La consegna alle
famiglie dei contenitori e sacchetti per la differenziata, insieme al materiale
informativo e al calendario delle raccolte, sarà effettuata nei mesi di gennaio
e febbraio 2018. Il modello di raccolta "porta a porta" è stato sviluppato
tenendo conto delle peculiarità del territorio, diversificando la tipologia di
servizio per il centro storico e per le aree esterne al centro, e prevedendo la
possibilità di posizionare i cassonetti nelle aree condominiali in accordo con
le rispettive amministrazioni di condominio, al fine di agevolare il più
possibile l'utenza». Litteri ha voluto anche tranquillizzare i cittadini sul
fatto che non saranno abbandonati in questa avventura: «Durante i primi mesi di
avvio del nuovo sistema di raccolta sarà effettuato un attento monitoraggio
sull'andamento del nuovo servizio da parte dell'amministrazione comunale e di
Net spa, al fine di individuare tempestivamente e dare risposta a eventuali
problematiche che dovessero verificarsi». La notizia della partenza della
raccolta dei rifiuti "porta a porta" prevista per il primo marzo ha riacceso gli
animi politici, in particolar modo tra i banchi della lista civica Obiettivo
comune per Muggia: «Il fatto che si inizierà appena in marzo conferma le nostre
perplessità sul fatto che il Comune abbia applicato già nel 2016 un incremento
sulla Tari, che ha registrato in alcuni casi anche il 30% in più sulla
bolletta». L'aumento, come ha spiegato il Comune, è derivato dall'acquisto dei
bidoncini per la differenziata. «Il prevedere l'ammortamento già da questo anno,
al di là dei tempi di distribuzione dei raccoglitori, è servito a contenere
l'aumento di imposta per gli anni successivi - ha spiegato l'assessore al
Bilancio Mirna Viola -. Inoltre distribuendo in un numero d'anni maggiore la
spesa, l'incidenza dell'aumento annuo nelle tasche dei cittadini sarà alla fine
minore».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - LUNEDI', 18 dicembre 2017
Salta il blitz sulla Tap - No all'emendamento per
blindare i cantieri - Manovra: bocciata la norma anti-contestazioni del governo
- Via libera alla proroga della Cassa integrazione per l'Ilva
ROMA - Tap, salta l'emendamento anti-proteste del governo. Il presidente
della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ha giudicato
inammissibile la proposta del governo di proteggere il cantiere del nuovo
gasdotto (Trans Adriatic pipeline), in corso di realizzazione nel Salento,
trasformandolo in «sito di interesse strategico nazionale». Con questa mossa
Palazzo Chigi puntava, replicando la strategia adottata con la Tav in Val di
Susa, a mettere l'opera al riparo dalle contestazioni. Con la "militarizzazione"
dell'area («al fine di garantire il regolare svolgimento dei lavori e tutelare
la sicurezza del personale impegnato per la realizzazione dell'infrastruttura»,
si legge nella norma messa a punto dal governo ma subito affondata) si sarebbero
potute applicare le pene previste contro chi, senza autorizzazione, avesse
travalicato i confini del cantiere o ne avesse impedito l'accesso. Il Codice
penale, in queste circostanze, prevede anche l'arresto, da tre mesi a un anno.
Il testo dell'emendamento, tra l'altro, rafforzava i poteri dell'Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dell'Istituto superiore di
sanità, in quanto «le ulteriori autorizzazioni amministrative in materia
ambientale e fitosanitaria vengono adottate dalle amministrazioni centrali con
l'ausilio dei due Istituti». «È stato evitato un abuso da parte di una politica
che scavalca qualunque processo democratico e calpesta le comunità locali in
ossequio alle grandi lobby delle fossili», è il commento del Movimento Cinque
Stelle che, insieme ad altre formazioni politiche, tra le quali Liberi e Uguali,
avevano alzato la voce contro la proposta. Ieri, intanto, la Camera ha dato il
via libera ad un altro un pacchetto di emendamenti. Tra questi, spicca la
proroga della Cassa integrazione straordinaria per i lavoratori dell'Ilva, con
un finanziamento di 24 milioni di euro. Nel testo di modifica alla manovra, con
l'ok del governo, anche lo stanziamento di altri 400 mila euro per gli
interventi straordinari di bonifica delle aree dismesse di Genova e Cornigliano.
Per quanto riguarda la scuola, invece, sono in arrivo 50 milioni per il
completamento del programma di costruzione di scuole innovative "per innalzare
il livello di sicurezza degli edifici scolastici". Nel corso della giornata, la
Commissione Bilancio di Montecitorio ha dato via libera anche ad un pacchetto di
emendamenti per il gli italiani all'estero: sul piatto 7 milioni. Nel dettaglio,
2 milioni, a decorrere dal 2018, per la promozione della lingua e cultura
italiana, 400mila euro a favore del Consiglio generale degli italiani
all'estero, 600mila euro per adeguare le retribuzioni del personale
dell'amministrazione degli affari esteri, 400mila euro a favore delle agenzie di
stampa specializzate per gli italiani all'estero e un milione a integrazione
della dotazione finanziaria per i contributi diretti in favore della stampa
italiana all'estero. Un altro milione e mezzo è stato stanziato a favore delle
Camere di Commercio italiane all'estero. Inoltre l'emendamento approvato prevede
un milione riservato agli italiani residenti in Venezuela in particolare
situazione di disagio e 270 mila euro sono destinati nel 2018 alla manutenzione
del cimitero italiano di Hammangi, a Tripoli. In tema di trasporti, un
emendamento prevede che i concessionari autostradali saranno obbligati a
sottoporre a gara il solo 60% dei contratti di lavori sulle tratte. Il codice
degli appalti prevede per i concessionari una soglia generica dell'80%, che nel
caso delle autostrade, appunto, scende ora al 60%. La modifica era stata
richiesta anche dai sindacati dei lavoratori autostradali, preoccupati per
l'impatto occupazionale delle norme del Codice.
Michele Di Branco
Stalla attaccata - Branco di lupi fa strage di pecore
nello Zaratino
ZARA - Una strage di pecore come non avveniva da decenni nello Zaratino. A
Murvica, villaggio a soli 5 chilometri da Zara, un branco di lupi è entrato
l'altra notte nella stalla di Valentino Zilic, in cui c'erano 120 pecore. La
stalla sta a 30 metri dall'abitazione del proprietario, ma né il fatto che la
costruzione fosse chiusa né la vicinanza dell'uomo hanno scoraggiato i lupi.
Come ricostruito da polizia e veterinari, sono state sgozzate e parzialmente
mangiate 8 pecore, mentre una quarantina hanno riportato ferite gravissime;
alcune sono scappate. «Ho aperto la stalla al mattino - ha riferito l'allevatore
- e la scena che mi si è presentata era terribile. Alcune delle mie bestie non
davano più segno di vita, altre si lamentavano, molte tacevano per lo choc».
Immediato l'allarme e l'arrivo di polizia e di una rappresentante della
Commissione consultiva croata per l'Agricoltura. L'episodio ha causato
inquietudine e paura tra la popolazione locale: si teme che gli animali,
calatisi dall'altura del Velebit, possano aggredire gli abitanti. I lupi sono
tutelati in Croazia e per il loro abbattimento servono permessi con lunghi tempi
di rilascio.
(a.m.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 17 dicembre 2017
Italia patria del riciclo: oggi vale l'1% del nostro
Pil
ROMA - In fatto di riciclo dei rifiuti, l'Italia è all'avanguardia in
Europa. Il Belpaese ricicla la stessa percentuale di spazzatura della Germania,
il 79% di quella raccolta. Più della Francia (69%), molto più della media Ue
(51%). Le 10.500 aziende italiane del riciclo fatturano 23 miliardi di euro
all'anno, l'1% del Pil nazionale, e danno lavoro a 133.00 persone. I dati
emergono dal rapporto «L'Italia del Riciclo 2017», l'ottavo studio annuale
realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (presieduta dall'ex
ministro Edo Ronchi) e da Fise Unire, l'associazione delle aziende del recupero
rifiuti. Il rapporto di quest'anno è anche un'occasione per fare un bilancio sui
primi vent'anni del Decreto Ronchi, che nel '97 disciplinò per la prima volta il
settore dei rifiuti. Nel 2016 è aumentato il riciclo in tutti i settori, in
particolare dell'alluminio (+5% rispetto al 2015), dell'acciaio (+4%) e del
legno (+4%). Gli imballaggi sono arrivati al 67%, l'organico al 41,2%. In Italia
si ricicla l'80% della carta, negli olii minerali si arriva addirittura al 99%.
Crescono anche i settori più giovani, quello degli olii vegetali e quello del
tessile. Resta indietro il riciclo dei veicoli usati, all'84,7%, contro un
obiettivo al 2015 che era del 95%. A livello nazionale, la quantità di rifiuti
destinata al recupero è più che raddoppiata dal 1999 al 2015, passando da 29 a
64 milioni di tonnellate, mentre lo smaltimento in discarica si è drasticamente
ridotto, da 35 a 18 milioni di tonnellate. Nel 2015 il 55% dei rifiuti gestiti è
stato avviato a recupero, il 16% a smaltimento e il 29% a pretrattamenti, a
fronte di percentuali che nel 1999 erano, nell'ordine, 38%, 46% e 17%. Il
riciclo in Italia funziona e genera profitti e occupazione, ma i problemi sono
ancora numerosi.
IL PICCOLO - SABATO, 16 dicembre 2017
La produzione a Servola riparte a pieno ritmo -
Conclusi gli adeguamenti dell'altoforno imposti dopo gli sforamenti estivi
In arrivo 30 ulteriori assunzioni. Tra i clienti big del calibro di Bmw e
Ariston
La Ferriera di Servola, nel giro di qualche giorno, tornerà a produrre a
pieno ritmo. «Abbiamo ricevuto i dati sulle recentissime rilevazioni dell'Arpa,
che attestano come tutti i livelli delle emissioni siano tornati sotto i limiti
prescritti dall'Autorizzazione integrata ambientale - comunicano Alessandra
Barocci e Alessandro Casula consulenti del Gruppo Arvedi per gli aspetti
ambientali - ora si attende solo il formale via libera da parte della Regione».
Per ovviare a quelli che erano stati gli sforamenti dell'estate scorsa in
seguito ai quali la stessa giunta regionale aveva emesso una doppia nota di
diffida, i due esperti spiegano che «sono terminati i lavori di sistemazione
della nuova bocca dell'altoforno che è stata totalmente riprogettata. Era questo
- sostengono - l'unico problema che aveva provocato un aumento delle emissioni
rimaste comunque al di sotto delle soglie di emergenza sanitaria». L'operazione
è finita già da qualche settimana e successivamente Siderurgica Triestina ha
ripreso a far funzionare l'altoforno pur se a ritmo ridotto, mantenendosi cioè
al di sotto delle 34mila tonnellate mensili di ghisa. Ora però anche questa
barriera sta per cadere e, se da un lato sono prevedibili nuove proteste degli
abitanti e delle associazioni ambientaliste, dall'altro Siderurgica Triestina si
lancia definitivamente come player globale della siderurgia. L'accoppiata con
Cremona, come spiega Edoardo Tovo, da sette mesi nuovo direttore dello
stabilimento, permette il completamento di un ciclo che vede Trieste
protagonista del primo e del terzo e ultimo segmento, mentre in Lombardia viene
fatto quello intermedio. Con il favore della presenza della banchina qui infatti
arrivano via mare il coke e i minerali funzionali alla produzione dei pani di
ghisa, che poi con i treni raggiungono Cremona, quartier generale del Gruppo
Arvedi. In quella acciaieria nascono le gigantesche bobine d'acciaio, cioè i
coils, del peso di 25 tonnellate ciascuna, che poi vengono rispedite a Trieste.
Con 25 treni in ingresso e altrettanti in uscita ogni settimana, la tratta tra
queste due città è diventata la seconda più trafficata a livello nazionale nel
settore merci. Nel nuovo laminatoio a freddo di Servola l'acciaio viene
laminato, cioè trattato termicamente, eventualmente ridotto e reso più sottile,
confezionato e testato, pronto per servire l'automotive (industria
automobilistica), l'industria del bianco (elettrodomestici), la componentistica
dei tubi. Con il prodotto finito, Tir, treni e navi partono per mezzo mondo.
«Oltre all'Europa - spiega con entusiasmo Tovo - raggiungiamo Nord Africa, Stati
Uniti e Messico. Tra i nostri clienti vi sono i marchi più prestigiosi: Bmw,
Mercedes, Audi, Volkswagen, Fiat, Ariston». In laminatoio servono ancora braccia
e cervelli. «Se, come spero, riusciremo a brevissimo a inaugurare anche
l'impianto di decappaggio - spiega il direttore - avremo bisogno di altri due
turni di lavoro per cui tra gennaio e giugno contiamo di fare ulteriori trenta
assunzioni tra tecnici, manutentori e operai e così l'organico complessivo a
Servola passerà da 540 a 570 dipendenti diretti. Sempre che li troviamo
rapidamente. Per l'ultima figura professionale ci abbiamo messo tre mesi. In
questo periodo infatti il porto assorbe tanti lavoratori, dobbiamo contenderceli
con tutte le banchine». Il decappaggio è un'operazione chimica che consente di
rimuovere lo stato di ossido superficiale eliminando i residui di ruggine dalla
superficie dell'acciaio. Attualmente viene eseguito a Cremona, ma ora anche
questo anello della catena produttiva sarà spostato a Trieste incrementando
l'occupazione locale. «Il Gruppo Arvedi - spiega Alessandra Barocci - ha già
speso a Trieste oltre 150 dei 171 milioni previsti. Sono stati rimossi e
smaltiti 21,3 milioni di chili di rifiuti, le aree con problemi di acque
sotterranee si sono ridotte da 520mila a 40mila metri quadrati e i piezometri
(pozzi di osservazione, ndr) che hanno rivelato problemi sono passati da 19 a 1,
ma solo perché qui, nei pressi della cokeria, sono state scoperte vasche
interrate di benzolo che sembrano risalire al 1917. L'asfaltatura è salita dal
5% al 60% della superficie totale e sarà completata entro maggio 2018. Deve
invece ancora partire nel concreto - rileva Barocci - l'operazione della parte
pubblica, cioè Invitalia, che ha previsto una spesa di 41 milioni da impiegare
soprattutto nel barrieramento a mare»
Silvio Maranzana
Confronto sulla sicurezza dell'impianto tra
associazioni di residenti, Arpa e Regione - il tavolo
La sicurezza dello stabilimento, il sistema di aspirazione sul campo di
colata dell'altoforno, il miglioramento dello spegnimento del coke ai fini della
riduzione dell'inquinamento, il rumore generato dal sistema di abbattimento
dell'impianto di aspirazione della cokeria e, infine, la quantità di depositi a
parco del coke. Questi i temi affrontati nel corso dell'incontro che si è tenuto
a Trieste tra i presidenti del Circolo Miani, Maurizio Fogar, e del Comitato
Servola respira, Romano Pezzetta, e i vertici della direzione regionale Ambiente
(che fa capo all'assessore Sara Vito) e dell'Arpa. Temi sui quali la direzione e
la stessa Arpa si sono impegnate ad avviare una serie di approfondimenti i cui
risultati verranno presentati in occasione di un prossimo confronto. Il primo
tema affrontato è quello della sicurezza degli impianti ai fini della
prevenzione dei rischi di incidente rilevante (legge Seveso). Come è stato
spiegato da Arpa, l'entrata in vigore dei regolamenti comunitari Reach e Clp e
la conseguente riqualificazione delle sostanze, tra cui il catrame, ha favorito
un maggiore presidio da parte degli organismi di controllo attraverso la
validazione del rapporto di sicurezza e due visite ispettive (nel 2016 e nel
2017), svolte congiuntamente da Arpa, assieme a vigili del fuoco e Inail. A
seguito di ciò l'impianto è stato riclassificato a soglia superiore, con
l'obbligo della redazione del rapporto di sicurezza, che permetterà alla
Prefettura, per la prima volta, l'approvazione nelle prossime settimane del
piano di emergenza esterno.
«Il porto inquina più della fabbrica» - L'analisi del
super esperto Casula indicato come consulente dal gruppo Arvedi
«La qualità dell'aria a Trieste è molto buona e se c'è un fattore di
inquinamento, questo è il porto e non la Ferriera». Lo sostiene con uno studio
illustrato da Servola, Alessandro Casula, ingegnere chimico, come da curriculum
"esperto di impianti energetici, energie rinnovabili e assimilate,
autorizzazioni ambientali, prevenzione e controllo integrato dell'inquinamento,
valutazioni ambientali e formazione nel settore energia e ambiente", consulente
del Gruppo Arvedi. Casula ha affermato che, esaminando i riscontri offerti dalle
"numerosissime" centraline di controllo ambientale che si trovano sparse in
città, gli unici dati preoccupanti sono quelli che si riferiscono alla
concentrazione media annua di No2 (biossido di azoto) rilevati dalla centralina
di piazza Libertà. «Siamo in una zona attigua al porto - ha spiegato assieme
alla collega Alessandra Barocci -, e non solo è ben lontana dallo stabilimento
siderurgico, ma denuncia la presenza di una sostanza, il biossido di azoto, che
in nessun modo può fare riferimento a un'attività di tipo siderurgico». Riguardo
alla Ferriera, l'ingegnere ha riferito che su tutte le stazioni di monitoraggio
è ampiamente rispettato dal 2016 lo standard ambientale di 40 µg/m3 di
concentrazione media annua di Pm10, compresa quella contestata di San Lorenzo in
Selva. L'Aia fissa standard di qualità ambientali anche sulle deposizioni che,
ha riferito Casula, «sono stati ampiamente rispettati nel 2016 mentre nel
secondo quadrimestre 2017 si è verificato un temporaneo superamento dovuto al
ritardato intervento di rifacimento della bocca dell'altoforno». I due
consulenti ambientali hanno anche contestato il fatto che l'Aia concessa alla
Ferriera preveda l'obbligo da parte dell'azienda della copertura dei parchi
minerali, così come richiesto dal Comune e da alcune associazioni. «E' un falso
problema - hanno ribattuto gli esperti -. I parchi possono contribuire
all'inquinamento nella misura massima del 10% che viene sostanzialmente
annullata con una diversa conformazione dei parchi stessi e l'irrorazione e la
filmatura per evitare gli spolveramenti. Così è stato fatto, ma ciononostante,
come le è stato richiesto, l'azienda ha comunque presentato il progetto per la
loro copertura.
(s.m.)
Barbieri in scadenza - Scatta il nuovo bando - Al via
la "caccia" al tecnico chiamato ad affiancare la giunta - Il prossimo incarico
avrà durata fino alla fine del 2018
L'incarico di Pierluigi Barbieri, super-tecnico sulla Ferriera del Comune di
Trieste, scade a fine anno. L'ente locale non intende però privarsi
dell'appoggio di un esperto in materia, ed è già pronto il nuovo bando per
l'individuazione della persona più indicata. È prevedibile, salvo candidature a
sorpresa, che l'esperto che ha affiancato il Comune nell'ultimo anno sarà
nuovamente il prescelto. Fonti comunali spiegano che l'incarico di Barbieri,
iniziato al principio di quest'anno, aveva durata semestrale, rinnovabile.
Prolungato fino alla fine del 2017, non può essere ulteriormente rinnovato.
Ragion per cui il Comune ha dovuto varare un nuovo bando, in accordo con i
regolamenti sugli incarichi della pubblica amministrazione. Barbieri commenterà
pubblicamente nei prossimi giorni l'esito di questo anno di lavoro, ma per il
momento anticipa: «Abbiamo messo tantissima carne sul fuoco in questo periodo,
ci sono molti elementi che verranno utilizzati nelle sedi appropriate».Il nuovo
bando prevede un incarico di durata annuale e non più semestrale. Si legge nel
bando: «L'incarico verrà svolto presso il comune di Trieste nell'anno 2018 con
decorrenza dalla data di comunicazione dell'esecutività del provvedimento di
affidamento e sino al 31 dicembre 2018, anche nelle more di perfezionamento
degli atti contrattuali».Il che significa che l'avvio ci sarà proprio all'inizio
dell'anno. Piuttosto che varare il bando direttamente nel 2018, infatti, il
Comune ha preferito anticipare di un mese il procedimento, così da non
ritrovarsi con un tecnico "azzoppato" dalle necessità burocratiche, che
altrimenti potrebbero protrarsi per mesi. Le candidature verranno giudicate da
un'apposita commissione, in base a punteggi elencati con precisione all'interno
del bando.In cosa consiste il lavoro? In quanto fatto già da Barbieri nel corso
dell'ultimo anno: si tratta dell'incarico a «un esperto in inquinamento in
chimica dell'ambiente, per lo svolgimento dell'attività di supporto tecnico al
sindaco per la lettura e il controllo dei dati relativi a fumi e inquinamento
per quanto riguarda lo stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola a
Trieste». Ciò deriva, si legge, dalla necessità dell'amministrazione «di
monitorare le emissioni ambientali della Ferriera in relazione ai rischi
dell'area a caldo oggetto di particolare attenzione nel mandato del sindaco».
Questo comporta, in termini tecnici, che «la prestazione professionale» del
consulente «consiste nel rendere un supporto di natura tecnica» nei procedimenti
che consentono al Comune «l'esercizio dei risultati di un'attività istituzionale
(istruttoria, sanzionatoria, di controllo eccetera) tramite l'acquisizione di
risultati di un'attività professionale» resa dal consulente stesso. Ai tempi, la
nomina di Barbieri fu una mossa a sorpresa da parte della giunta Dipiazza: il
tecnico era infatti l'assessore all'ambiente designato della potenziale
amministrazione Cosolini bis, annunciato dal Pd in campagna elettorale.
Giovanni Tomasin
La grande storia dell'Adriatico raccontata dai fondali
con relitti e piccoli tesori - LA MOSTRA - I CONTENUTI
I tesori del mondo sommerso riemergono dal profondo degli abissi con la
mostra "Nel mare dell'intimità", che con gli occhi dell'archeologia subacquea si
propone l'ambiziosa impresa di raccontare la storia dell'Adriatico,
dall'antichità ai giorni nostri. L'esposizione si inaugura oggi, alle 17.30, al
Salone degli Incanti (l'ex Pescheria) sulle Rive (domani l'apertura al
pubblico), dove grazie all'allestimento curato dall'architetto Giovanni Panizon
si trasformerà in un grande fondale sommerso, saranno esposti un migliaio di
reperti provenienti praticamente da ogni territorio bagnato da questo mare,
grazie ai prestiti di musei italiani, croati, sloveni e montenegrini. Relitti,
opere d'arte e oggetti della vita quotidiana, merci destinate alla vendita e
attrezzature di bordo ripescate dalle profondità del nostro mare saranno
proposti al pubblico in una visione d'insieme, con un'esposizione di 2000 metri
quadri in cui lo spettatore sarà virtualmente immerso. Ciascun reperto racconta
un pezzetto di storia dell'Adriatico, che si potrà poi approfondire grazie a un
dettagliato catalogo edito da Gangemi, curato da Rita Auriemma con la
progettazione grafica della Trart di Trieste. Negli abissi del mare
dell'intimità sono rimaste celate per lungo tempo storie di traffici
commerciali, di incroci tra popoli, di pace e di guerra. Le vicende degli uomini
che solcarono queste acque fin dall'antichità ci ricordano le difficoltà della
navigazione, il timore reverenziale con cui ci si approcciava a un mare che, per
quanto circoscritto e mappato, non si poteva considerare né conosciuto né
controllabile. Non a caso una delle dieci sezioni è dedicata al rapporto tra
l'andar per mare e il sacro: nella sua dimensione più inconscia la navigazione
incute soggezione non soltanto per i pericoli del mare, ma per quella dimensione
incerta che è lo spostamento, l'incontro con il diverso. «Esiste un singolare
paesaggio del sacro comune in tutto l'Adriatico, fatto di luoghi e di miti che
punteggiano l'interfaccia fra la terra e il mare - spiega Rita Auriemma,
archeologa subacquea e curatrice della mostra -. Qui l'homo religiosus consegna
i punti più significativi della terraferma ai segni del sacro, per offrire a chi
naviga un messaggio d'accoglienza, così come dalla riva verso il grande ignoto,
il navigatore affida al divino la speranza del viaggio, del buon approdo, del
ritorno. Particolare valenza simbolica e religiosa hanno dappertutto i luoghi -
promontori e isole, scogliere, falesie, approdi - a cui si affida la "memoria di
lungo corso" dei naviganti. In questo sistema i passaggi cruciali, che dalla
costa suggerivano ai marinai il rischio del morire in mare o la gioia d'averlo
scongiurato, erano naturalmente, profondamente, percepiti come luoghi sacri».
Durante tutta la storia dell'Adriatico e con maggior virulenza nel Secolo breve
ai pericoli della navigazione per mare si sommarono i conflitti. Li racconta la
sezione "La guerra sul mare", che raccoglie testimonianze di battaglie e storie
di pirati e corsari, che s'intrecciano con le guerre vere e proprie. L'Adriatico
fu infatti terreno di caccia per i pirati Uscocchi, cristiani cattolici
provenienti dai Balcani che si stabilirono sulle coste dell'Adriatico per
sfuggire all'avanzata dei Turchi. Ma fu anche teatro di tante battaglie: se ne
trova traccia nei reperti che ricordano, per esempio, gli scontri tra flotte
musulmane e cristiane durante la battaglia di Lepanto del 1571. O nei resti
della fregata francese Danae, che fra il 1811 e il 1812 fu impegnata in alcuni
scontri a fuoco contro unità inglesi in Adriatico, tra cui la battaglia di Lissa
del 13 marzo 1811. La Danae non cadde in battaglia, ma colò a picco per
un'esplosione, forse un sabotaggio, nel 1812, mentre era ormeggiata al molo San
Carlo, proprio nel porto di Trieste. Passando al Novecento e alle due guerre
mondiali in mostra si potranno anche vedere, per la prima volta, i reperti
recentemente ripescati dalla baia di Muggia, della corazzata austroungarica
Wien, affondata nel 1917 da due Mas italiani comandati da Luigi Rizzo. E ancora
la prua del sommergibile Medusa, affondato nel 1915 al largo di Venezia, e il
timone di coda del bombardiere B24, colpito dalla contraerea e precipitato in
mare al largo di Grado nel 1945. La mostra "Nel mare dell'intimità" è
organizzata dal Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac e
dall'assessorato alla Cultura del Comune di Trieste. Si avvale della
collaborazione di oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali, tra
le quali la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale
regionale.
GIULIA BASSO
L'archeologa subacquea Auriemma: «Trieste e il mare,
legame profondo» - L'INTERVISTA - LA CURATRICE
Per il più ampio focus sull'archeologia subacquea dell'Adriatico che a
memoria d'uomo si ricordi in Italia è stata scelta la città di Trieste, che
guarda nel grembo ultimo dell'Adriatico e vi si specchia, come una nave in
procinto di salpare. «Trieste è assolutamente coinvolta nell'intimità di questo
mare: basti pensare che l'ultimo dei santuari di Diomede, eroe adriatico per
eccellenza, si trova proprio a pochi passi da qui, dove oggi affiorano le
risorgive del Timavo», spiega Rita Auriemma, curatrice della mostra per conto
dell'Erpac e archeologa subacquea. L'esposizione "Nel mare dell'intimità"
getterà luce anche sul suo mestiere. Se l'archeologo terrestre è stato
raccontato al grande pubblico da George Lucas con Indiana Jones, la figura
dell'archeologo subacqueo rimane ancora avvolta da un alone di mistero. «Eppure
la prospettiva è comune, quella dell'archeologia dei paesaggi, che mira a
comprendere lo sviluppo storico del rapporto tra l'umano e l'ambiente in cui è
presente - spiega Auriemma -. A cambiare è lo scenario in cui si opera,
terrestre, costiero o subacqueo. In quest'ultimo caso la tecnologia oggi, grazie
allo sviluppo della robotica, ci fornisce soluzione operative d'avanguardia, che
ci consentono di ampliare le nostre ricerche a profondità impensabili fino a
poco tempo fa». Oggi grazie a veicoli robot subacquei come i Rov e gli Auv si
arrivano ad esplorare relitti profondi centinaia di metri. Non si tratta però di
tecnologia a buon mercato e in Italia ce n'è poca a disposizione
dell'archeologia subacquea. E' come se dopo i brillanti esordi dell'epoca di
Nino Lamboglia, mitico direttore del Centro Sperimentale di Archeologia
sottomarina di Albenga negli anni '50, sull'archeologia subacquea italiana fosse
calato il sipario. Ci sono delle eccezioni, come il lavoro sul relitto di Grado,
ben raccontato dalla mostra. Ma l'esposizione dimostra una volta di più come
oggi «l'unica strada percorribile per tutelare il patrimonio sommerso sia creare
una rete che non ha confini, se non quelli burocratici, nel trasferimento di
conoscenze e buone pratiche. La ricerca deve essere internazionale, la comunità
scientifica il più aperta possibile. Il "mare dell'intimità" in fondo è anche
questo: reperti da Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro, ricercatori dei
rispettivi Paesi che si parlano e si scambiano informazioni da cui potrebbero
nascere futuri progetti. La mostra vuole essere anche un modo per rimettere in
moto le attività sul campo: il Navarca di Aquileia, spiega Rita Auriemma, è
stato restaurato per l'occasione e sarà esposto nel nuovo allestimento del museo
archeologico di Aquileia. La sezione della Nave di Grado, il lavoro
d'inventariato e catalogazione dei materiali originali del carico vivrà dopo la
mostra: è pensata per il museo della città di Grado. Quanto ai reperti in
esposizione, vale la stessa storia dei Bronzi di Riace. Al centro della
struttura espositiva troverete quattro statue di grande impatto visivo, l'Apoxyómenos,
il Principe ellenistico, il Navarca di Aquileia e l'Atleta di Barcola. Dal punto
di vista artistico sono pregevolissime. «Ma a me coinvolge altrettanto il bollo
di Calvia Crispinilla, con cui questa donna, proprietaria di ville e tenute, tra
cui anche la villa romana di Barcola, timbra alcune anfore di una sua proprietà
a Loron. E' un personaggio che mi irretisce. Tacito la racconta come donna dalla
reputazione scandalosa, colei che orchestrava i piaceri di Nerone. In realtà era
una donna libera e potente, di cui la storiografia ha forse dato un ritratto
peggiore del reale. Ma si sa, le donne di potere spaventano ancora oggi...»
Giulia Basso
IL TIRRENO - VENERDI', 15 dicembre 2017
LIVORNO - No al rigassificatore - Comitato al lavoro sul ricorso al Tar
ROSIGNANO - «Il ricorso al Tribunale amministrativo
regionale (Tar) è quasi pronto e verrà depositato entro la scadenza del 25
gennaio 2018, debitamente arricchito dalle ragioni del no derivanti dalla nuova
Strategia energetica nazionale (Sen), elementi che valutiamo potrebbero essere
molto utili ai fini di una sentenza a favore del no». Così il Comitato del No al
Rigassificatore che fa il punto sulla battaglia legale che lo vede impegnato nel
promuovere il ricorso al Tar contro il Decreto 215 del 14 luglio 2017. «Dopo la
positiva raccolta fondi conclusasi a circa metà settembre – prosegue il Comitato
– tramite l’avvocato di riferimento abbiamo costantemente monitorato la
pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale (Guri) la cui data determina
i 60 giorni di tempo per la presentazione del ricorso al Tar. Stranamente per
ritardi tecnici nella trasmissione, ricezione e pubblicazione, che solitamente
avviene in circa una o due settimane, questa è avvenuta soltanto il 25 novembre,
ovvero con circa quattro mesi di ritardo. In questo arco di tempo è uscita la
nuova Strategia energetica nazionale, della quale alcuni contenuti, in estrema
sintesi utili a dare man forte alle ragioni del no al rigassificatore, sono
stati inseriti nel ricorso al Tar». Nel frattempo la seduta del Tar del 4
dicembre per discutere i vecchi ricorsi è stata rinviata a data da definire.
«Ringraziamo di nuovo tutti coloro i quali hanno
contribuito alla raccolta fondi e confermiamo a tutti che il ricorso è quasi
pronto e verrà depositato entro la scadenza del 25 gennaio 2018, debitamente
arricchito dalle ragioni del no derivanti dalla nuova Sen. Purtroppo i tempi di
questo procedimento sono estenuanti e lunghissimi»
IL PICCOLO - VENERDI', 15 dicembre 2017
Il nuovo depuratore parte a Natale - Ultime prove
tecniche per l'impianto di AcegasApsAmga costato oltre 50 milioni di euro
Entro la fine dell'anno, ovvero entro una quindicina di giorni, verrà
premuto dai tecnici di AcegasApsAmga l'interruttore del nuovo depuratore di
Servola. Il primo cantiere italiano, nella classifica dimensionale di questa
tipologia impiantistica ambientale, avrà conseguito il suo scopo prioritario:
cominciare gradualmente a funzionare, filtrando le acque fognarie derivanti da
190mila residenti e consentendo di arginare la procedura di infrazione attivata
troppi anni fa dalla Commissione Ue. La tempistica, annunciata nell'autunno
2015, è sostanzialmente rispettata. Il direttore generale dell'azienda
triestino-padovana-udinese, Roberto Gasparetto, può permettersi - premessa una
ricca dotazione scaramantica - di tirare il fiato: «Una volta la depurazione era
delegata al mare, ora la facciamo noi». I test sulla strumentazione installata
sono a buon punto: rotazione dei motori, circuito idraulico, funzionamento delle
paratoie, software di controllo ... Le tecnologie messe a punto da Veolia e
Suez, inserite nelle strutture edili costruite da Cmb, sono ormai prossime a
partire, dopo poco più di un anno di lavoro (al netto delle progettazioni)
iniziato nel novembre del 2016. L'acqua di prova ribolle nelle 40 vasche che si
aprono (ma saranno opportunamente coperte) sulla superficie dei 250 metri lungo
i quali si svolge la complessa struttura che garantirà la depurazione idrica. A
regime l'impianto servolano tratterà dagli 80 ai 100mila metri cubi giornalieri
di acqua fognaria. «Una lotta contro il tempo», commenta l'assessore regionale
all'Ambiente, Sara Vito, che pensa alla clessidra di Bruxelles. Perché gli
eurocrati non si accontenteranno del taglio del nastro, esigono un anno di
campionamenti. E non è detto - ammonisce l'assessore - che l'accensione del
depuratore annulli automaticamente la sanzione comunitaria, che al momento non
risulta ancora quantificata. Comunque, adesso il lavoro è stato completato e ha
previsto un investimento di 52,5 milioni di euro, che è pagato per tre quinti
con eurorisorse Fsc, cui si aggiungono un contributo pluriennale di 15 milioni
erogato dalla Regione Fvg e i proventi tariffari. La sola parte tecnologica ha
assorbito 30 milioni. Al vasto cantiere di quasi 35mila metri quadrati di
superficie, che continuerà a operare anche dopo la partenza dell'impianto, si
accede dal varco di scalo Legnami, provenendo da via Svevo. Due i tecnici che
hanno progettato e seguito i lavori, gli ingegneri Massimo Vienna, "conferito"
dalla capogruppo Hera, e Enrico Altran: hanno diretto l'impegno di 350 persone,
coinvolte nella realizzazione delle varie articolazioni della struttura
attraverso 36mila giornate/uomo. L'innovazione depurativa è multifasica e si
possono distinguere cinque passaggi-chiave: il pre-trattamento, che viene
espletato nel vecchio depuratore, il trattamento primario, il trattamento
secondario o biologico, il trattamento terziario, la disinfezione. Le acque
fognarie continuano ad arrivare nell'impianto "old" attraverso due grandi
collettori, quello "alto" e quello "basso": il primo parte da Barcola, sale in
via Udine, passa dal Tribunale, punta verso San Giacomo e da lì approda a
Servola, avendo ricevuto gli apporti delle condotte di via Baiamonti e di
Valmaura. Il secondo origina davanti alla Stazione centrale e fa rotta su
Servola transitando lungo le Rive. I liquidi, dopo aver affrontato l'iter
depurativo, vengono convogliati verso la vecchia condotta sottomarina di 7,5
chilometri, che scarica al largo: la differenza fondamentale è che l'opera di
abbattimento batterica sarà effettuata sulla terraferma, così come prevedono le
disposizioni della Ue. E l'abbattimento batterico, in collaborazione con l'Ogs,
sarà dosato a seconda delle esigenze dell'ecosistema marino. Hera ha affrontato
altri due rilevanti interventi ambientali legati all'Adriatico: il risanamento
fognario di Rimini e l'adeguamento di Cà Nordio, l'impianto che serve l'area di
Padova.
Massimo Greco
Ogni giorno in funzione per centomila metri cubi
Quaranta vasche alimentate da quattro maxi pompe che sollevano l'acqua in
arrivo dalla vecchia struttura. Macchine d'avanguardia, tre fasi di trattamento
Nel giro di un anno quella che era una distesa di terra divelta è diventata
una realtà tecnologica che il direttore di AcegasApsAmga Gasparetto, insieme
allo staff tecnico aziendale, definisce «al top delle conoscenze mondiali nel
settore». La visita al nuovo depuratore di Servola parte dalla civettuola
palazzina, a cura dello studio Altieri e di F&M Ingegneria, che ospiterà gli
uffici, la direzione del ciclo idrico gestito dall'utility, il laboratorio di
analisi in procinto di traslocare dal Broletto: in tutto vi lavoreranno una
quarantina di addetti. E'il perno dell'itinerario, perchè salendo le scale si
raggiungono la sala controllo e la "terrazza" delle 40 vasche. Scendendo, il
visitatore si inoltra invece nella "galleria tecnica", dove è possibile
osservare le macchine che, attraverso tre fasi fondamentali, concorreranno a
ripulire quasi 100 mila metri cubi di acqua al dì. Fondamentale la sala
controllo, presidiata dai tecnici Hera distaccati dal centro di Forlì, che
coordina l'operatività (e gli allarmi) di tutti gli impianti "fluidi" (acqua,
gas) del gruppo. Forlì è considerato il secondo polo di telecontrollo
funzionante in Europa: adesso anche Servola è connessa al sistema. Sui monitor
la mappa dei "possedimenti" Hera: Modena, Bologna, Ferrara, Romagna, Padova,
Trieste. Sotto le vasche - come si diceva - il cuore e il cervello del nuovo
depuratore: in circa duecento metri si addensa un investimento di 30 milioni, a
maggio di quest'anno si è iniziato a installare le apparecchiature e le
strumentazioni. L'acqua da trattare arriva dal vecchio impianto mediante cinque
attraversamenti sotterranei e viene sollevata verso le vasche, profonde 6-7
metri, utilizzando l'azione di quattro pompe. Ora comincia l'operazione
depurativa vera e propria, che raggiunge il punto più importante con il
cosiddetto "trattamento biologico", seguito nel "trattamento terziario"
dall'eliminazione di azoto, fosfato, ammoniaca. L'acqua è così pronta per
affrontare il viaggio di 7,5 chilometri verso il Golfo. La parte nord della
galleria è spoglia ma è predisposta per ospitare nuove apparecchiature quando il
depuratore di Zaule sarà dismesso e l'attività si concentrerà a Servola. Abbiamo
parlato di attraversamenti che consentono alle acque di defluire dal vecchio al
nuovo impianto: per realizzarli, è stato necessario ottenere le autorizzazioni
dii Rfi, perché queste opere passano sotto il binario ferroviario che collega
Campo Marzio con Aquilinia. Dal punto di vista amministrativo, si è trattato di
un passaggio fondamentale che è stato affrontato nei primi mesi dell'anno. Poi
in aprile sono iniziate sul campo le attività di perforazione e di "microtunnelling"
per collegare i due depuratori. L'operazione è stata portata a termine con una
macchina "talpa" schierata da un'azienda di Occhiobello, la Pato: ancora nel
giorno di San Nicolò era possibile vederla in lentissima azione, mentre apriva
l'ultimo varco per far passare l'acqua.
magr
Quando Bruxelles accese la procedura dieci anni fa
Tra depuratore e Ferriera, due delle più spinose grane ambientali del territorio vedono Servola nolente protagonista. Per quanto riguarda l'impianto di depurazione, la vicenda ebbe inizio nel 2008 quando la Commissione Ue esplose la procedura di infrazione, motivata dal fatto che la condotta sottomarina portava l'acqua fognaria direttamente in mare, senza che vi fosse un preventivo trattamento a terra. Trascorsi alcuni anni senza che Trieste rispondesse a Bruxelles, nell'ottobre 2015 il progetto del nuovo impianto venne presentato presso la presidenza della Regione Fvg dall'assessore Sara Vito, dall'amministratore delegato di Hera Stefano Venier, dall'allora sindaco di Trieste Roberto Cosolini. In verità già dal 2013 la macchina decisionale aveva cominciato a muoversi ed erano partiti i lavori di bonifica del terreno, lavori che assorbirono 8 milioni sul budget complessivo di 52,5. Il completamento dell'opera era previsto nel 2018: a dieci anni dal diktat della Commissione Ue.
(magr)
Recupero rifiuti: a Herambiente il 40% di Aliplast
É stato perfezionato l'acquisto da parte di Herambiente, società del gruppo
Hera leader in Italia nel trattamento e recupero dei rifiuti, di un ulteriore
40% delle azioni di Aliplast, primaria realtà nazionale nella raccolta e riciclo
della plastica e conseguente rigenerazione. Con questa operazione, che fa
seguito al primo passaggio effettuato il 3 aprile 2017, la quota azionaria di
Aliplast detenuta dal Gruppo Hera sale all'80%. Il restante 20% delle azioni
sarà rilevato entro giugno 2022.
Energia - Kosovo, ok alla centrale da un miliardo di
euro
BELGRADO - Luce verde a un progetto di grande portata, fondamentale per il
futuro di quel Paese. Ma anche controverso. Sorgerà in Kosovo una nuova, enorme
centrale termoelettrica a carbone, la "Kosovo e Re" (Nuovo Kosovo), che andrà a
sostituire l'ormai obsoleto e super-inquinante impianto per la produzione di
energia elettrica "Kosovo B", costruito ai tempi della Jugoslavia. Il via libera
è stato ufficializzato dal governo di Pristina, che ha specificato in una nota
il raggiungimento di un «accordo con l'azienda Contour Global», colosso
americano specializzato nel settore dell'energia, per la costruzione della nuova
centrale. «La firma dell'accordo commerciale è attesa nei prossimi giorni, con
essa in Kosovo sarà investito oltre un miliardo di euro, il maggiore
investimento nella storia del nuovo Kosovo», auto-dichiaratosi indipendente
dalla Serbia nel 2008. E un'altra indipendenza, quella «energetica», sarà
garantita una volta che la centrale entrerà a pieno regime, entro il 2023,
mentre i lavori inizieranno il prossimo anno, ha assicurato l'esecutivo.La
centrale, è stato annunciato, avrà un blocco unico di produzione e una capacità
di 500 MW. Non solo. "Kosovo e Re" sarà dotata di una componente per la
generazione di calore per teleriscaldamento, che permetterà «l'espansione della
rete di riscaldamento nelle città di Pristina, Obilic, Drenas (Glogovac) e Fushe
Kosova» (Kosovo Polje). Infine, la rassicurazione del governo del Kosovo, uno
fra i Paesi più inquinati dei Balcani ma il quinto più ricco al mondo di lignite
(14 miliardi di tonnellate da estrarre): la centrale, alimentata naturalmente a
carbone, «sarà costruita secondo le ultime tecnologie» disponibili portando così
alla «riduzione delle emissioni» e a una maggiore «protezione dell'ambiente». È
un «evento storico per la gente del Kosovo e il suo futuro», la promessa.Ma ora,
dopo le promesse, si dovrà passare alla prova dei fatti, perché "Kosovo e Re" è
da anni al centro di controversie e critiche. Critiche in passato arrivate anche
dell'autorevole organizzazione Bankwatch, che ha sostenuto, canalizzando la
posizione di Ong locali come Kosid, che l'impianto sarebbe «non necessario»,
perché eliminando le «perdite tecniche» della rete (15%) e i «furti» di
elettricità (18% della produzione), oltre che investendo in rinnovabili ed
efficienza energetica si potrebbe evitarne la costruzione. Costruzione che,
secondo Bankwatch, potrebbe avere effetti negativi su forniture idriche e
terreni agricoli. I prossimi anni diranno chi ha visto giusto.(s.g.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 14 dicembre 2017
L'ultimo viaggio di Vocci vagabondo senza confini - Si
è spento a 67 anni il fondatore di Laboratorio di Biologia marina e Circolo
Istria
È stato uno dei primi assessori all'Ambiente d'Italia e sindaco di Duino
Aurisina - (foto)
«Ho perso due grandi sopracciglia e un bel paio di baffi, ma soprattutto
quello che stava sotto: due occhi curiosi e una bocca sempre sorridente. E
aperta sulla meraviglia della bellezza». Martina Vocci ha annunciato così su
Facebook la scomparsa del padre Marino Vocci a 67 anni dopo una breve malattia,
a nome anche delle altre donne della famiglia, la madre Liliana e la sorella
Eva. A molti mancheranno quelle grandi sopracciglia, quei baffi che regalavano
un sorriso aperto sul mondo. Marino Vocci era nato nel 1950 a Caldania, Buie
d'Istria, vicino a Pirano. Nel 1954, a soli quattro anni, lascia la terra natia
con la famiglia. «Caldania - rappresenta un po' il simbolo del mio esodo. Dalla
campagna sono approdato a Trieste, in un mondo urbano, centroeuropeo. Ma anche
ostile e pieno di difficoltà. Mio padre aveva già portato via, qualche mese
prima, mia sorella Giuseppina che aveva 11 anni, perché voleva che frequentasse
le scuole italiane». Furono gli anni più difficili passati nel campo profughi di
Opicina. «Noi eravamo gli "istriani sbagliati" - ricorda Marino Vocci - e
avevamo una doppia difficoltà: eravamo visti con sospetto perché considerati dei
nemici. A Trieste eravamo dei traditori comunisti filotitini e amici degli s'ciavi.
In Istria, gli irredentisti fascisti italiani. Ma questo non era vero, io non
sono mai stato fascista». Ottiene il diploma di perito industriale all'Istituto
"Volta" di Trieste. Si iscrive a Lettere all'Università di Trieste ma non
termina gli studi. É pure un promettente calciatore dello Zarja e del Primorje.
Negli anni Settanta inizia a lavorare prima come guida al Museo della Risiera di
San Sabba e poi come insegnante nelle scuole medie inferiori. Nel 1977 fonda il
Laboratorio di Biologia marina e per vent'anni (fino al 1997) ci lavora. Dal
1980 al 1985 è uno dei primi assessori all'Ambiente d'Italia. Nel dicembre 1997
diventa sindaco di Duino Aurisina, il primo eletto nelle file dell'Ulivo. Nel
2002 si dimette per una questione ambientale. Poi, fino al pensionamento del
2012, lavora ai Civici musei scientifici di Trieste occupandosi soprattutto del
rilancio del Museo del Mare. È stato uno dei fondatori del Circolo di cultura
istro-veneta Istria (presidente per oltre 10 anni), di Legambiente, del Gruppo/Skupina
85, dell'Associazione Dialoghi Europei. Si è battuto contro il rimosso storico
del confine orientale. «Un vergognoso silenzio sia da destra sia da sinistra
perché era difficile ammettere che l'Italia era uscita sconfitta dalla guerra»
ricordava Vocci. Marino era un costruttore di ponti e uomo di dialoghi a partire
anche dalle taverne e osterie con la sua barca dei sapori approdata a
TeleCapodistria. Pure fiduciario di Slow Food uomo di amicizie uniche (Fulvio
Tomizza, Franco Basaglia, Alexander Langer, Diego de Castro e Fulvio Molinari).
A esprimere il cordoglio è stato ieri anche il presidente del Consiglio
regionale del Fvg Franco Iacop. Oggi in Consiglio comunale sarà commemorato da
Fabiana Martini. Il suo, come ricordava nel libro "Fughe e approdi", è stato «il
viaggio di un vagabondo curioso vissuto in mezzo a lingue e culture diverse, tra
il mare e la terra, tra il rovere e il leccio, tra ulivi e vigne di terra rossa
e i prati verdi delle montagne; tra il canto delle cicale, dei merli e degli
usignoli, tra le musiche di Bob Dylan, Guccini e De Gregori».
Fabio Dorigo
«Frana vicino a casa, abbiamo paura» - Allarme a Muggia
fra i residenti di strada per Lazzaretto 1 dopo lo smottamento. Ordinanza del
sindaco Marzi
MUGGIA - «Non penso proprio che chiuderò occhio questa notte: il fango si
muove continuamente, ora si iniziano a vedere anche le fondamenta della casa
sopra di noi». Trapelano paura e inquietudine dalle parole di una residente
nella casa di strada per Lazzaretto 1, l'edificio situato proprio sotto al
massiccio movimento franoso che da lunedì ha iniziato a riversarsi nell'area di
fronte al parcheggio di porto San Rocco. Nella mattinata di ieri due squadre
della Protezione civile, i Vigili del fuoco e i tecnici del Comune di Muggia
hanno fatto una serie di sopralluoghi nella zona, utilizzata come parcheggio dai
residenti (e già interdetta da lunedì), accertando come il movimento franoso sia
in continua evoluzione, ma sia fondamentalmente sotto controllo come ha spiegato
il sindaco Laura Marzi: «Potrebbero verificarsi degli ulteriori distacchi, ma
non c'è alcun rischio per i residenti». Da due giorni, nella zona "a valle"
della prima casa di strada per Lazzaretto, circa otto famiglie stanno vivendo
con il fiato in gola. Fango, terra, pietre, alberi, pezzi di recinzione sono
scivolati giù per circa una trentina di metri dalla collina, dove poco sopra si
trova un'abitazione, in strada per la Fortezza 24/c, ove risiede Maria Luisa
Valente, proprietaria dell'area franata: contattata telefonicamente, la donna ha
preferito non commentare l'accaduto. Intanto ieri la corsia lato collina di
strada per Lazzaretto è stata chiusa per una cinquantina di metri onde evitare
che la frana possa invadere la carreggiata della frequentata arteria stradale.
«Non siamo affatto tranquilli, anzi, io ho proprio paura - racconta la residente
di strada per Lazzaretto 1 -, si vedono le spaccature del terreno, le abbiamo
constatate utilizzando anche un drone. Ci è stato detto di chiuderci in casa, di
chiudere le persiane delle finestre sul lato monte. Non possiamo ovviamente più
parcheggiare le auto nel piazzale, non possiamo più muoverci per andare nelle
cantine, a lato della casa, e nemmeno dietro alla casa». Ieri pomeriggio il
sindaco Laura Marzi ha emanato un'ordinanza per affrontare la situazione:
«Abbiamo imposto alla proprietaria del terreno in cui si è sviluppato il fronte
di frana la messa in sicurezza dell'area in tempi rapidissimi. Per operare però
bisognerà attende la stabilizzazione delle condizioni meteo per garantire la
sicurezza a chi dovrà intervenire». Nell'ordinanza è stata confermata
l'interdizione dell'uso del parcheggio dei condomini di strada per Lazzaretto 1
ai quali è stato poi imposto di non utilizzare le cantine e di chiudere finestre
e persiane del piano terra e del primo piano. «In realtà la casa è abbastanza
lontana dal movimento franoso, ma in caso di possibile distacco, magari di un
masso, ci potrebbe essere il rischio che questo sfondi i vetri delle finestre: è
una precauzione, ma non è a rischio l'incolumità di nessuno», puntualizza Marzi.
Confermata infine la chiusura precauzionale per un tratto di circa 50 metri
della corsia lato collina di strada per Lazzaretto. La situazione venutasi a
creare tra strada per Lazzaretto e strada per la Fortezza ha sollevato le ire
politiche del capogruppo del M5S Emanuele Romano: «Il caso dello smottamento
avvenuto a Muggia dimostra ancora una volta come il territorio necessiti di
pianificazione. La maggioranza ha sempre bocciato i nostri emendamenti su
interventi straordinari e studi sul dissesto idrogeologico. Adesso le misure
speciali in votazione non rispettano né il principio "zero consumo di suolo", né
migliorano la sicurezza del nostro territorio». Pronta la replica di Marzi: «I
Prgc redatti sino a qualche anno fa hanno dimostrato poca attenzione per le
criticità idrogeologiche peraltro aumentate nel corso degli anni. La nostra
variante 31, invece, ha riservato assoluta attenzione a questa tematica, per cui
gli emendamenti del consigliere Romano non vanno a mutare minimamente né ad
aggiungere alcunché a quanto già previsto». «Mi chiedo come sia stato possibile
permettere di costruire una casa lassù. Il fango e la terra si stanno muovendo
continuamente. Nemmeno le reti di recinzione sono servite visto che sono state
travolte», aggiunge intanto la residente muggesana. E nella mente non possono
che riecheggiare i tragici fatti del 15 novembre 2014 in cui una frana travolse
mortalmente la 73enne Loreta Querel mentre era in casa al numero 59/p di strada
per Lazzaretto.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 13 dicembre 2017
Austria, esplode impianto - Stop al gas diretto in
Italia - Calenda dichiara l'emergenza: «Scorte assicurate». Flusso ripristinato
nella notte
Scontro tra ministro e governatore pugliese: «Con il Tap non avremmo
problemi»
ROMA - L'allarme è durato una manciata di ore. Quanto è bastato per
confermare la fragilità del sistema energetico italiano, che importa il 90% del
gas di cui ha bisogno. Una esplosione avvenuta alle 8.45 all'interno del
terminal del gas di Baumgarten an der March, Austria orientale, uno dei
principali snodi di distribuzione di gas naturale in Europa con una capacità di
annua di 40 miliardi di metri cubi, ha provocato un morto e almeno 18 feriti,
determinando la sospensione delle attività del gasdotto Tag, che convoglia il
gas russo fino al nostro Paese attraverso il Tarvisio. Possibili interruzioni
del rifornimento anche per la Croazia, ha reso noto un portavoce dell'operatore
Gas Connect Austria. L'incendio divampato dopo la detonazione è stato spento, ma
le cause dell'esplosione restano ancora da chiarire. Il blocco ha costretto
l'Italia a dichiarare attorno alle 13 lo stato di emergenza. La fornitura ai
consumatori italiani - ha reso noto il ministero dello Sviluppo economico - è
comunque assicurata» con la «maggiore erogazione di gas dagli stoccaggi
nazionali in sotterraneo». L'emergenza è rientrata velocemente: durante la
notte, ha anticipato ieri sera il ministro Carlo Calenda, la rotta austriaca è
stata riaperta. «La tre linee del Trans Austria Gasleitung, il gasdotto che
porta il gas russo in Italia, non sono state impattate e ci aspettiamo il
riavvio dei flussi per la mezzanotte» ha annunciato attorno alle 20 il ceo di
Snam, Marco Alverà, sottolineando che il sistema italiano è «tra i più sicuri al
mondo» grazie anche a riserve che possono arrivare a 17 miliardi di metri cubi.
Ma è necessario diversificare, ha affermato Calenda, ribadendo l'importanza di
portare a termine il progetto del Tap, il gasdotto che porterà in Europa il gas
dell'Azerbaigian passando per la Puglia, ostacolato da ambientalisti e
amministrazioni locali, per diversificare l'approvvigionamento. «Emiliano - ha
attaccato il ministro - ha fatto ricorso al Tar pure su questo e lo ha perso. Se
avessimo avuto già oggi il Tap, non dovremmo dichiarare un'emergenza. È
inaccettabile». L'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha chiarito
che Baumgarten assicura poco più del 30% del fabbisogno italiano (di questo Eni
ha l'80%) e che ieri avrebbe dovuto portare in Italia 57 milioni di metri cubi
di gas. Nonostante i numeri ha invitato a evitare allarmismi: «Se l'emergenza
finisse domani non è un problema. Ma anche se dovesse durare qualche settimana è
una cosa che possiamo compensare» ha detto, spiegando però che «il gas sta
salendo di prezzo. Dipende da quanto durerà il problema». Già ieri il costo
all'ingrosso in Italia è quasi raddoppiato. Il governatore pugliese Michele
Emiliano ha replicato duramente alle dichiarazioni di Calenda: «I fatti accaduti
in Austria hanno dimostrato che le preoccupazioni della Regione Puglia hanno un
fondamento evidente che ci obbligherà nei prossimi giorni a sottoporre alla
procura competente un esposto che mira a salvaguardare l'incolumità pubblica
dalla incosciente decisione del governo di ritenere non assoggettabile alle
direttive Seveso l'impianto Tap» ha detto, invitando il ministro a preoccuparsi
«prima delle persone e della loro salute e sicurezza e poi del resto». Il M5S
pugliese ha accusato Calenda di «strumentalizzare la tragedia», mentre secondo i
Verdi l'Italia dovrebbe liberarsi dalla «dipendenza dalle energie fossili» che
rendono «fragile» il sistema, e «costruire l'autonomia attraverso un piano 100%
rinnovabili».
Maria Rosa Tomasello
A Tarvisio la condotta che rifornisce la penisola -
L'impianto della Tag appartiene per quasi l'85% alla Snam con il 15% in mano a
Gas Connect
UDINE - Chi vive nel tarvisiano lo sa che di lì entra il gas russo in
Italia. La condotta sotterranea è segnalata in superficie da piccole tabelle,
seguendo le quali è possibile individuarne il tracciato, che non sempre è a
fondovalle. Nella zona di Moggio, per esempio, lo si ritrova nella Val Alba,
piuttosto arretrata rispetto al Canal del Ferro percorso dall'autostrada e dalla
statale Pontebbana. Da ieri mattina il flusso lungo quell'arteria sotterranea si
è interrotto o per lo meno ridotto, a causa dell'incidente avvenuto nella
stazione di compressione di Baumgarten an der March, uno dei nodi più importanti
della rete di distribuzione del gas nel Centro Europa. Lì arriva soprattutto
quello prodotto dalla Russia e destinato all'Austria, che a sua volta lo smista
all'Italia, alla Slovenia e alla Croazia. La condotta che percorre nel
sottosuolo la Val Canale è solo uno dei rami di questo sistema di
distribuzione.Baumgarten è situata a un paio di chilometri dal confine slovacco,
segnato sul terreno dal corso del fiume March, che poco più a valle, all'altezza
di Bratislava, si immette nel Danubio. La stazione di compressione del gas
esiste qui fin dal 1959, ma solo nel 1974 ha acquisito l'importanza che ha oggi,
quando è diventata lo snodo della rete di distribuzione del gas russo su tutto
il territorio nazionale e poi anche all'estero. Proprietario e gestore
dell'intero gasdotto è la Tag Srl (la sigla significa "Trans Austria
Gasleitung"), che ha sede a Weiden, il piccolo comune del Weinviertel austriaco,
di cui Baumgarten è frazione. Dal 2014 quasi l'85% del capitale appartiene
all'italiana Snam, che lo ha ereditato dall'Eni. Il restante 15,5% è della
società austriaca Gas Connect Austria Srl, i cui azionisti sono al 51% l'Omv Gas
& Power (società petrolifera analoga all'Eni italiana, proprietaria tra l'altro
di una rete di distributori di carburanti, tra cui l'ultimo lungo l'autostrada
prima di Tarvisio, in località Malborghetto) e di nuovo la Snam al 49%. In altre
parole, il gasdotto della Tag, compresa la stazione di compressione di
Baumgarten, dove è avvenuto lo scoppio, è quasi completamente italiano. La
società ha 265 dipendenti e un fatturato annuo di 309,5 milioni. Da Baumgarten
la condotta del gas russo attraversa la Bassa Austria, il Burgenland, la Stiria
per giungere infine in Carinzia, ad Arnoldstein, comune confinante con Tarvisio.
Marco Di Blas
Puglia, ritardi sul condotto della discordia - il
progetto contestato
Accompagnato dalle accese proteste di ambientalisti e comunità locali che
sono riusciti a tratti anche a bloccare o a rallentare i lavori del cantiere
dell'approdo salentino del Tap, il gasdotto che porterà in Europa gas
dall'Azerbaigian continua il suo percorso ad ostacoli puntellato anche dai
ricorsi amministrativi che ne accompagnano quasi ogni passaggio autorizzativo.
La multinazionale ne ha già superati diversi, ma altri sono pendenti promossi
dalle amministrazioni (in particolare la Regione Puglia) che sono contrarie
all'approdo sulla spiaggia di San Foca di Melendugno, una delle più belle e
rinomate del Salento. Un grosso scoglio è stato superato il 10 ottobre scorso
quando la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il conflitto sollevato
dalla Regione contro lo Stato per il procedimento seguito nell'autorizzazione
rilasciata al gasdotto. La Regione ha però altri due ricorsi pendenti: uno sarà
discusso dal Tar del Lazio, l'altro, bocciato in primo grado, andrà all'esame
del Consiglio di Stato. Dopo le fasi preparatorie, le prospezioni a terra e i
sondaggi in mare per verificare la compatibilità della condotta sottomarina (105
km tra l'Albania e la Puglia che correranno a una profondità massima di 820
metri) con l'ecosistema, i lavori a terra per la realizzazione dello snodo di
Melendugno sono stati avviati a marzo. La mobilitazione No Tap da allora è stata
massiccia e costante e i lavori, consistiti nell'eradicamento e trasferimento
temporaneo dal sito di oltre 200 ulivi, hanno suscitato proteste, blocchi
stradali e tafferugli.
Maltempo: la frana - Rischio crolli bis in via
Commerciale - Abitazioni inagibili per settimane
Via Commerciale è ancora a rischio. La muraglia crollata lunedì sera tra le
case dei civici 39 e 41, che ha schiacciato quattro automobili e che stava per
travolgere una persona, potrebbe provocare altri problemi. Tanto più con un
peggioramento delle condizioni meteo: la parte che ha resistito al cedimento è
pericolante; pioggia e vento di una certa intensità darebbero il colpo di
grazia. E non si possono escludere altri smottamenti del terreno, come
probabilmente è già avvenuto durante la notte. I vigili del fuoco, ieri in
sopralluogo, hanno confermato l'allarme e la zona resta transennata. Accedervi è
pericoloso. Rimangono inagibili anche gli edifici interessati dalla frana, a
cominciare dal numero 41, al cui interno sono stati evidenziati danni di non
poco conto causati dai massi precipitati sulla facciata esterna. Evacuate, per
ragioni di sicurezza, pure le due ville di Salita della Trenovia e di vicolo dei
Gattorno. Entrambe le abitazioni si trovano una a fianco all'altra nella parte
sopra a via Commerciale, quella da cui sono precipitati i detriti di terra e
pietra. La villa di Salita della Trenovia, come spiega l'ingegner Angelo Manna,
funzionario tecnico del Comando provinciale dei vigili del fuoco, ha peraltro
evidenziato una lesione sul basamento: «Si tratta di un distacco del terreno
posto tra il marciapiede e l'edificio - precisa - quindi in via cautelativa al
momento non è utilizzabile». Tirando le somme, sono dunque tre gli edifici
provvisoriamente inaccessibili, per un totale di otto famiglie sfollate. Le
persone sono state ospitate da parenti e amici. Ma in queste ore è sotto
osservazione soprattutto la sezione di muro che è rimasta miracolosamente in
piedi: «La parte non crollata, quella più prossima al punto franato,
probabilmente è instabile- precisa ancora l'ingegnere dei vigili del fuoco -
quindi l'abitazione a valle e l'area circostante non sono sicuri. Noi abbiamo
delimitato la zona visto che sono possibili ulteriori smottamenti. Ma non è
prevedibile se ci verificheranno effettivamente, né quando. Dipende da tanti
fattori, a iniziare dall'intensità della pioggia. Non a caso le abitazioni
coinvolte non possono essere fruibili, almeno provvisoriamente. Poi vedremo. Ma,
ripeto, l'intera zona circondata con il nastro è a rischio. L'area non è in
sicurezza». Impossibile stabilire tempi e modalità di intervento per sgomberare
le macerie e ripristinare la muraglia. Probabilmente ci vorranno mesi, con
annesse battaglie legali tra le rispettive proprietà. In linea di massima una
prima verifica sulla tenuta strutturale potrebbe riguardare proprio la parte di
muro "sana" che andrà messa in sicurezza in modo da evitare possibili ulteriori
crolli sulla casa di fronte, quella del civico 41 di via Commerciale. Sarebbe un
altro disastro. Poi, stando alla ipotesi di lavoro, si potrebbe procedere con
l'installazione di una serie di pali verticali e con una gettata di cemento per
"contenere" il terreno instabile durante le operazioni di scavo dei detriti
franati. Asportando quelli, infatti, le zolle della parte superiore potrebbero
rovinare verso il basso. Serve quindi creare una sorta di "argine" prima di
iniziare con il prelievo dei metri cubi di terra precipitati durante lo
smottamento. Chiaramente sarà necessario preparare un vero e proprio progetto
edilizio da affidare ai tecnici strutturisti. Il costo, ad oggi, è
incalcolabile. Così come eventuali responsabilità. I proprietari degli immobili
coinvolti, nel frattempo, stanno cercando di capire come orientarsi per avviare
le pratiche burocratiche necessarie ai futuri lavori. «Personalmente - afferma
Floriano Bellavia, uno dei residenti - ho già contattato gli amministratori per
accordarmi sulle procedure. Certo, non sarà facile». Il signor Bellavia è uno
dei due testimoni del terribile crollo. Quando il muro e il terreno sovrastante
sono franati, lui stava uscendo di casa. «Ho sentito il rumore e ho visto cosa
stava succedendo - ricorda - pazzesco. Ma ci siamo salvati».
Gianpaolo Sarti
A Roiano si sfalda un pezzo di strada - Il cedimento in
via Borghi nella parte alta del rione - Trascinati verso valle interi blocchi di
asfalto e detriti
La frana in via Commerciale, che ha aperto una vera e propria voragine tra
le case, è certamente il danno più eclatante e pericoloso. Ma il maltempo ha
provocato anche altri smottamenti nel territorio provinciale. Sia in questi
giorni che nelle ultime settimane. E sempre a causa della pioggia. A cominciare
da Roiano, dove i residenti hanno segnalato una strada che si è letteralmente
sbriciolata. È accaduto nella parte alta del rione, tra il reticolo di viuzze
attorno a via Sara Davis, precisamente in via Edoardo Borghi. L'asfalto ha
ceduto in prossimità del bordo, precipitando nella parte sottostante. Un punto
che dà sul parcheggio di un gruppo di abitazioni. Cadendo, il cemento ha
trascinato giù i blocchi di pietra che delimitavano l'orlo della via e il
terreno che lo sorreggeva. Saranno circa cinque metri in tutto. L'area è stata
transennata con la segnaletica dell'AcegasApsAmga e del Servizio strade del
Comune di Trieste. In quel punto, all'altezza del civico numero 7, adesso è
ancora impossibile transitare in automobile. Ma anche chi passa a piedi deve
fare bene attenzione a dove cammina. Secondo i residenti il crollo non è
avvenuto con il maltempo di questi ultimi giorni, ma con uno degli acquazzoni
che risalgono a qualche settimana fa o forse più. Ma che sarebbe peggiorato con
la pioggia di questo weekend. Il terreno, secondo chi abita da queste parti, ha
continuato a franare e l'asfalto a sbriciolarsi. Nulla, come detto, in confronto
con l'incidente di via Commerciale: ma il cedimento sta ostacolando la
viabilità, sebbene ridotta vista la zona. Via Borghi, in linea d'aria, si trova
peraltro a poche centinaia di metri dal luogo del crollo avvenuto l'altra sera
in via Commerciale. La strada, già di per sé piuttosto stretta, ora è bloccata.
E non si sa per quanto tempo. Trieste non è nuova a questo genere di episodi.
Frane e cedimenti di vario tipo si verificano quasi puntualmente in occasione di
ondate di maltempo particolarmente accentuato. È soprattutto la pioggia intensa
a determinare i danni più rischiosi, che spesso si verificano su muri, strade
scoscese, terreni impervi e pareti rocciose. A incidere, talvolta, pure
l'incuria, l'assenza di adeguate protezioni e la mancata manutenzione
strutturale. Il nutrito elenco di smottamenti e allagamenti registrati lunedì,
dopo la neve, l'acquazzone e l'improvviso aumento delle temperature, era
cominciato lunedì mattina a Barcola, in viale Miramare, nel tratto antistante il
Cedas: anche in quel caso è ceduto il muraglione di contenimento. Alcuni massi
hanno invaso la carreggiata creando non pochi disagi anche per il traffico.
Altri episodi analoghi, con diversi gradi di pericolosità, sono stati registrati
in Strada per la Fortezza, nei pressi Muggia, di fronte a Porto San Rocco.
Lunedì mattina il primo smottamento, che poi ieri pomeriggio si è allargato di
dimensione. Sul posto, per le verifiche del caso, i vigili del fuoco. Ma lunedì
si è resa necessaria la chiusura di Strada per Lazzaretto e la parte alta in
località Pianezzi, proprio a causa del riversamento a terra di circa tre metri
cubi di terra e detriti.
(g.s.)
«Colpa della mancata manutenzione» - Il geologo
Ravalico: «La zona costiera è molto fragile. Bisogna alzare la guardia»
«Siamo alla solite. Quella del dissesto idrogeologico è una storia che i
ripete». La diagnosi del geologo Mario Ravalico, per anni al servizio geologico
della Regione Friuli Venezia Giulia e poi consigliere comunale per il Pd, non è
del tutto negativa. «Trieste non si trova nelle grave condizioni di altri parti
del Paese - spiega -, tuttavia non è esente dai rischi causati dall'incuria e
dalla inesistente prevenzione». I cambiamenti climatici sono solo l'elemento
scatenante. Come se la passa il territorio triestino dal punto di vista
geologico? Il nostro territorio non è malandato, tuttavia bisogna tenere alta la
guardia affinché non si verifichino episodi come quelli di questi giorni. Cosa
manca? Manca una seria manutenzione del territorio. Non si fanno attività di
prevenzione del dissesto idrogeologico. Purtroppo in Italia non c'è questa
cultura per la messa in sicurezza del territorio. E neppure Trieste è un'isola
felice. Bisogna fare attenzione, anche perché, come si è visto, le frane non si
fermano a Duino. Le frane in via Commerciale e viale Miramare erano evitabili?
Non mi posso pronunciare sui due episodi. Non li ho visti direttamente. Posso
solo dire che se i manufatti hanno una manutenzione regolare, è molto difficile
che avvengano degli smottamenti o dei dissesti. La chiave di volta, mi pare di
capire, è la prevenzione... Con una manutenzione periodica, un'attenzione
particolare al deflusso delle acque, la pulizia delle caditoie non
succederebbero molti dei disastri di cui siamo costretti periodicamente a
rendere conto. Inoltre la prevenzione costa molto di meno. Rifare i muri
crollati in via Commerciale e viale Miramare costerà parecchio. I piccoli
interventi preventivi costano poco e permettono di ottenere un risultato ottimo.
L'area franata in viale Miramare era transennata da tempo... Appunto. C'erano i
già segnali per intervenire. E non si è fatto nulla. Qual è la fragilità
maggiore del territorio triestini? Dove si corrono i maggiori rischi? La parte
bassa, lunga la linea di cosa, costituiti dai terreni del famoso flysch, è la
zona più pericolosa. Le marne e le arenarie sono estremamente fragili. La parte
dell'altipiano, con i calcari carsici, è molto più stabile. Le frane peggiori a
Trieste e Muggia avvengono lungo la linea di costa. E in questo caso bisogno
porre l a massima attenzione al territorio. A Trieste c'è poi anche la questione
dei torrenti sotterranei. Infatti. Nel nuovo piano regolare è stato inserito un
allegato apposito sullo stato dei torrenti. Ogni corso d'acqua ha una sua scheda
che illustrato lo stato di salute e di degrado. Mi pare i torrenti siano
addirittura trentatré... Pare una cosa esagerata. Il comune cittadino pensa a
Trieste come Carso senza acqua. Esistono invece almeno 33 corsi d'acqua, molti
dei quali tombati e seppelliti all'edizione selvaggia degli anni '60 e'80. E qui
bisogna stare attenti. Può capitare l'evento eccezione che li fa esplodere. Come
è successo a Genova... Esatto. Vanno tenuti sotto controllo. E un rischio da non
sottovalutare per Trieste.
Fabio Dorigo
IL PICCOLO - MARTEDI', 12 dicembre 2017
Frana travolge le auto - Voragine tra le case - Crolla
un muro di contenimento in via Commerciale a causa delle forti piogge
Incredibilmente illesi passanti e residenti. Inagibili le abitazioni di
sette famiglie
Prima lo scricchiolìo. Poi il boato. A tarda sera non è ancora chiaro quanti
metri cubi di terra si siano effettivamente staccati dal muraglione di via
Commerciale 39 e 41. Quel che è certo è che non ci sono morti né feriti. Ma solo
per un soffio. La frana ha però travolto ben quattro auto. Schiacciate come
scatolette di latta. È successo tutto in pochi istanti, dopo ore e ore di
pioggia battente, in una giornata di maltempo già segnata da decine di
interventi dei vigili del fuoco e della polizia locale in ogni angolo della
città, per allagamenti e tombini tappati. L'emergenza comincia in viale Miramare
alle otto di mattina, a Barcola, all'altezza del Cedas: un muro di contenimento
crolla e i detriti invadono parte della carreggiata. L'incidente fortunatamente
non provoca conseguenze alle persone né danni. Ne risente però il traffico che a
quell'ora del mattino va rapidamente in tilt. Si tratta di una struttura che in
passato aveva già mostrato cenni di cedimento e per questo motivo era già stata
transennata tempo fa. Ma l'episodio di Barcola, risolto nell'arco di poche ore,
è nulla di fronte allo scenario da guerra in cui i soccorritori si imbatteranno
in via Commerciale a pomeriggio inoltrato. Lo scricchiolìo, dunque. Ore 16.45:
il muro che costeggia il caseggiato dei civici 39 e 41, stretto tra altri
edifici di pregio, si spacca di colpo. Non ha retto il peso del terreno intriso
d'acqua. Il signor Diego Allaix abita proprio lì. In quel momento è in giardino
accanto alla sua Audi Q3. Si accorge del rumore e decide di salire a bordo per
spostarla. Ma cambia rapidamente idea, scende e scappa. Un pietra lo prende di
striscio su una gamba. Poteva finire peggio. La valanga di detriti abbatte un
albero e distrugge le quattro automobili posteggiate nel giardino sotto: l'Audi
Q3, una Peugeot 206 e due Ford Fiesta. In quell'istante all'interno degli
abitacoli non c'è nessuno, come riescono ad accertare i proprietari dei mezzi.
Ma i soccorritori hanno la matematica certezza appena verso sera, attorno alle
otto, dopo gli scavi. I pompieri e il 118 piombano sul posto assieme alla
polizia immediatamente, a pochi minuti dall'allarme. Via Commerciale è tutta un
luccichìo di lampeggianti blu. La gente in auto, in fila, non capisce cosa stia
accadendo. Domandano, si informano: «Cosa succede?», chiede una signora al
volante di una Panda a un agente della municipale. Si sa ancora poco. Su, tra le
case, è un disastro: è franata non solo la muraglia davanti alle abitazioni dei
civici 39 e 41, dove vivono cinque famiglie per una ventina di persone, ma pure
la zolla di terra del giardino sovrastante, a un passo dalla fondamenta. È una
villa di Salita della Trenovia. Adesso sembra come sospesa nel vuoto. La
famiglia è stata evacuata per sicurezza. Lo smottamento ha sepolto i gradini che
portano all'abitazione. Ma in serata, dopo gli accertamenti, i vigili del fuoco
dichiarano inagibili le tre case che si trovano nella parte sovrastante e pure
quella sottostante. E' il civico 41 di via Commerciale: pianterreno, primo,
secondo piano e mansarda, dove vivono quattro famiglie.Gli scavi per la
successiva messa in sicurezza dell'area si prolungano fino a tardi. L'intera
zona resta transennata dai nastri rossi dei soccorritori. Gli interrogativi
permangono: perché la muraglia non ha tenuto? Dal muro di pietra, illuminato con
i fari, si scorgono le feritoie di scolo dell'acqua. Ma sembrano asciutte: la
pioggia non riesce a filtrare. Per i vigili del fuoco è piuttosto evidente.
Adesso si teme che anche il resto della struttura possa dare problemi. Con un
altro acquazzone, con il vento e con quella parte già divelta, il pericolo di un
ulteriore crollo è concreto.
Gianpaolo Sarti
Strada del Friuli off limits per ore - Bus deviati su
via Fabio Severo. Chiusa per allagamenti anche via Pietraferrata
Giornata campale per vigili del fuoco e polizia locale, chiamati a un
superlavoro ieri per svariati allagamenti in tutta la provincia che hanno
interessato anche diversi tratti della viabilità triestina. Oltre a
infiltrazioni e danni da acqua in cantine e abitazioni private, nonché in negozi
cittadini, numerose strade viari hanno subito importanti allagamenti con
conseguenti chiusure al traffico e rallentamenti. A Trieste in via Giulia,
all'altezza della Rotonda del Boschetto e in Strada del Friuli gli episodi più
importanti, avvenuti nella prima mattinata di ieri, intorno alle ore 8. Strada
del Friuli ha richiesto addirittura la chiusura, da via del Perarolo a Prosecco
in entrambi i sensi di marcia dal primo mattino fino alle 14.30. Deviate anche
di conseguenza le linee del bus 42 e 44 della Trieste trasporti, in entrambi i
sensi di marcia. Autobus fatti transitare per via Fabio Severo, Strada nuova per
Opicina e Prosecco. Intorno alle 11.45 è stato chiuso anche l'ultimo tratto di
via Pietraferrata, sempre per allagamenti. Un superlavoro per i vigili del
fuoco, chiamati a fronteggiare un cospicuo numero di interventi su tutta la
provincia di Trieste. Sia per i numerosi allagamenti e problemi provocati dalle
intense precipitazioni, sia per quanto riguarda gli incidenti stradali per i
quali sono stati chiamati a intervenire, a causa dei manti stradali resi
sdrucciolevoli per detriti, fogliame e ristagni d'acqua sulle carreggiate. La
Protezione civile del Friuli Venezia Giulia, a causa degli intensi piovaschi
delle scorse ore e sulla base delle previsioni meteo, prevede un aumento dei
livelli dei corsi d'acqua e ha diramato lo Stato di allerta "arancione" dalle 13
di ieri, fino alle 12 di domani, per piogge intense, vento forte e possibili
mareggiate. Sulle zone montane è stato diramato anche il pericolo valanghe fino
al "grado 4" (forte), con possibile interessamento delle vie di comunicazione,
delle infrastrutture e dei centri abitati sopra i 1000 metri. Allerta arancione
che si estende anche ai bacini dei fiumi Tagliamento -Torre, Isonzo e Vipacco
proprio a causa delle abbondanti piogge delle ultime 24 ore. Secondo le
previsioni, intorno alla tarda mattinata il fronte si sposterà verso la
Slovenia, con la conseguente attenuazione dell'intensità del vento e delle
precipitazioni.
Enrico Ferri
L'archeologia subacquea racconta con i suoi reperti la
storia dell'Adriatico
Presentata in Regione l'esposizione "Nel mare dell'intimità" che da
domenica sarà aperta al pubblico nell'ex Pescheria
Sarà la "Mille e una notte" dell'Adriatico, un rosario di racconti, un libro
aperto con le tante storie di uomini e donne che hanno attraversato con lo
sguardo l'Adriatico da una riva o dal ponte di una nave, che lo hanno invocato
per placarne le furie o sulle cui acque si sono avventurati alla ricerca di
venti propizi, imprese e fortuna. E' questa l'essenza della mostra "Nel mare
dell'intimità", che attraverso la voce narrante dell'archeologia subacquea si
propone di raccontare la storia dell'Adriatico dall'antichità ai giorni nostri.
L'esposizione, che da domenica 17 dicembre aprirà le porte al pubblico al Salone
degli Incanti, è dedicata alla memoria di Predrag Matvejevic, che nel suo
"Breviario Mediterraneo" definisce l'Adriatico proprio come "il mare
dell'intimità". Presentata ieri in conferenza stampa, la mostra è l'esito di
progetti di ricerca e di joint ventures dai risultati eccellenti, senza le quali
non sarebbe mai stata possibile. Perché al Salone degli Incanti riunirà, per la
prima volta nella storia, oltre mille reperti provenienti dai musei di quattro
Paesi europei: Italia, Croazia, Slovenia e Montenegro. «E' una grande opera
corale - sottolinea l'archeologa subacquea Rita Auriemma, curatrice
dell'esposizione per conto di Erpac -, che vuole essere il punto di partenza per
altre iniziative e progetti, e proporre una riflessione assolutamente necessaria
sul futuro del patrimonio sommerso e sull'archeologia subacquea oggi in Italia,
per fare in modo, dopo le pionieristiche esperienze del secolo scorso, che non
cali definitivamente il sipario su questa disciplina». La straordinarietà
dell'esposizione, sottolinea l'assessore alla cultura Gianni Torrenti, sta
proprio nella grande collaborazione riscontrata tra le oltre sessanta
istituzioni italiane e internazionali coinvolte nel progetto: «Il frutto di
questa cooperazione è un'esposizione di duemila metri quadrati dalla quale il
visitatore uscirà con una maggiore consapevolezza del dinamismo dei nostri
paesaggi costieri e dei traffici commerciali che li animavano, delle strade
liquide dell'Adriatico indispensabili per costruire rapporti tra i popoli e
creare una comunità e una cultura fortemente unitaria. Si tratta di un progetto
che non finirà quando la mostra chiuderà i battenti: rimarranno gli investimenti
fatti nei restauri, le idee per nuove esposizioni, i protagonisti di nuovi
allestimenti nei musei regionali». Sgravarsi dal provincialismo e fare rete è,
anche per l'assessore comunale alla cultura Giorgio Rossi, l'unico modo per dare
vita a iniziative come queste, che per il Comune sono indispensabili per tenere
sempre accese le luci in uno degli spazi espositivi più suggestivi della città.
«Le sinergie aiutano, le divisioni costano alla comunità», sottolinea anche
Tiziana Benussi, per la Fondazione CRTrieste. Mentre Luca Caburlotto, Direttore
del Polo museale del Fvg, enfatizza le iniziative rese possibili da questo
progetto, che consentiranno di dare nuova linfa ai musei della regione: «Sono
oltre trecento i pezzi in mostra provenienti dai musei del polo regionale -
spiega -. Grazie a questo progetto e alla sua curatrice si è completato il
restauro del Navarca di Aquileia, che a fine mostra tornerà al Museo
Archeologico Nazionale. Ed è stato inventariato il carico e ricostruita la
sezione dello scafo della Iulia Felix, che sarà il fulcro del costituendo Museo
di Grado». L'allestimento, curato dall'architetto Giovanni Panizon, trasformerà
Santa Maria del Guato in un fondale sommerso, che sarà lo scenario in cui
verranno presentati i macrotemi che compongono l'esposizione, attraversandola
temporalmente: lo spazio Adriatico, i porti e gli approdi, Le navi, Le merci,
Gli uomini, Le attività, Le guerre, I luoghi sacri, Le migrazioni e La ricerca
sotto il mare. Nel cuore del Salone degli Incanti, l'Agorà, troveranno spazio le
statue, tra cui anche la splendida copia, arrivata ieri mattina a Trieste,
dell'Apoxyomenos, l'opera bronzea nota anche come "l'atleta della Croazia",
rinvenuta nel 1999 a est dell'isola di Lussino a 45 metri di profondità, che ha
prestato il suo volto all'immagine guida dell'esposizione.
Giulia Basso
Allargare i marciapiedi per una città a misura di
pedoni - La lettera del giorno di Paolo Radivo
Malgrado le pedonalizzazioni degli ultimi vent'anni, Trieste continua a
penalizzare quasi ovunque i pedoni, privilegiando i veicoli a motore.
Da ciò l'inquinamento atmosferico e acustico, la circolazione disordinata, nonché la pericolosità e la sgradevolezza di muoversi al di fuori delle poche aree pedonali. Per risolvere strutturalmente questo annoso problema basterebbe allargare in forma sistematica i marciapiedi, spesso stretti, scomodi e sconnessi, onde consentire l'agevole passaggio simultaneo in entrambe le direzioni di almeno una persona con l'ombrello aperto, di una sedia a rotelle o di una carrozzina. Di conseguenza bisognerebbe, a seconda dei casi: 1) ridurre l'ampiezza delle carreggiate, laddove inutilmente eccessiva, diminuendo in tal modo la velocità esagerata di scorrimento dei veicoli e l'incidentalità; 2) trasformare gli stalli a pettine di autoveicoli (che occupano anche parti di marciapiede) in stalli di autoveicoli o di motoveicoli e motocicli paralleli ai marciapiedi; 3) trasformare gli stalli di autoveicoli paralleli ai marciapiedi in stalli di motoveicoli e ciclomotori paralleli ai marciapiedi; 4) trasformare gli stalli a pettine di motoveicoli e ciclomotori in stalli di motoveicoli e ciclomotori paralleli ai marciapiedi; 5) eliminare gli stalli per autoveicoli su uno dei due lati della via; 6) eliminare gli stalli per motoveicoli e ciclomotori su uno dei due lati della via. Allargare i marciapiedi non implicherebbe necessariamente ripavimentarli in pietra. Dunque i costi non sarebbero cospicui, anche perché i lavori, da spalmare su più anni, potrebbero venire effettuati in concomitanza con le cicliche riasfaltature e con gli scavi per i sottoservizi. Gli stalli ridotti o soppressi andrebbero trasferiti altrove, quando possibile, partendo comunque dal presupposto che i veicoli parcheggiati all'aperto occupano suolo pubblico e abbruttiscono l'estetica cittadina. È ora che i pedoni acquisiscano il diritto di camminare sui marciapiedi in sicurezza e comodità. Civiltà pedonale significa non solo incolumità, ma anche qualità della vita, dell'aria e dell'ambiente urbano, rispetto del prossimo, nonché sviluppo del commercio, del turismo e dei servizi. (nella foto il marciapiedi stretti di via Fonderia).
GREENSTYLE.it - LUNEDI', 11 dicembre 2017
Clima: riscaldamento globale, crescita record secondo nuovo studio
Il Carniege Institution for Science ha pubblicato nei giorni scorsi uno studio allarmante su Nature: le temperature mondiali potrebbero aumentare drasticamente del 15% in più rispetto a quando previsto a oggi. Se questo fosse tutto vero i Governi Mondiali dovrebbero correre ai ripari e modificare al più presto i loro piani di riduzione delle emissioni di gas serra.
Nello specifico il Carnegie Institution for Science ha spiegato che entro il 2100, se continuiamo a comportarci tutti allo stesso modo, la temperatura media terrestre potrebbe aumentare di 0,5 gradi e, sebbene sembri un numero piccolo, questo mezzo grado potrebbe complicare molto il raggiungimento degli obiettivi sul clima decisi dai Paesi partecipanti alla COP 21 di Parigi. Gli autori della ricerca, Patrick Brown e Ken Caldeira, hanno spiegato che la stabilizzazione della temperatura globale, visto questo ultimo allarme, necessiterà di riduzioni di gas serra molto più drastiche rispetto a quanto si era deciso in precedenza e gli impegni presi dai Governi, a oggi, sono troppo poco ambiziosi. Guardando così allo scenario peggiore, se le cose non dovessero cambiare le temperature potrebbero raggiungere i +4,8 gradi nel 2100, una situazione difficile da gestire con gravissime conseguenze per il nostro Pianeta che si troverebbe a rischio costante di alluvioni, con lo scioglimento dei ghiacci e un clima in continuo cambiamento.
Selena
Clima: AI for Earth, Microsoft investe altri 50 mln di dollari
Microsoft rinnova il suo impegno per la Terra investendo ulteriori 50 milioni di dollari, nei prossimi 5 anni, nella AI for Earth. La Microsoft Artificial Intelligence utilizzerà i fondi stanziati per sostenere università, ONG e imprese impegnate in progetti a sostegno del clima, delle risorse idriche, dell’agricoltura e per la tutela della biodiversità. Già 350 mila dollari sono stati stanziati a istituzioni e ricercatori in più di 10 Paesi nel mondo.
Il presidente e Chief Legal Officer della compagnia Brad Smith ha scelto il secondo anniversario degli Accordi di Parigi sul clima per annunciare l’espansione del programma Microsoft AI for Earth. Un ulteriore passo per l’azienda statunitense verso quella che è stata definita la “Democratizzazione dell’Artificial Intelligence”. Questo programma rappresenta inoltre un’ulteriore indicazione verso la ricerca della sostenibilità ambientale da parte di Microsoft. Parallelamente ad AI for Earth l’azienda ha incrementato progressivamente l’utilizzo di rinnovabili per l’alimentazione dei suoi datacenter, riducendo così le proprie emissioni di CO2. Microsoft AI for Earth vede tra i beneficiari anche il Politecnico di Milano. L’ateneo milanese è stato tra i primi in Italia a ottenere il finanziamento Microsoft, riconosciuto per il progetto di “monitoraggio del manto nevoso e alle previsioni di approvvigionamento idrico attraverso il Deep Learning”.
Claudio Schirru
COMUNICATO STAMPA - LUNEDI', 11 dicembre 2017
STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: LA CENTRALE A CARBONE
VA CHIUSA ENTRO IL 2025
Lo scorso 10 novembre i Ministri Calenda e Galletti hanno firmato il
Decreto Ministeriale contenete la Strategia Energetica Nazionale (SEN) .
La nuova SEN era un atto atteso da tempo che, seppur ancora insufficiente,
traduce in maniera dettagliata gli impegni sottoscritti dal nostro paese alla
conferenza di Parigi del 2015 (COP21) riguardo alla riduzione delle emissioni di
gas-serra .
Questo fatto è passato sotto silenzio da parte dei media e delle istituzioni
locali, ma ha grande rilevanza poiché il Decreto per la prima volta indicata la
data del 2025 come il limite entro il quale dismettere tutte le centrali
elettriche alimentate a carbone in Italia.
Ci sembra ragionevole che la dismissione delle centrali a carbone inizi a
partire degli impianti più vetusti, e la centrale di Monfalcone con i sui 52
anni di attività è la seconda in Italia per anzianità di servizio (dopo quella
di Fusina in provincia di Venezia).
Auspichiamo quindi che per l'impianto di Monfalcone non si attenda il 2025, e
sollecitiamo le istituzioni locali, Comune e Regione, ad attivarsi con i
ministeri competenti e con A2A Energie Future affinché venga esplicitata una
data per la chiusura della centrale.
Ma come già in passato abbiamo più volte ribadito, la semplice chiusura non è
sufficiente. A nostro avviso sarebbe disastroso se si arrivasse alla chiusura
dell'impianto e solo poi iniziare a porsi il problema di cosa fare dei 30 ettari
su cui sorge e soprattutto quale futuro dare alle centinaia di lavoratori che vi
sono impiegati.
E' quindi urgente elaborare un piano di bonifica del sito (come noto nella
centrale sono presenti ingenti quantità di amianto), e un progetto di
riqualificazione e riutilizzo dell'area.
Per quanto ci riguarda suggeriamo che dopo decenni di danni ambientali dovuti
alle emissioni della centrale, sarebbe auspicabile che l'area dell'impianto
venisse almeno parzialmente utilizzata per attività di ricerca, sviluppo e
produzione nell'ambito delle energie rinnovabili, e per altre attività
compatibili con l'ambiente e con la stretta vicinanza con l'abitato della città
di Monfalcone. In questo modo, si potrebbe anche dare un futuro occupazionale ai
lavoratori attualmente impiegati.
Legambiente Circolo “Ignazio Zanutto” Comitato NO Carbone Isontino
IL PICCOLO - LUNEDI', 11 dicembre 2017
Scatta il maxi restyling per il "Quadrilatero" - Lavori
da 18 milioni di euro nel comprensorio in cui vivono 1.600 persone
Dal rifacimento di marciapiedi e impianti alla riorganizzazione dei
giardini
Un programma di 18 milioni di euro per rendere presentabile quello che
alcuni avevano definito il "falansterio" di Rozzol Melara, con evidente
riferimento all'opera di Charles Fourier. Se non ci sono intralci burocratici, i
lavori potranno partire - secondo un pronostico degli uffici comunali - entro la
metà del 2018. Marciapiedi, aree verdi, corridoi, impiantistica, amianto, vie di
accesso, marciapiedi, efficientamento energetico, illuminazione, serramenti,
autorimesse: Rozzol Melara si avvia verso una stagione di improcrastinabile
rinnovamento, non solo edile. Il direttore dell'Ater triestina, Antonio Ius, è
decisamente soddisfatto, perchè l'azienda può finalmente pianificare un
super-lifting dedicato alla sua proprietà immobiliare più grande: 650 alloggi
dove oggi vivono 1600 persone. Sembra quasi di festeggiare un anniversario:
infatti siamo a circa cinquant'anni di distanza, da quando nel 1969 l'Istituto
autonomo case popolari (Iacp), antenato dell'odierno Ater, decise la costruzione
di un grande complesso abitativo nella periferia orientale della città,
affidandone il progetto a un pool di architetti guidati dallo studio
Celli-Tognon. La realizzazione si protrasse fino ai primi anni '80. Adesso il
"Quadrilatero" ha non meno di quarant'anni effettivi, una carta d'identità che
necessita di sostanziosi interventi manutentivi e riqualificativi. Ater ci mette
11 milioni abbondanti, il Comune appoggia 6,7 milioni: entrambi fruiscono di un
robusto finanziamento governativo, che garantisce complessivamente circa 15
milioni sui 18 preventivati per l'impegnativo lifting. C'è anche un chip da 126
mila euro di AcegasApsAmga. L'annuncio dell'operazione-Quadrilatero era già
stato dato nell'agosto dello scorso anno, quando il Consiglio comunale, nei
primi mesi del terzo mandato Dipiazza, aveva detto sì alla partecipazione al
bando Prius, il Programma straordinario gestito da palazzo Chigi per la
riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie nelle città metropolitane
e nei municipi capoluoghi provinciali. La novità è che lo scorso 28 novembre la
Presidenza del Consiglio ha trasmesso al Comune la bozza di convenzione che
stabilisce attuazione e durata del programma, erogazione del finanziamento,
monitoraggio, tempi e cronoprogramma degli interventi. Con la rapidità di un
fulmine, due giorni dopo la bozza è stata girata in versione-delibera alla
giunta, che l'ha approvata su proposta dell'assessore Elisa Lodi. I lavori, di
parte comunale, sono inseriti nel Piano triennale delle opere 2017-19. Marina
Cassin fungerà da responsabile unico del procedimento, mentre a Beatrice
Micovilovich spetta il monitoraggio dell'operazione. Ora scattano alcune
scadenze tecniche, che vanno dalla sottoscrizione alla registrazione della
convenzione da parte della Corte dei Conti fino alla trasmissione dei progetti
esecutivi/definitivi a palazzo Chigi. Le firme dovranno essere quelle di Roberto
Dipiazza e del consigliere Paolo Aquilanti, segretario generale della Presidenza
del Consiglio. Il governo - dicono in Comune - tende sempre più spesso a
privilegiare il finanziamento di interventi complessi piuttosto che di singole
opere. Per mettere i classici ferri in acqua e non restare inerti ad attendere
l'avanzata procedurale, il direttore dei Lavori pubblici comunali, Enrico Conte,
sta predisponendo un gruppo di lavoro incaricato di preparare progetti e
cronoprogramma, così da essere pronti a partire non appena saranno evaporati i
passaggi burocratici: l'ambizione - come si anticipava all'inizio - è quella di
cominciare prima dell'estate 2018. A Conte piace l'idea che il Comune non si
limiterà alla betoniera, ma si preoccuperà anche degli aspetti sociali del
Quadrilatero: l'istituzione di una biblioteca ne è il segnale più forte. Il
direttore dell'Ater Ius coglie l'occasione della radicale riqualificazione per
lanciare un altro messaggio: «Ater non vende e non venderà gli appartamenti di
Rozzol Melara». Anche in passato, chi voleva acquistare, ne è stato dissuaso. La
prospettiva di gestire un condominio frammentato, di convocare assemblee con
decine/centinaia di piccoli proprietari, di trovare maggioranze in grado di
deliberare anche il più piccolo intervento manutentivo, renderebbe ingovernabile
il "falansterio"
Massimo Greco
San Marco - Oceani, il futuro scritto nell'acqua
Questo pomeriggio alle 18, al San Marco, Elisa Cozzarini dialoga con Sandro
Carniel, che presenta il suo libro "Oceani. Il futuro scritto nell'acqua"
(Hoepli). L'evento è organizzato da Legambiente. Il nostro pianeta è ricoperto
per più del 70% di acqua e di questa oltre il 95% è salata. Eppure del nostro
unico, interconnesso oceano sappiamo ancora poco, e quel poco non è percepito
nella sua importanza. Come si esplorano i nostri mari? Perché non li conosciamo
ancora? Quali forme di vita li popolano anche negli sconfinati e oscuri abissi?
Con quali minacce li stiamo aggredendo? Quale ruolo svolgono nella stabilità del
clima della Terra? Ecco un libro che farà capire quanto gli oceani siano
indispensabili nella vita di ogni giorno. E come sia necessario conoscerli
meglio sia per poter beneficiare dei loro prodotti sia per averli a lungo come
alleati nel contrasto ai cambiamenti climatici in atto. Ingresso libero.
IL PICCOLO - DOMENICA, 10 dicembre 2017
Copertoni e barattoli - Foiba di Basovizza "assediata"
dai rifiuti - Scoperte dai volontari di Sos Carso cinque piccole discariche a
distanza di poche decine di metri dall'area del monumento
TRIESTE - La più grande si trova a circa mezzo chilometro di distanza, le
altre stanno solo a 50 metri. Sono le discariche vicine al monumento nazionale
della Foiba di Basovizza rinvenute durante le perlustrazioni effettuate dal
gruppo ambientalista Sos Carso. «Entro la fine di dicembre contiamo di ripulire
l'area: posso stimare che andremo tranquillamente oltre i 100 sacchi neri di
immondizie», lamenta Cristian Bencich, il fondatore del gruppo. A cavallo tra
novembre e dicembre una decina di volontari ha operato in una dolina poco
lontana dalla foiba. «A maggio avevamo già ricevuto una segnalazione su una
minidiscarica, piuttosto datata, nei pressi del monumento. E visto che di
recente ce n'era arrivata un'altra su un recente scarico di mobili, circa un
centinaio di metri sulla destra dopo la foiba, abbiamo deciso di fare un giro
unico di ispezione», racconta Bencich. Se il cumulo di mobili era già stato
segnalato dalla Forestale con un nastro bianco-rosso, grosso scalpore hanno
destato invece altre mini discariche presenti lì vicino. «Purtroppo facendo un
giro nella zona, diciamo in un raggio di circa 500 metri, abbiamo trovato almeno
5-6 piccole discariche con all'interno centinaia di bottiglie, vetri, una decina
di pneumatici, bidoni e ferraglia varia: la più vicina dista solamente 50 metri
dal monumento nazionale. A nostro avviso una situazione grave e inaspettata -
racconta Bencich - alla quale abbiamo subito cercato di trovare soluzione».
Nella prima giornata, in due ore di lavoro, i volontari di Sos Carso hanno
raccolto dodici sacchi neri tra vetri e materiale vario, sei pneumatici e
diversi ferri e bidoni arrugginiti. Nella seconda uscita ecologica i volontari
hanno continuato con la pulizia della dolina riempiendo altri dieci sacchi neri
prevalentemente con bottiglie di vetro, qualche polistirolo, barattoli, un
pneumatico e la solita ferraglia varia. La vigilia del giorno di San Nicolò sono
stati riempiti ulteriori dieci sacchi. «Il giorno di San Nicolò, invece, abbiamo
iniziato a ripulire le immondizie sotterrate nel tempo riempiendo altri dieci
sacchi neri». Il portavoce dei volontari stila il cronoprogramma degli
interventi da effettuare per proseguire e completare i lavori di pulizia: «Si
pensava, visto la mole di rifiuti, di organizzare una raccolta anche con
gruppetti di due tre persone in questo mese e sino a tutto gennaio per
accatastare sul posto i sacchi e tutto il materiale ingombrante, in attesa di
fare un' uscita pubblica con più volontari per finire e asportare il tutto nel
febbraio del prossimo anno». Una volta conclusa questa operazione Sos Carso ha
intenzione di proseguire le ispezioni nel territorio dell'altipiano carsico sito
tra le amministrazioni comunali di Trieste e San Dorligo della Valle. «Ho la
brutta sensazione che quello che abbiamo trovato sia solamente una parte di
quello che si cela nelle doline attorno alla foiba di Basovizza - conclude
Bencich - speriamo sempre che le istituzioni possano darci una mano, ma sino ad
allora proseguiamo il nostro operato in totale autonomia basandoci solamente
sull'aiuto di qualche privato per l'acquisto di sacchi neri e guanti».
Riccardo Tosques
Raccolta differenziata e bagni chimici all'esame del
Consiglio comunale Muggia
Si parlerà di rifiuti anche nel corso della prossima seduta del Consiglio
comunale di Muggia, in programma mercoledì prossimo alle 19.30. Nel corso del
Question time, infatti, verrà discussa un'interrogazione sullo "stato di salute"
del sistema della raccolta differenziata porta a porta nel territorio comunale.
In menù anche un'interrogazione sull'assenza di bagni chimici durante i
festeggiamenti per San Martino e un'interpellanza sul futuro del comprensorio ex
Ezit. All'ordine del giorno poi sono state inserite alcune comunicazioni della
giunta sul Fondo di riserva, il bilancio di previsione dell'Uti e il recepimento
di misure speciali per il recupero del patrimonio edilizio.
I porti da denuclearizzare nella giornata dei diritti
umani - la lettera del giorno di Alessandro Capuzzo - Comitato pace e convivenza
Danilo Dolci
Oggi, Giornata mondiale dei Diritti umani, l'International Coalition Against
Nuclear weapons ICAN riceverà ad Oslo il premio Nobel per la Pace per il lavoro
compiuto assieme alle Nazioni Unite col nuovo Trattato per la messa al bando
delle bombe nucleari, ultima arma di distruzione di massa a essere espulsa dal
sistema delle relazioni internazionali. Una delegazione di attivisti italiani
della Coalizione Ican sarà presente alla cerimonia. Nello stesso giorno la Lega
delle Donne per la Pace e la Libertà (Wilpf) del nostro Paese, giungerà a Roma
con una Carovana che ha fatto conoscere alla popolazione il "Nuclear Ban Treaty"
approvato dalle Nazioni Unite. La mobilitazione presso il nostro nordest di
confine è iniziata con la consegna a New York, per il tramite della Wilpf, alla
Conferenza Onu istitutiva del Trattato, del documento "Proposta da Trieste di
case studies sui porti da denuclearizzare". Proposta che consiste nella
valorizzazione dell'eccellenza esistente in materia con la richiesta all'Agenzia
atomica internazionale di Vienna di affidare, alla sua Scuola di prevenzione
nucleare al Centro internazionale di fisica teorica di Miramare specifici studi
sulla denuclearizzazione a medio termine incardinata nel Trattato. Questa
possibilità nasce dall'esistenza a Trieste e Koper-Capodistria in Slovenia di
due porti nucleari di transito, militari e civili, dove la sussistenza dei
centri abitati accanto a zone industriali rende impossibile una seria
prevenzione delle emergenze; e la presenza del segreto militare determina ad
esempio l'assenza di riferimenti ai porti nucleari nella Valutazione d'impatto
ambientale sui progetti di rigassificatore. Alle amministrazioni comunali della
provincia che hanno espresso contrarietà al porto nucleare e/o hanno aderito a
Mayors for Peace, oggi verrà spedita una richiesta di promuovere la ratifica
italiana del Trattato, di formalizzare all'Agenzia atomica di Vienna la proposta
di case studies sui porti nucleari, a iniziare da Trieste e Capodistria, e di
intervenire alla Marcia per la Pace del 1° gennaio, raccogliendo l'appello di
papa Francesco a favore del nuovo Trattato in questione e il suo messaggio
d'augurio per il 2018, indirizzato alla maggior tutela di migranti e rifugiati.
SEGNALAZIONI - Mobilità sostenibile Dimenticare l'automobile
Il 7 dicembre sul Piccolo in prima pagina: "Pirata della strada presa al casinò. Alle slot di Lipizza dopo aver ucciso una passante". "Non me ne sono accorte". Ancora in prima: "Non ce l'ha fatta il vespista ricoverato a Cattinara. Lo schianto, 3 giorni d'agonia: addio a Diego, 17 anni. Incidente mentre portava pizze". Sempre il 7 dicembre, ma in Trieste Cronaca: "Pedone investito da una vettura in retromarcia". Ormai gli incidenti stradali, anche gravi, hanno cadenza giornaliera. Quest'anno CamminaTrieste ha deciso di dedicare i consueti auguri prenatalizi a una passeggiata informata ai criteri della mobilità sostenibile a misura di pedone, per promuovere anche a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia un sistema di trasporto integrato, come quello realizzato con successo in Alto Adige, sull'esempio di Monaco di Baviera: Mobilcard, biglietto unico per tutti i mezzi di trasporto, pubblici e privati, che consente di lasciare in autorimessa l'auto risparmiando e utilizzandola in modo più proficuo e sicuro.
Luigi Bianchi - CamminaTrieste
SEGNALAZIONI - Trasporti - Il costo enorme dei treni storici
Trieste sta vivendo un momento di grande visibilità turistica. È certamente una metà interessante e con molte attrazioni, la stessa qualità della vita la rende appetibile. Ora con la riapertura di alcune linee ferroviarie chiuse alla circolazione si auspicano treni storici e turistici. Per quanto bella ed interessante Trieste non può offrire le attrattive dello Jungfrau e dunque difficilmente queste linee riuscirebbero ad avere un bilancio almeno in pareggio. Già ora il Trasposto Locale viene sovvenzionato dalla fiscalità. Non si dimentichi che gli introiti della vendita dei biglietti coprono solo il 28% dei costi, il tram di Opicina ha uno sbilancio annuo di due milioni. Dunque il viaggiare lento, il risalire le linee storiche su carrozze centoporte fa parte del libro dei sogni perché manca completamente un equilibrio economico. Chi pagherebbe il buco? Oppure dirottiamo i soldi dalle risorse per la Sanità? Poi il bello di certi business plan è la possibilità di scrivere qualunque dato. Tralasciamo poi i problemi tecnici, ma sappiamo tutti che l'Italia ha 60 milioni di allenatori e Trieste centomila esperti di trasporto ferroviari.
Fulvio Zonta - Attività Navalmeccaniche
IL PICCOLO - SABATO, 9 dicembre 2017
Turismo, tre piste ciclabili uniche con un tratto via
mare - La lettera del giorno di Fabio Denitto
Che ormai una parte del turismo si muova su due ruote è ormai evidente a
tutti. Prova ne siano i 10mila ciclisti che sono passati per Muggia o le
comitive numerosissime e internazionali che si incontrano sulla Parenzana.
Intercettare perciò questo flusso è diventato di fondamentale importanza per le
nuove prospettive dello sviluppo turistico della nostra città. Non mi sembra
tuttavia che la proposta di una pista ciclabile tra Trieste e Muggia vada in
questo senso. Anche perché questo percorso c'è già. Non vedo infatti il motivo
per il quale un cicloturista debba arrancare in una città piena di traffico e di
tubi di scappamento, quando può prendere il traghetto per Muggia regalandosi,
senza fatica, un'immagine unica della città vista dal mare. Da qui poi potrà
pedalare sulla nuova pista che la Regione ha finanziato poche settimane fa a
favore di quel Comune fino a Rio Ospo, da dove inizia quella Parenzana che sta
vivendo un vero e proprio boom. Ma c'è un altro tratto di ciclabile già
esistente: è quello che da Draga Sant'Elia arriva in città fino alle Rive dove è
ormeggiato il traghetto per Muggia. E cosa esiste di più bello da offrire al
cicloturista che le splendide visioni della Val Rosandra? Un altro tratto unico.
Il punto è come far arrivare gli amanti della bici da Monfalcone a Draga
Sant'Elia. Il progetto esiste già, si tratta solo di riprenderlo e finanziarlo:
la ciclabile del Carso. Un altro unicum con i suoi paesaggi e le sue tentazioni
enogastronomiche. Gli amanti infatti del turismo slow prediligono le esperienze
uniche e questi tre percorsi sarebbero effettivamente unici in Italia. In fondo
si tratta di razionalizzare l'esistente aggiungendovi ciò che manca a cominciare
dalla ciclabile del Carso, ma la Regione si è sempre dimostrata disponibile per
le vie ciclabili, anche perché il Friuli Venezia Giulia è al centro di percorsi
europei internazionali. Certo che anche arrancare su per viale D'Annunzio fra
macchine e smog è un'esperienza unica. Negativa però.
CICLOTURISMO E MOBILITA' ATTIVA
Alle 17.30 Fiab organizza un incontro pubblico per illustrare le proprie iniziative per promuovere a Muggia la mobilità attiva e il cicloturismo. L'incontro si svolgerà al Caffè del teatro Verdi di Muggia.
IL PICCOLO - VENERDI', 8 dicembre 2017
Shopping natalizio: park e bus gratuiti per snellire il
traffico - L'iniziativa ecologica sarà valida in dicembre da venerdì a sabato
dalle 16 alle 18 sia per residenti che per turisti
L'anno scorso era in fase sperimentale, ma gli ottimi risultati ottenuti
hanno fatto ripartire anche per questo periodo natalizio, dall'8 al 24 dicembre,
Park&Ride, il progetto all'insegna dell'ecologia targato Trieste Trasporti. La
tipologia del servizio veste questa volta ben due novità rispetto al 2016: più
tragitti senza spese. Per incentivare una mobilità maggiormente sostenibile e
ridurre l'incidenza del traffico veicolare in un periodo, come quello delle
festività, in cui i flussi sono particolarmente intensi, tutti i venerdì, sabato
e domenica, tra le 16 e le 18, si potrà lasciare l'automobile nelle aree
riservate (e delimitate) di quattro parcheggi semi-periferici e raggiungere
gratuitamente il centro città con gli autobus. L'iniziativa è rivolta a
residenti o turisti che visiteranno il centro nei week-end di dicembre, magari
approfittando della presenza del mercatino di Natale. Il servizio, completamente
gratuito, è svolto in collaborazione con il Comune, Esatto, Confcommercio e
Terziaria Trieste, quest'ultima addetta all'organizzazione di tutte le
bancarelle che la città accoglie da oggi al 24 dicembre.I posteggi interessati
sono quelli di Sant'Andrea (via Carli) e San Giovanni (viale Sanzio), e poi
quelli di via Flavia (piazzale Cagni) e Opicina (in corrispondenza del
quadrivio), park normalmente non a pagamento. All'interno dei contenitori gli
addetti dell'azienda di trasporti distribuiranno gratis ai clienti un biglietto
che permetterà il viaggio in autobus di andata e ritorno (da farsi entro le 21).
Per chi lascerà il veicolo nell'area di sosta di Sant'Andrea sarà operativo un
servizio di bus navetta: in partenza ogni 15 minuti da via Locchi, tra le 16 e
le 21, il mezzo compirà un percorso circolare fermando in piazza Goldoni, via
Mazzini, piazza Unità e Stazione Marittima. Il biglietto del Park&Ride, in
questo caso, sarà distribuito a bordo del mezzo pubblico. Chi invece opterà per
le zone di Opicina, San Giovanni e via Flavia potrà usufruire dei normali
servizi di linea (numeri 6 e 9 da San Giovanni, 2/ e 4 da Opicina e 19, 20, 21 e
23 da piazzale Cagni). Tutti i parcheggi sono gratuiti, compresi quelli di via
Carli e di viale Sanzio (normalmente a pagamento). «La mobilità - dice la
responsabile marketing di Trieste Trasporti Arianna De Luca, che ha coordinato
il progetto - è un elemento sempre più centrale per la qualità della vita nelle
città: incide sull'efficacia dei servizi, sul commercio, sul turismo, può essere
un valore aggiunto per la scuola, la cultura e lo sport. Questa nostra
iniziativa è un segnale di quanto Trieste Trasporti tenga e intenda partecipare
allo sviluppo sostenibile della mobilità a Trieste, e farlo in un periodo come
quello natalizio, in giornate di eventi e shopping, assume un significato ancora
maggiore». Grazie alla partecipazione di Confcommercio e Terziaria Trieste, il
biglietto del Park&Ride darà diritto anche a uno sconto a quasi tutti gli stand
del Mercatino di Natale che aderiscono all'iniziativa. Per informazioni si può
chiamare il numero verde di Trieste Trasporti (800.016675) o consultare il sito
internet www.triestetrasporti.it. Aggiornamenti in tempo reale sui social
network.
Benedetta Moro
L'acqua di sentina riciclata con l'impianto di ReOil -
La società ha acquistato un terreno da Italcementi vicino al Canale navigabile
Procedure e aspetti tecnologici sono allo studio di Area Science Park
Sarà, nel suo genere, l'impianto più importante dell'Adriatico: servirà a
separare le varie componenti rilevabili nell'acqua di sentina e in altre
tipologie idriche inquinanti, che riguardino l'industria o l'economia marittima.
In tutto l'Adriatico settentrionale pare non esista un'attività basata su questo
processo tecnico-fisico, dal quale trarre acqua depurata e olii riutilizzabili.Il
cliente? Ogni operatore ambientale, interessato ad abbattere i costi del
servizio. In che modo? Con una bettolina o con un autocisterna, perchè
l'indirizzo in Riva Giovanni da Verrazzano sul Canale navigabile è raggiungibile
in maniera plurimodale. Questa è solo la prima fase di un investimento che avrà
uno svolgimento più complesso, perchè in un secondo momento si occuperà del
trattamento delle acque di zavorra: gli aspetti tecnologici e dimensionali sono
allo studio nell'Area Science Park. Particolare non secondario: l'azienda, che
realizzerà questa struttura di dis/oleazione, si chiama ReOil e ha sede nel
perimetro dell'Area a Padriciano. Le principali cifre dell'operazione, sia pure
a livello ancora orientativo, sono sul tavolo: ReOil ha acquistato da
Italcementi un terreno immediatamente retrostante al Canale navigabile, subito
alle spalle della banchina che per quasi sessanta anni è stata usata dal gruppo
cementiero e che da qualche mese l'Autorità portuale ha temporaneamente concesso
a Wärtsilä, alle prese però con un ricorso al Tar presentato dalla stessa
Italcementi.In questo sito insiste un immobile di 3 mila metri quadrati che
ReOil provvederà a riqualificare e a equipaggiare con un investimento superiore
ai 7 milioni di euro. I lavori inizieranno già all'inizio del prossimo anno con
un cronoprogramma flessibile che va dai 24 ai 36 mesi. ReOil darà lavoro a una
trentina di addetti, le prime attività partiranno già nel 2019. Prenderà in
considerazione l'opportunità di adottare il regime di Punto franco. L'area
acquistata è posizionata dentro il cosiddetto Sir (sito di interesse regionale),
dove lo svolgimento delle procedure amministrative ambientali vengono sbrigate
dalla Regione e non dal ministero. Il lavoro preparatorio di ReOil, assai
discreto, dura da poco più di un anno e adesso, all'alba del decollo, viene
illustrato dai due protagonisti, Giovanni Rocelli e Angelo Boatto. Con curricula
e profili ben distinti. Amministratore delegato e azionista di riferimento è il
veneziano Rocelli, la cui famiglia si occupava fino a non molti anni fa di
terminalistica portuale a Marghera (multiservice) e a Chioggia (multipurpose).
Il padre, Gianfranco, è stato per cinque legislature deputato democristiano,
eletto nell'allora circoscrizione Venezia-Treviso. Boatto è a sua volta
capostipite di una famiglia imprenditoriale impegnata nel comparto dello
stampaggio di materie plastiche, con un importante insediamento industriale a
Fiume Veneto, nella Destra Tagliamento, che produce per grandi nomi
internazionali, da Ikea a Nestlè. La prossimità geografica, la base in Area
Science Park, l'attenzione verso un porto in crescita nel quale arrivano sempre
più navi: sono i motivi principali che hanno spinto Rocelli e Boatto verso lo
sbarco sul Canale navigabile. La volontà, espressa e insistita dai due
imprenditori, è quella di collaborare con le aziende del territorio: l'impianto
progettato non sottrae lavoro a chi già presidia la piazza, aggiunge - anzi -
un'opportunità di business a chi opera nel settore ecoambientale. L'annuncio di
ReOil segue di pochi giorni quello dello scorso sabato, quando l'indonesiana
Java Biocolloid ha comunicato la scelta del Canale navigabile per sbarcare,
immagazzinare, lavorare agar-agar, il polisaccaride ottenuto da alcuni tipi di
alghe rosse. Le rive Cadamosto e Verrazzano, il piazzale alla radice (che piace
al capitano Crismani) sembrano rivivere una stagione all'insegna del dinamismo
imprenditoriale.
Massimo Greco
IL PICCOLO - GIOVEDI', 7 dicembre 2017
Da Sofia al Montenegro la grande cappa dello smog -
Pm10 oltre i limiti contro la media Ue del 19%. A Skopje 1300 morti all'anno
Stufe a carbone, vecchi diesel e centrali obsolete. Il 78% dei bulgari
respira
BELGRADO - Aria fetida, una cappa che incombe sopra la testa. Non cambia,
nelle grandi città dei Balcani, il panorama di ogni inverno. Panorama dominato
dall'inquinamento da stufe a carbone, vecchi diesel e centrali a lignite. E
dagli allarmi sullo smog che come in ogni stagione fredda si sprecano, mentre
soluzioni concrete latitano. Allarmi come quello lanciato nei giorni scorsi in
Bulgaria, dove la locale Agenzia esecutiva per l'ambiente ha reso pubblico
l'ultimo rapporto annuale sulla qualità dell'aria. Un rapporto preoccupante, che
rivela che il 78% dei bulgari respira un livello di Pm10 superiore ai limiti,
contro una media Ue del 19%. Gli indiziati numero uno per l'aria avvelenata sono
sempre i soliti, comuni anche agli altri Paesi dell'area: «riscaldamento
domestico» (52%), spesso a carbone o nafta, ma anche i «mezzi di trasporto»
(16%), hanno segnalato i media locali. Fumi che, secondo dati contenuti
nell'ultimo rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente (Aea), nel 2014 hanno
contribuito a oltre 13mila morti prematuri per inquinamento nella sola Bulgaria,
sui 534mila stimati in tutta la Ue. Ma la Bulgaria non è un'eccezione negativa
in una regione dove secondo dati Oms del 2016 sei città balcaniche si collocano
nella classifica delle primi dieci con maggiorE inquinamento da Pm 2,5, con
Tetovo, Tuzla e Skopje sul podio. E Dimitrovgrad, Pljevlja e Bitola, in
Macedonia, a breve distanza. E un salto oltre il confine è proprio la Macedonia
a fare ancora peggio, con vari allarmi lanciati nelle scorse settimane per il
superamento costante dei limiti di inquinamento a Skopje, Tetovo, Bitola, in
particolare a causa del riscaldamento domestico, ha affermato giorni fa il
portavoce del governo, Mile Bosnjakovski, dopo un meeting interministeriale
dedicato proprio al problema smog a Skopje. Skopje dove ogni anno, secondo dati
dell'Oms, sono 1.300 le morti anticipate per inquinamento atmosferico. «L'aria è
così mefitica che si può sentire il sapore» dello smog «in bocca», racconta
Ljubica Dimishkovska, residente nella capitale macedone, esperto in una Ong
locale. E mamma. «Evitiamo di uscire il pomeriggio e proprio ieri ho comprato
una mascherina», aggiunge. Ljubica che teme per la figlia piccola. «Come
genitore mi sento impotente e sono arrabbiata con le autorità, che non fanno
nulla» per prevenire il problema. Poco è stato fatto finora anche nel vicino
Kosovo, dove solo un giorno su quattro l'anno scorso ha ottenuto il voto «buono»
secondo le misurazioni locali dell'aria, ha specificato in passato uno studio di
Peer Educators Network e Science for Change Kosovo. In Kosovo lunedì, in
occasione di un dibattito sul tema smog, il ministro dell'Ambiente Albena
Reshitaj ha specificato che nel Paese almeno «800 persone muoiono ogni anno per
l'alto grado di inquinamento». Anche in Montenegro i problemi sono seri, con «Podgorica
e Pljevlja», sede dell'unica centrale a carbone del Paese, dove «i limiti»
previsti dalla legge sulle particelle sottili «vengono regolarmente superati»
ogni giorno, ha confermato nei giorni scorsi Borko Bajic, dell'Istituto
montenegrino per la salute pubblica. E in Serbia, dove i morti prematuri per
smog, sempre secondo dati dell'Oms, sono 5.400 all'anno. Così come in Bosnia
(231 morti premature per smog su 100mila abitanti), dove ieri - non è una novità
- i dati sulla qualità dell'area variavano dal «non sano» di Tuzla al
«pericoloso» di Sarajevo. «La situazione è molto difficile e le autorità non
hanno una chiara strategia» per contrastare l'inquinamento, a parte qualche
passo avanti, come «il divieto di circolazione in caso di smog eccessivo» per i
veicoli più vecchi. Ma in inverno, «quando la gente deve usare carbone e legna,
siamo esposti a un livello altissimo di inquinamento», spiega al Piccolo Rijad
Tikvesa, presidente dell'Ong Ekotim. La cosa più grave, chiosa Tikvesa, è che
anche in Bosnia, così come in Serbia, si continua a puntare sul carbone. Con la
«firma di un accordo» per un prestito di 600 milioni di euro dalla Cina per
costruire un nuovo blocco della centrale termoelettrica di Tuzla. Già oggi una
delle città più inquinate dei Balcani.
Stefano Giantin
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 6 dicembre 2017
Autamarocchi investe nel trasporto green
Autamarocchi punta sul trasporto ecosostenibile e con un investimento da
oltre 7 milioni di euro, dopo i primi 20 mezzi alimentati a gas naturale,
metterà in strada altri 20 veicoli Liquid natural gas e 50 Euro 6 diesel di
ultima generazione. Con gli investimenti - spiega una nota - l'azienda con sede
principale a Trieste diventa «la flotta più green nel mondo del trasporto
container». L'obiettivo è stato illustrato da Ervino Harej anche di recente,
durante gli Stati generali della Logistica del Nordest.
Avvistata una lince nel centro di Vinodol. Andava a
caccia di cibo tra i rifiuti
Una lince in un centro urbano. Un esemplare di questa specie, in Croazia
tutelata da leggi e regolamenti molto severi essendo la sua popolazione ridotta
all'osso, è stato visto e fotografato nei giorni scorsi mentre si aggirava nel
cortile di una casa a Grizane, nel comune di Vinodol (nella Regione quarnerino -
montana) distante 32 chilometri da Fiume. La lince, attratta dall'odore dei
rifiuti, ha concentrato le sue attenzioni sul cassonetto delle immondizie del
cortile. Dopo avere arraffato qualcosa da mettere sotto i denti, si è dileguata
nel vicino bosco. Un suo ritorno nella zona visitata in ore diurne viene dato
per scontato dagli esperti. Il caso segue gli avvistamenti nel comune stesso di
altri animali selvatici, come orsi, cinghiali e sciacalli, apparsi negli ultimi
tempi senza il benché minimo timore dell'uomo. La preoccupazione tra gli
abitanti è molto alta, giacché su temono attacchi all'uomo.
(a.m.)
LO DICO AL PICCOLO - Il traliccio “aperto” nel bosco del Farneto
Vorrei con la presente segnalare che il traliccio di 23 metri d'altezza, installato nel bosco del Farneto all'entrata dell'intersezione della via Marchesetti con via Segre, gestito dalla Wind Telecomunicazioni spa e attivato l'anno scorso aveva originariamente gli allacciamenti chiusi in un armadio a due ante che li proteggeva dagli eventi atmosferici e da eventuali azioni di vandalismo. Dal mese di luglio una delle ante è stata sostituita con una torretta dove gli allacciamenti si trovano all'aperto e accessibili a chiunque. Il cartello con le norme per il primo soccorso agli infortunati non è facilmente leggibile e nel cartello che segnala i telefoni d'emergenza non appare nessun numero telefonico.Una domanda: questo tipo di sistemazione è a norma?
Oscar García Murga - vice presidente Circolo Verdeazzurro Legambiente
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 5 dicembre 2017
Rinnovabili, Osservatorio FER: installazioni +20% nei dieci mesi 2017
Le fonti rinnovabili fanno segnare un +20% per quanto riguarda le installazioni di ottobre 2017. A rivelarlo è l’Osservatorio FER, che sottolinea inoltre come nei primi dieci mesi dell’anno la potenza installata complessiva relativamente a fotovoltaico, eolico e idroelettrico si sia attestata intorno ai 726 MW. Un quinto in più rispetto a quanto registrato nello stesso periodo del 2016.
Per quanto riguarda l’andamento delle rinnovabili nel singolo mese di ottobre 2017 il fotovoltaico ha fatto registrare installazioni per 29 MW, grazie alle quali ha raggiunto quota 352 MW nei primi dieci mesi dell’anno. Tale risultato fa segnare a questo comparto un +12% rispetto allo stesso periodo del 2016. Il 49% dei nuovi impianti appartiene, spiega l’Osservatorio FER, al fotovoltaico residenziale. A livello territoriale la crescita maggiore in termini di potenza si è avuta in Basilicata, Lazio e Lombardia, seguite da Piemonte, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto; le flessioni più rilevanti si sono invece avute, nell’ordine, in Abruzzo, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Incremento di produzione più rilevante invece per Basilicata, Molise, Piemonte, Valle d’Aosta e Veneto; decremento più marcato in Abruzzo, Liguria, Marche, Sardegna, Trentino Alto Adige e Umbria. Positivo rispetto al 2016 anche il bilancio dell’eolico, che segna un +35% di installazioni. L’energia del vento ha raggiunto da inizio anno a oggi circa 315 MW, questo nonostante ottobre 2017 sia stato un periodo non troppo roseo (appena 1,9 MW installati). Si registra tuttavia un forte incremento nel numero di impianti attivi, +141%, grazie soprattutto al minieolico di taglia compresa tra 20 e 60 kW. È in questo caso il Sud Italia ha recitare la parte del leone, con il 92% della nuova potenza installata. Il 28% delle installazioni totali è relativo, fino a ottobre 2017, a impianti di potenza inferiore ai 60 kW; quelli invece superiori ai 200 kW rappresentano il 71% del totale. Venendo infine all’idroelettrico è positivo anche il bilancio di questa fonte rinnovabile, che grazie ai 6,9 MW installati a ottobre 2017 raggiunge un complessivo di 56 MW (+4% di nuova potenza installata rispetto ai primi 10 mesi del 2016). La spinta maggiore è arrivata da Regioni come Abruzzo, Marche, Molise, Sicilia e Veneto. Il 54% dei nuovi impianti idroelettrici connessi risulta di taglia inferiore a 1 MW, mentre un impianto da 3,2 MW è stato attivato in Lombardia (Provincia di Brescia).
Claudio Schirru
Ecobonus e ristrutturazioni: Legge di Bilancio, le novità in arrivo
L’approvazione ormai quasi imminente della Legge di Bilancio 2018 porterà diverse novità per quanto riguarda l’ecobonus e le ristrutturazioni edilizie. Alcune modifiche sono state introdotte dopo il passaggio nei giorno scorsi al Senato, ridisegnando parzialmente il quadro normativo tracciato dal provvedimento.
In virtù del maxi emendamento approvato dal Senato sono state introdotte modifiche sia per quanto riguarda alcune percentuali relative alla detrazione fiscale riconosciuta che per alcuni dei tetti massimi spettanti per ciascun intervento realizzato. Ecco quindi le indicazioni principali presenti nel nuovo testo, in attesa della definitiva approvazione da parte della Camera. Ecobonus: L’ecobonus è prorogato al 31 dicembre 2018, mentre viene ridotta dal 65 al 50% la detrazione per spese relative a finestre (comprensive di infissi e schermature solari), sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse combustibili (tetto massimo detrazione pari a 30.000 euro). La detrazione fiscale verrà inoltre riconosciuta anche agli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e “agli altri enti che perseguono le medesime finalità”. Tra le altre modifiche all’ecobonus introdotte al Senato figura l’innalzamento del tetto massimo relativo alle detrazioni riconosciute per “interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali”, a patto che la percentuale di involucro dell’edificio superi il 25% della “superficie disperdente lorda”. La lista degli interventi incentivabili si allunga per comprendere anche l’acquisto e la “posa in opera” di micro-cogeneratori in sostituzione di impianti esistenti. Detrazione massima riconosciuta pari a 100.000 euro, periodo in cui le spese devono essere sostenute tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2018. Il risparmio di energia primaria derivante dagli interventi dovrà essere almeno del 20%, come da Allegato III del Decreto Interministeriale 4 agosto 2011. I requisiti tecnici per ottenere l’ecobonus vengono rinviati ad apposito decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, mentre i controlli verranno svolti da ENEA su “tutte le fattispecie agevolate previste dall’art. 14 del D.L. 63/2013″ e non più limitatamente alle parti comuni e condominiali. Ultima nota infine per quanto riguarda la Cessione del credito ai fornitori o ad altri soggetti privati, estesa a tutti gli interventi di riqualificazione energetica (anche per quelli non riguardanti le parti comuni degli edifici condominiali). Ristrutturazioni: Così come previsto per l’ecobonus proroga al 31 dicembre 2018 anche per questa seconda agevolazione e per il “bonus mobili”, relativo alle spese sostenute per l’acquisto di “mobili e grandi elettrodomestici” collegato a lavori di ristrutturazione edilizia con avvio a decorrere dal 1 gennaio 2017. Viene infine introdotto, come anticipato nelle scorse settimane, il “bonus giardini”. L’agevolazione permetterà di detrarre il 36% delle spese documentate sostenute per interventi di sistemazione delle aree verdi e per la realizzazione di coperture a verde di giardini pensili. Tetto massimo fissato in 5.000 euro per unità abitativa. La detrazione viene riconosciuta in caso di spese (comprese quelle di progettazione e manutenzione connesse) relative a interventi riguardanti: Aree scoperte private di edifici esistenti; Unità immobiliari, pertinenze o recinzioni; Impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi; Interventi su parti comuni esterne di edifici condominiali. Anche per l’ultima voce, quella relativa alle parti comuni esterne, il tetto massimo è fissato a 5.000 euro per unità abitativa. Ciascun condomino può usufruire della detrazione, che verrà ripartita in dieci quote annuali di pari importo, nel limite della “quota a lui imputabile”. È posta in questo caso la condizione che la quota stessa sia stata effettivamente versata al condominio, utilizzando mezzi di pagamento tracciabili, entro i termini fissati per la presentazione della dichiarazione dei redditi.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - MARTEDI', 5 dicembre 2017
Gli ecologisti di Mondo blu trovano casa a Lussino
In un'ex struttura dell'Armata popolare la nuova sede
dell'organizzazione che studia il mare e si cura anche della colonia di delfini
dell'isola
LUSSINPICCOLO - Tra una decina di giorni il ministro croato dei Beni
statali, Goran Maric, è atteso a Lussinpiccolo per portare al comune isolano
l'atto di donazione di due edifici un tempo di proprietà dell'Armata popolare
jugoslava, spazzata via dagli eventi bellici di un quarto di secolo fa nei
Balcani. I due immobili, ora appartenenti allo Stato croato, sono la sede delle
Dogane, in Riva dei Capitani lussignani; e l'ex Casa dell'Armata popolare
jugoslava, situata in zona Velopin, a stretto contatto col mare e immersa in una
fitta pineta. Circa un mese fa la commissione competente del dicastero dei Beni
statali aveva accettato la richiesta del comune di Lussinpiccolo di poter
riutilizzare le due strutture a scopi civili. Ora i responsabili
dell'amministrazione cittadina attendono con impazienza la tappa lussignana di
Maric, che segnerà il primo passo verso la trasformazione dell'edificio di
Velopin nel Centro per gli studi del mare dell'Istituto Mondo blu (Plavi svijet).
L'istituto, che è una ong, ha sede a Lussingrande, in un palazzo costruito nel
1826: si tratta di 160 metri quadrati nei quali addetti, volontari e studenti si
occupano fin dal 2003 di tutela dell'ambiente marino, organizzando conferenze,
sedute, laboratori e altre iniziative, molte delle quali di carattere
internazionale. In questi anni Mondo blu è stato visitato da circa centomila
persone, tra cui tanti turisti, e anche da 500 scolaresche, a conferma
dell'interesse che sta suscitando a Lussino e nel Quarnero, ma anche nel resto
del Paese. Dati gli spazi ristretti a Lussingrande, si è deciso dunque di
riutilizzare la struttura a Velopin: un progetto subito sposato dalla Città di
Lussinpiccolo e dal ministero croato del Turismo con l'appoggio di numerosi
atenei, istituti e organizzazioni di Croazia, Europa e di tutto il mondo. Per
riattare l'ex struttura militare ci vorranno almeno 12-14 milioni di kune
(1,59-1,85 milioni di euro), mezzi che potrebbero arrivare dai fondi comunitari
se Bruxelles darà l'ok. Attualmente l'edificio, abbandonato più di 25 anni fa, è
in uno stato decisamente fatiscente soprattutto per quanto riguarda gli interni,
che ormai cadono a pezzi. Ci sarà bisogno di una radicale ristrutturazione per
trasformare l'immobile nella futura casa di Mondo blu che, tra le varie
attività, si prende cura della colonia lussignana di delfini, che secondo gli
esperti conta circa 200 esemplari.«La donazione dello Stato alla municipalità di
Lussinpiccolo - ha detto il ministro del Turismo ed ex sindaco lussignano Gari
Cappelli - è un evento importante che avrà ricadute positive per l'economia
locale, in primo luogo quella turistica. Proprio per valorizzare l'ex struttura
dell'esercito jugoslavo a Velopin il comune aveva modificato nel 2015 il piano
regolatore municipale». Mentre non è stato ancora definito il futuro impiego
delle Dogane, dislocate nel pieno centro della città, è già formulato invece il
piano di riutilizzo di altri ex impianti militari. In primo luogo, e sempre a
Velopin, l'ex caserma militare sarà trasformata in un moderno marina, dove
potranno attraccare anche imbarcazioni di lusso. È stato predisposto un riuso in
chiave turistica o sociale di quelle che un tempo erano caserme o depositi
militari a Sanpiero (Ilovik), Unie e in località Stijene e Umpljak. L'impianto
Tovar, a Lussino, diventerà invece un poligono di tiro a segno e un centro
d'osservazione per il Soccorso alpino.
Andrea Marsanich
Lo tsunami di dighe che minaccia il cuore blu d'Europa
- La denuncia della ong "Save the Blue Hearth of Europe" - Dalla Slovenia alla
Grecia in progettazione 2.800 impianti
BELGRADO - Un'ondata di piccoli sbarramenti e mini-centrali idroelettriche
su fiumi spesso rimasti intatti come millenni fa, non guastati dalla mano
dell'uomo. Uno «tsunami di dighe» che rischia di danneggiare irreparabilmente
quello che ecologisti e ambientalisti hanno da tempo ribattezzato il «cuore blu»
dell'Europa, i Balcani. Tsunami che è ormai iniziato e procede a ritmi
incalzanti. La denuncia arriva da Save the Blue Heart of Europe, autorevole
campagna delle Ong Euronatur e Riverwatch che già negli anni passati avevano
lanciato forti allarmi, rimasti inascoltati. Save the Blue Heart of Europe ha
però fatto risuonare le sirene d'emergenza con un nuovo rapporto, realizzato
dalla studio internazionale di consulenza Fluvius e sviluppato sulla base di
immagini satellitari e dati delle autorità locali. Il rapporto segnala che sono
«circa 2.800 le centrali idroelettriche» in progettazione oggi «dalla Slovenia
alla Grecia»: generalmente di piccolissime dimensioni, ma non per questo meno
dannose per l'ambiente. Dannose anche perché «più di mille» (il 37% del totale),
si legge in una nota degli ecologisti, saranno costruite «in aree protette».
Quasi 120 saranno erette in «parchi nazionali» localizzati nei Paesi balcanici,
547 in aree "Natura 2000". Quest'ultima, come specificano documenti dell'Ue, è
una rete di siti naturali protetti sul territorio europeo, in genere «habitat
speciali», zone di sosta per uccelli migratori o dove vivono «specie rare» o a
rischio, ma che non godono del livello di protezione delle «riserve naturali,
dove ogni attività umana è esclusa». Il resto è pianificato in zone protette a
livello nazionale. Politiche miopi e insensibilità ambientale hanno alterato un
preziosissimo patrimonio naturale: ruspe e bulldozer non si sono fermati e
«circa 160-180 centrali idroelettriche» e sbarramenti sono stati innalzati dal
2015 a oggi, si legge nell'analisi di Save the Blue Heart of Europe. E proprio
dal 2015 «la velocità con cui va avanti la distruzione dei fiumi è aumentata»,
secondo l'analisi di Fluvius. Dai progetti, infatti, negli ultimi anni si è
passati all'azione. Sono infatti quasi duecento, 188 per la precisione, le
centrali oggi in costruzione, in particolare in Albania (81 sbarramenti per la
produzione idroelettrica), Serbia (30), Macedonia (22), Bosnia-Erzegovina (19).
Sono numeri che «visualizzano la dimensione del problema, uno tsunami di
sbarramenti che senza rispetto per la natura mette a rischio specie» animali e
pesci, «aree protette e persone» che vivono vicino ai corsi d'acqua, le cui
acque sono «deviate», con paesaggi che vengono «desertificati», ha specificato
Ulrich Eichelmann, numero uno di Riverwatch. Ma perché? «Le ragioni principali
sono corruzione, superficialità di istituzioni finanziarie internazionali» e
pochissima attenzione alla «protezione» della natura, gli ha fatto eco Gabriel
Schwaderer, presidente di Euronatur. Che ha avvisato: «Se non ci si ferma, il
cuore blu dell'Europa», come il colore dei fiumi balcanici, «rischia di fermarsi
per infarto». Le arterie fluviali della regione, in effetti, sembrano sempre più
in affanno, dopo che - solo negli ultimi 24 mesi - la velocità dell'apertura di
nuovi cantieri è più che triplicata (da 61 progetti in costruzione nel 2015 si è
passati a 188 nel 2017), senza dimenticare le 160-180 centrali già completate
negli ultimi 24 mesi. Progetti in fase d'attuazione - altro punto molto grave -
al 91% avviati senza che fossero stati preceduti da studi di impatto ambientale.
Questo perché, segnalano gli ecologisti, la maggior parte degli impianti ha una
capacità produttiva inferiore ai 10 megawatt, il limite oltre il quale scatta -
secondo le legislazioni nazionali - l'obbligo di analizzare quali possano essere
le conseguenze in aree delicate dal punto di vista ambientale. Delicate perché i
Balcani custodiscono ancor oggi alcuni fra i fiumi più incontaminati d'Europa,
dalla Sana in Bosnia al Valbona in Albania - per il quale da anni si protesta
con sempre maggior forza a Tirana per evitarne la devastazione con 14
mini-centrali - fino alla più maestosa Sava. Tesori spesso poco conosciuti, ma
da proteggere. Da uno tsunami artificiale, di dighe e centrali.
Stefano Giantin
Tre metri quadri di territorio cementificati ogni
secondo - i dati ispra
ROMA - Oggi è la Giornata Mondiale del Suolo, e l'Italia si presenta con un
dato poco incoraggiante. Il consumo di suolo, ovvero la copertura del territorio
con cemento o asfalto, avanza al ritmo di 3 metri quadrati al secondo, 30 ettari
al giorno. Lo certifica l'Ispra, il centro studi del Ministero dell'Ambiente. La
velocità del consumo di suolo è rallentata a causa della crisi economica. Nei
decenni passati era di 8 metri quadri al secondo. Con la ripresa dell'economia,
c'è il rischio che la cementificazione torni a questa velocità. Soprattutto in
mancanza di normative europee e nazionali che la controllino e la limitino. Al
2016 secondo l'Ispra risultano cementificati oltre 23 mila km2 (pari a Campania,
Molise e Liguria messe insieme), il 7,6% del territorio nazionale. Negli anni 50
era coperto solo il 2,7%. La Giornata Mondiale del Suolo è stata istituita nel
2014 dalla Fao, l'agenzia agroalimentare dell'ONU. Lo scopo, scrive la Fao sul
suo sito, è «richiamare l'attenzione sull'importanza di un suolo sano e
promuovere la gestione sostenibile delle risorse del terreno». Soprattutto nei
paesi in via di sviluppo, si assiste a una cementificazione crescente, con
migliaia di ettari di boschi e aree verdi spazzati via da palazzi, strade,
fabbriche. Un cambiamento in parte necessario, per dare case e benessere a
popolazioni in crescita. Ma in parte anche deleterio, perché selvaggio e
incontrollato, fonte di inquinamento e di distruzione di risorse. Anche la ricca
Europa lascia molto a desiderare su questo punto. Nella Ue manca un quadro
giuridico comune e vincolante per tutti i paesi sul consumo del suolo. Tanto è
vero che la rete «People 4 Soil», formata da ong ambientaliste, istituti di
ricerca e associazioni di agricoltori, ha raccolto oltre 212.000 firme (82.000
in Italia) per una petizione alla Commissione europea che chiede principi e
regole uguali per tutti.
«L'acqua di Trieste si conferma di qualità top» -
Online il nuovo report di Acegas e Asuits dopo quasi ventimila analisi:
«Rubinetto meglio della bottiglia»
È online la nona edizione del report che rendiconta la qualità dell'acqua
potabile nel territorio triestino servito da AcegasApsAmga: più di 53 analisi
effettuate ogni giorno e risultate conformi alla legge nel 99,98% dei casi. Il
titolo del rapporto è "In Buone Acque". Sono 19.300 le analisi realizzate da
Acegas e Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste sull'acqua che
esce dai rubinetti cittadini. Spiega l'azienda: «Recandosi sul sito aziendale
www.acegasapsamga.it è possibile consultare il report in forma sintetica e
scoprire che il servizio idrico del Gruppo Hera punta sull'interconnessione
delle reti, sul telecontrollo, sul monitoraggio via satellite e sull'efficienza
energetica per garantire la continuità del servizio, una gestione efficiente e
un prodotto finale sicuro e di qualità». Oltre alla qualità dell'acqua, aggiunge
ancora Acegas, «all'interno di "In Buone Acque" è possibile ritrovare molteplici
informazioni di dettaglio tra cui le concentrazioni medie rilevate dalle analisi
sia dell'azienda sia dell'ente sanitario. In particolare, grazie alla nuova
veste grafica è possibile comparare le caratteristiche dell'acqua di rubinetto
con quelle dell'acqua minerale (un confronto effettuato con i dati indicati
nelle etichette di 17 acque minerali naturali presenti nei supermercati)».
L'invito all'utenza è a consumare l'acqua pubblica: «È possibile risparmiare
quasi 270 euro all'anno ed evitare all'ambiente milioni di bottiglie di plastica
bevendo acqua di rubinetto in alternativa a quella in bottiglia, oltre alla
praticità di riceverla direttamente a casa». L'acqua di Trieste infatti è
«oligominerale a basso tenore di sodio e grazie alle oltre 53 analisi al giorno
ne è confermata la qualità, qualora si riscontrasse l'odore di cloro, sarà
sufficiente lasciare riposare l'acqua in una caraffa o berla fredda». Conclude
l'azienda: «La nuova veste grafica del rapporto rende più fruibili le
informazioni anche grazie ai contenuti ricchi di infografiche. È così possibile
avere una visione chiara e immediata sulla rete acquedottistica di Trieste che
serve complessivamente 234.727 cittadini, attraverso una rete di 1.073 Km in
cui, nel 2016, sono stati immessi 43,7 milioni di metri cubi di acqua».
San Marco - La Terra “Con l’acqua alla gola”
Alle 18, al San Marco, Elisa Cozzarini dialoga con Daniele Pernigotti che presenta il suo libro “Con l’acqua alla gola” (ed. Giunti). L’evento è organizzato da Legambiente. Il “global warming” è un’emergenza che coinvolge tutti. Ha stravolto l’equilibrio ecologico e sta compromettendo il rapporto tra uomo e ambiente. Molti sono i responsabili di questa urgenza globale: gli scienziati negazionisti, i media che strillano false notizie, le lobby petrolifere, il fiasco delle politiche nazionali e internazionali, la scarsa educazione ambientale dei cittadini, la poderosa forza del mercato che impone una crescita economica senza freni. Per affrontare sul serio l’emergenza climatica ci sono soluzioni efficaci e praticabili. Questo libro ci dice cosa occorre fare, subito, per consegnare un pianeta sano e vivibile alle generazioni future: implementare energie alternative ai combustibili fossili, stimolare nei cittadini pratiche sostenibili, offrire risposte alternative al paradigma della crescita a ogni costo, promuovere economie a basso impatto ambientale
“Con l’acqua alla gola” alle 18 Info su www.giunti.it
NeMo, gli enti pubblici del Fvg useranno l'auto
elettrica - risorse europee per il progetto
PORDENONE - Sostituire circa 800 vetture a benzina o diesel con mezzi a
trazione elettrica, usando un servizio di car sharing. Ridurre le emissioni di
anidride carbonica e aumentare la produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili. Il tutto grazie a fondi Ue per 900mila euro in grado di produrre
investimenti per circa 15 milioni. Questi gli assi portanti del progetto NeMo
(New Mobility in Fvg) presentato ieri dalla Regione alle pubbliche
amministrazioni del Pordenonese e Udinese, e che sarà illustrato oggi a Gorizia
e Trieste. Oltre dalla Regione, lead partner, il team del progetto è composto da
Area Science Park, Università di Trieste, Bit, Aniasa e Promoscience. Noemix è
il nuovo servizio di car sharing per la Pa sviluppato da NeMo, progetto europeo
finanziato dal programma Horizon 2020. Il servizio sarà attivo dal 2019 grazie a
una partnership pubblico-privato con cui il Fvg si candida a essere la prima
regione in cui una quota ampia dei veicoli aziendali degli enti pubblici sarà
sostituita da veicoli elettrici. Aggregando le esigenze di pubbliche
amministrazioni diverse, si passerà dal modello attuale basato sull'acquisto
delle auto a uno imperniato su un "servizio centralizzato di mobilità elettrica"
gestito da operatori privati. Verso NeMo - ha detto l'assessore regionale
all'Ambiente, Sara Vito - «c'è grande interesse anche da parte di altre Regioni
d'Italia e Paesi europei. Per questo l'attività svolta in Fvg sarà un banco di
prova».
La stazione dell'impero mette in moto il futuro - Il
progetto delle Ferrovie volano di sviluppo per Trieste
Campo Marzio non rinasce solo come museo, ma come stazione, come area-chiave
di Trieste, come simbolo di una città europea e come snodo di un hinterland. Una
rivoluzione, che toglie dalle ortiche, dal degrado e dallo sconcio edilizio il
cuore antico del porto, quello che ruota attorno alla Lanterna. La stazione
potrà diventare il volano di una riqualificazione urbana indilazionabile (la
terra di nessuno fra viale Giulio Cesare, l'area dell'ortofrutticolo e il
parcheggio dei camion in Riva Traiana) e al tempo stesso terminal di un traffico
turistico su rotaia dalle potenzialità illimitate. Qualcosa che va al di là
persino di quanto la Fondazione Fs è riuscita a realizzare, pur magnificamente,
ai piedi del Vesuvio con il museo di Pietrarsa appena inaugurato. Sembra
impossibile, dopo decenni di inutili richiami e di progetti insensati, poter
immaginare qualcosa di concreto, capace di unire business e cultura, di
accontentare imprenditori e sognatori, ecologisti e amanti delle vaporiere. Ora
che il diaframma ferroviario di Monrupino è caduto ed è di nuovo possibile
viaggiare da Trieste-Campo Marzio in direzione di Dutovlje, Gorizia, Tolmino,
Bled, ecco che la linea magica della Transalpina si ricostituisce e riapre al
traffico turistico gli stessi binari che cent'anni fa legavano alla Baviera e al
resto del mondo tedesco il porto più settentrionale del Mediterraneo. Come
sempre, il futuro abita nel passato. Negli anni in cui persino i treni della
Canadian Pacific collegavano a Trieste le grandi città del Nord valicando le
Alpi con speciali vagoni panoramici. È venuto il tempo di pensare in grande, di
affrontare una spesa con una visione strategica; di andare oltre il cemento
(l'orrido edificio incompiuto accanto alla stazione!), le rotonde (ah quanto
costose!) e gli svincoli faraonici (Enemonzo!) che svuotano le casse regionali
con investimenti a pioggia. I cinque e passa milioni di euro per ridare dignità
all'ala museale della stazione sul lato di viale Giulio Cesare ci sono grazie al
finanziamento della Fondazione Fs, della Regione e del ministero dei Beni
culturali. Manca il necessario per completare il restauro dello scalo di Campo
Marzio e trasformarlo in stazione di testa di un traffico turistico e polo
culturale su scala europea. È per questo che gli uomini - motivatissimi, va
detto - della Fondazione Fs hanno aperto davanti al sindaco e alla presidente
della Regione le carte di un progetto che li mette di fronte a un'occasione
irripetibile. Ridare senso a Trieste, alla sua storia, alla sua posizione tra
Mediterraneo e Centro Europa. Il piano prevede soluzioni ambiziose: la copertura
della stazione con un "ombrello" quasi identico a quello originale (smantellato
durante la seconda guerra mondiale), ma in lega leggera e una tecnologia capace
di regolare le luminosità e l'acustica dell'ambiente, e una serie di piattaforme
mobili capaci, in determinate occasioni, di coprire le rotaie di testa e
trasformare la stazione in un grandioso auditorium per concerti e altri eventi
all'aperto. Se a tutto questo si aggiunge il rondò con treni storici già
collaudato quest'estate da Trieste-centrale a Campo Marzio via Miramare,
Aurisina, Opicina e Rozzol, e soprattutto il riaggancio di Trieste alla rete
nord-europea grazie al ripristino della linea transalpina a Monrupino, ecco che
il quadro si completa, ecco che appare evidente come il lavoro sulla stazione
lato viale Giulio Cesare non può e non deve restare incompiuto. Perché a questo
punto la città potrebbe offrire qualcosa di davvero speciale. E non ci vorrebbe
poi un grande sforzo di immaginazione per capire di cosa potrebbe fruire il
viaggiatore una volta in città. Una sequenza di meraviglie di facile accesso
senza uso di automobile e senza soluzione di continuità. Mettiamo un tedesco di
Monaco. Atterra a Ronchi, si trasferisce alla stazione in via di allestimento e
prende la navetta che lo porta direttamente in città. Alloggia in un hotel sulle
Rive o in un B&b del centro. Esce e raggiunge a piedi la zona del porto nautico
e nella stazione rimessa a nuovo legge il romanzo delle ferrovie di frontiera
nelle sale di un museo, poi sale sul treno turistico con i vagoni cento-porte e
circumnaviga Trieste dall'alto fino a Opicina, dove partono i binari dell'Est e
quelli per Bled, e dove può ridiscendere in città col vecchio tram (che si spera
nuovamente in esercizio) oppure continuare verso il bivio di Aurisina per
scendere con vista mozzafiato su Miramare. Qui il nostro viaggiatore può
scegliere ancora: tornare in città fino alla Centrale, oppure sbarcare alla
stazione che fu di Massimiliano d'Asburgo per scendere a piedi al parco
(finalmente in riassetto dopo anni di incuria) e al Castello di Miramare, dove
lo aspetta un'autocorriera anni Cinquanta che chiude il cerchio riportandolo al
punto di partenza di Campo Marzio. Il tutto con un biglietto unico. E magari con
una convenzione Fs che consentirebbe ai viaggiatori di visitare il museo
napoletano di Pietrarsa e quello di Trieste collegati da un treno notturno. E
tutto questo non è affatto un sogno. L'itinerario ha già una fetta di mercato
assicurata in particolare fra i cultori dei treni che sono già tanti in Italia e
ancora più numerosi in Austria, Germania e nell'area dell'ex impero asburgico.
«Non realizzare tutto questo sarebbe pazzesco», afferma l'ingegner Luigi
Cantamessa, entusiastico braccio operativo della Fondazione Fs, che in questi
giorni è venuto a batter cassa a Trieste per assicurarsi il completamento
dell'opera. Intanto le Ferrovie vanno avanti e fra tre mesi daranno il via al
restauro del museo, con la posa della prima pietra.
PAOLO RUMIZ
La “ricetta” di Giorgi per il clima Lo scienziato dell’Ictp, grande esperto mondiale della materia, ne studia i cambiamenti
I cambiamenti climatici rappresentano una delle principali sfide scientifiche, tecnologiche, socio-economiche e politiche del nostro secolo: secondo gli esperti gli eventi estremi, dalle piogge alla siccità, sono destinati a intensificarsi. Il professor Filippo Giorgi, uno dei massimi esperti mondiali di studi climatici, origini abruzzesi, laurea in fisica e dottorato negli Usa, dal 1998 è direttore della sezione di Fisica della Terra al Centro Internazionale di Fisica Teorica-Ictp di Trieste, dove studia tutt’ora i cambiamenti climatici e i modelli che aiutano a descriverli. L’ultimo riconoscimento a Giorgi, che dal 2002 al 2008 è stato l’unico scienziato italiano nel consiglio direttivo dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l'istituzione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare i cambiamenti climatici vincitrice del Premio Nobel per la pace 2007, è arrivato poche settimane fa. Si tratta della prestigiosa medaglia Alexander von Humboldt, un riconoscimento conferito dall’Unione Europea di Geoscienze (Egu) a scienziati le cui ricerche abbiano avuto portata internazionale e un impatto positivo sui Paesi emergenti e che sarà consegnata a Vienna il prossimo aprile in occasione della dell'Assemblea EGU 2018. Pioniere nel campo della modellizzazione climatica a scala regionale, Giorgi ha iniziato a studiare i cambiamenti climatici ben prima che venissero percepiti come un’emergenza, elaborando il modello RegCM che ha una comunità di utenti in tutto il mondo e il cui download e uso sono gratuiti. Il modello permette studi su scala regionale ed è utilizzato dalla paleoclimatologia fino alle simulazioni del clima futuro. A beneficiarne sono in particolare i ricercatori dei paesi in via di sviluppo, maggiormente esposti ai cambiamenti climatici e con meno risorse per attivare politiche di risposta, grazie anche ai numerosi workshop organizzati dal gruppo di ricerca di Giorgi in tutto il mondo per insegnare agli scienziati a capire meglio le dinamiche dei cambiamenti climatici e ad usare il modello RegCM, garantendo un costante supporto tecnico. Spiega lo scienziato che nel 2006 ha identificato il bacino del Mediterraneo come un hot spot, cioè aree che si stanno riscaldando più velocemente: «Se il riscaldamento globale continuerà al ritmo attuale, il clima del nostro Pianeta potrebbe essere completamente diverso. Con il riscaldamento globale le precipitazioni che interessano il Mediterraneo ad esempio si sposterebbero verso Nord. In centro e nord Europa dovrebbe piovere di più e in modo più intenso, mentre nell’area del Mediterraneo, in particolare quella meridionale, dovremmo assistere a un progressivo inaridimento». Una previsione confermata da oltre 25 anni di studi, modelli e dati osservati. Cosa possiamo fare? «Stiamo assistendo ad un trend di cambiamento e, se non si agirà prontamente, continuerà nelle prossime decadi - risponde Giorgi - causando l’aumento di eventi estremi, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare. Bisogna mantenere l’aumento globale di temperature sotto la soglia di pericolo identificata nell’accordo di Parigi, e cioè ben al di sotto dei 2 gradi e questo richiede una riduzione delle emissioni di gas serra, il parallelo sviluppo di energie rinnovabili sempre più competitive e una spinta verso la Green Economy».
Lorenza Masè
IL PICCOLO - LUNEDI', 4 dicembre 2017
L'ex fiera, i palazzi e il Porto vecchio - La calata
austriaca - Le mire sui 5 magazzini Greensisam dopo Montebello e il balzo dei
carichi merci. La città attira imprenditori
«Ebbene sì - ammette il sindaco Roberto Dipiazza -, Trieste è tornata ad
essere la terza città dell'Impero». Per capire quanto questo sia già concreta
realtà basta controllare su una carta geografica il fitto reticolo disegnato
dalle migliaia di treni carichi di merci che da qualche anno, con crescita
costante, arrivano e partono dal porto di Trieste: per il 90% sono a servizio
della mitteleuropa. Le ferrovie«I convogli ferroviari sono diretti a venti
principali destinazioni diverse - spiega Giuseppe Casini - e di queste, otto
rientrano nei confini dell'ex Impero Asburgico (perlopiù Austria, Ungheria,
Repubblica Ceca e Slovacchia), ma quasi tutte le altre gravitano ai margini di
quest'area, interessando la Baviera e l'ex Prussia in particolare». Casini è
amministratore unico di Adriafer, società di proprietà dell'Autorità di sistema
portuale dell'Adriatico orientale che, da miniaziendina intruppata nelle pastoie
della doppia manovra, grazie all'avvento della coppia Zeno D'Agostino - Mario
Sommariva ai vertici della Torre del Lloyd, è ora diventata una delle
"industrie" di Trieste con il maggior numero di dipendenti. «Siamo per
l'esattezza in 84 e quantitativamente abbiamo sorpassato la stessa Authority -
scherza Casini -, facciamo 152 treni alla settimana ai quali se ne aggiungono 48
della Ferriera diretti solitamente a Cremona. Ho in ballo una scommessa con
D'Agostino per vedere se scolliniamo quota novemila all'anno». Il boom - Su
questo versante tutti i porti italiani sono rimasti terribilmente indietro,
compresa La Spezia che fino a due anni fa aveva il primato. Ecco anche perché, a
cent'anni dalla fine della Prima guerra mondiale, Trieste nei fatti non è più
uno dei trenta porti italiani, ma è tornata ad essere lo scalo del Centroeuropa.
Attraverso i Moli Quinto, Sesto e Settimo e il terminal petroli dove arrivano a
frotte traghetti ro-ro, portacontainer e petroliere, tutta questa area
continentale è messa in collegamento diretto con il bacino del Mediterraneo,
Turchia in particolare ma anche Grecia, il Golfo Arabico, il Far East. E in
particolare il settore ferroviario merci sta diventando un polmone anche per
l'occupazione di manodopera e tecnici triestini. L'ultimo esempio è di qualche
giorno fa: con l'arrivo della maxi gru transtainer al terminale Samer i
dipendenti che sono già una novantina, a dispetto dei dodici di qualche anno fa,
cresceranno ancora. E l'Authority per gestire questa tumultuosa crescita ha
deciso di aprire addirittura al proprio interno una Direzione infrastrutture
ferroviarie con la prossima assunzione a tempo indeterminato di tredici addetti.
Ma è attraverso il porto di Trieste che l'Austria provvede anche al 90% del
proprio fabbisogno petrolifero, per il 100% addirittura la Baviera e il
Baden-Wurttemberg, per il 50% la Repubblica Ceca. Ciò grazie al terminal
marittimo della Siot dove arrivano ogni anno oltre 500 petroliere che sembrano
anch'esse in ulteriore crescita. Ma il porto è oggi soltanto un aspetto della
felice rivoluzione. L'ex Fiera di Montebello - L'Austria e le regioni contigue
sono tornate in realtà a mettere gli occhi sulla città intera e Trieste è
divenuta oggetto di attenzioni molto forti e anche di singoli benestanti
cittadini che acquistano una casa o una villa sull'Alto Adriatico. L'esempio più
clamoroso, già arrivato all'incasso, è quello dell'ampio comprensorio dell'ex
Fiera acquistato per 12 milioni di euro dalla Mid Holding GmbH di Klagenfurt di
cui è titolare Walter Mosser: un'area di 30mila metri quadrati che verrà
rivitalizzata con un investimento di 70 milioni e 540 nuovi posti di lavoro
previsti. «Attorno alla città c'è un fervore inimmaginabile - rivela Dipiazza -,
mi sono fatto spiegare dagli austriaci le ragioni alla base del loro intervento.
Mi hanno risposto: i prezzi attualmente bassi del mercato immobiliare e la
straordinaria bellezza della città». Porto vecchio e non solo - E pare si dovrà
ad acquirenti austriaci anche la fine del tormentone che riguarda il palazzo
delle Ferrovie di piazza Vittorio Veneto, stimato anch'esso 12 milioni e che dal
2008 attende invano un acquirente. Ma l'ultimo obiettivo dei finanzieri
d'Oltralpe sono i primi cinque magazzini del Porto vecchio, quelli della famosa
cittadella Greensisam, in concessione a Pierluigi Maneschi, numero uno del Molo
Settimo e di Italia Marittima. «Ritengo che quest'ultima trattativa potrà essere
chiusa entro il 31 dicembre», afferma il sindaco. «Confermo che ci sono nuovi
potenziali acquirenti, austriaci in particolare e supportati anche da un fondo
bavarese, intenzionati a rilevare la maggioranza della società, mentre io terrei
una quota di minoranza - dice Maneschi - ma non sono altrettanto ottimista sui
tempi del passaggio di mano. Non sono state risolte le questioni delle opere di
urbanizzazione e della bonifica del torrente Chiave che spettano alla parte
pubblica e poi non è ancora chiaro come si potrà passare dalla concessione alla
vendita». Oltre agli austriaci - Il fatto che la città sia ritornata in qualche
modo al centro della scena europea, sembra aver scatenato appetiti da ogni parte
del continente. Senza scomodare il Big Game con il quale le principali potenze
europee nel diciannovesimo secolo si contendevano l'Eurasia centrale, un Piccolo
gioco è in atto su Trieste. «A giorni - annuncia Dipiazza - pubblicheremo il
bando per Palazzo Carciotti sul quale credo metteranno le mani un fondo svizzero
e uno del Liechtenstein. Per quattro quinti sarà luxury hotel e per un quinto
residenze. Gli ospiti arriveranno in Ferrari, parcheggeranno nei due piani
sotterranei e con l'ascensore accederanno direttamente nelle suite. Ma non è
certo tutto - anticipa il sindaco -: i russi vogliono Palazzo Modello per farne
un altro albergo. Oggi lì dentro c'è l'Acegas, ma se l'offerta sarà buona
certamente non avremo problemi a spostarla. E poi ci sono anche gli inglesi:
hanno messo nel mirino l'ex Silos per farne un gigantesco outlet». Forse non per
nulla quando interessava ancora alle Coop Nordest si era parlato di Covent
garden sul mare.
Silvio Maranzana
IL PICCOLO - DOMENICA, 3 dicembre 2017
Esperti anti Ferriera dall'Austria - Al dibattito
organizzato dal M5S l'esperienza dei tecnici dell'acciaieria di Lienz
Stavolta arriva dall'Austria l'appello alla chiusura dell'area a caldo della
Ferriera. A farsi interprete di tale esigenza è stato ieri Cristoph Angermayer,
ingegnere che opera per conto della Voestalpine Ag, nell'ambito dell'impianto
siderurgico di Linz, dov'è stato effettuato un intervento di risanamento
ambientale. «L'operazione - ha detto parlando nel corso della conferenza
dibattito organizzata dal M5S - si è resa necessaria per tutelare i residenti
che vivono accanto ad uno stabilimento capace di produrre cinque milioni e mezzo
di tonnellate di ghisa, perché non è possibile che la persone che vivono vicino
all'acciaieria subiscano danni alla salute. Con l'intervento - ha aggiunto -
abbiamo messo in sicurezza l'intera area». C'e un solo problema: il
completamento dell'opera ha richiesto investimenti pari a un miliardo e 700
milioni di euro nell'arco di dieci anni. Una cifra che probabilmente per Servola
sarà difficile trovare. «L'area a caldo va chiusa perché non rappresenta il
futuro di Trieste - ha ribadito il consigliere regionale Andrea Ussai -perciò ci
siamo mobilitati in forze. Un dato è sufficiente per delineare la situazione: la
distanza della cockeria dai primi condomini di Servola è inferiore a quella
delle centraline. Quanto ai lavoratori della Ferriera pensiamo alla loro
riqualificazione nel laminatoio, nella portualità e nella logistica. Soluzioni
che Serracchiani e Dipiazza - conclude - non hanno finora mai affrontato». «Sono
anni che ci battiamo spiegando che non è possibile far convivere residenti e
area a caldo - ha confermato Alda Sancin, del Comitato No Smog Trieste - e i
dati relativi alla diffusione del benzopirene e delle pm 10 lo stanno a
dimostrare».
(u.s.)
Malore a Trieste, grave la "iena" Toffa - L'inviata di
Italia 1 soccorsa nella hall dell'hotel Victoria. Prognosi riservata. In serata
il trasferimento in elicottero a Milano
TRIESTE - L'inviata d'assalto delle Iene Nadia Toffa si è sentita male ieri
mentre si trovava nella hall dell'hotel Victoria a Trieste. Immediati i
soccorsi. La conduttrice tv è stata ricoverata in Terapia intensiva
dell'ospedale di Cattinara in condizioni gravi. Nella tarda serata di ieri è
scattato poi il trasporto con elisoccorso all'ospedale San Raffaele di Milano.
Toffa, 39 anni, volto noto di Mediaset, si è sentita male intorno alle 13.45 di
ieri, mentre si trovava nella hall dell'albergo triestino in via Oriani. I
dipendenti dell'hotel hanno immediatamente allertato i soccorsi attraverso il
numero unico di emergenza. Nel giro di pochissimi minuti un'auto medicalizzata e
un'ambulanza sono giunte sul posto. La conduttrice è stata trovata dai sanitari
priva di coscienza e in condizioni gravi, ed è stata trasportata in estrema
emergenza a Cattinara a Trieste, dove è scattato il ricovero in Terapia
intensiva. Il primo bollettino medico diramato dall'AsuiTs parlava di prognosi
riservata per patologia cerebrale in fase di definizione. Nella tarda serata il
trasferimento all'ospedale San Raffaele di Milano, realizzato attraverso il
Servizio di elisoccorso del nosocomio milanese. L'atterraggio dell'elicottero è
avvenuto all'aeroporto di Ronchi dei Legionari intorno alle 21. Troppo
proibitive le condizioni della forte Bora che ha soffiato su Trieste per tutta
la giornata di ieri. Un'ambulanza del soccorso sanitario regionale Sores, ha
quindi preso a bordo l'equipe medica del San Raffaele giunta in elisoccorso,
effettuandone il trasporto all'ospedale di Cattinara. Preparata intanto per il
trasferimento la nota conduttrice televisiva, è stata poi portata d'urgenza fino
all'elicottero e imbarcata insieme all'equipe medica, alla volta dell'ospedale
lombardo San Raffaele. Il secondo bollettino medico dell'AsuiTs, diffuso in
tarda serata, ha dato conto dell'avvenuto trasferimento, e definito le
condizioni della conduttrice televisiva «stazionarie», seppur ancora gravi. La
notizia del malore della "Iena" ha fatto immediatamente il giro dei social,
innescando migliaia e migliaia di messaggi di auguri di buona guarigione. Tra i
primi ad arrivare anche il post dei colleghi delle Iene, che hanno lasciato
questo messaggio su Facebook dopo la notizia del malore che ha colpito la
conduttrice: «La nostra Nadia non è stata bene. Ci stiamo tutti prendendo cura
di lei. Vi terremo informati». Non sono al momento noti i motivi per i quali
Toffa si trovasse a Trieste, città alla quale in passato ha dedicato diversi
servizi televisivi, soprattutto in merito allo stabilimento siderurgico della
Ferriera di Servola. Centinaia e centinaia di tweet, tra personaggi noti e non.
Nicola Savino, che con Nadia Toffa e Giulio Golia condivide la conduzione della
domenica de Le Iene su Italia 1 ha twittato: «Forza collega mia bella, ti
aspetto».
Enrico Ferri
È diventata la paladina dei servolani schierata a
fianco degli anti-Ferriera
TRIESTE - Nadia Toffa è conosciuta a Trieste come paladina dei cittadini
contrari alla Ferriera di Servola, di cui si è fatta portavoce attraverso il suo
ruolo nello spettacolo Le Iene.Il suo primo servizio a Trieste sul tema è del
marzo 2014. Si intitola eloquentemente "L'altra Ilva" e introduce al pubblico
italiano, spesso ignaro, la questione della Ferriera. Lo fa prendendo una
posizione ben precisa: «Sono anni che si parla dei veleni dell'Ilva di Taranto e
dell'impatto sulla salute dei cittadini. Ma in Italia c'è un'altra città che
ogni giorno respira i fumi di un impianto siderurgico di cui praticamente
nessuno parla». In quel primo reportage Toffa interloquisce con i cittadini del
rione e con diversi protagonisti del dibattito sullo stabilimento: Maurizio
Fogar del Circolo Miani, Alda Sancin dell'associazione No Smog, Romano Pezzetta
di Servola Respira, e l'allora sindaco Roberto Cosolini con ha un battibecco
ormai celebre. La volta successiva, nell'ottobre 2015, Toffa torna a Trieste. Le
Iene vanno all'attacco della posizione della presidente regionale Debora
Serracchiani sulle politiche industriali in Fvg, e in particolare a Servola. I
cittadini raccontano alle telecamere che in quell'ultimo anno le condizioni di
vita sono ulteriormente peggiorate. Toffa intercetta poi Serracchiani, con cui
si verifica un altro faccia a faccia burrascoso. Una decina di giorni dopo Le
Iene trasmettono un altro servizio: questa volta è da dentro la Ferriera, dove
la troupe di Toffa è stata invitata dalla proprietà di Siderurgica triestina.
Toffa ci entra con Pezzetta, operaio per trent'anni all'interno dello
stabilimento. La visita però non finisce granché bene, poiché alla troupe non è
concesso di arrivare all'altoforno. Chiosa Toffa al termine del servizio: «Oh
noi ci avevamo provato, a dire la verità ci eravamo illusi. Al primo tentativo
il no è stato secco, evidentemente la volontà della Ferriera di fare chiarezza
non è sufficiente». Invita poi Serracchiani a visitare l'altoforno prima di
concedere l'Aia allo stabilimento. La visita successiva è del febbraio 2016.
Stavolta le elezioni sono imminenti. L'inviata delle Iene rivendica le promesse
di risolvere il problema della Ferriera entro il dicembre dell'anno precedente.
Davanti al microfono ancora una volta Debora Serracchiani, cui Toffa regala le
polveri della Ferriera, e il sindaco Roberto Cosolini, affiancato dall'assessore
all'ambiente Umberto Laureni. L'ultimo servizio è di pochi mesi fa: maggio 2017.
Il titolo è "I politici cambiano, l'altra Ilva resta". Sottotitolo: "Nonostante
le promesse in campagna elettorale del nuovo sindaco di Trieste la ferriera
continua a inquinare". Stavolta a doversi confrontare con la combattiva Iena è
il nuovo primo cittadino Roberto Dipiazza, che assicura che «questa volta è la
volta buona». Anche Serracchiani è di nuovo interpellata. La storia, si spera,
continua.
Giovanni Tomasin
Focus sulla ciclabile Muggia-Trieste - Incontro tra
sindaco e vertici Fiab Ulisse per accelerare la realizzazione dell'opera
MUGGIA - Fiab Muggia Ulisse torna a puntare l'attenzione sul progetto della
pista ciclabile di collegamento con Trieste, presentato qualche mese fa, con un
incontro previsto martedì con il sindaco Marzi. Obiettivo velocizzare l'iter per
creare nuovi percorsi a due ruote, attesi da molti appassionati di bici a
livello locale, ma anche dai tanti turisti che soprattutto d'estate attraversano
la provincia.«Muggia ha un'invidiabile collocazione geografica che la porta a
far parte di tre percorsi cicloturistici nazionali e europei - spiega Federico
Zadnich di FIAB Muggia Ulisse - è attraversata dalla ciclovia Adriatica,
Bicitalia n°6, inserita da alcuni mesi dal Ministero delle Infrastrutture nel
Sistema delle Ciclovie Turistiche Nazionali, dal percorso EuroVelo 8 che corre
lungo la costa mediterranea dalla Spagna alla Grecia e dalla ciclovia Parenzana
realizzata su di una ferrovia dismessa che collegava Trieste a Parenzo. Il
passaggio attraverso il territorio muggesano di questi itinerari potrebbe
portare sempre maggiori ricadute sociali ed economiche. Ma per farlo vanno
realizzate infrastrutture con standard europei e servizi di qualità». Sul tavolo
di discussione anche altre richieste, che vanno anche a beneficio di quella
mobilità eco sostenibile da sempre promossa da Fiab. «Riteniamo - prosegue
Zadnich - che vada realizzato al più presto un collegamento ciclabile da Trieste
al centro di Muggia che poi prosegua lungo il litorale muggesano fino al valico
di San Bartolomeo. E' inoltre urgente la creazione delle condizioni di sicurezza
stradale per i ragazzi che si muovono in bicicletta, a cominciare dai percorsi
verso le scuole e verso gli impianti sportivi come già deliberato nel novembre
del 2015 dall'amministrazione comunale. Oltre a queste priorità il documento
tecnico di FIAB che presenteremo conterrà la richiesta di attuazione di un Piano
Quadro della Mobilità ciclistica, la promozione della mobilità ciclistica
casa-lavoro, la mobilità e la continuità dei percorsi di Muggia Centro-Centro
Storico, la revisione e l'adeguamento dell'attuale segnaletica orizzontale e
verticale».
(m.b.)
COMUNICATO STAMPA - SABATO, 2 dicembre 2017
Isonzo fiume sempre più sacrificato!
Da molti anni ormai, a cadenza periodica, sui quotidiani locali appare la
proposta di realizzare un bacino di rifasamento sul fiume Isonzo a monte di
Gorizia. Ricordiamo che la realizzazione di tale bacino fu proposta per la prima
volta nell’ambito del trattato di Osimo, con lo scopo di rifasare i rilasci
discontinui provocati dalla centrale idroelettrica di Salcano. Da allora molta
acqua è passata sotto i ponti, è proprio il caso di dirlo: il clima è cambiato e
la normativa in materia ambientale è progredita. Basti pensare alla Direttiva
Europea 2000/60 sulla gestione delle acque e alla più recente Legge Regionale
11/2015 sulla difesa del suolo, che impongono di mantenere un buono stato
ecologico dei corpi idrici e, di conseguenza, un minimo deflusso vitale. Inoltre
l’Autorità di Bacino dell’alto Adriatico, in collaborazione con la Regione, nel
2012 ha avviato un laboratorio, in cui sono stati coinvolti tutti i portatori di
interesse, proprio per discutere sulla fattibilità della diga di rifasamento.
Praticamente tutti i portatori di interesse si sono espressi negativamente, in
quanto la nuova diga avrebbe un costo eccessivo e stravolgerebbe il corso
d’acqua dal confine con la Slovenia a Gorizia, e quindi sono state formulate
proposte alternative. In tale contesto il comitato “Salviamo l’Isonzo” sta
portando avanti una petizione europea con l’obiettivo di coinvolgere le
Istituzioni dell’Unione Europea affinché si riesca ad imporre rilasci meno
discontinui da parte dei gestori della traversa di Salcano. Siamo convinti che i
cambiamenti climatici ci costringeranno a una ridefinizione delle risorse
idriche necessarie all’agricoltura, ma è importante prima ricordare alcuni
numeri. A valle del ponte VIII agosto vengono prelevati 26 mq/s di acqua dei
quali solo 6 vengono utilizzati dall’agro cormonese-gradiscano a fine agricolo,
mentre il canale De Dottori a Sagrado preleva 21 mq/s di acqua dei quali solo
8,5 vengono utilizzati dall’agro monfalconese. Il resto serve alla produzione di
energia idroelettrica. La portata minima rilasciabile dalla traversa di Salcano
è di 12,5mq/s quindi per ora il problema si pone solo per gli utilizzi
idroelettrici e soprattutto per il deflusso minimo vitale dell’Isonzo. Ma in un
domani più o meno prossimo forse l’Isonzo non sarà più in grado di garantire
l’acqua nemmeno per l’agricoltura, per cui sarà necessario rivedere le tecniche
irrigue, favorendo quelle più efficienti come l’irrigazione a goccia, e
limitarsi a coltivare piante meno idro-esigenti.
È importante infine sottolineare come sia fondamentale porre come primo
obiettivo il miglioramento dello stato ecologico del fiume Isonzo. Solo un corso
d’acqua in salute sarà in grado di fornire beni e servizi preziosi per la nostra
comunità nel lungo periodo.
Associazione Ambientalista Eugenio Rosmann, Associazione Fiume Isonzo,
Legambiente Gorizia, Legambiente Monfalcone.
IL PICCOLO - SABATO, 2 dicembre 2017
Fondi dalla Regione per i treni veloci verso Roma e
Milano - Con la prenotazione di 3,1 milioni la giunta proroga di un anno la
convenzione con Trenitalia. Carburanti, sconti fino a marzo
UDINE - La Regione conferma il suo impegno per i collegamenti veloci via
treno direzione Roma e Milano. La giunta Serracchiani delibera infatti una
prenotazione di fondi per 3,1 milioni di euro che consentirà di prorogare di un
anno la convenzione Regione-Trenitalia, nel rispetto della norma che autorizza
l'amministrazione a sostenere gli oneri del miglioramento del servizio
passeggeri di lunga percorrenza da Trieste e Udine. Con il finanziamento la
Regione continua a coprire di fatto i costi per 8 collegamenti delle Frecce,
andata a ritorno, verso le due principali città italiane. «In questi anni sono
stati effettuati molti interventi - commenta l'assessore ai Trasporti
Mariagrazia Santoro -, non solo sui contratti ma anche sulle infrastrutture e in
particolare sul miglioramento delle linee». L'ultima buona notizia è che dal 10
dicembre, data in cui entrerà in vigore l'orario invernale di Trenitalia (una
fotocopia di quello in vigore), verrà riattivato il collegamento della tratta
Sacile-Maniago che il prossimo anno sarà completata fino a Gemona. Nella seduta
di ieri l'esecutivo è intervenuto pure su un secondo fronte ferroviario. Sempre
su proposta di Santoro, uno stanziamento di 3,92 milioni di euro consentirà
l'estensione per tutto il 2018 dei servizi ferroviari affidati alle Ferrovie
Udine Cividale. Nel dettaglio, il finanziamento è ripartito in 1,5 milioni per i
servizi ferroviari transfrontalieri relativi al progetto MiCoTra di collegamento
tra Udine e Villaco e in 2,42 milioni per i servizi sulla linea Udine-Cividale
del Friuli. In particolare il MiCoTra, sottolinea ancora l'assessore, «è una
sigla che ormai per tutti corrisponde al treno delle biciclette e che alimenta
l'utilizzo della ciclovia Alpe Adria, la nostra più grande infrastruttura di
mobilità ciclabile tra l'Austria e il Friuli Venezia Giulia». Proprio
nell'ottica di potenziare l'interscambio treno-bici, Fuc ha presentato e vinto
un progetto europeo che consentirà di prolungare il servizio fino a Trieste.
Un'altra conferma riguarda lo sconto ai residenti per l'acquisto di benzina e
gasolio. Su proposta dell'assessore all'Energia Sara Vito, la giunta ha
prorogato fino al 31 marzo del 2018 gli incentivi sul carburante per
autotrazione, confermando il contributo. Si va dai 9 (gasolio) ai 14 (benzina)
centesimi in zona 2 ai 14 e 21 centesimi in zona 1. Su indicazione
dell'assessore alla Cultura Gianni Torrenti la giunta ha quindi approvato
l'inserimento in Finanziaria dell'esercizio del diritto di prelazione
sull'acquisto di una proprietà immobiliare aquileiese, giudicata di interesse
culturale dalla Fondazione Aquileia, del valore di 75mila euro, posta in vendita
dal ministero dei Beni e delle Attività culturali. «L'operazione - spiega
Torrenti - riveste rilevanza strategica nella programmazione degli interventi
previsti nel complesso archeologico, consentendo così di valorizzare e rendere
fruibile al pubblico una zona di interesse culturale ancora inesplorata».
Marco Ballico
Capodistria-Divaccia - pronti 800 milioni per il
secondo binario - La Commissione Ue approva un ulteriore finanziamento - Lavori
frenati da un ricorso, dovrà pronunciarsi l'Alta Corte
LUBIANA - Dopo tante polemiche e un referendum, vinto da chi il secondo
binario sulla linea ferroviaria Capodistria-Divaccia vuole costruirlo (leggi
governo Cerar), l'importante opera è vicina a partire. La Commissione europea ha
appena stanziato un finanziamento di 109 milioni di euro portando così i
finanziamenti comunitari per l'infrastruttura a quota 234 milioni di euro, somma
sufficiente per costruire gallerie per complessivi 16,7 chilometri comprese le
opere sussidiarie. Resta ancora da superare però, a livello
burocratico-legislativo, l'istanza presentata contro la nascita della società
2TDK - che dovrà per l'appunto realizzare l'opera - all'Alta corte da Vili
Kovacic, il leader del movimento civile "Noi che paghiamo le tasse non ci
arrendiamo". Facendo un po' di conti, come riporta il quotidiano Delo di
Lubiana, il governo sloveno avrebbe ora a disposizione 800 milioni di euro per
una infrastruttura che costerà fra gli 1,2 e gli 1,4 miliardi di euro.
Complessivamente, finora, dall'Europa sono arrivati 233,5 milioni; altri 200
milioni li ha messi a bilancio il governo della Slovenia; 300 milioni giungono
dal credito ottenuto dalla Banca europea per gli investimenti (Bei); ulteriori
200 milioni giungeranno dal governo ungherese mentre 54 milioni sono già stati
utilizzati.«Questo è un progetto che porta valore aggiunto all'intera Unione
europea - ha affermato il commissario Ue ai Trasporti, Violeta Bulc - e non solo
all'imprenditoria slovena, è un progetto che facilita la mobilità con basse
emissioni che creerà posti di lavoro e farà crescere l'economia». La
comunicazione per i bandi per i lavori di realizzazione sarà emessa nell'estate
del 2018, ha spiegato il sottosegretario delegato all'opera, Jure Leben,
aggiungendo che i ritardi fin qui accumulati per la realizzazione del secondo
binario sono dovuti soltanto all'ostilità riscontrata in Slovenia di parte
dell'opinione pubblica e della classe politica. «Mentre il progetto viene
seguito, finanziato e approvato da Bruxelles - ha detto - a causa di alcune
contrarietà in patria restiamo ancora fermi».Il direttore generale della 2TDK ha
infine spiegato che il progetto ha ricevuto un'ottima valutazione a Bruxelles
sia per la sua razionalità finanziaria che per gli aspetti tecnico realizzativi
dell'opera.
Mauro Manzin
«Un punto franco nell'area della Ferriera» - Confetra
Fvg: più facile un'eventuale riconversione parziale. Maneschi: tutelare il
lavoro
TRIESTE - Adibire una parte della Ferriera a punto franco, per facilitarne
la riconversione in un luogo di stoccaggio di materiali. È una delle idee emerse
dall'incontro "Con o senza Ferriera. Quali vantaggi per il porto?", organizzato
ieri a Trieste da Adriatic Sea Network. Sono intervenuti il presidente di Italia
Marittima Pierluigi Maneschi; il presidente di Confetra Fvg Stefano Visintin; il
presidente dell'Interporto di Trieste Giacomo Borruso e Vittorio Petrucco,
membro del Cda della piattaforma logistica di Trieste. A moderare il dibattito,
il senatore Lorenzo Battista (Articolo 1-Mdp).«L'aumento dei traffici portuali e
quello della produzione siderurgica - ha detto Visintin - sono compatibili.
Prima di parlare di chiudere la Siderurgica bisogna però considerarne i
risultati. Nel caso la Ferriera non aumentasse la produzione, allora saremmo
pronti a riconvertire una parte dello stabilimento». È a questo punto che si è
iniziata a prospettare l'eventualità di adibire a zona franca parte dell'area:
«In quel caso la banchina della Ferriera si potrebbe riutilizzare per lo
stoccaggio ma al momento è fuori dal punto franco», ha aggiunto Visintin. Il
presidente di Italia marittima ha dichiarato: «Industria e abitazioni civili
sono incompatibili ma l'industria è stata fatta prima. Bisogna trovare una
soluzione al problema ambientale in grado di salvaguardare il lavoro». E
riguardo alla possibilità di riconvertire l'area del laminatoio in deposito: «Si
potrebbe - ha aggiunto Maneschi - fare modernizzando il porto. Mancano banchine
in grado di reggere un flusso di merci sufficiente per creare posti di lavoro
capaci di riassorbire tutti i lavoratori della ferriera». Borruso si è detto
favorevole all'ipotesi che una parte dell'area della Ferriera sia riconvertita
in punto franco: «Il Porto è l'unica realtà in così forte crescita negli ultimi
anni». Riguardo una possibile collaborazione tra Interporto e Ferriera, sul
modello di quanto avviene con Wärtsilä, ha commentato: «Il passaggio non è
altrettanto automatico tuttavia si può immaginare, all'interno dell'area della
Ferriera, la riconversione di un terminale in area di attività logistica, dove
tenere carbone e materiali simili». Petrucco ha aggiornato sullo stato dei
lavori alla piattaforma logistica: «Saranno creati circa 200 posti di lavoro
entro giugno 2019. La sua specificità sarà una cassa di colmata per contenere i
futuri dragaggi del porto. Puntiamo a un collegamento diretto con la grande
viabilità, spostando la ferrovia e creando uno spazio da adibire a verde
pubblico nella zona di via Svevo».
Lilli Goriup
Marangoni e strolaghe da "vicino" - Escursione promossa
dal Wwf alla scoperta dell'avifauna locale
Alla scoperta dell'avifauna costiera. Domenica, all'interno della Riserva di
Miramare e della Costiera, lungo il confine terrestre dell'Area marina protetta,
si terrà una passeggiata dal titolo "Avifauna costiera, storie di vita e anelli
colorati". L'escursione fornirà l'occasione per osservare l'avifauna presente e
scoprire la storia di alcuni esemplari tra quelli marcati e tra i più assidui
frequentatori dell'Oasi del Wwf. L'utilizzo della marcatura con anelli colorati
e della telemetria ha permesso di fare luce sulla storia di questi migratori a
corto raggio, affascinante e fino a poco tempo fa per certi versi "misteriosa".
In questo periodo c'è molto movimento: c'è chi arriva, cioè le specie svernanti
come svassi e strolaghe, e chi è pronto a migrare a sud, come il marangone dal
ciuffo, in procinto di volare in Istria meridionale e Dalmazia per nidificare.
In anticipo rispetto alla maggior parte delle specie, attive solitamente da
marzo, questi eleganti uccelli mostrano già un bel ciuffo sulla fronte. «Potremo
vedere - spiega l'ornitologo Paolo Utmar - i marangoni dal ciuffo nei loro abiti
più belli e mentre sono più attivi e nella fase di corteggiamento. I marangoni
infatti nidificano d'inverno e questi sono gli unici mesi in cui da noi si
possono vedere questi uccelli in abito nuziale, poi infatti si spostano e quando
tornano a maggio sono senza ciuffo. Se avremo fortuna, vedremo alcuni
comportamenti tipici del corteggiamento. Essendo prevista bora, domenica forse
vedremo anche delle strolaghe, che vengono dalla tundra artica». La
partecipazione è gratuita, ritrovo alle 9.45 davanti alla caserma dei
carabinieri di Miramare. È consigliato portare il binocolo.
(g.t.)
IL PICCOLO - VENERDI', 1 dicembre 2017
Amianto in porto, maxirisarcimento bis. Nuova condanna a carico dell’Authority: dovrà sborsare 700mila euro ai familiari di un ex dipendente morto all’età di 64 anni
Un altro maxi risarcimento per amianto a carico dell’Autorità portuale. L’ente dovrà pagare ben 700 mila euro agli eredi di un ex dipendente deceduto quattro anni fa dopo una vita trascorsa a movimentare il pericoloso materiale nelle banchine, nei magazzini e nelle officine dello scalo. Solo un mese e mezzo fa l’Authority aveva perso una causa analoga, con altrettanti soldi. La nuova sentenza è stata appena pronunciata dal Tribunale (Sezione civile-controversie di lavoro), dopo un processo lampo cominciato a febbraio dell’anno scorso. Il caso riguarda il triestino Luigi Simoni morto nel dicembre 2013 all’età di sessantaquattro anni. L’uomo aveva lavorato in porto, a stretto contatto con l’amianto, dal 1973 al 1997. I sintomi del mesotelioma sono sorti nel 2012, dopo trentanove anni dalla prima esposizione con le fibre. È grosso modo il periodo medio di incubazione della malattia. La cifra stabilita della magistratura va a favore della famiglia, tutelata dall’avvocato Fulvio Vida: la vedova, le due figlie e i due nipoti. Come accertato durante le udienze, appena assunto l’ex dipendente aveva fatto il “pesatore” nelle operazioni di carico-scarico dei sacchi di amianto accatastati nelle navi e nei magazzini. Attività che si è prolungata per sette anni. Poi è passato a un incarico tecnico per la riparazione dei mezzi pesanti. In entrambe le circostanze il portuale, come tanti altri colleghi di quell’epoca, non utilizzava alcun tipo di dispositivo di protezione. La polvere di amianto, visibile dappertutto, veniva inalata soprattutto durante la movimentazione delle merci. Ma anche le mansioni in officina erano rischiose: in quel reparto, che era peraltro situato nei settori operativi in cui si manipolava il materiale, l’ex operaio doveva spesso utilizzare l’asbesto per la manutenzione dei macchinari. «In concreto - si legge negli atti processuali - rientrava nei compiti del reparto la frequentissima manutenzione degli impianti di frenatura dei mezzi pesanti impegnati per la movimentazione». Il riferimento è ai carrelli sollevatori, alle autogru e ad altri dispositivi normalmente utilizzati in porto. «Era pratica abituale - viene precisato ancora - procedere alla sostituzione dei ferodi (materiale con cui si rivestono frizioni, freni e innesti di autoveicoli, ndr) mediante aggiustatura di elementi di asbesto grossolanamente prestampati che venivano torniti e traforati in officina a seconda del vario utilizzo». Un lavoro che comportava la diffusione delle fibre di amianto, che galleggiavano letteralmente nell’aria, sopratutto quando si trattava di pulire pavimenti e banconi. O, ancora, quando si usava l’aria compressa per togliere la pericolosa polvere dagli abiti che il personale indossava. Tutto ciò, pure in questo caso, avveniva senza protezione alcuna. Ma le fibre si sollevavano anche quando i tecnici dovevano cospargere di isolante i giganteschi scarichi delle macchine operatrici. Pure quello conteneva tracce di asbesto. Prima di mettersi all’opera era però necessario rimuovere le parti esauste, con tanto di flex. Un lavoro, anche questo, che faceva diffondere le fibre negli ambienti. Tutta roba che gli operai si trovavano a inalare ogni giorno. «Durante dette operazioni - si puntualizza nel dispositivo processuale - la presenza di Simoni stante le sue funzioni, era abituale. Come abituale era la sua permanenza negli ambienti contaminati, tenuto conto che nell’officina motoristi dell’Eapt (l’allora Ente porto, ndr) non esistevano ambienti separati e isolati dalla diffusione delle fibre». Fatti emersi dalle deposizioni dei testimoni sentiti durante le udienze. Nulla di diverso rispetto a molti altri casi simili avvenuti in quegli anni, alcuni dei quali già piombati nelle aule di tribunale e in corso di giudizio.
Gianpaolo Sarti
D'Agostino chiede il supporto dello Stato - «Non può
essere la singola amministrazione a pagare le conseguenze di responsabilità del
passato»
La seconda sentenza di risarcimento nel giro di un mese e mezzo, con somme
prima di 645mila euro e ora di 700mila, costringe l'Autorità portuale a correre
ai ripari. Tanto più dinnanzi alle future cause che nei prossimi mesi potrebbero
arrivare a giudizio. Zeno D'Agostino, presidente dell'Autorità di Sistema
Portuale del Mare Adriatico Orientale, chiederà sostegno allo Stato. «Ogni causa
ha una storia - premette il numero uno dell'Authority - quindi non si può dare
un giudizio generale sul problema. Certo, è chiaro che è una questione
importante di cui bisogna prendere atto e farsene carico, ma dal punto di vista
economico può diventare un onere pesante per i nostri bilanci. Ritengo sia utile
che si faccia un ragionamento nazionale su questi temi. Non può essere la
singola Autorità portuale ad assumersi l'impegno di spesa su responsabilità che
risalgono a decenni fa. Le cause vanno come devono andare, ma da parte nostra -
aggiunge D'Agostino - è probabile che chiederemo un intervento nazionale per
capire se in qualche modo lo Stato si può assumere la responsabilità e, ripeto,
non la singola Autorità. L'ultima tegola risale a metà ottobre: l'Autorità
portuale di Trieste era stata condannata a sborsare 645 mila euro per risarcire
la famiglia di una vittima di amianto. È Gino Gruber, nato nel '44 e morto nel
2015 a 71 anni per mesotelioma. La sentenza pronunciata dal Giudice del lavoro
del Tribunale di Trieste è ritenuta "storica" dagli addetti ai lavori perché per
la prima volta nel capoluogo giuliano e la seconda in Italia (l'unico precedente
riguarda Venezia), è stata accertata la precisa responsabilità dell'allora Ente
porto su un ex dipendente di una compagnia portuale. Fino a quel momento era
accaduto solo per chi in passato è stato al servizio diretto dell'Authority. Un
caso che potrebbe fare da apripista per decine di altre vicende analoghe, cioè
persone colpite dalla stessa patologia. E per chissà quante altre in futuro.
Anche perché l'incubazione, come purtroppo noto, ha un periodo di almeno
trent'anni. La vicenda su cui a ottobre si era espresso in primo grado il
Tribunale di Trieste risale infatti a parecchio tempo fa, tra il '65 e il '90,
quando Gruber era socio-lavoratore della Compagnia portuale Terra, una
cooperativa che forniva allo scalo manodopera in appalto.
(g.s.)
Zagabria ci ripensa - Fianona 1 operativa ancora per
vent'anni - La Croazia vuole sfruttare al massimo gli impianti disponibili - Gli
ambientalisti: «Stop ai devastanti effetti sulla salute»
ALBONA - Sta avendo l'effetto di un fulmine a ciel sereno la notizia sul
prolungamento di altri 20 anni del funzionamento della vecchia centrale
termoelettrica a carbone Fianona 1 che si sarebbe dovuta chiudere per sempre
entro il 31 dicembre di quest'anno. A dire il vero al momento questa è solo la
proposta della HEP, l'azienda elettrica di Stato, sulla quale si dovrà
pronunciare il ministero per l'Ambiente e l'energetica. Comunque appare scontato
che i due enti stiano agendo di comune accordo e che alla fine il governo dirà
sì. La motivazione di tale mossa va ricercata nel fatto che al cospetto della
crescente domanda di energia elettrica sul mercato, il contestatissimo progetto
della centrale a carbone Fianona 3 sembra essere stato definitivamente cestinato
poiché in netta controtendenza con le sempre più rigorose direttive
antinquinamento in Europa. Quindi, così il ragionamento di Zagabria, è
necessario sfruttare al massimo gli impianti disponibili onde non incrementare
l'importazione di energia elettrica che già ora è pari a 400-500 milioni di euro
all'anno. Ecco dunque l'idea di mantenere in vita per altri due decenni la
Fianona 1 della potenza di 120 MW, entrata in funzione nel 1969, da anni
considerata una caffettiera fumante, estremamente inquinante. Per continuare a
funzionare dovrà adeguarsi alle norme comunitarie contro l'inquinamento, così
come di recente fatto per la Fianona 2 costruita nell'anno 2.000. In altre
parole si rende necessario installare il sistema Denox incaricato di rimuovere
gli ossidi di azoto dalle emissioni della ciminiera nell'atmosfera, basandosi
sulla tecnica della riduzione catalitica selettiva. Il costo dell'intervento
fatto sulla Fianona 2 inclusa la sostituzione della turbina è stato di 27
milioni di euro. Alla notizia arrivata da Zagabria ha subito reagito
l'associazione ambientalista Istria verde ricordando dalla sua entrata in
funzione a questa parte, la Fianona 1 ha avuto devastanti effetti sull'ambiente
e sulla salute degli abitanti dell'area. «Nel 2011 - spiega Istria verde - nello
studio d'impatto ambientale della nuova Fianona 3, la Fianona 1 era stata
giudicata obsoleta per cui si annunciava il suo smantellamento. E nel 2014 il
governo croato aveva disposto la sua definitiva chiusura se entro l'1 gennaio
del 2018 non venisse adeguata ai nuovi standard ecologici all'interno dell'Ue».
(p.r.)
CHERSO - Centrale solare che servirà 1.500 famiglie ad
Aquilonia
Probabilmente l'anno prossimo comincerà la realizzazione di uno dei più
grandi progetti infrastrutturali nell'arcipelago di Cherso e Lussino. È la
centrale solare di Aquilonia (Orlez), sull'isola di Cherso, che si estenderà su
una superficie di 17 ettari, con l'altezza dei pannelli che non supererà i 3
metri, adeguandosi dunque all'ambiente. Il progetto è stato illustrato agli
abitanti di Aquilonia (il maggiore abitato dell'interno dell'isola) da esperti
dell'istituto regionale per l'Assetto territoriale, i quali hanno precisato che
l'impianto sarà concordato con l'Agenzia regionale per l'energia Quarnero. La
centrale avrà una potenza di 6,5 MW e produrrà annualmente sugli 8 milioni e
mezzo di chilowattore. A detta degli esperti una simile produzione servirà al
fabbisogno di circa 1.500 nuclei familiari di Cherso e Lussino. Il sito di
Aquilonia era stato scelto anni fa e inserito nel Piano regolatore della Regione
quarnerino-montana nel 2013. Nel 2018 è previsto l'ottenimento della licenza per
l'uso della superficie, dopo di che dovrebbero partire i lavori di costruzione.
(a.m.)
Parco commerciale in Fiera - Spunta la grana
burocratica - Il progetto dell'austriaca Mid non combacia con piano regolatore e
del commercio
La giunta: «Già avviato l'iter di modifica». Ma servirà pure il via
libera della Regione
Sarà più tortuosa del previsto la nascita del grande centro commerciale che
l'acquirente austriaco del comprensorio dell'ex Fiera intende realizzare davanti
all'ippodromo. Per poterlo costruire, infatti, bisognerà modificare sia il piano
regolatore che il piano del commercio, dovendo ottenere per quest'ultimo anche
il via libera della Regione. La voce gira da tempo tra gli addetti ai lavori, e
viene ora confermata anche dal Comune. La società austriaca Mid ha acquistato
all'asta l'area nella primavera scorsa, e la proprietà è ora in mano alla
filiale italiana con sede a Bolzano. È delle settimane scorse l'annuncio che al
posto dell'ex fiera sorgerà un grande centro commerciale, un investimento da
circa 70 milioni di euro. Peccato che il piano regolatore parli chiaro. Le
destinazioni d'uso ammesse sono le seguenti: «Residenziale minimo 30&, massimo
60% del volume. Servizi e attrezzature collettive. Direzionale. Commerciale al
dettaglio. Artigianale di servizi (attività compatibili con la residenza).
Alberghiera. Parcheggi e autorimesse». Di residenziale, però, negli annunci
della società, non c'è ombra. Ciononostante la giunta comunale è ottimista. Nei
giorni scorsi ha approvato un'indicazione agli uffici (prodotta dagli assessori
al commercio e all'urbanistica Lorenzo Giorgi e Luisa Polli) per predisporre le
linee guida di una variante ai due piani. Spiega Polli: «La società ci chiede la
disponibilità di circa 15mila metri quadrati di superficie commerciale, su un
totale di 440mila ancora disponibile per il territorio di Trieste. In cambio
provvederanno, senza oneri per il Comune, a realizzare un giardino pubblico
interno, moltissimi parcheggi, oltre a riqualificare piazzale de Gasperi e la
viabilità interna». La rinuncia al residenziale, prosegue, «evita di influire
negativamente sul recupero del patrimoni esistente, per noi la soluzione
preferibile». La trafila che seguirà, però, è in parte tecnica e in parte
politica. La palla ora è passata agli uffici che dovranno produrre la variante.
Questa dovrà poi passare in giunta (che si è già dimostrata propensa a
procedere) e seguire il consueto iter di questi documenti: osservazioni da parte
dei cittadini e vaglio da parte del consiglio comunale. Nel caso del piano del
commercio, precisa Polli, sarà necessario anche il via libera della Regione: «La
giunta regionale potrà approvare la variante così com'è, oppure richiedere delle
ulteriori modifiche. Va detto che di solito il passaggio si svolge senza
intoppi», spiega Polli. È lecito chiedersi, a questo punto, quali saranno le
tempistiche per la conclusione dell'iter. Anche perché c'è in ballo un progetto
che interesserà un'area ampia della città e, almeno sulla carta, dovrebbe dare
lavoro a centinaia di edili.«Entro l'anno contiamo di aver pronta la delibera -
dice Polli - per arrivare all'adozione in primavera. Fermo restando che non
tutto il progetto è soggetto alla variante, sicché intanto il proprietario può
partire con quella parte del cantiere». La società Mid è specializzata nella
realizzazione e nella vendita di centri commerciali. Ha già costruito i Qlandia
di Nova Gorica e Maribor, oltre a condurre operazioni analoghe in altri paesi
dell'Europa centrale. Gli austriaci sono stati gli unici a partecipare all'asta
dell'aprile scorso per l'area della Fiera, risultando vincitori il 10 aprile.
Sul piatto hanno messo un gruzzolo di 12 milioni di euro, circa due in più
rispetto alla base d'asta. Da allora alla conclusione del rogito, effettuata il
12 settembre scorso, sono passati diversi mesi. È lecito supporre che lo iato
fra la destinazione prevista dal piano regolatore e le intenzioni della società
abbia indotto ad attente valutazioni.
Giovanni Tomasin
La sfida Ferriera secondo il M5S - Domani all'Ariston
il dibattito su ambiente, lavoro e stabilimento di Servola
Obiettivo dichiarato: far chiudere l'area a caldo della Ferriera di Servola.
Sono stati molto espliciti ieri i numerosi esponenti del Movimento 5 Stelle che
hanno presentato la conferenza dibattito in programma domani, a partire dalle
8.45, al cinema Ariston, nel corso della quale, alla presenza di due ingegneri
esperti in materia e di referenti dell'associazione NoSmog, si discuterà delle
misure da adottare per evitare che «l'area a caldo continui a inquinare e
danneggiare l'ambiente di tutto il golfo di Trieste». «La nostra linea - ha
detto il consigliere regionale M5S Andrea Ussai - prevede che si vada oltre
l'area a caldo. I lavori di bonifica e l'intervento della Regione non hanno
finora prodotto risultati. Domani - ha aggiunto - cercheremo di fare un
ragionamento complessivo che coniughi lo sviluppo economico della città e la
tutela della salute». Ilaria Dal Zovo, a sua volta in carica in Consiglio
regionale, ha ricordato che «come M5S abbiamo allestito un calendario di date
per parlare, in tutta la Regione, di vari temi. A Trieste partiamo con
l'ambiente e spiegheremo cosa abbiamo fatto finora, ma vogliamo anche
confrontarci con i cittadini e gli esperti del tema. Vogliamo far sapere quali
sono i problemi e le criticità individuate - ha proseguito - ma anche presentare
le nostre soluzioni in merito». La collega Eleonora Frattolin ha parlato di
«utilità di una mobilitazione dell'opinione pubblica, affinché si faccia
pressione sui pubblici amministratori». Cristina Bertoni, che rappresenta il M5S
in Consiglio comunale a Trieste, ha detto che «all'Ariston riproporremo il tema
della tutela ambientale, perché le emissioni di sostanze nocive sono aumentate a
dismisura. Il bisogno di lavorare è forte ovunque, ma stiamo cercando di capire
come far convivere questa necessità con quella della salute delle persone».
Paolo Menis, anch'egli consigliere a Trieste, ha detto che «destra e sinistra
non hanno risolto il problema Ferriera, cercheremo di farlo noi, che siamo
l'unica forza politica che può tentare di fare qualcosa».
Ugo Salvini
Incontro - Comunicare il cambiamento climatico
Il Centro Ukmar "Miro" di Domio ospiterà oggi alle 20 l'incontro "Comunicare il cambiamento climatico", promosso da Comune di San Dorligo e Legambiente. Partecipa il rettore Maurizio Fermeglia.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 30 novembre 2017
SEGNALAZIONI - SERVOLA - Gli odori del depuratore
Il giorno 23 mi trovavo a transitare col bus 8 verso le 19 diretto a Servola vicino ai depuratori dei liquami, in pochi secondi l'aria nel bus è diventata insostenibile (almeno per me) al punto di dovermi tappare il naso col fazzoletto causa l'odore di prodotti chimici adoperati. Ciò che mi ha lasciato a dir poco sconcertato è il fatto che per la gente che c'era sul bus (scesa poi quasi tutta in via Pitacco di fronte alla Ferriera) era come se niente fosse, respirava normalmente. Ora io capisco la mia forte sensibilità al problema odori specie quelli non naturali, ma non vedere nessuno che si lamentasse o si tappasse il naso mi ha fatto capire quanto quella povera gente sia straintossicata dalla Ferriera che dal depuratore. Inviterei qualche esponente politico o sanitario a provare l'aria che ho respirato io, si renderanno conto che i soldi che si spenderanno in futuro per cercare di guarire almeno in parte migliaia di concittadini saranno talmente tanti da costruire un'altra Ferriera ex novo con annesso depuratore dei liquami.
Silvio Stagni
SEGNALAZIONI - FERRIERA - Il superamento dell'area a caldo
Ritengo indispensabile, completare il mio pensiero riguardo quanto già espresso sui destini dei lavoratori della ferriera. Animato da buone intenzioni, da molti anni il sindaco Dipiazza si batte per la chiusura almeno della cosiddetta "area a caldo". Ma l'eco-mostro è un malato grave, che non si può curare con l'aspirina o un po' di antibiotico, ma bensì va accompagnato verso una dolce morte. Il gruppo Arvedi, oltre a un eccellente capitale umano, possiede un grande tesoro, che consiste nella concessione pluriennale di un'imponente area demaniale, posta a fronte mare, e dotata di moli per l'attracco di navi Una tale concessione, è di sicuro goloso interesse per un gran numero di imprenditori, con i quali Arvedi potrebbe associarsi per iniziare una nuova avventura non inquinante, portando ovviamente con sé un gran numero dei dipendenti attuali, una volta riqualificati. In questo lasso di tempo, dovrebbero intervenire degli ammortizzatori sociali a sostegno del reddito, mentre dovrebbe iniziare la dismissione delle infrastrutture, procedendo alla contestuale bonifica del terreno. Lavoro certamente lungo e complesso, al quale però, buona parte delle maestranze attuali potrebbe partecipare.
Vladimiro Marella
M5S - Conferenza-dibattito sulla Ferriera
"L'area a caldo della Ferriera non è il futuro di Trieste": è questo il titolo della conferenza-dibattito sull'impianto siderurgico di Servola che si terrà sabato 2 dicembre, dalle 8.45, al cinema Ariston in via Romolo Gessi 14. L'iniziativa verrà presentata alla stampa oggi, alle 13, negli uffici del Gruppo del M5S in Consiglio regionale (piazza Oberdan 6, terzo piano), dai consiglieri regionali del M5s e quelli comunali di Trieste e Muggia.
La campagna "Spreco Zero" festeggia il vignettista e
super testimonial Altan
C'è molta Trieste e molto Fvg nei premi "Vivere a spreco zero" consegnati a
Bologna martedì pomeriggio: li promuove Last Minute Market, fondato
dall'agroeconomista triestino Andrea Segrè, nell'ambito della campagna Spreco
Zero, e i testimonial degli ultimi anni sono stati Susanna Tamaro, Paolo Rumiz e
infine, per questa edizione, il cartoonist Francesco Tullio Altan, attivo ad
Aquileia, che dal 2010 illustra con le sue vignette le iniziative promosse in
chiave antispreco fra Bologna, l'Italia e l'Europa. Le prime due edizioni del
Premio si erano svolta proprio a Trieste, nell'ambito di Next, poi la
manifestazione ha fatto tappa due anni a Padova e quest'anno a Bologna. Altan
ieri ha annunciato che devolverà integralmente il gettone del premio (800 euro)
per il sostegno a una borsa di studio dell'Università di Udine finalizzata al
sostegno di una tesi per strategie di comunicazione dell'impegno contro lo
spreco alimentare, nell'ambito del progetto nazionale "Reduce".
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 29 novembre 2017
Muggia "allunga" la pista ciclabile fino alla Parenzana
- Via libera ai lavori per la nuova tratta tra il porto e il rio Ospo - Posta ad
hoc dalla Regione. Cantiere operativo in primavera
MUGGIA - Nuovo importante passo avanti per la realizzazione dell'itinerario
ciclabile di collegamento tra il porto di Muggia e la ciclovia Parenzana
Eurovelo 8. La giunta Marzi ha approvato il progetto di fattibilità
tecnico-economico dell'intervento che è stato finanziato grazie ad una posta ad
hoc inserita nell'assestamento di bilancio regionale. Fondamentale a tale
proposito l'emendamento presentato da alcuni consiglieri di maggioranza, con
l'esponente di Sel Giulio Lauri primo firmatario. Il cantiere che verrà aperto
entro la prossima primavera interesserà circa un chilometro del percorso che,
dall'approdo del Delfino Verde, arriva fino al collegamento con l'inizio della
Parenzana accanto al rio Ospo. Costo dell'operazione? Circa 75mila euro
stanziati appunto dalla Regione con un chiaro obiettivo: potenziare
ulteriormente il turismo ecosostenibile. La conferma arriva dal sindaco di
Muggia Laura Marzi: «Nel ringraziare la Regione non possiamo non constatare e
ribadire che il finanziamento giunto dall'amministrazione Serracchiani
costituisce di fatto un prezioso tassello per quel quadro che è la mobilità
sostenibile in cui la nostra amministrazione crede fermamente». Marzi ha poi
parlato di vero e proprio «appeal turistico» offerto dalle due ruote, mezzi
ecologici per eccellenza. La conferma arriva dal numero di cicloturisti che, nel
2016, hanno toccato quota 15 mila presenze. Muggia, insomma, pare essersi
guadagnata un posto di primo piano tra le località inserite nei circuiti del
cicloturismo regionale e non solo. Il potenziamento del collegamento con il
centro storico rivierasco è un'ulteriore conferma dell'importanza dell'Eurovelo,
ossia la rete ciclistica europea, che proprio in queste terre trova un incrocio
tra l'itinerario numero 8, la cosiddetta linea Est-Ovest che collega la Spagna
con la Grecia e l'itinerario numero 9, ossia la Nord-Sud, che collega la Polonia
con l'Istria croata. In termini più generali si evidenzia ancora una volta
l'importanza del turismo slow a Muggia. Sono passati infatti poco più di sei
mesi da quando la presidente della Regione Debora Serracchiani ha inaugurato
assieme a Laura Marzi il primo tratto della pista ciclabile sul lungomare tra
porto San Rocco e il confine con la Slovenia, nel lembo più meridionale del
territorio regionale. Nello specifico, con la somma di circa un milione di euro,
sono stati realizzati 600 metri tra punta Olmi e il molo a "T".A questo tratto,
che scorre lungo la Strada provinciale n.14, è già in progetto un ulteriore
allungamento di circa un chilometro. Tornando al tratto porto di
Muggia-Parenzana, l'itinerario ha ottenuto ora l'ok da parte della giunta Marzi
per il proprio progetto di fattibilità tecnico-economico. Accertato l'impegno di
spesa da parte del Comune, pari a circa 75 mila euro (di cui 56 mila euro a base
di gara), i lavori partiranno entro pochissimi mesi. L'obiettivo dichiarato dal
sindaco Laura Marzi è chiaro: entro l'inizio della prossima estate il nuovo
collegamento tra la ciclovia Parenzana Eurovelo 8 e il porto di Muggia sarà
pronto.
Riccardo Tosques
Il ritorno alla terra di nonni e bambini con Orto in
condotta
MUGGIA - Stagionalità, sementi, didattica all'aperto: sono alcune delle
parole chiave del progetto "Orto in condotta", frutto della convenzione tra
Comune di Muggia, istituto comprensivo "Lucio" e Slow Food. «Si tratta di uno
strumento utile per l'educazione ambientale, alimentare e del gusto e si può ben
integrare con le attività realizzate in questo ambito, a partire da quelle
legate al miglioramento del servizio mensa», racconta l'assessore alle Politiche
sociali Luca Gandini. A fronte di una spesa complessiva di 6 mila euro, il
progetto, rivolto alle scuole muggesane con lingua d'insegnamento italiano,
prevede, la creazione dell'Orto in condotta, un luogo dedito alla coltivazione
di alcuni prodotti. Due gli indicatori essenziali che l'orto dovrà rispettare:
la coltivazione dovrà seguire processi produttivi ecologici e le varietà
coltivate dovranno prevedere ortaggi del territorio, scelti in particolare tra
quelli catalogati nell'Arca del Gusto e nel progetto dei Presìdi Slow Food. Tra
gli obiettivi, ovviamente, anche favorire tra gli alunni la conoscenza dei
prodotti coltivati, mettendo a disposizione, ove possibile, cucina e personale
della mensa, locali e attrezzature del refettorio per la degustazione dei piatti
realizzati con i prodotti in questione, secondo quanto previsto dalla normativa
vigente. Anche in questa progettualità acquisisce dunque un ruolo significativo
il rapporto intergenerazionale, da anni al centro di diverse iniziative portate
avanti dal Comune di Muggia. In questo caso, in collaborazione con Slow Food e
l'Ic "Giovanni Lucio", sarà valorizzata la figura del "nonno-ortolano" che, in
qualità di esperto volontario, si occuperà della gestione ordinaria dell'orto e
si renderà disponibile almeno un giorno a settimana, nelle ore e nei modi
concordati con gli insegnanti, per le attività in aula e in giardino. «Non solo
i nonni, ma anche i genitori e l'intera comunità, insieme a studenti e
insegnanti, saranno gli attori del progetto, andando a costituire la cosiddetta
comunità dell'apprendimento per la trasmissione alle giovani generazioni dei
saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell'ambiente», ha
specificato Gandini. Il progetto prevede, infatti, anche l'elaborazione di una
didattica e un programma pluridisciplinare per l'educazione alimentare collegata
all'Orto in condotta e in tal senso è prevista pure l'organizzazione di un corso
di aggiornamento, rivolto agli insegnanti, inerente l'educazione ambientale,
alimentare, sensoriale e del gusto, gestione dell'orto e progettazione didattica
delle attività in aula e all'aperto. «L'obiettivo è quello di sviluppare nei
bambini, negli insegnanti e nelle famiglie una sensibilità verso una corretta
alimentazione, un approccio rispettoso all'ambiente, basandosi in modo
significativo sull'attivazione di una rete di comunità», ha aggiunto Gandini. Le
scuole saranno peraltro anche inserite nella rete degli orti scolastici Slow
Food, favorendo gli scambi nazionali e internazionali di esperienze. In questa
fase organizzativa rimane ora l'individuazione dell'area destinata ad ospitare
il progetto e le classi coinvolte in modo da poter iniziare i lavori ad inizio
2018.
(r.t.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 28 novembre 2017
Studio, sport e teatri - Trieste al sesto posto per
qualità della vita - Quattro posizioni scalate in un anno e primato Fvg - Le
note dolenti: i reati, la sicurezza e la demografia
A Trieste si vive bene per tanti motivi. Perché è la prima città per numero
di start up e perché si fa tanta attività fisica. La cultura la fa da padrona,
con un buon background di studio per gli over 25. Buone novelle giungono dunque,
poiché il capoluogo giuliano si piazza al sesto posto della classifica sulla
Qualità della vita curata dal Sole 24 Ore, che misura il benessere economico e
sociale delle 110 province italiane. Non mancano però le note dolenti che
emergono dalle graduatorie specifiche su giustizia e sicurezza e sul divario
percentuale fra popolazione anziana e giovanissimi. Tuttavia ItaliaOggi domenica
collocava Trieste in tutt'altra posizione, al 70° posto, spiazzando un po' gli
amanti delle statistiche e mettendo contro destra e sinistra triestine. Litigi a
parte, Trieste guadagna quattro posti rispetto al 2016 e si avvicina con
celerità al podio, che per ora è occupato da Belluno, Aosta e Sondrio. Seguono
Bolzano e Trento. Una sfilza di località tutte al Nord (per vedere la prima
provincia del Sud e Isole bisogna scendere fino al 52° posto di Oristano), in
cui al nono e decimo posto si inseriscono altre due province del Fvg: Gorizia e
Udine. Pordenone invece resta al 13°. L'analisi è articolata in sei macro aree,
a loro volta formate da 42 indicatori. Vediamo dove Trieste riesce a dare il
meglio di sé. Primato innanzitutto per quanto riguarda l'indice di sportività.
Così come, spostandoci di area, Trieste è al top per numero di start up
innovative, che sono 45 ogni mille società di capitale. Per parlare di cultura,
i teatri sono pieni zeppi di spettacoli: 132 ogni 100mila abitanti. E la spesa
media pro capite dei turisti stranieri è pari a 1.730 euro: ottimo risultato se
si pensa che a Crotone è di 60 euro circa. Nel settore ambiente e servizi il
punteggio vola alle stelle (secondo posto) grazie alla spesa sociale pro capite
degli enti locali per minori, disabili e anziani equivalente a 113 euro. Reggio
Calabria, ad esempio, ne concede solo 4,6. Gli internauti possono dormire sonni
tranquilli perché il 70% della popolazione è coperto dalla banda larga che
galoppa a 30 megabyte. Bene anche per la presenza di sportelli Atm e Pos attivi,
che sono 49 ogni mille abitanti. Non a caso, spostandoci nel girone della
ricchezza e dei consumi, sono pingui i depositi bancari dei triestini, con una
media mensile di 33.520 euro (terzo posto), il che spinge a spendere anche
online (11.a piazza con 46 ordini all'anno per 100 abitanti). Exploit sul saldo
migratorio interno (3,6 persone per mille abitanti), così come sul numero medio
di anni di studio, 12, per la popolazione over 25. Non passano tanto tempo in
tribunale i triestini perché solo il 5% delle cause totali pendenti supera i tre
anni. Nel campo della giustizia comunque non gira buona aria. I dati sono molto
sconfortanti per rapine (87° posto con 39 ogni 100mila abitanti), truffe e frodi
informatiche (ultimo posto con 399 ogni 100mila abitanti), scippi e borseggi
(469 ogni 100mila abitanti). Ancora furti in abitazioni (469 ogni 100mila
abitanti) e di autovetture (293 ogni 100mila abitanti). Non bene nemmeno il
reparto demografia e società. Scontate forse alcune etichette: 6,4% è il tasso
di natalità per mille abitanti (vince Bolzano con il 10,4%) e 110.a piazza in
base all'indice di vecchiaia, a causa del rapporto tra gli over 64 e la fascia
d'età 0-14 anni. I tanti dati positivi diventano motivo di vanto
dell'amministrazione di turno o bersagli se si parla della controparte. «Anche
se mi fa piacere la classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita -
afferma il sindaco Roberto Dipiazza, che sottolinea i molti interventi avviati
fino a oggi - quello che mi interessa è lavorare per i triestini, solo questo è
importante». Segue il concetto il vicesindaco Pierpaolo Roberti, tenendo conto
anche della classifica di ItaliaOggi: «Di lavoro da fare ce n'è ancora
tantissimo e quel settantesimo posto deve essere uno stimolo a fare ancora di
più e meglio». Frecciate al primo cittadino dal Pd: «Quando governavamo noi -
affermano Antonella Grim, consigliere comunale e segretaria regionale dem, e
Giancarlo Ressani, segretario provinciale -, Dipiazza ripeteva che Trieste era
il regno del degrado e dell'insicurezza. Per farlo, si serviva spesso di
classifiche come queste, che, lo sappiamo, non sono affatto dogmi. Davanti allo
scenario schizofrenico proposto dalle due graduatorie, vorremmo sapere cosa ne
pensa il sindaco: le userebbe ancora come metro di giudizio? Cosa direbbe del
fatto che i giornali bocciano la città sul fronte della sicurezza nell'ultimo
anno? Non era questo uno dei suoi cavalli di battaglia?».
Benedetta Moro
AcegasApsAmga - Il Rifiutologo "scaricato" 1800 volte
Sono passati 2 anni dal lancio, sui territori serviti da AcegasApsAmga, della app per smartphone e tablet sui servizi ambientali: il Rifiutologo. Dal 2015 sono stati oltre 10.200 i download effettuati, di cui 1.800 a Trieste.
Glifosato, l'Ue rinnova l'utilizzo - Il controverso
erbicida potrà essere usato per altri cinque anni. Contrarie Roma e Parigi
BRUXELLES - Alla fine, i Paesi dell'Unione Europea hanno votato per
rinnovare per cinque anni l'autorizzazione del controverso erbicida glifosato. A
favore si sono espressi diciotto paesi, nove i contrari e un astenuto. L'Italia
è tra quelli che hanno votato contro. «Adottiamo già disciplinari produttivi che
limitano l'uso a soglie inferiori del 25% rispetto a quelle definite in Europa
al fine di portare il nostro Paese all'utilizzo zero del glifosato entro il
2020», ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole, alimentari e
forestali Maurizio Martina. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha
annunciato di aver chiesto al suo governo di «assumere le disposizioni
necessarie affinché l'uso del glifosato venga vietato in Francia non appena
verranno trovate delle alternative, al più tardi tra tre anni». A spostare gli
equilibri è stato il voto positivo della Germania. Rispetto alla riunione del 9
novembre scorso, in cui i Paesi non erano riusciti a trovare un accordo, si sono
espresse a favore anche Romania, Bulgaria e Polonia, che in precedenza si erano
astenute. Con Francia e Italia si sono invece opposti Belgio, Grecia, Ungheria,
Lussemburgo, Lettonia, Cipro e Malta. Astenuto il Portogallo. Oltre a rinnovare
la licenza dell'erbicida, la decisione ribadisce le misure di salvaguardia e le
raccomandazioni già approvate dall'Ue nel 2016, come il divieto di prodotti
contenenti miscele di glifosato e poe-tallowamine, l'obbligo di ridurre al
minimo l'utilizzo dell'erbicida in aree come parchi e giardini pubblici, campi
sportivi e aree ricreative, e le limitazioni agli usi in fase di pre-raccolta.
Soddisfatto il commissario Ue alla salute Vytenis Andriukaitis. «Il voto di oggi
- afferma - dimostra che siamo in grado di condividere la responsabilità
collettiva nel processo decisionale». Gli Stati membri «hanno fatto orecchie da
mercante alla richiesta del Parlamento europeo di eliminare gradualmente il
glifosato», attacca il gruppo dei socialisti dell'Eurocamera. È stata una
«decisione scellerata che non tiene conto di accreditati studi scientifici sulla
potenziale dannosità del pesticida» attacca Marco Zullo (M5S). All'opposto altri
gruppi politici, come i conservatori dell'Ecr, per i quali il voto è stato «una
vittoria della scienza su chi semina paure». Con il rinnovo della licenza la
Commissione europea e molti governi hanno «tradito la fiducia dei cittadini»,
sostiene la direttrice delle politiche alimentari di Greenpeace Europa Franziska
Achterberg.
Panchine da pic-nic ai laghetti delle Noghere - Il
Comune di Muggia vince il concorso a premi di Bricocenter. Bussani: «Valorizzata
tutta l'area»
MUGGIA - «Grazie a questo progetto i laghetti delle Noghere offriranno ora
ben cinque panchine da pic-nic site miratamente nei punti più suggestivi
dell'area e a disposizione di tutti coloro che vorranno godersi ancor più un
ambiente che sembra esistere al di là dello spazio e del tempo». Francesco
Bussani, vicesindaco di Muggia, annuncia l'arricchimento di arredi urbani posti
nel biotopo muggesano. L'installazione delle panchine è stato possibile grazie
al progetto "Pic-Nic ai Laghetti" presentato dal Comune di Muggia al Concorso a
premi promosso da Bricocenter Italia srl denominato "Insieme per il nostro
quartiere". «Un concorso destinato a progettualità mirate al quartiere della
città in cui si risiede e nelle cui vicinanze sia presente un punto vendita
Bricocenter, che per regolamento dovevano rispondere a requisiti di utilità
sociale e dovevano essere realizzabili con piccoli lavori di fai da te come
riparazione, manutenzione e abbellimento», ha puntualizzato Dario Formigoni,
direttore del punto vendita muggesano. Muggia, con il suo progetto del pic-nic,
si è aggiudicato il premio. «Non possiamo che ringraziare per questa preziosa
opportunità Bricocenter, che ancora una volta ha offerto un servizio alla
comunità», ha commentato l'assessore Bussani, ricordando anche la preziosa
collaborazione avvenuta in occasione della vendita di piantine il cui ricavato
era andato all'accoglienza degli studenti dell'Istituto comprensivo del Tronto e
Val Fluvione durante il Carnevale estivo. I laghetti delle Noghere rappresentano
una realtà storico-geomorfologica di particolare interesse nell'ecosistema della
valle delle Noghere, presentandosi come uno splendido esempio di
naturalizzazione di un'area antropizzata a scopi industriali in un passato
recente. Formatisi dopo gli anni Settanta - quando chiuse la fornace e venne
abbandonata la cava d'argilla presente lungo il corso del vicino rio Ospo - i
laghetti delle Noghere sono un insieme di otto laghetti, profondi al massimo 7
metri, che offrono ospitalità a anatre, aironi e cormorani minori durante le
migrazioni, ma anche ad anfibi e rettili. Ad essi si affiancano pesci di acqua
dolce e tartarughe europee e della Florida. «Quell'area è suggestiva dal punto
di vista paesaggistico - conclude Bussani - offrendo ai visitatori un ambiente
selvaggio e lussureggiante».
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - LUNEDI', 27 novembre 2017
Qualità della vita ok a Nordest - Trieste e Gorizia
fuori top ten -
vedi l'indagine di Italia Oggi
ROMA - È Bolzano la provincia italiana dove si vive meglio, seguita da
Trento. Nella top-ten - dove c'è molto Nordest - figurano Pordenone e Udine con
Belluno, Vicenza e Treviso; ma Gorizia e Trieste si piazzano parecchio più in
giù. Trapani il fanalino di coda. La classifica di ItaliaOggi per qualità della
vita dà anche in forte risalita Roma, dall'88.o gradino del 2016 al 67.o
attuale. L'indagine, pubblicata integralmente sul quotidiano oggi in edicola, è
stata curata dal Dipartimento di statistiche economiche dell'Università La
Sapienza di Roma col supporto di Cattolica Assicurazioni. Gli indicatori
considerati sono: affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e
personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo
libero, tenore di vita. Quanto al Fvg, tutte le province perdono posizioni:
Pordenone si piazza nona (era quarta), Udine decima (era settima), Gorizia
scende dall'11.o al 30.o posto, Trieste chiude al 70.o (rispetto al 51.o del
2016). Il capoluogo regionale resta ottavo (primo in Fvg) per il sistema salute,
dove Gorizia è al 40.o; e avanza di una posizione, al 5.o, nel settore affari e
lavoro, seguita da Udine 15.a, Pordenone 22.a e Gorizia 54.a. Sul fronte
criminalità, se Udine si porta dal 5.o al 2.o posto Trieste scende dal 99.o al
101, e Gorizia dall'8.o al 45.o. Al 31.o posto il capoluogo isontino sul fronte
dell'ambiente, dove invece Trieste chiude la classifica regionale all'87.o
posto.
Convegno - «Esposti all'amianto - Ricerca
prioritaria»
Spazio e fiducia alla ricerca, ma ancora più valore agli aspetti psicologici
e alla forza d'animo. Due i temi, o meglio, gli appelli al centro del quinto
convegno a cura dell'Aea - Associazione esposti amianto del Fvg, svoltosi
nell'Auditorium del Molo IV nell'ambito delle iniziative per il ventennale della
fondazione della sede sociale di Trieste attualmente diretta da Aurelio
Pischianz. I lavori, introdotti dalla giornalista Silvia Stern e moderati dal
direttore della Chirurgia toracica dell'Asuits, Maurizio Cortale, e da Paola De
Micheli della Medicina del Lavoro - hanno (ri)posto l'accento sulle conseguenze
medico-legali dell'esposizione all'amianto in campo lavorativo, ma spostando
l'attenzione dai numeri alle prospettive e dalle statistiche alle soluzioni. Un
quadro che si è avvalso del contributo di Stefan Schoeftner, docente
all'Università di Trieste (Scienze della Vita) e portavoce di PreCanMed,
progetto di ricerca di frontiera e medicina di precisione nel Fvg e nel Tirolo,
finanziato dall'Unione Europea. L'innovativo progetto di ricerca si basa sullo
studio dei profili molecolari delle forme tumorali più diffuse (colon, mammella
e polmoni) sul territorio, dando così vita a una sorta di banca-dati genomici
dei pazienti in grado, potenzialmente, di aprire nuove strade in chiave di
terapie personalizzate. «L'esposizione all'amianto in ambienti lavorativi può
rappresentare un duplicatore, anzi un moltiplicatore - ha precisato Schoeftner
-, specie per quanto riguarda le problematiche ai polmoni» .La ricerca ha
bisogno di tempo, ma tuttavia i pazienti chiedono ancora altro tempo. Ed è qui
che si racchiude il secondo nocciolo della questione, un tema non sempre
conciliabile con le frontiere della scienza. Il convegno dell'Aea ha dunque dato
respiro anche all'importanza dell'impatto psicologico e alle modalità con cui
insistere e resistere, specie nel caso di "convivenza" con il mesotelioma, il
killer reclutato dall'amianto. «La cultura della ricerca fa parte dei nostri
obiettivi sin dal 2000 - ha ricordato Aurelio Pischianz, presidente dell'Aea Fvg
-, ma attualmente tutte le cure disponibili sono soltanto palliative. Serve
allora migliorare il "modus vivendi" e saper dire: d'accordo, ho un male ma devo
e voglio affrontarlo. In qualsiasi maniera». Magari anche raccontandolo. Sì,
perché la sfida si gioca anche lontano dagli ambulatori, coniugando memoria,
lacrime e speranza. Vedi il libro di Santina Pasutto Persich, "Amianto - Oggi va
un po' meglio...", opera a offerta libera edita dall'Aea.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - DOMENICA, 26 novembre 2017
Allarme incendio al termovalorizzatore - Pompieri ieri
mattina in via Errera. Fiamme causate da un guasto elettrico in una cabina. Stop
all'impianto, oggi la ripresa
Incendio, ieri mattina, al termovalorizzatore di via Errera in zona
industriale. L'impianto, gestito da Hestambiente srl, società del Gruppo Hera,
ha subìto un problema tecnico a un condensatore di una delle cabine elettriche.
L'incidente, che si è verificato attorno alle 7, ha fatto scattare
immediatamente gli allarmi e le procedure di emergenza. Non risulta alcun
ferito. Le fiamme sono state domate dai vigili del fuoco alle 7 e 40: i pompieri
sono intervenuti sul posto con due mezzi di soccorso. Il danno è comunque
circoscritto ai quadri elettrici della cabina e non ha interessato la spazzatura
depositata. Ma per ragioni di sicurezza tutte e tre le linee si sono bloccate.
Dovrebbero ripartire già questa mattina, anche perché il guasto è stato riparato
ieri pomeriggio dal personale della società. Ciascuna linea è formata da un
forno e una caldaia, oltre che da un sistema di trattamento dei fumi di
combustione. Che, per effetto dell'incendio, è andato progressivamente
esaurendosi per poi spegnersi del tutto. Il fumo avvistato nella zona da parte
dei cittadini è stato causato dal vapore acqueo proveniente dalle caldaie. Una
dinamica, spiegano ancora dalla società, determinata dal blocco del sistema. Il
fumo sprigionato dall'incendio, invece, si è alzato soltanto nei minuti in cui è
avvenuto l'incidente. I danni comunque non appaiono troppo gravi. Anche se, come
detto, si attendono precisazioni dagli accertamenti.Il termovalorizzatore di
Trieste è in buona sostanza un impianto di smaltimento dei rifiuti che segue un
processo di combustione ad alta temperatura. Il calore sviluppato da questo
processo viene riutilizzato per produrre energia. Sono vari gli step di cui si
compone il meccanismo di termovalorizzazione: in buona sostanza, la ricezione e
lo stoccaggio dei rifiuti, la combustione e la generazione di vapore. Complessi
anche i processi di depurazione fumi, che seguono alcuni passaggi precisi:
l'abbattimento degli ossidi di azoto, il trattamento dei gas acidi, l'iniezione
di carbone attivo per l'abbattimento dei microinquinanti e dei metalli pesanti;
e, ancora, il riscaldamento dei fumi attraverso una temperatura di 120°C per
mezzo di uno scambiatore ad hoc. L'ultimo intervento riguarda la "cogenerazione
di energia elettrica e termica": l'impianto, tecnicamente, è dotato di un'unica
turbina a vapore a servizio delle tre linee, accoppiata ad un alternatore
destinato alla produzione di energia elettrica. La potenza elettrica lorda
generata teorica è di 14,9 megavatt. Le tre linee di incenerimento, va detto,
funzionano indipendentemente l'una dall'altra in modo da garantire il processo
di incenerimento anche in caso di stop di una di queste.
Gianpaolo Sarti
A Trieste la festa del volontariato - Ambiente, arte,
sport e società tutti presenti a "Voci in piazza"
Gli attori del volontariato locale scendono in campo per dare vita a una
giornata di sensibilizzazione, colore e condivisione. Succede oggi, all'interno
di "Voci in piazza", manifestazione a cura dell'associazione culturale Naica in
programma in piazza Hortis dalle 11 alle 20.Edizione numero 3, copione nel
complesso consolidato. "Voci in piazza" rappresenta infatti una fiera del
volontariato, iniziativa che punta a dare spazio e respiro a sigle
ambientaliste, animaliste, sociali, ma anche a gruppi impegnati nello sport e
nell'arte. Insomma, una piccola "Woodstock" del volontariato, quello
possibilmente non all'insegna del fai da te, dove poter entrare in contatto
diretto con la gente e far conoscere temi, obiettivi, sviluppi e prospettive. La
terza edizione di "Voci in piazza" pone dunque l'accento sull'importanza
dell'informazione ma non disdegna altri risvolti, ancor più concreti e di
impatto. In primo piano infatti anche le raccolte fondi ma pure la propaganda
della cucina vegana, con degustazioni (salate, dolci e senza glutine),
proiezioni di documentari e punti informativi sui percorsi del veganesimo. La
manifestazione si tinge di caratteri a carattere new age con vetrine riservate
ai canali delle tecniche energetiche e al Reiki, ma non scorda anche la
solidarietà nei confronti degli animali, riservando degli stand in grado di
fornire informazioni sul tema delle adozioni e alcune linee guida sulla cura di
cani, pappagalli e conigli. Con il Natale oramai alle porte, la manifestazione
accoglie al suo interno anche altri richiami tipici del momento, come il
mercatino, con spazio all'usato, alla bigiotteria, all'uncinetto,
all'artigianato e alle varie possibili idee regalo. Non è tutto. Il villaggio
del volontariato apre anche ai bimbi (con il gioco a premi Big Memory) e alle
forme di creatività alternativa, tra tatuaggi e acconciature di trecce.
Ulteriori informazioni su www.naica.it.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - SABATO, 25 novembre 2017
I 120 anni dalla nascita dell'altoforno che divide - La
prima colata nell'impianto di Servola nel novembre 1897
La fabbrica era pronta da un anno, ma è il 24 novembre 1897 che la Ferriera
di Servola vide scorrere la sua prima colata. Era l'inizio di una lunga storia,
fatta di lavoro, sicurezze, fatica, dolore e proteste, che prosegue ancora oggi.
Nel momento in cui suonava la prima sirena della fabbrica, buona parte
dell'Europa era ancora parte degli Imperi centrali, Trieste era lo sbocco al
mare dell'Austria Ungheria, lo zar aveva ancora vent'anni di regno innanzi a sé.
Oggi il mondo è mutato: l'Europa è unita non sotto una corona ma nel segno di
Bruxelles, il porto sta tornando vitale per il Centro Europa dopo un ciclo
durato cent'anni, Trieste ha cambiato volto, ma la Ferriera di Servola è sempre
lì, affacciata sul golfo. Non è più la stessa di centoventi anni fa, ma continua
a fare il suo mestiere. Con tutto ciò che esso comporta in termini di
occupazione e ambiente, due aspetti ineliminabili, che a volte la politica ha
messo in contrapposizione. Chi tesse le lodi dell'effetto sull'occupazione è
sicuramente Osvaldo Bianchini, quasi 79 anni, ex dipendente dell'impianto:
«Prima di me ci ha lavorato mio padre, per 35 anni, ricorda. Poi ci sono entrato
anch'io, dopo aver studiato al Nautico». Furono proprio quegli studi
marinareschi che gli valsero il soprannome di "capitano" presso i suoi colleghi:
«Con gli anni sono diventato prima capoturno e poi caporeparto. Quand'ero
capoturno in fonderia ho visto quanto duro fosse il lavoro degli operai, ma
anche quanta solidarietà ci fosse». Bianchini ricorda un lavoratore di Belluno
«che aveva lavorato vent'anni in cava e poi era arrivato in fonderia»: «Lui
aveva quasi sessant'anni e io trenta. A volte montava il turno di notte e non
arrivava del tutto lucido. Chiedevo ai suoi colleghi cosa dovessi farne e loro
rispondevano "lascialo tranquillo, il suo lavoro lo facciamo noi"». Secondo
Bianchini quel mondo fa parte anche del futuro: «Si parla di chiudere l'area a
caldo, ma io spero che la amplino. Arvedi ha le competenze per farlo in modo
moderno e porterebbe molti posti di lavoro».Il segretario di Fiom Marco Relli la
vede così: «C'è un articolo del 1918 del Corriere della Sera, in cui si parla di
Roma e si dice che non è una città industriale, a differenza di "Milano, Torino,
Trieste"». Era l'effetto della politica industriale austriaca: «La ferriera era
parte di una filiera a quei tempi. Poi è stata marginalizzata come Trieste, ma
comunque oggi resta l'unico impianto oltre a Taranto a circuito integrale, dove
arriva minerale ed esce metallo». L'unica possibilità per il futuro, aggiunge,
«è modernizzare radicalmente gli impianti, che ora sono quelli degli anni
Sessanta». Alda Sancin del comitato No Smog, tra le anime storiche
dell'opposizione all'area a caldo, commenta: «Centoventi anni spiegano molto.
L'impianto è nato per fare "quattro secchi" di ghisa e lentamente si è
allargato. Mentre nel frattempo lo faceva anche l'antichissimo abitato di
Servola». Prosegue: «Nella mia infanzia l'impatto era diverso. C'era un po' di
polvere, puzza di zolfo, ma niente di paragonabile agli effetti della produzione
di oggi. Una volta i ragazzi passavano sotto alla ferrovia e andavano al "bagno
della Ferriera". Oggi è inimmaginabile». Conclude: «Una cokeria a cento metri
dalle case nel 2018 è impensabile, l'impianto continua a operare come una volta:
il sistema altoforno-cokeria è un'idea dell'Ottocento. Anche nei paesi in via di
sviluppo si è capito che la ghisa si può fare diversamente. Ma nella città della
scienza, la scienza si ferma ai Campi Elisi». Aggiunge Giorgio Cecco di
FareAmbiente: «In tanti a Trieste hanno vissuto di Ferriera. Mio padre ci
lavorava dagli anni Sessanta». Ora, però, il mondo è cambiato: «I lavoratori non
sono più 1400, e penso che quelli rimasti meriterebbero un'alternativa di lavoro
più salubre. Anche perché l'area a caldo, ormai, necessiterebbe di investimenti
troppo ingenti. Meglio sarebbe puntare sul laminatoio e sugli sviluppi portuali.
Sarebbe bello fare una lotta unitaria, lavoratori e cittadini, per uno sviluppo
sostenibile».
Giovanni Tomasin
GLI ULTIMI ACCADIMENTI - La petizione nel lungo
dibattito su occupazione e ambiente
A centoventi anni di distanza dall'accensione dell'altoforno, lo
stabilimento di Servola non è più soltanto luogo di magnifiche sorti e
progressive dell'industria moderna, ma simbolo del dibattito sulla compatibilità
fra un certo tipo di produzione, salvaguardia dell'occupazione e difesa
dell'ambiente e della salute. Di questi giorni la petizione con cui gli operai
della fabbrica hanno chiesto rispetto, decidendo di rompere il silenzio «perché
esasperati dalla continua e gratuita violenza verbale», di cui si sentono
vittime da quando imperversano le proteste sulla chiusura dell'area a caldo. «Ci
sentiamo presi di mira per un lavoro che viene portato avanti onestamente»,
spiega una promotrice della raccolta di firme, che domanda di cessare gli
attacchi da parte dei comitati e dello stesso sindaco. «Chiediamo e ci
appelliamo a tutti coloro che, con buona volontà, vogliono costruire un percorso
condiviso e rispettoso nei nostri confronti, per migliorare l'ambiente e la
salute - così il documento firmato dai lavoratori - di confrontarsi con noi
nelle iniziative che promuoveremo senza urla, senza ostilità, offese o
preconcetti». L'iniziativa ha provocato la reazione del Comitato 5 dicembre che,
pur premettendo che «il dialogo tra noi cittadini e gli operai sia
fondamentale», ha parlato di «protesta a nostro avviso completamente pretestuosa
e infondata di certi operai» e di «un'operazione mediatica scorrettissima
dell'ufficio stampa della proprietà». Il Comitato No Smog ha a sua volta
manifestato comprensione per la condizione di disagio dei siderurgici,
invitandoli a non vedere gli attivisti anti Ferriera come nemici: «Siamo
disposti anche noi al dialogo, ma se fino ad adesso non c'è stato è perché i
lavoratori hanno lanciato fuoco contro noi residenti di Servola».
(d.d.a.)
Nella battaglia per i rifiuti soccombe AcegasAps
L'utility triestina ha perso il primo round davanti al Tar, accolto il
ricorso della romagnola Ciclat che era stata esclusa da un appalto da 9,3
milioni
Nella battaglia per aggiudicarsi spazzamento e raccolta dei rifiuti solidi
nell'area urbana triestina, la romagnola Ciclat, in associazione temporanea
d'impresa(ati) con l'altra romagnola Formula Ambiente, ha vinto il primo round
con l'appaltante AcegasApsAmga. Una gara da 9,3 milioni, bandita nella scorsa
primavera, dalla quale la coppia romagnola era stata esclusa nella fase di
pre-qualifica dei candidati. AcegasApsamga, che preferisce parlare il meno
possibile della vicenda, conferma comunque per le vie ufficiose che di recente
il Tar del Friuli Venezia Giulia ha dato ragione alla ricorrente. L'utility
triestina-padovana-udinese non demorde e impugnerà l'avversa sentenza davanti al
Consiglio di Stato. L'azienda del gruppo Hera, prefigurando i lunghi tempi della
decisione giudiziale, ha congelato il verdetto della gara, prorogando gli
attuali gestori del servizio - Italspurghi e cooperativa Sole - fino al 30
aprile 2018. Sempre in modo ufficioso, sembrano chiarirsi anche le ragioni
dell'impugnazione del bando e della conseguente sconfitta di AcegasApsAmga in
sede Tar. Alla base vi sarebbe il riferimento, nel testo del bando, al contratto
nazionale cosiddetto Fise, che regola i rapporti tra le utilities e i
lavoratori. Ciclat è una società cooperativa, che probabilmente applica
contratti alternativi/diversi da quelli Fise. Questo avrebbe motivato
l'esclusione di Ciclat e dell'alleata Formula Ambiente dalla gara. Allora il
giudice potrebbe aver eccepito la scelta di AcegasApsAmga in una duplice
direzione: perchè restringe l'ambito concorrenziale e perchè l'adozione di un
contratto di lavoro dal costo meno impegnativo rende meno onerosa la spesa per
l'effettuazione del servizio. Un automatismo: costa meno l'appalto, si riduce
l'incidenza sulla tariffa. Quindi si alleggerisce la Tari. Alla fine, inserendo
la ricorrente Ciclat, la gara avrebbe un più elevato livello di competizione con
l'eventualità di costi minori a vantaggio dell'utenza finale. Cioè, la bolletta
del cittadino. Per intendersi: il costo orario per addetto con contratto Fise si
aggira attorno ai 23-24 euro, il costo di una tipologia contrattuale differente
scende a 17-18 euro. Il servizio di spazzamento e raccolta rifiuti richiede il
lavoro di una sessantina di unità. Tra gli operatori triestini questa linea
interpretativa ha suscitato attenzione. Perchè la vicenda di AcegasApsAmga,
seguita in questo contenzioso dalla capogruppo Hera, potrebbe diventare un
classico caso di scuola, applicabile in altre procedure di gara. A questo punto
la società triestina attenderà il responso di Palazzo Spada, ma intanto dovrà
valutare il punto di caduta: consentire ai ricorrenti romagnoli di partecipare
alla lizza già bandita o azzerare l'iter e riformulare il testo? Se il Consiglio
di Stato confermerà l'indirizzo del Tar Fvg, le altre aziende in gara potrebbero
ritenere che le loro offerte, modulate sul contratto Fise, diverrebbero meno
competitive. Che fare? Ciclat è una realtà importante del settore, che fattura
poco meno di 150 milioni di euro. Ha sede a Ravenna ma opera in gran parte del
territorio nazionale. Sua partner nell'inedita operazione Trieste era la vicina
Formula Ambiente di Cesena. Interessante notare che sui siti è apparsa
recentemente la notizia secondo cui Ciclat è disponibile a eventuali
collaborazioni con Hera per affrontare l'imminente maxi-gara, per un servizio
della durata di quindici anni, mirato alla raccolta rifiuti in provincia di
Ravenna e nel territorio cesenate. E'stato lo stesso amministratore delegato di
Ciclat Ambiente, Cesare Bagnari, a prospettare questa eventualità. Avversari a
Trieste e alleati in Romagna? Tornando alla gara triestina, il valore ammonta a
9,3 milioni di euro e si organizza su due lotti, che coprono le Circoscrizioni
3°, 4°, 5°, 7°. Il periodo è piuttosto compresso, in quanto la durata è di due
anni, allungabile di un terzo. Non è ammesso il subappalto e sono richiesti
mezzi con determinati requisiti. E'stata invece aggiudicata la gara che riguarda
l'Altopiano, dove ha prevalso la cooperativa sociale Querciambiente insieme a
Germano e Basaglia
Massimo Greco
IL PICCOLO - VENERDI', 24 novembre 2017
Pressing del M5S - «Uno studio ambientale sull'area di
punta Olmi»
MUGGIA - Assegnare in tempi rapidi lo studio sulla tutela idrogeologica e
delle specie viventi locali site nell'area tra punta Olmi e punta Sottile.
Emanuele Romano, capogruppo consigliare del Movimento 5 Stelle, rispolvera un
tema ambientale affrontato nell'ultimo mandato della precedente amministrazione
comunale retta dall'allora sindaco Nerio Nesladek. «Nel 2014 il Comune di Muggia
aveva pubblicato un avviso per una consulenza sulle aree in questione, a cui
risposero due professionisti in grado di soddisfare tutti i requisiti richiesti.
E nel 2015 il Consiglio comunale aveva impegnato l'amministrazione a
commissionare uno studio ad hoc. Nonostante tutte queste premesse, però lo
studio non venne mai affidato», tuona Romano. Il grillino ha lamentato poi la
scarsa trasparenza da parte del Comune. «La delibera in oggetto, la numero 55
del 2015, non è consultabile nella sezione "Trasparenza" del sito del Comune.
Gli uffici da noi interpellati - spiega il consigliere del M5S - hanno risposto
che la presente ricerca di mercato non avrebbe configurato avviso di gara né
proposta contrattuale, non avrebbe altresì comportato l'instaurarsi di posizione
giuridiche o il sorgere di obblighi negoziali». Romano dunque entra nel vivo
della questione: «I motivi per cui volevamo consultare lo studio erano legati
alla volontà di approfondire i temi della tutela idrogeologica e delle specie
viventi locali. Se la ricerca non configurava obblighi negoziali, quale impegno
scaturisce dalla delibera 55? E se si vuole tener fede al principio
dell'efficienza ed economicità dell'azione amministrativa è sbagliato sprecare
il lavoro fatto in inutili ricerche di mercato. Così come è sbagliato - aggiunge
Romano - sbandierare in Consiglio improbabili accessi a fondi europei: se non ci
sono gli studi e i progetti, queste risorse economiche europee difficilmente
arriveranno a Muggia». Pronta la replica del sindaco di Muggia Laura Marzi
presente anche nella scorsa amministrazione comunale: «L'area tra punta Olmi e
punta Sottile è ben tutelata dal Piano regolatore generale del Comune di Muggia,
riconosciuto come un documento innovativo proprio anche in virtù del fatto che
ha recepito e tutelato gli aspetti paesaggistico-ambientali del territorio» .
Ricordando come all'interno del Prgc sia stato inserito «un Rapporto ambientale
in cui vengono analizzati nello specifico gli aspetti relativi all'ambiente
muggesano» e che nelle Norme tecniche di attuazione si trovino «anche le
direttive per la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio», Marzi ha
puntualizzato come «la ricerca di mercato non presupponeva nessun obbligo per
l'Amministrazione precedente, che, ponderata attentamente la situazione ha
valutato di non proseguire l'iter per il Sito di interesse comunitario, il
cosiddetto Sic».
Riccardo Tosques
Italia Nostra Trieste festeggia 55 anni
Domani Italia Nostra celebrerà il 55°anniversario della fondazione della sezione di Trieste. Per festeggiare, domani i soci visiteranno la mostra sul Liberty e il parco di Miramare e la mostra Biennale Internazionale Donna al Magazzino 26. Qui, alle 16, si terrà la celebrazione del 55° anniversario alla presenza di Rodolfo Corrias di Italia Nostra nazionale.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 23 novembre 2017
Piantati fiori e arbusti nella Giornata dell'albero
Da piazza Hortis a Ponziana, è stata una Giornata degli alberi ricca di
appuntamenti per Elisa Lodi e Angela Brandi, assessori rispettivamente ai Lavori
pubblici e all'Educazione. Sono state coinvolte le circoscrizioni e le scuole
comunali, mentre le associazioni "Tra fiori e piante" e "Trieste bella" hanno
contribuito alla realizzazione di alcune iniziative. Un doppio evento mattutino
si è svolto nel giardino di piazza Hortis, di recente riqualificato dal Comune.
Le scuole della quarta circoscrizione hanno piantato alcuni bulbi da fiore nel
parco, mentre i volontari delle due associazioni hanno appeso dei cartellini
identificatori su alcuni alberi, con tanto di nome comune, nome scientifico e
area di diffusione di ogni specie. Prima di presenziare alla cerimonia in piazza
Hortis, Lodi e Brandi sono state all'asilo nido comunale Piccoli passi, dove è
stato piantato un Biancospino. Più tardi altri esemplari dello stesso albero
sono stati messi a dimora nell'area verde in prossimità della rotonda del
Boschetto, nonché a Basovizza e a Ponziana, nella scuola dell'infanzia Stella
marina. Entro domani altri Biancospini saranno piantati a Gretta, nella primaria
Saba, nel giardino di Altura "Falcone e Borsellino" e vicino al laghetto di
Contovello. «Per omaggiare simbolicamente i bambini nati quest'anno, di entrambi
i sessi, abbiamo donato due alberi a ognuna delle sette circoscrizioni - ha
spiegato Lodi -, circoscrizioni che sono state così incluse per la prima volta
nella Giornata degli alberi. E a tal proposito invito i cittadini a visitare il
sito verdepubblico.comune.trieste.it». «Quest'anno abbiamo coinvolto soprattutto
le scuole, per sensibilizzare i più piccoli al concetto di albero come corpo,
come vita - ha aggiunto Brandi -. Ricordo, tra gli altri, il progetto "Orto
condotta", ovviamente coltivato dagli studenti, per ribadire la nostra
attenzione al tema dell'ecologia». La Giornata nazionale degli alberi è stata
riconosciuta dalla legge italiana nel 2013 e costituisce un'occasione di
sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'importanza del patrimonio arboreo
e boschivo.
(l.g.)
Tre "new entry" sulle rive del laghetto di Contovello
TRIESTE - Il Comune si prepara a piantare tre piccoli alberi, due
biancospini e un tiglio, nell'area verde vicina all'antico stagno di Contovello.
La breve cerimonia avrà corso domani alle 9.30 e si inserisce nelle iniziative
della Giornata nazionale degli alberi. «La messa a dimora delle tre "new entry"
- spiega la presidente della circoscrizione di Altipiano Ovest Maja Tenze -
rappresenta un valore aggiunto e un primo passo decisivo nel percorso
complessivo di rivalutazione di uno degli angoli più rappresentativi e
pittoreschi del Carso. Accanto ai due biancospini voluti dal Comune, abbiamo
aggiunto anche un tiglio, simbolo della comunità slovena. Un primo piccolo
intervento sulla strada della riqualificazione di uno stagno e di un'area che
rappresentano un valore non solo per la comunità locale, ma anche per coloro che
qui giungono per percorrere uno dei sentieri più belli di tutta la provincia».
Dal laghetto di Contovello infatti parte quel sentiero "Natura" che,
attraversando i boschi del costone carsico, raggiunge l'entrata a monte del
Parco di Miramare. Da diversi anni il primo parlamentino, incalzato dalla
comunità di Contovello, chiedeva la salvaguardia dello stagno devastato
dall'incuria e, in particolare, privato di quell'acqua che è la sua parte
essenziale. Causa calure estive e prosciugamento delle vene d'acqua durante la
realizzazione di alcuni complessi edilizi, il vecchio "kal"(stagno in sloveno)
era ormai ridotto ai minimi termini. A completare il degrado, l'immissione di
piante e animali del tutto inadeguati a uno stagno carsolino. Sul finire
dell'estate, finalmente, la presa di coscienza del Comune e la decisione della
giunta di ridare dignità e decoro all'area naturalistica. L'intervento di
recupero consiste nella realizzazione di alcune griglie di captazione delle
acque piovane e, opera fondamentale, di una presa d'attacco alla rete idrica
territoriale, accessibile ai tecnici nei periodi di forte siccità, al fine di
recuperare l'acqua utile a rivitalizzare lo stagno.
(m.l.)
Premiato il volontariato di TriesteAltruista - La onlus
entra a far parte del circuito nazionale la "Mappa dell'Italia che dona". È
l'unica in regione
"TriesteAltruista", l'organizzazione triestina di volontariato senza fini di
lucro e indipendente, fondata nel 2012 da soggetti privati e che oggi conta più
di mille aderenti, è entrata a far parte, unico soggetto dell'intero Friuli
Venezia Giulia, della "Mappa dell'Italia che dona". Un importante riconoscimento
per il gruppo che ha, come obiettivo istituzionale, quello di creare, in
collaborazione con le onlus, gli enti pubblici e le aziende, significative
opportunità di volontariato, che siano flessibili e da svolgere in gruppo,
adatte anche a chi ha poco tempo e non può garantire continuità. L'ingresso
dell'associazione triestina nel novero nazionale è avvenuta nell'ambito della
"Giornata del dono", tenutasi a Milano, nel corso della quale privati,
istituzioni, associazioni di volontariato sono stati chiamati a proporre
iniziative per sensibilizzare la cultura del dono. «TriesteAltruista ha ottenuto
l'ammissione alla Mappa - ha spiegato nel dettaglio Gennaro Andino Castellano,
uno dei fondatori dell'associazione - in virtù della presentazione del corso di
formazione per capi progetto dal titolo "Donatori del proprio tempo e artefici
del cambiamento"». «Il dono è diventato un patrimonio della Repubblica - ha
detto il presidente dell'Istituto italiano della donazione, Edoardo Patriarca -
e la Giornata istituita dal Parlamento due anni fa è servita a liberare energie
e idee che stanno migliorando l'Italia». Le scuole e i giovani sono stati i
protagonisti del Giorno del Dono 2017: 10mila studenti di 64 istituti scolastici
sono stati coinvolti. Quasi 150 invece le amministrazioni comunali che hanno
partecipato alla campagna, raddoppiate rispetto al 2016, con iniziative o
adesioni morali. Oltre 250 gli enti del terzo settore che hanno dato il loro
contributo con iniziative o adesioni e circa 20 le imprese che hanno voluto
celebrare il Giorno del Dono. «Insieme a MilanoAltruista e Romaltruista - ha
precisato Castellano - siamo affiliati come membri alla rete HandsOn, una no
profit di origine statunitense, presente in 250 città americane e in 16 paesi
del mondo. In questo modo - conclude il co-fondatore di TriesteAltruista -
avremo sempre maggiori opportunità di contatto e interazione con vari soggetti e
potremo ampliare il nostro raggio d'azione».
Ugo Salvini
I fondali raccontano la storia dell'Adriatico - Relitti
e opere d'arte - Il 17 dicembre sbarcherà al Salone degli Incanti una curata
esposizione sull'archeologia subacquea
Il nostro mare Adriatico è come uno scrigno, custode di storie millenarie
che aspettano soltanto d'essere riportate in superficie. «Ci sono più relitti
sul fondo del mare rispetto alle navi che lo solcano», diceva lo scrittore e
saggista croato bosniaco Predrag Matvejevic, grande cantore delle civiltà del
Mediterraneo e degli incroci tra i popoli che s'affacciavano sulle sue acque.
E'ispirata proprio alle sue parole e alla sua concezione del Mediterraneo come
"mare che unisce" la straordinaria mostra che aprirà i battenti il 17 dicembre
al Salone degli Incanti, trasformandolo per cinque mesi in un grande mare, in
cui il pubblico potrà idealmente immergersi per scoprire un'infinità di storie
che per lungo tempo, a volte secoli, a volte millenni, sono rimaste celate sotto
le acque. Storie di pace e di guerra, di scambi e traffici commerciali, di
incroci di genti e di merci, perfino storie di pirati. A raccontarle sarà la
mostra "Nel mare dell'intimità - L'archeologia subacquea racconta l'Adriatico",
che per la prima volta, con un'esposizione di 2000 metri quadri, offrirà al
pubblico in una visione d'insieme relitti, opere d'arte e oggetti della vita
quotidiana, merci destinate alla vendita e attrezzature di bordo letteralmente
ripescate dai fondali del nostro mare. Saranno circa un migliaio i reperti in
mostra, ciascuno con la propria storia, provenienti dai numerosi giacimenti
sommersi e prestati per l'occasione da musei italiani, croati, sloveni e
montenegrini. A collaborare a questa mostra, che è organizzata dal Servizio di
catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac (Ente Regionale per il Patrimonio
Culturale Fvg e dall'assessorato alla Cultura del Comune di Trieste), sono
infatti oltre 60 istituzioni culturali italiane e internazionali, tra le quali
la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e il Polo Museale
regionale, con il coinvolgimento di 50 studiosi e una fortissima presenza di
reperti provenienti dalla Croazia, che grazie anche a un accordo bilaterale fra
i due Ministeri della Cultura ha messo a disposizione quasi la metà dei pezzi in
esposizione, provenienti da 17 diversi musei. Come simbolo dell'esposizione è
stato scelto proprio un reperto croato: l'Apoxyomenos o "Atleta di Lussino",
antica opera scultorea greca in bronzo, databile tra il I e il II secolo dopo
Cristo, di cui a Trieste verrà esposta una copia perfetta. L'ex Pescheria di
Trieste, grazie all'allestimento curato dall'architetto Giovanni Panizon, si
trasformerà in un paesaggio d'acqua, un fondale sommerso che permetterà di
leggere in maniera più esaustiva l'intensità degli scambi culturali e dei
traffici commerciali, la specificità della costruzione navale antica, la
ricchezza delle infrastrutture e il dinamismo dei paesaggi costieri, le storie
degli uomini che hanno attraversato questo mare intimo. Ad accogliere il
visitatore all'ingresso della mostra sarà un'installazione che simula la forma e
le correnti dell'Adriatico, permettendo una visione simultanea di ben 22 diversi
modelli d'imbarcazioni che nel corso dei secoli hanno solcato il nostro mare.
Lasciatosi alle spalle il mare, il pubblico raggiungerà uno spazio espositivo
che riproduce in negativo lo scafo di una nave antica, nel quale saranno
posizionati i reperti archeologici marini. Saranno dieci le sezioni della
mostra, ciascuna corrispondente a un tema: Lo spazio Adriatico, I porti e gli
approdi, Le navi, Le merci, Gli uomini, I lavori del mare, La guerra sul mare,
Il mare e il sacro, L'Adriatico delle migrazioni e La ricerca sotto il mare."Nel
mare dell'intimità" si pone l'ambizioso obiettivo di raccontare la storia
dell'Adriatico dall'antichità ai nostri giorni con gli occhi dell'archeologia
subacquea. «E' una disciplina poco nota al grande pubblico, che non gode della
giusta attenzione - afferma la curatrice della mostra, l'archeologa Rita
Auriemma, direttrice del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell'Ente
Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia -. Con questa
mostra vogliamo far capire alla gente cosa significa fare archeologia subacquea
e spiegare il valore di una ricerca in gran parte sommersa e sotterranea che
annoda legami antichissimi». L'esposizione è frutto di un intenso e coordinato
lavoro di ricerca, reso possibile dai contatti e dalle relazioni tra ricercatori
dei diversi Paesi che s'affacciano sull'Adriatico. E lungi dal rappresentare un
punto d'arrivo, mira piuttosto a incoraggiare una riflessione legata alla tutela
e alla ricerca dei beni sommersi e a fornire un contributo in tal senso,
offrendosi come trampolino di lancio per nuove ricerche e progetti. E' questo il
caso, per esempio, della Iulia Felix, imbarcazione romana del III secolo
ritrovata nel 1987 a 16 metri di profondità sui fondali marini al largo di
Grado. L'imbarcazione, lunga 18 e larga 5-6 metri, è stata rinvenuta intatta con
il suo carico di 560 anfore. In mostra a Trieste ci sarà la riproduzione della
sezione trasversale della nave di Grado, che è stata progettata dagli archeologi
e dal maestro d'ascia Gilberto Penzo, che hanno studiato lo scafo e il carico di
questo relitto. Questa preziosa ricostruzione a grandezza reale finita la mostra
costituirà il primo nucleo espositivo del Museo archeologico di Grado. Nella
sezione saranno stivate le anfore originali del carico, che contenevano prodotti
alimentari, principalmente pesce e conserve ittiche, e una riproduzione della
botte che racchiudeva i frammenti di vasellame vitreo trasportati per essere
rifusi, un sistema di riciclaggio già praticato nell'antichità perché più
economico rispetto alla produzione di vetro ex novo. Trasportava sempre vetro,
ma anche collane, candelabri, lampadari, campane di bronzo, lingotti di piombo,
coloranti, bicchieri di cristallo e rotoli di seta preziosa la Gagliana Grossa,
o relitto di Gnalic, una galea di mercato affondata in Croazia nel 1583 con un
carico di lusso ed estremamente variegato, che spedito da Venezia avrebbe dovuto
arrivare via mare al sultano ottomano Murad III. A quel tempo tra la Serenissima
e l'Impero Ottomano era guerra aperta, ma nonostante le ostilità le due potenze
continuavano a intrattenere rapporti commerciali. La nave, del peso di circa 720
tonnellate, fu fatta costruire a Venezia da Lazzaro Mocenigo, Benedetto da Lezze
e Piero Basadonna e venne varata nel 1569. Caduta nelle mani degli Ottomani nel
luglio del 1571 presso l'isola di Saseno (Albania), trascorse i successivi dieci
anni al loro servizio, prima di venire acquistata, nel 1581 a Costantinopoli,
dalla famiglia Gagliano. Per questa ragione, all'epoca del naufragio, la nave
portava il nome di Gagliana Grossa.A bloccarne la traversata e farla finire sul
fondo del mare, a sud di Zara, fu una tempesta, facilitata dall'eccesso di
carico. Ma i resti di questo naufragio, custoditi nei fondali marini e riportati
alla luce dagli archeologi subacquei nel corso di diverse campagne condotte dal
1967 ai giorni nostri, oggi costituiscono una sorta di finestra sulla storia
degli anni successivi alla Battaglia di Lepanto, che nel 1571 fermò il dominio
turco nel Mediterraneo. Il carico della nave era composto da materiale
eterogeneo di produzione artigianale, con molte merci di uso comune e con una
particolare abbondanza di materiale vitreo, per un totale di più di 5500
oggetti. Una variegata selezione di questi reperti sarà esposta al Salone degli
Incanti. Ogni pezzo in mostra racconterà una storia: per approfondirle una a una
è stato realizzato un accurato catalogo
GIULIA BASSO
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 22 novembre 2017
Ciclabile del Carso - Fiab Ulisse in pressing sulla
Regione
TRIESTE - Fiab Trieste torna sul progetto della Ciclabile del Carso e
sollecita nuovamente la Regione, con l'intento di smuovere la situazione, ferma
ormai da tempo. «Il progetto della Ciclabile del Carso che prevede un itinerario
di 35 chilometri da Draga Sant'Elia a Monfalcone - riepiloga Federico Zadnich di
Fiab Trieste Ulisse - ha ormai quasi dieci anni. L'ormai soppressa Provincia di
Trieste nel 2009 ha avuto un finanziamento di due milioni e 900mila euro per
realizzarla. Nel 2009 erano stati fatti un progetto di massima ed una Conferenza
dei servizi. Poi tutto si era arenato». Due anni fa Fiab aveva raccolto pure
1.300 firme e ottenuto dalla Provincia la promessa di un sostegno, una strada
che sembrava in discesa e che allora aveva portato alla stesura del documento
esecutivo. Poi più nulla. Da gennaio 2017 la competenza è passata alla Regione e
il sodalizio triestino, che promuove la mobilità sostenibile, è tornato alla
carica. «Nel recente incontro tra l'assessore regionale alle Infrastrutture
Mariagrazia Santoro e una delegazione del Coordinamento regionale Fiab -
prosegue Zadnich - è stato chiesto un aggiornamento sull'iter. Il Rup
(Responsabile unico del progetto, ndr) ha detto che prima di passare al bando
per i due lotti della Ciclabile, uno da Draga a Sistiana e l'altro da Sistiana
al canale di Moschenizza, ci sono tre passi procedurali da superare: rifare
documentazioni predisposte nel passato e nel frattempo "scadute", realizzare un
piano particellare e in seguito avviare accordi con i proprietari dei terreni
attraversati dalla Ciclabile o gli espropri». Nell'incontro Fiab ha chiesto
all'assessore Santoro che, per ridurre i tempi, si parta contemporaneamente con
tutti i due lotti nella realizzazione di questi passaggi e non in sequenza, come
attualmente ipotizzato. Fiab aveva già sollecitato la Regione ad accelerare le
procedure alcuni mesi fa, quando l'ente aveva annunciato la chiara volontà di
scommettere sugli spostamenti "green" sul territorio, con un assestamento di
bilancio che, nel triennio 2017-2019, prevede finanziamenti per oltre tre
milioni di euro mirati a interventi per la creazione di nuove piste ciclabili o
la sistemazione di quelle esistenti. «In definitiva la strada per pedalare sulla
Ciclabile del Carso è ancora lunga - conclude Zadnich - ma Fiab Trieste auspica
che la Regione e i suoi tecnici possano nel minore tempo possibile concludere i
necessari passaggi procedurali e il bando. Una ciclabile da Draga Sant'Elia a
Monfalcone promuoverebbe stili di vita sani tra i triestini e sarebbe
un'importantissima infrastruttura per il cicloturismo, un settore in forte
espansione che potrebbe essere sempre di più un'opportunità di sviluppo
economico sostenibile per Trieste e il Carso».
Micol Brusaferro
Le Falesie di Duino riaprono le loro porte grazie a un
patto a tre - Al vaglio del Consiglio l'intesa tra Comune, Wwf e club nautici
per rendere accessibile l'area con progetti didattici e turistici
DUINO AURISINA - Le Falesie di Duino tornano a disposizione della
collettività, in particolare degli studenti e delle scolaresche, dei turisti e
dei diportisti, nell'ambito di un nuovo progetto di valorizzazione del
territorio predisposto dal Comune di Duino Aurisina. Va in questa direzione il
Protocollo d'intesa che l'amministrazione guidata dal sindaco Daniela Pallotta
si appresta a sottoscrivere avendo come partner l'Area marina protetta di
Miramare da un lato e le società nautiche locali dall'altro. Il testo sarà
sottoposto stamani al vaglio del Consiglio comunale, dopo aver già superato,
qualche giorno fa, l'esame in sede di Commissione Ambiente. «Abbiamo varato un
programma di educazione ambientale destinato ai giovani e ai giovanissimi -
spiega l'assessore Andrea Humar - che prevede una stretta collaborazione con i
tecnici e gli esperti del Wwf, i quali condurranno le scolaresche nella Riserva
marina delle Falesie, per utilizzare quello straordinario paesaggio a scopo
didattico. Ma non abbiamo dimenticato i diportisti - aggiunge Humar - e per
favorirli intendiamo alleggerire l'iter burocratico che garantisce il diritto a
entrare nella Riserva marina delle Falesie, in virtù di uno specifico permesso.
A questo scopo - precisa l'esponente della giunta Pallotta - abbiamo già
contattato la Regione. L'obiettivo è di coinvolgere le società nautiche del
territorio, affinché possano essere loro a consegnare direttamente i permessi,
sulla base di una delega del Comune, peraltro senza dover sopportare il costo
dei bolli, come avviene attualmente». Le scelte della giunta vanno nella
direzione di un generale utilizzo delle aree a mare: «Nel piano della
valorizzazione - dice Chiara Puntar, presidente della Commissione consiliare che
ha la competenza sull'Ambiente - sono comprese anche l'area risorgiva del Timavo
e la Costa dei Barbari, perché intendiamo segnare una svolta rispetto alle
politiche del passato, tornando a dare alle zone indicate un preciso ruolo
nell'ambito dello sviluppo turistico, della didattica nelle scuole, nello sport.
Le società nautiche del territorio - prosegue Puntar - saranno invitate a creare
una rete didattico-turistica, in cui uno specifico compito di divulgazione
scientifica sarà riservato ai tecnici del Wwf che operano nel contesto della
Riserva marina di Miramare. Siamo al cospetto - ribadisce - di una vera e
propria rivoluzione nella modalità di utilizzo della Riserva delle Falesie,
oltre che delle risorgive del Timavo e della Costa dei Barbari». Nel corso della
recente campagna elettorale, da molte voci si erano alzate le richieste di una
sostanziale riapertura di tali siti al pubblico utilizzo. «Vogliamo dare una
risposta a tali istanze - riprende Puntar - pur prestando la massima attenzione
alla tutela dell'ambiente e del territorio. Determinati divieti per quanto
concerne l'avvicinamento alla costa da parte dei diportisti rimarranno -
continua la presidente della Commissione Ambiente - perché come amministrazione
intendiamo assicurare la conservazione del bellissimo patrimonio paesaggistico
del nostro Comune».«Tuttavia - conclude - è anche giusto che la popolazione
residente e i turisti possano godere e beneficiare delle bellezze del nostro
territorio, trovando il giusto equilibrio fra le diverse esigenze».
Ugo Salvini
GREENSTYLE.it - MARTEDI', 21 novembre 2017
Nube radioattiva: Russia ammette, livelli 986 volte oltre la norma
Il servizio meteorologico russo ha confermato i livelli record di Rutenio-106 nella nube radioattiva che si è diffusa in Europa. Sebbene il governo russo abbia più volte smentito le responsabili riguardo l’incidente, il meteo Rosgidromet ha confermato la presenza dell’isotopo radioattivo in diverse zone del Paese e in particolare Tatarstan e nel sud della Russia. L’Europa sarebbe stata attraversata dal fenomeno tra il 27 settembre e il 13 ottobre 2017 mentre dal 29 settembre avrebbe raggiunto, sostiene il quotidiano britannico The Guardian: “Tutti i Paesi europei, a partire dall’Italia e poi verso il Nord Europa”. Allarme nube radioattiva scattato il 9 novembre 2017 e diffuso dall’Istituto per la Sicurezza nucleare francese, che aveva rilevato la presenza anomala di Rutenio-106 e individuato la fonte della contaminazione in un punto situato tra il Volga e gli Urali. Se allora le autorità russe hanno negato ogni coinvolgimento, ora sembrano verificarsi le prime parziali aperture. In particolare sembra che il valore 986 superiore al normale sia stato registrato ad Argayash, villaggio nella regione di Chelyabinsk. A circa 30 km da lì si trova inoltre il sito di Mayak, luogo simbolo per il disastro nucleare verificatosi nel 1957 e tutt’ora utilizzato quale impianto di riprocessamento del combustibile esaurito. Greenpeace ha chiesto in via formale al Rosatom l’apertura di un’inchiesta e la pubblicazione di tutti i dati disponibili. Sulla questione è infine intervenuto anche Jan Van De Putte, Greenpeace Belgio, che ha chiarito la sua opinione in merito alle possibili cause che hanno portato alla diffusione della nube radioattiva: È pericoloso a livello locale, diciamo nella zona intorno a Mayak, ma la radioattività viene diluita enormemente attraverso distanze così vaste, e questo naturalmente riduce molto i rischi qui in Europa occidentale. Il rutenio 106 è usato per lo più nel settore medico, nella cura del cancro, e una delle ipotesi è che potrebbe trattarsi di un macchinario fuso in un’unità di riciclo del metallo, per esempio. Questo è uno dei percorsi possibili per una fuga così imponente di rutenio.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - MARTEDI', 21 novembre 2017
Piazza Libertà e Montebello - Entro il mese il via alle
gare - Nello spazio davanti alla Stazione cantiere aperto a metà del prossimo
anno
Slitta al 2019 la riqualificazione della galleria tra piazza Foraggi e
via Salata
Due dei più lenti cantieri della recente storia amministrativa triestina
stanno per mettersi in moto allo scadere del 2017. Riflettori puntati su Piazza
Libertà e su Galleria Montebello, entrambe bisognose - a diverso titolo - di
energici lifting. Partiranno prima i lavori di riqualificazione in Piazza
Libertà, l'ampio spazio che si estende davanti alla Stazione Centrale. Il Comune
bandirà la gara internazionale nelle prossime settimane, perchè AcegasApsAmga ha
recapitato i progetti relativi ai cosiddetti sotto-servizi (allacciamento delle
reti). Quindi il quadro degli interventi da svolgere è completato: la
tempistica, ipotizzata dai Lavori Pubblici municipali, prevede l'avvio effettivo
dei lavori prima dell'estate 2018 da concludersi nel giro di un anno alla metà
del 2019, con uno slittamento di circa sei mesi rispetto all'annuncio risalente
allo scorso marzo. L'operazione, che sarà seguita in qualità di "rup" da Enrico
Cortese, è finanziata da oltre 4 milioni di euro, provenienti soprattutto da
antiche poste del governo centrale (2,3 milioni) e della Regione (1,5 milioni).
La notizia è emersa ieri mattina, a margine del dibattito in II e IV commissione
consiliare coordinato dai presidenti Cason (Lista Dipiazza) e Babuder (FI),
dedicato a una sessantina di modifiche del Piano triennale delle opere contenute
nella variazione di bilancio che andrà probabilmente in aula la prossima
settimana. I principali interventi sono stati illustrati dall'assessore Elisa
Lodi e dal direttore dei Lavori pubblici Enrico Conte. Proprio sulla
riqualificazione di piazza Libertà, nel 2017 viene applicato un avanzo vincolato
di oltre 1,8 milioni di euro. La "cosmesi" di piazza Libertà danza sui tavoli
comunali da 13 anni: il progetto, presentato a marzo, prospetta alcune
innovazioni che riguarderanno l'inizio di viale Miramare, l'utilizzo di via
Ghega, l'ampliamento dei marciapiedi, lo spostamento delle fermate dei bus.
Sempre a margine della commissione, un secondo annuncio ha riguardato la
galleria Montebello, che collega piazza Foraggi a via Salata, un'infrastruttura
fondamentale nella comunicazione tra il centro cittadino e la periferia
meridionale. Anche in questo caso decollerà entro fine mese una gara per
l'affidamento della progettazione: sarà un incarico decisamente corposo per un
valore di circa 800 mila euro, che riguarderà un cantiere da 13 milioni, forse
il più impegnativo tra quelli gestiti dal Comune. E anche in questo caso sarà
inevitabile uno slittamento: l'avvio dei lavori si sposterà verso il 2019. Una
storia infinita quella della galleria, che necessita da anni di un intervento
che le pesanti ripercussioni sul traffico urbano, gli "spazi finanziari" imposti
dalla legge di stabilità, gli adeguamenti procedurali e progettuali hanno
continuamente costretto/consigliato di procrastinare. Si pensi che il primo
progetto era stato messo a punto nella primavera 2015. Così il dossier è
rimbalzato dal Dipiazza 2° a Cosolini e da Cosolini al Dipiazza 3°. Adesso siamo
alla stretta, perlomeno progettuale, che dovrà tenere conto di un fattore
determinante: Dipiazza, per evitare ricadute difficilmente governabili sulla
circolazione di auto e di bus (altrimenti dirottati su via dell'Istria, su via
Baiamonti, sulla Grande Viabilità), ha preteso che i lavori all'interno della
galleria si svolgano su una corsia e che il tunnel non venga chiuso. Non solo:
in occasione di un incontro con l'associazione ciclisti Fiab, lo stesso sindaco
ha assicurato che la galleria sarà dotata di due corsie per le biciclette.
Infine, tra i principali interventi su cui la giunta chiede via libera al
consiglio, c'è il completamento della ristrutturazione riguardante l'ex istituto
Carli in via del Teatro romano: in particolare, saranno risistemate le soffitte,
che accoglieranno la sede delle rappresentanze sindacali. Spesa di 700 mila
euro.
Massimo Greco
IL PIANO - Priorità per Porto vecchio tra recinzione e
parcheggi
Cimitero, Porto vecchio, parcheggi, cultura, turismo, sport: la delibera,
che apporta una sessantina di modifiche al Piano triennale delle opere e che è
stata discussa ieri mattina da due commissioni riunite (la II e la IV), sembra
proprio un provvedimento omnibus, che affronta antichi fascicoli e nuove
richieste formulate dal sindaco, dalla giunta, dalla maggioranza. Tra le nuove
opere, su esplicita sollecitazione di Dipiazza, c'è l'acquisto del nuovo forno
crematorio da inserire nel cimitero di Sant'Anna: il costo presunto, riportato
nell'apposita casella dell'allegato, parla di 600 mila euro, in gran parte
finanziato dall'avanzo vincolato.Il progressivo passaggio degli asset di Porto
vecchio dall'Autorità al Comune consiglia il nuovo proprietario a disporre una
serie di interventi manutentivi sui beni ricevuti o in via di recezione. Si
comincia dal refitting dedicato alla lunga recinzione che in viale Miramare
perimetra l'area ex portuale. Anche questo è un cavallo di battaglia del
sindaco, che nel recente passato aveva suscitato polemiche perchè aveva
ipotizzato il coinvolgimento lavorativo di rifugiati e richiedenti asilo
ospitati a Trieste. Ma la manutenzione straordinaria, che costerà circa 78 mila
euro, necessita di un preventivo vaglio della Soprintendenza e di aziende
specializzate nell'esecuzione di opere relative ai beni culturali. Al termine
del Porto vecchio il sindaco ha voluto che fosse realizzato un parcheggio sul
terrapieno di Barcola: anche questa è una new entry, sulla quale il Comune
investirà 530 mila euro, drenati attraverso un finanziamento dell'Uti, l'avanzo
vincolato, la vendita di titoli. In tema di viabilità un finanziamento di 150
mila euro consentirà la manutenzione straordinaria di Pontebianco e Ponteverde,
le strutture che sulle Rive scavalcano il Canal Grande dalla parte del mare.
Alcuni significativi interventi sono programmati tra cultura e turismo. A
cominciare dalla ristrutturazione e ampliamento dell'Aquario, il primo lotto
viene integrato con quasi 300 mila euro, cosicchè il ripristino del contenitore
avrà a disposizione quasi 600 mila euro ed evidenzia una prioritaria rilevanza
nella programmazione comunale. Recentemente si erano levate proteste tra i
visitatori per le precarie condizioni in cui versa la struttura. A supporto
dell'offerta culturale - ma non solo - il finanziamento, che serviva a
incrementare la segnaletica turistica, viene invece dimezzato a 100 mila euro.
In ambito sportivo è lo stadio Rocco a ricevere rinforzi con un nuovo
stanziamento pari a 340 mila euro per la ristrutturazione, riqualificazione e
adeguamenti normativi. sarà lo stesso direttore dei Lavori Pubblici, Conte, a
fungere da responsabile del procedimento. Un'altra iniezione di risorse, pari a
260 mila euro, rafforza l'intervento sulla copertura della piscina Bianchi. A
dire il vero qualche impianto ci rimette: è il caso del vecchio stadio Ferrini a
Ponziana, che vede l'originaria dotazione di 450 mila euro scendere a 100 mila
euro. Infine, gli uffici hanno raschiato un po' di soldi per un lotto di 107
mila euro destinato ai serramenti delle scuole, un tema assai popolare per
sicurezza e igiene degli edifici. Piazza Hortis avrà una nuova recinzione con 90
mila euro.
magr
Il verde pubblico è ancora poco - Meglio al Nord ma la
percentuale resta bassa. Serve manutenzione
ROMA Il verde pubblico, un tempo semplice indice della qualità urbanistica
degli spazi costruiti, oggi rappresenta un indicatore dello sviluppo urbano
sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. È ormai
ampiamente condivisa la consapevolezza che la presenza di spazi verdi aperti può
migliorare la salute e contribuire alla qualità della vita, tutelando
l'ecosistema urbano, mitigando i rischi dei cambiamenti climatici e
dell'inquinamento e contribuendo alla sicurezza alimentare e idrica: rendendo le
nostre città più resilienti. Non a caso la Nuova Agenda Urbana dell'Onu al 2030
inserisce tra gli indicatori chiave per il futuro delle città sostenibili la
presenza di spazi verdi, e la Commissione Europea ha lanciato il tema delle
infrastrutture verdi. Simbolo del nostro verde sono gli alberi, ai quali dal
2013 ormai è dedicata una Giornata Nazionale, fissata per ogni 21 novembre. Gli
alberi sono ricchezza, salute e spesa sociale, agricoltura, industria del legno,
turismo ambientale, ma anche storia e identità. A giudicare dal rapporto sulla
qualità urbana di Ispra - l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale del ministero dell'Ambiente - per fotografare la situazione, c'è
ancora molto da fare, in quanto nei 116 Comuni capoluogo presi in
considerazione, in ben otto su dieci il verde pubblico non incide per più del
5%, con particolare riferimento alle città del sud e delle isole. Tra le città
infatti con poca disponibilità pro capite di aree verdi e basso valore anche
nella percentuale generale di verde, troviamo L'Aquila, Barletta, Crotone, Enna,
Foggia, Isernia, Lecce, Olbia, Siracusa, Taranto e Trani, oltre però anche ad
alcuni capoluoghi con alta densità cementizia nel nord, come Genova, Imperia e
Savona. Spiccano con alta densità di verde urbano Gorizia, Pordenone, Sondrio e
Trento al Nord, Matera e Potenza al Sud. Le città "più verdi" sono quelle con
più alti valori nelle aree protette: Messina, Venezia e Cagliari. Da segnalare
naturalmente che alcune grandi città come Milano, Torino e Roma registrano una
discreta percentuale di verde sulla superficie comunale pur venendo certificati
valori di disponibilità pro capite medio-bassi in relazione alla popolosità, con
la Capitale che risulta essere la città con la maggiore estensione di aree
naturali protette (il 30,5%, quasi 400 milioni di metri quadrati), grazie alla
presenza di polmoni verdi come Villa Borghese e Villa Pamphili. Dalla sua
istituzione la Giornata Nazionale degli Alberi ha riscontrato interesse da parte
dei Comuni: l'84,5% delle città la celebrano piantando nuovi alberi; il 58,6% ha
dato il via a campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini per far
crescere la cultura del verde, mentre il 24% ha previsto percorsi formativi per
addetti alla manutenzione del verde. Un dato, quest'ultimo, la cui crescita è
fondamentale, dal momento che la qualità delle nostre aree verdi non può
prescindere dall'efficienza della manutenzione e dall'attenzione dei Comuni
verso quelle professioni qualificate a mantenere il nostro ambiente ben tenuto.
Alfredo De Girolamo
Le sfide di Bolzonello tra Ferriera e alleati - il tour
in FVG
TRIESTE - Sergio Bolzonello chiude il mini tour regionale auspicando
un'alternativa all'area a caldo della Ferriera, nel corso dell'ultimo incontro
con gli iscritti al Partito democratico tenutosi ieri a Trieste. Alla fine di un
serrato discorso di autopresentazione della propria candidatura alla guida della
Regione, il vicepresidente e assessore alle Attività produttive si è smarcato in
parte dalla linea della giunta Serracchiani, spiegando di ritenere «fondamentale
la difesa dei lavoratori», ma aggiungendo che «le alternative all'area a caldo
potrebbero essere messe a disposizione di un ragionamento: oggi questa
alternativa non c'è e serve un piano per riconvertire l'area alla funzione
logistica. Si può ragionare con l'imprenditore, senza demonizzare l'area a caldo
ma pensando anche a scenari diversi, senza blaterare come ha fatto qualcuno». E
la stoccata al sindaco Roberto Dipiazza è chiara. Bolzonello parla per quaranta
minuti. Si alza in piedi dopo la presentazione del segretario provinciale
Giancarlo Ressani e impugna lo stesso foglio di appunti che aveva in mano
all'assemblea regionale in cui ha annunciato l'intenzione di candidarsi alla
guida di un'alleanza di centrosinistra. Quel foglio è diventato una coperta di
Linus e al centro vi campeggia la parola «unità» da cui l'ex sindaco di
Pordenone fa partire tre frecce. «Unità del partito, della coalizione e dei
territori del Friuli Venezia Giulia». Per Bolzonello l'unità dell'alleanza deve
superare «la scissione dell'atomo della sinistra: non sottovaluto le cause della
difficoltà di rapporti col Pd, ma abbiamo il dovere di arrivare fino all'ultimo
minuto per trovare unità su valori e programmi». Seguono l'appello ad approvare
lo ius soli e l'applauso del centinaio di presenti. L'unità è pure quella dei
territori, con la sottolineatura che «il Fvg è la più grande piattaforma
logistica d'Italia, con un porto che va da Trieste a San Giorgio, un porto
franco che darà sviluppo a tutta la regione e i tre interporti di Cervignano,
Udine e Pordenone. A Trieste abbiamo investito sul porto e sui cluster della
nautica e dello smart health, ma ricordo anche che due anni fa la Wärtsilä
sembrava se ne andasse e invece ne abbiamo ottenuto il rilancio, così come
abbiamo garantito l'80% di rimborso ai risparmiatori Coop». Vista l'assenza di
candidature alternative, l'assemblea del 27 indicherà Bolzonello come la scelta
del Pd, dandogli mandato di costruire programma e coalizione. Il vicepresidente
ricorda allora che «la comunità cui appartengo non è solo il Pd ma quella che si
fonda sui diritti della persona e che non lascia indietro nessuno: dobbiamo
camminare tutti assieme e non avere paura del domani, come diceva un noto
filosofo che si chiama Bob Marley». Per farlo, Bolzonello propone di «rimettere
al centro i fondamentali come scuola e lavoro: solo così si rimette al centro
l'individuo». Poi la conferma dell'intenzione di chiedere a Roma le competenze
sulla scuola, come in Trentino. Bolzonello sa che la campagna elettorale si
giocherà su sanità, Uti e profughi. Ed è sulle Unioni territoriali che ricerca
la discontinuità: «Dalle Uti non si torna indietro ma dobbiamo dare risposte
agli amministratori dopo aver corso troppo. Qualcosa faremo già in finanziaria».
Il vicepresidente tiene invece il punto sui migranti: «Servono accoglienza
diffusa, regole precise e integrazione attraverso il lavoro. Bene l'azione di
Minniti».La chiusura dell'incontro vede Bolzonello chiamare vicino a sé Roberto
Cosolini, secondo cui «Sergio è in campo per vincere e noi dobbiamo essere in
campo con lui». Il candidato in pectore parla di «amicizia e grande stima» per
l'ex sindaco: un potenziale assessore è già stato scelto.
(d.d.a.)
Festa dell’albero alle 15.30, in piazza Hortis.
Riconoscimento degli alberi monumentali della piazza in 8 mosse attraverso una app per tablet e smartphone presentata da Pierluigi Nimis (Università di Trieste) e letture sotto l’albero a cura dell’associazione L’una e l’altra”.
IL PICCOLO - LUNEDI', 20 novembre 2017
Fondi bis per la bonifica di Acquario - In arrivo dalla
Regione 400mila euro per il terrapieno di Muggia. Si punta ad aprire parcheggi e
accesso al mare entro l'estate
MUGGIA - «Entro l'inizio della prossima estate garantiremo i parcheggi e
l'accesso al mare per i bagnanti di Acquario». Francesco Bussani, assessore ai
Lavori pubblici di Muggia, strappa la promessa ai propri concittadini dopo la
notizia ufficiale di un nuovo finanziamento per la riqualificazione del
terrapieno. La Regione ha infatti deliberato uno stanziamento al Comune di
Muggia, attraverso l'Uti Giuliana, pari a 400 mila euro da utilizzare per i
lavori di bonifica del sito inquinato di Acquario. Una somma fondamentale per
portare a termine il cantiere avviato da qualche mese. Attualmente il terrapieno
è interessato dalla messa in sicurezza permanente del primo lotto. L'area
interessata si riferisce ai 900 metri che formano la passeggiata a mare
prospiciente la scogliera. Ma non solo. Sono in fase di allestimento anche due
aree parcheggio per un totale di quasi 100 stalli: uno all'inizio e l'altro alla
fine del terrapieno. La spesa complessiva del primo lotto di lavori si aggirava
attorno al milione di euro: con il finanziamento giunto dalla Regione la
chiusura del cantiere sarà garantita al 100%, con possibilità anche che parte
dell'avanzo venga utilizzato per il secondo più impegnativo lotto che dovrà
interessare il terrapieno vero e proprio. «Il cantiere sta procedendo bene e
sicuramente il finanziamento giunto tramite le Uti è il primo tassello
necessario per chiudere tutta la questione Acquario», puntualizza Bussani. Gli
interventi sul terrapieno, a lungo interdetto a causa di complesse vicende
giudiziarie legate all'inquinamento dell'area, sono stati sbloccati dopo 13 anni
di attesa a metà del 2015 quando la Conferenza di servizi regionale ha approvato
il progetto definitivo per la sua messa in sicurezza e bonifica. Gli attuali
cantieri sono la prosecuzione del recupero del lungomare muggesano iniziato lo
scorso marzo con i lavori di riqualificazione del tratto costiero tra Porto San
Rocco e Punta Olmi. Già realizzato anche il primo tratto della pista ciclabile
sul lungomare tra Porto San Rocco e l'ex confine. Nello specifico sono stati
interessati 600 metri tra Punta Olmi e il Molo T, per la cui realizzazione è
stato speso un milione di euro. «A questo tratto, che scorre lungo la Strada
provinciale 14, si sta aggiungendo ora un ulteriore segmento di circa un
chilometro con altri interventi di supporto all'offerta turistica, in
particolare la creazione di un'area parcheggio con un centinaio di posti auto
suddivisa in due zone che renderà fruibile la prima parte di Acquario», precisa
Bussani. Per quanto riguarda invece il secondo e più cospicuo lotto relativo al
"cuore" del terrapieno, si attende conferma dei cospicui finanziamenti che la
Regione dovrebbe assegnare all'Uti Giuliana (si parla di circa 2 milioni di
euro) da cui il Comune dovrebbe poter attingere la somma necessaria per chiudere
uno dei capitoli più difficili della storia amministrativa rivierasca.
Riccardo Tosques
Scontro sulla Ferriera, il Pd invoca buon senso -
L'appello di Codega: «Comitati e istituzioni diano prova di responsabilità».
Domani dibattito a Muggia
«L'appello degli operai della Ferriera ha evidenziato in maniera palese una
conduzione poco responsabile della problematica relativa all'impianto di
Servola. Gli operai e le loro famiglie ne pagano lo scotto più pesante e fanno
bene a denunciarlo». A intervenire nel dibattito innescato dalla petizione
lanciata dai lavoratori è il consigliere regionale del Partito democratico
Franco Codega. «Serve più responsabilità - aggiunge l'esponente democratico - da
parte di gruppi e associazioni che continuano a denunciare stati e livelli gravi
di inquinamento che non vengono poi suffragati dagli studi e dalle rilevazioni
degli enti preposti (come lo studio del 2014 dell'Osservatorio ambiente e salute
e i dati del "Focus Ferriera" dell'Arpa). Denunce che poi vengono opportunamente
strumentalizzate da forze politiche per averne un ritorno meramente elettorale.
La conseguenza - spiega Codega - è di rendere insopportabile il rapporto tra i
residenti del quartiere e le maestranze dello stabilimento, con il giusto
risentimento delle stesse». Di qui l'appello al buon senso e alla prudenza da
parte di tutti gli attori coinvolti, prima di tutto quelli che ricoprono ruoli
istituzionali. «Ci vuole responsabilità da parte delle istituzioni, in primis
dalla Regione, che hanno il compito di monitorare il rispetto dell'Aia da parte
della Siderurgica Triestina - continua Codega - . E dobbiamo dire che questa è
stata finora opportunamente esercitata attraverso i monitoraggi, le prescrizioni
e le diffide messe in campo. Di fronte a due beni preziosi quale la salute dei
cittadini e il lavoro per centinaia di operai, è evidente la necessità di
mantenere un fermo equilibrio e una forte responsabilità, affinchè ambedue i
valori vengano salvaguardati. E tale responsabilità va misurata con la verifica
delle cose fatte e non alzando polveroni emotivi». Del caso Ferriera, e della
difficoltà di far convivere diritto al lavoro e diritto alla salute, si parlerà
anche a Muggia nel corso di un incontro in programma domani alle 17.30 in Sala
Millo. Insieme al sindaco Laura Marzi e all'assessore all'Ambiente Laura
Litteri, interverranno Luca Marchesi, direttore generale Arpa Fvg, Franco
Sturzi, direttore tecnico scientifico dell'Arpa e Fulvio Stel di Sos Qualità
dell'aria.
IL PICCOLO - DOMENICA, 19 novembre 2017
È spaccatura a Servola sull'appello degli operai -
Comitati dei cittadini critici dopo la richiesta dei lavoratori di abbassare i
toni
Apertura dalle istituzioni. Martedì tavolo con le sigle sindacali al
ministero
Dopo tanto tempo i lavoratori della Ferriera si sono esposti attraverso una
petizione. Per chiedere da una parte rispetto e dall'altra un'apertura a un
dialogo disteso con le associazioni in campo e tutta la comunità. Le risposte
all'appello non si sono fatte attendere. Ma hanno avuto tenori diversi fra loro.
Istituzioni solidali nei confronti degli operai, dalla Regione al Comune. Così
come FareAmbiente. Il Comitato 5 dicembre invece non ha appoggiato la proposta,
lanciando una controffensiva. Più placida la risposta di No Smog. «Se avessimo
visto degli insulti sul web agli operai, li avremmo condannati - esordisce
Barbara Belluzzo del Comitato 5 dicembre -. Se esistono, vorremmo vedere gli
screenshot: altrimenti per noi questa degli insulti è una bufala creata ad arte
per dividere cittadini e operai». Sembra dunque che il gruppo non abbia evidenza
del fatto che nel corso degli anni i dipendenti di Arvedi siano stati
«dileggiati», come afferma invece la promotrice della petizione, Erika Bozieglau,
la moglie di uno delle centinaia di lavoratori della Ferriera. Il Comitato
ammette sì che «il dialogo tra noi cittadini e gli operai sia fondamentale» ma
rileva come in questo caso si tratti di «una protesta a nostro avviso
completamente pretestuosa e infondata di certi operai» e «un'operazione
mediatica scorrettissima dell'ufficio stampa della proprietà». Comprensione da
"No Smog" che chiede ai lavoratori anche di fare un passo in avanti verso i
problemi che affliggono i residenti di Servola: «Capiamo che quel posto di
lavoro sia la loro fonte di reddito e che si trovino in una condizione di forte
disagio a ricoprire il loro ruolo - spiega la presidente Alda Sancin -, ma il
tasso di inquinamento a cui noi e loro stessi siamo sottoposti lo dice
l'Organizzazione mondiale della sanità che è cancerogeno». Se poi un dialogo
vero e proprio non ci sia stato sin qui, la colpa per Sancin è soprattutto dei
lavoratori. «Non ci devono vedere come nemici - spiega -, siamo disposti anche
noi al dialogo, ma se fino ad adesso non c'è stato è perché loro hanno lanciato
fuoco contro noi residenti di Servola». Il possibile terreno comune di confronto
tra loro, per Sancin, comunque riguarda «le istituzioni in primis e l'azione di
bonifica dell'area». Dal versante istituzionale ha fatto sentire la propria
vicinanza agli operai la presidente della Regione Debora Serracchiani. «Quando
ci guardiamo in faccia e pensiamo alle singole famiglie di ogni lavoratore della
Ferriera - ha affermato -, a ogni storia che è nascosta o banalizzata dietro uno
slogan, diventa più difficile nascondere sentimenti e preoccupazioni». Ha
sottolineato come «la petizione dei lavoratori della Ferriera di Servola sia una
forte richiesta di ascolto e di attenzione da parte di tutti. Le letture a senso
unico non sono un'opzione accettabile». Serracchiani ha inoltre chiamato in
causa le stesse istituzioni: «Le tensioni sullo sviluppo industriale di Trieste
esistono da tanto tempo e accendono gli animi, ma - ha affermato la presidente -
il compito delle istituzioni è evitare che il confronto anche serrato travalichi
nella mancanza di rispetto verso le persone e verso il loro lavoro. Le emozioni
- ha concluso - e le inquietudini delle persone in carne e ossa che ogni giorno
entrano nello stabilimento chiedono, anzi impongono rispetto. L'estremizzazione
dello scontro sulla Ferriera si è sviluppata sulle teste di queste centinaia di
persone, alle quali è stata riservata la parte di scomodi e sacrificabili
comprimari. Non è giusto». Dalla parte dei lavoratori anche il sindaco Roberto
Dipiazza, non senza qualche riserva nei confronti dell'impianto: «Nella mia vita
ho solo creato posti di lavoro e non li ho distrutti, però ricordiamoci sempre
il tema ambientale. Sono 21 anni, dal '96, che mi dicono che il prossimo anno
migliorerà l'area a caldo - ha spiegato -. Rispetto dunque non solo i lavoratori
ma anche la loro salute oltre a quella dei cittadini, le problematiche della
Ferriera riguardano proprio loro». Si allontana da qualsiasi accusa di possibile
scherno verso i dipendenti: «Io non li ho mai dileggiati, credo che questo sia
opera di qualche cretino che li vessa attraverso Facebook. Condivido la
posizione dei lavoratori che non devono essere colpevolizzati, è l'azienda che
obiettivamente deve chiudere l'area a caldo. Per questo ho chiesto alla Regione
più volte un tavolo sul lavoro. E martedì saremo a Roma al Mise con i
sindacati». A intervenire anche Giorgio Cecco, coordinatore regionale di
FareAmbiente: «Serve un fronte comune per la tutela della salute e della qualità
del lavoro, certo non polemiche e prese di posizione che alla fine penalizzano
proprio i più deboli ed esposti, quindi in primis gli operai e gli abitanti».
Condivide la strada del dialogo tra le parti Salvatore Porro (FdI), il
presidente della VI commissione consiliare del Comune a cui verrà consegnata la
petizione. L'azienda del gruppo Arvedi, contattata, ha preferito non intervenire
Benedetta Moro
Il popolo della fabbrica tra rabbia e disillusione - I
firmatari della lettera invocano rispetto: «Persino i nostri figli vengono
offesi»
Ma in molti hanno perso le speranze: «Le cose non cambiano, lavoriamo e
basta»
«Stiamo lavorando, non facciamo male a nessuno. Per protestare ci sono altri
canali e quello giusto non è sicuramente offendere la dignità e il lavoro delle
famiglie delle persone che vengono qui mattina, pomeriggio e notte, sabati e
domeniche compresi. Non ne vale la pena, chi fa così dimostra un'innata
ignoranza». La pensa così Diego Rapisarda, una delle tante voci che si alza
dalla Ferriera per dire basta alle ingiurie e alle offese che girano sul web.
Offese rivolte ai lavoratori della Siderurgica Triestina anche semplicemente
quando dicono «lavoro in Ferriera». Per questo hanno deciso in molti di aderire
alla petizione lanciata da Erika Bozieglau, la moglie di uno dei tanti operai
della Ferriera, pronta assieme ad altri familiari a sostenere i lavoratori dello
stabilimento servolano. Ma non tutti sono d'accordo. O meglio, non tutti credono
nella possibilità che la gente smetta di lanciare offese. E molti non ripongono
alcuna fiducia in un dialogo che, a parer loro, per troppo tempo non ha portato
ad alcun miglioramento per l'impianto. «Io sono di una ditta esterna - afferma
Massimiliano Coslovich -, ma tanto tutti siamo visti male all'esterno. È facile
dare la colpa sempre alla ditta e ai lavoratori, in realtà è tutta politica. È
vero che la Ferriera inquina, ma come tutti gli stabilimenti e noi veniamo per
prendere il nostro pezzo quotidiano di pane, grazie a Dio c'è lavoro». Sul
dialogo però non è d'accordo: «Il sistema non cambierà». «Io invece penso che il
dialogo sia costruttivo - dice un altro operaio -. A patto che si parli del
futuro di questo posto e che si smetta di fare campagna elettorale su questo
posto». Ha fiducia in un'apertura dei dipendenti verso la cittadinanza e le
istituzioni Roberto Decarli, ex operaio a Servola ed ex consigliere comunale
(Trieste cambia), che ha anche aiutato i promotori della petizione. «I
lavoratori sono pronti a parlare di Ferriera senza urla e toni accesi, senza
espressioni come quelle del sindaco Dipiazza che definisce lo stabilimento "un
cancro". Si può parlare di tutto, di inquinamento, di lavoro, ma senza offendere
nessuno, perché chi ha sofferto e pagato questa situazione sono i dipendenti che
hanno vissuto in un continuo limbo tra striscioni "No Ferriera" e il sindaco che
ogni due per tre intimava la chiusura. Sono 20 anni che sfrutta politicamente la
Ferriera. L'area a caldo - continua Decarli - per me dovrebbe andare avanti
viste le misure che sta prendendo Arvedi, è la prima volta che si vedono
interventi di riqualificazione di questo tipo. Ormai - conclude - le persone,
anche dei comitati, che vogliono chiudere la Ferriera sono quelle che sono in
cerca di una poltrona». Le invettive lanciate contro gli operai pare comunque
esistano davvero. Le mostra da Facebook sul cellulare un lavoratore, che ha
firmato la petizione ma preferisce rimanere nell'anonimato. "Devi morir", scrive
un utente. Qualcuno su social riporta il numero della sede della Siderurgica
Triestina. E poi: "Telefonemoghe in massa in continuo rompendoghe i coioni come
lori li rompi a noi. Guera aperta". Eppure, sottolinea l'operaio, «al 90 per
cento dei dipendenti piace questo lavoro, qui vengono in continuazione persone a
consegnare il proprio curriculum». «Ci dicono che portiamo la morte», aggiunge
un altro. A qualcuno non interessa nemmeno sentire parlare dell'appello: «Penso
solo a lavorare». Oppure: «È inutile perdersi in queste cose, ci sono problemi
più grandi». E ancora: «Non m'interessa quello che dicono le persone».Fulvio
Gorza è convinto invece che «la petizione debba seguire il suo corso. È da anni
che pensavamo di fare un'iniziativa di questo tipo, non possiamo fare baruffa
ogni volta che ci muoviamo. I nostri figli - aggiunge - vanno a scuola, i
professori dicono loro che noi uccidiamo tutti e che moriremo. Non è bello ed è
ora di dire basta. Speriamo che smetta di bombardare anche Dipiazza, soprattutto
durante le elezioni perché poi la gente pensa che sia colpa nostra. Ma non sono
d'accordo di aprire al dialogo, non ci siamo mai riusciti finora». Pensa alle
famiglie che non c'entrano nulla anche Stefano Plet. Ha firmato la petizione
pure Rocky Leo: «Chiediamo un dialogo più aperto anche per gli operai, abbiamo
scritto la petizione anche per dire ai cittadini che non siamo contro di loro».
Gli fa eco Giovanni Degrassi, che aggiunge: «C'è un clima di malessere perché ci
sentiamo bersagliati, anche senza nessuna colpa. Facciamo il lavoro il meglio
possibile e siamo visti come untori».
(b.m.)
Il doppio "flop" dei terreni in vendita di Rio Martesin
- L'asta è andata deserta due volte davanti un notaio romano - Chiesti 1,4
milioni. I progetti bloccati dal Consiglio di Stato
Il titolo è sufficientemente anodino: "vendita all'asta terreno edificabile
in Trieste". Segue un corposo elenco di particelle catastali, poi le due
giornate scelte per l'asta ovvero martedì 31 ottobre in prima battuta e martedì
14 novembre nel caso il primo tentativo fosse andato deserto. Appuntamento
sempre alle ore 15. La vendita senza incanto, previa presentazione di buste
chiuse possibile fino al giorno prima, era nell'agenda del notaio Giacomo
Laurora, che ha il suo studio in piazza Bologna 2, tra la stazione Tiburtina e
la Nomentana, non lontano da villa Torlonia. Il primo prezzo era fissato a 1
milione 600 mila euro, il secondo si abbassava a 1 milione 400 mila euro, in
entrambi i casi erano possibili rilanci a 10 mila euro al colpo. Deposito
cauzionale di 50 mila euro. Ma nessuno ha portato buste chiuse al notaio Laurora
per acquistare i terreni che si estendono a partire dal rio Martesin in
direzione di Scala Santa. E il professionista romano non sa se ci sarà una terza
volta, se il venditore saggerà ancora il mercato o cambierà strategia. Il dato,
che può interessare la platea triestina, è che, dopo dieci anni di scontri
giudiziari e politici, l'area verde tra Roiano e Gretta, dove a un certo punto
era prevista la realizzazione di 7 palazzine e 109 appartamenti, è andata
all'asta e finora nessun operatore l'ha voluta comprare. In apparenza si
potrebbe arguire che Gestione italiana appartamenti (gia srl) e Airone 85, le
due società romane intenzionate a varare la vasta operazione immobiliare nella
stretta valle del rio Martesin, abbiano gettato la spugna.Sul "caso Rio
Martesin", dopo le serrate polemiche del Dipiazza 2° e della prima parte
dell'era cosoliniana, era caduto la pesante cortina del silenzio. I rimandi
degli archivi redazionali si fermano addirittura al 2014. Ma la vicenda ebbe
inizio perlomeno nel 2007, allorquando la Gia srl acquistò il dibattuto terreno
dall'impresa di costruzioni Perco snc. L'area ricadeva in zona denominata B4
della variante 66 del Piano regolatore , entrata in vigore nel 1997, Illy
imperante.Le prime avvisaglie della guerra si ebbero proprio a partire dal 2007,
quando i residenti raccolsero 300 firme per protestare contro la paventata
cementificazione della valletta, formata dalle acque del torrente Martesin. Ci
si arriva in auto da via Cormons, dove conviene parcheggiare e proseguire a
piedi. Una verde plaga non molto conosciuta di Trieste, nonostante sorga a pochi
passi da via Giusti e da Strada del Friuli. Ma lo scontro vero e proprio si
accese nel 2009 in occasione della presentazione dei progetti elaborati da Gia e
Airone 85, che - come abbiamo visto - prevedevano la costruzione di 109
appartamenti. A tale fine il 13 luglio 2009 il Comune di Trieste rilasciava tre
permessi per la realizzazione di 109 appartamenti, collegati alla viabilità
maggiore da centinaia di metri di asfalto. Tre permessi distinti per tre
progetti distinti, così da restare sotto la quota di 10 mila metri cubi, sopra
la quale sarebbe invece scattata la Valutazione di impatto ambientale. Ma la
somma dei tre dà 11.300 mc.I residenti non accettarono e impugnarono,
patrocinati dall'avvocato Gianfranco Carbone, i permessi avanti il Tribunale
amministrativo del Friuli Venezia Giulia, che però respinse l'istanza. Tre
cittadini, abitanti in zona, non si rassegnarono e andarono al Consiglio di
Stato: Dario Ferluga, Luciana Comin, Giorgio Bragagnolo. Palazzo Spada diede
loro ragione e annullò i permessi a costruire rilasciati dal Comune: non solo,
la sentenza, depositata l'antivigilia di Natale del 2010, dispose che i pastini
della valletta non fossero toccati. Inoltre Gia e Airone 85 avrebbero dovuto
ripristinare la situazione antecedente ad alcuni lavori già eseguiti. Non era
comunque finita perchè nella primavera del 2011 i costruttori chiesero al
Municipio 4 milioni di risarcimento. E nel 2012 un nuovo progetto - dieci
edifici a un solo piano - planava sui tavoli comunali: la Soprintendenza rispose
no. Terzo tentativo nel 2014, con pollice verso della III circoscrizione.
Massimo Greco
COP23 A BONN - Passi avanti sul clima ma strada in salita
Alcuni passi avanti ma ancora tanta strada da fare per onorare gli impegni presi a Parigi due anni fa. Potrebbero essere sintetizzati così i risultati della Conferenza sul clima che si è tenuta a Bonn (Coop 23) e che si è chiusa ieri dopo una maratona notturna di negoziati sui dettagli tecnici dell'applicazione dell'Accordo di Parigi. Sono state, infatti, definite le procedure per arrivare alla revisione degli impegni degli Stati per il taglio delle emissioni di gas serra. Questi impegni, presi a Parigi due anni fa, sono insufficienti per raggiungere l'obiettivo dell'Accordo stesso (mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi, meglio se 1,5) e vanno aggiornati. L'aggiornamento dei target nazionali di decarbonizzazione dovrà permettere all'Accordo di Parigi, quando entrerà in vigore nel 2020, di raggiungere almeno il suo obiettivo minimo. Il premier delle Fiji, Frank Bainimarama, che ha presieduto la conferenza, si è detto soddisfatto per la messa a punto delle regole per l'applicazione dell'accordo di Parigi e del percorso per i paesi per aumentare i loro obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra. Il presidente nel documento finale ha istituto un tavolo di discussione che partirà nel gennaio del 2018 per definire gli aggiornamenti dei target nazionali in vista della Cop24. Ma resta aperta la spinosa questione del fondo - non ancora istituito - per aiutare i paesi poveri a combattere il "global warming".
Amanti della bicicletta a colazione - Mattinata nel
segno delle due ruote in Cavana. Spazio per lo scambio di accessori
Chi va in bicicletta e sceglie la mobilità sostenibile va premiato. Questo
il pensiero della Fiab che ieri in Cavana ha dato vita alla seconda edizione di
"Bike Breakfast" offrendo bevande calde a chi si è presentato con il proprio
mezzo a due ruote. «La bicicletta "funziona" in tante situazioni diverse - ha
sottolineato Federico Zadnich della Fiab -: per il benessere quotidiano, se si
vuole stare meglio, per gli spostamenti urbani, veloce e non inquina, anche per
togliere congestione dalle nostre strade urbane, e perché dieci biciclette
occupano lo spazio di un'auto. Anche per questa edizione autunnale del Bike
Breakfast, l'idea è quella di creare un momento di incontro e scambio di
informazioni sui temi della mobilità sostenibile tra chi è disposto a muoversi
in città lasciando a casa la macchina, scegliendo uno stile di vita più leggero
e più amico della terra». A chi si è fermato quindi nel punto allestito con uno
stand, è stata offerta la colazione. La mattinata è proseguita anche con altri
appuntamenti. È stato spiegato come attrezzare una bici per un cicloviaggio,
sono stati forniti consigli su come scegliere la bici giusta, mettendo a
confronto le differenti caratteristiche di quelle da montagna, da città e le
innovative ebike. Spazio poi alle foto di una cicloesperienza a New York, ai
trucchi da mettere in campo per ripartire dopo una foratura, in più durante
tutta la mattinata è stato predisposto uno spazio del dono e dello scambio di
accessori e ricambi per la bicicletta. «Bike Breakfast - ricorda ancora Zadnich
- nasce dall'incontro di due associazioni impegnate in città su temi diversi ma
complementari, unite dall'urgenza di invertire la rotta dello sviluppo
incontrollato per garantire un futuro al nostro pianeta: Fiab Trieste Ulisse,
associazione di cicloturisti e ciclisti urbani, e Senza Confini Brez Meja,
associazione che promuove il commercio equo e solidale, il consumo critico e le
pratiche per uno stile di vita amico dell'ambiente».
Micol Brusaferro
Come tutelare chi ci dà la vita - Cinque giorni di
incontri per dare ossigeno agli alberi
Educazione ambientale, simbolo di appartenenza e fonte di aggregazione e
creatività. Sono i valori che provano a dare forza alla celebrazione della
Giornata degli alberi, ricorrenza su scala nazionale accolta anche a Trieste, a
cura del Comune (assessorati all'Educazione e ai Lavori pubblici) e delle varie
circoscrizioni, nell'ambito di una programmazione disegnata da domani al 24
novembre. Laboratori e incontri e soprattutto molto spazio alle buone pratiche,
formula con cui poter coinvolgere sul campo le scolaresche della provincia,
dagli asili agli istituti superiori. Si parte domani entrando nell'Istituto
d'arte Nordio teatro nel pomeriggio, dalle 15 alle 17, a cura del Comune di
Trieste, Area Lavori pubblici, di un incontro riservato agli studenti delle
classi quarte e quinte dell'indirizzo architettonico, incontro disegnato da tre
segmenti tematici: "Alla scoperta della foresta urbana di Trieste", con il
docente Pierluigi Nimis, "La tutela del verde urbano e il verde ornamentale
nella progettazione urbanistico-edilizia" (Francesco Panepinto, Servizio Spazi
aperti) e "Cambiamenti climatici e ambiente urbano, multifunzionalità del verde
ornamentale" spunto affidato al docente universitario Giovanni Bacaro.È nella
giornata di martedì che vanno in scena le iniziative più significative, più
coinvolgenti sul piano del significato autentico della festa dell'albero.
Seminare, accudire, curare. La simbologia dell'albero va insomma nutrita, spunto
destinato a concretizzarsi con la messa a dimora di bulbi in varie sedi
scolastiche cittadine, dall'asilo Piccoli passi di via Frescobaldi (alle 9.30),
in piazza Hortis (10.30), nell'area verde di strada di Guardiella/viale al
Cacciatore (alle 11.30) e alla scuola dell'infanzia Stella Marina di Ponziana,
qui con la cerimonia fissata alle 14.30. La "semina" proseguirà il 22 e il 24
novembre, coinvolgendo la IV e la V circoscrizione, da Basovizza a Gretta,
toccando Altura e il laghetto di Contovello.
Francesco Cardella
IL PICCOLO - SABATO, 18 novembre 2017
Gli operai della Ferriera alzano la voce - Raccolte 236 firme contro gli «insulti quotidiani a lavoratori e famiglie. Serve un dialogo rispettoso». La petizione al Comune
Sono rimasti quasi sempre sullo sfondo di una battaglia, quella per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola, che ha visto il coinvolgimento di migliaia di triestini e che, di fatto, ha spostato gli equilibri delle ultime elezioni amministrative. Hanno deciso di rompere il silenzio, «perché esasperati dalla continua e gratuita violenza verbale» di cui si sono sentiti vittime, attraverso una petizione popolare che verrà presentata martedì prossimo nel corso della seduta della Sesta commissione consiliare. Sono i lavoratori dello stabilimento siderurgico di Servola che, sostenuti dalle rispettive famiglie, hanno scelto di uscire allo scoperto e di rivolgersi direttamente «all’assise più rappresentativa della città». La petizione, che in poco tempo ha raccolto 236 firme, è stata proposta da Erika Bozieglau, la moglie di uno delle centinaia di lavoratori della Ferriera. «Ci sentiamo presi di mira per un lavoro che viene portato avanti onestamente – le parole della signora –. Siamo stanchi di leggere sui social le minacce e le parole pesanti che vengono rivolte ai lavoratori e alle loro famiglie». Quello rappresentato dai firmatari del documento è uno scatto d’orgoglio che si è reso necessario dal momento che «veniamo quotidianamente e vergognosamente dileggiati e offesi da pseudo associazioni e singoli cittadini, financo dallo stesso sindaco, attraverso dichiarazioni stampa, messaggi in rete e manifesti». Le persone che hanno confermato la propria adesione alla petizione hanno così voluto rivendicare «tutta la dignità che è stata forgiata dal nostro duro lavoro», un sentimento «che ci appartiene come lavoratori ma anche come cittadini». «Ci rifiutiamo – si legge nel documento – di fare il gioco di certi politici e di quelle associazioni che alimentano con violenza, finora verbale, la contrapposizione fra lavoratori e cittadini. Abbiamo ricevuto e stiamo ricevendo minacce e offese, ma di questo si occuperà la magistratura». Il confine del confronto civile sembra essere stato ampiamente superato soprattutto sulle pagine dei social, dove non è difficile imbattersi in dei cani sciolti che abbaiano senza alcun ritegno la propria rabbia. Va dato atto agli organizzatori delle proteste, infatti, di aver sempre cercato di evitare la contrapposizione con i lavoratori dello stabilimento servolano. «Chiediamo e ci appelliamo a tutti coloro che, con buona volontà, vogliono costruire un percorso condiviso e rispettoso nei nostri confronti, per migliorare l’ambiente e la salute – così il documento firmato dai lavoratori –, di confrontarsi con noi nelle iniziative che promuoveremo senza urla, senza ostilità, offese o preconcetti. Con la stessa dignità e determinazione che manifestiamo con questa petizione, lavoreremo per salvaguardare sempre di più l’ambiente e il lavoro in questa città». L’apertura al dialogo viene confermata dalla stessa ispiratrice dell’appello: «Rispettiamo chi difende l’ambiente e le proprie convinzioni – sostiene Bozieglau –, a patto che il medesimo sentimento sia reciproco». I lavoratori, insomma, si sono stufati di venir additati da più parti come degli «assassini», diventando puntualmente «l’oggetto di ogni campagna elettorale». «Noi vogliamo lavorare in tranquillità – puntualizzano i firmatari della petizione –, senza che i nostri figli temano per la nostra salute. Siamo gente tenace e abituata a un lavoro che sappiamo duro, ma esigiamo che le nostre famiglie non vengano toccate o terrorizzate ed è per questo che, stanchi di questa inaccettabile situazione, vogliamo farci sentire in modo forte e chiaro». Una posizione, quella rivendicata dai lavoratori, che chiama in causa la politica, «nonostante l’ostilità dimostrata in passato da alcuni consiglieri comunali». «Auspichiamo il sostegno da parte del Consiglio comunale – la loro conclusione –. Se ciò non sarà possibile, avremo comunque portato alla pubblica attenzione lo stato d’animo nostro e delle nostre famiglie».
Luca Saviano
Uil in pressing su sicurezza e buste paga - L’appello del sindacato alle istituzioni per ottenere risposte. «Pronti a coinvolgere pure la Prefettura»
Pronti a rivolgersi alla Prefettura, pur di ottenere ascolto. I rappresentanti sindacali della Uilm chiederanno a breve un incontro con la massima autorità istituzionale del territorio «per evidenziare l’inaccettabile silenzio della proprietà della Ferriera su una serie di problemi che stiamo sottolineando - ha spiegato ieri il segretario provinciale della sigla, Antonio Rodà - e alle quali il gruppo Arvedi non sembra intenzionato a dare risposte». Non più tardi dello scorso settembre, la Uil aveva indetto uno sciopero per manifestare «il disagio derivante dall’atteggiamento della proprietà». «E ora siamo costretti a tornare in prima linea - ha ribadito ieri Rodà - perché Siderurgica Triestina non sembra avere a cuore un argomento fondamentale come quello della sicurezza, pur essendo consapevole delle necessità dei lavoratori. L’azienda ci aveva garantito che sarebbe stato dato uno specifico incarico a una società specializzata per definire le varie problematiche legate alla sicurezza. Ma fino a oggi - ha aggiunto il segretario provinciale - pur in presenza di nostre frequenti sollecitazioni, nulla ci è stato detto su questo fronte. Abbiamo poi più volte ricordato ai nostri dirigenti che c’è forte bisogno, in vari reparti, di nuove attrezzature. In sede locale ci viene detto che si agirà di conseguenza - prosegue Rodà - poi nulla accade sul piano concreto». Sul tavolo anche problematiche di natura economica: «Ci è stato comunicato - riprende il sindacalista della Uilm - che i premi di produzione saranno ridotti, si parla di circa 65 euro a trimestre, in conseguenza del calo di produzione originato dal recente provvedimento della Regione, che ha limitato a 34 tonnellate al mese la quantità di ghisa che può uscire dall’altoforno. Ma i lavoratori - ha protestato Rodà - non hanno alcuna responsabilità in questo campo». Per il segretario provinciale della Uilm «da tutte queste premesse, l’unica conclusione che possiamo trarre - ha osservato - è che evidentemente non c’è la volontà di avere relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Assistiamo a una continua logica di rimando. Come Uilm - ha concluso - riteniamo doveroso a questo punto rendere noto all’opinione pubblica quale sia la situazione nella quale ci ritroviamo. Se necessario, andremo in Prefettura». Uno scorcio dello stabilimento di Servola
(u.s.)
In carcere la banda dei datteri di mare - La Corte
suprema croata conferma le pene detentive. I sei condannati dovranno risarcire
lo Stato con 357 mila euro
FIUME - È stato un chiaro e duro segnale all'indirizzo di chi raccoglie e
vende datteri di mare, mollusco tutelato in Croazia da leggi molto rigorose e
che prevedono anche il carcere. La Corte suprema croata ha dato ragione al
Tribunale regionale di Fiume che nel dicembre 2016 aveva condannato a pene
detentive un gruppo di sei persone residenti in Istria, ritenute colpevoli di
pesca e vendita di datteri di mare, conosciuti anche con il nome di "datoli". I
sei erano ricorsi in appello ma la Corte suprema ha confermato i verdetti, i più
severi in Croazia da quando il dattero di mare, ormai un quarto di secolo fa, è
stato inserito nella lista delle specie protette. Per avere raccolto nell'estate
2015 almeno 539 chili del proibitissimo mollusco bivalve, pesca avvenuta nelle
acque dei dintorni di Pola e nel Canale di Leme, Cedomil Bozic, 64 anni di
Umago, è stato condannato a 4 anni e mezzo di reclusione, con identica sentenza
per Drazen Curcevic, 45 anni di Pola. Jordan Ambrozic, 49 anni di Sissano, è
stato condannato a 3 anni, mentre 2 anni sono toccati al 70enne Milorad
Marinkovic di Valbandon. Per il 53enne Serco Ivinic di Valbandon e Branislav
Mihajlik di Pola è stata confermata la condanna a un anno di carcere, con la
condizionale di 4 anni. L'atto d'accusa era stato sollevato inizialmente contro
altre tre persone che però hanno patteggiato la pena, ammettendo tutti gli
addebiti. La 57enne Ksenija Makovac di Umago, Mirko Kresic, 54 anni di Buie e
Veselin Anastasijevski, 48 anni di Umago, si sono visti infliggere 12 mesi di
carcere, pena trasformata in lavori socialmente utili, sempre della durata di un
anno. Durante il processo erano stati ascoltati in qualità di testi. Non è
tutto. Oltre alla reclusione, i sei istriani dovranno rimborsare allo Stato
croato i danni causati all'ambiente e quelli relativi alla vendita: sono 2,7
milioni di kune, pari a circa 357 mila euro. La somma deriva dal computo
stabilito dalla legge in materia, secondo cui per ogni chilogrammo di dattero
raccolto e messo in commercio si pagano 5mila kune, pari a 660 euro.La polizia
istriana e l'Uskok hanno ricostruito quanto avvenuto tra giugno e settembre di
due anni fa: Bozic doveva organizzare il trasporto e la vendita dei datteri in
Slovenia, per la precisione a Capodistria e Portorose, dove venivano acquistati
a 30 euro al chilo. Curcevic era invece incaricato di organizzare la pesca
proibita e aveva in Ambrozic il proprio braccio destro. Questi aveva ingaggiato
tre persone, Marinkovic, Ivinic e Mihajlik, che agivano come detto nel Canale di
Leme, nelle vicinanze di Rovigno, e lungo le coste del Polese. Quanto agli
affari in Slovenia, Bozic operava da solo o con Makovac, a Kresic e
Anastasijevski. L'unico aspetto positivo per i sei condannati è che non dovranno
versare al bilancio statale - a differenza del verdetto emanato dal tribunale
fiumano - i 14.400 euro di profitti realizzati con la vendita abusiva
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - VENERDI', 17 novembre 2017
Il nuovo patto contro il rigassificatore - Il Comune di
Muggia impugna il timbro di Roma sul metanodotto con Regione e Ancarano. Si
accoderà pure San Dorligo
MUGGIA - Nuova crociata ambientale in arrivo per il Comune di Muggia.
L'amministrazione Marzi ha annunciato pubblicamente ieri di aver presentato
ricorso al Tar del Lazio contro il ministero dell'Ambiente per esprimere il
proprio no al progetto del metanodotto Trieste-Grado-Villesse proposto dalla
Società Snam Rete Gas Spa, considerato un vero e proprio progetto "costola" del
nuovo terminale Gnl. Al fianco del Comune di Muggia, con ricorsi paralleli ed
individuali, si sono schierati contro il metanodotto sia la Regione che il
vicino Comune di Ancarano. E se San Dorligo della Valle sta preparando gli
ultimi incartamenti per prendere parte a questa battaglia ambientale, il grande
silenzioso assente, per ora, pare essere il Comune di Trieste. Trentadue pagine,
riempite grazie all'alacre lavoro dell'avvocatura civica del Comune muggesano
formato dagli avvocati Walter Coren e Antonella Gerin, sono l'ossatura del
ricorso che si prefigge punto per punto il progetto proposto da Snam Rete Gas.
La problematica più eclatante si evidenzia dalle mappe allegate al ricorso, in
cui si ricorda come il braccio di mare coinvolto sia già interessato da un
notevole traffico navale - soprattutto a servizio delle strutture del Porto,
sulla costa settentrionale - ed è soprattutto limitrofo a zone costiere
densamente abitate. Come già denunciato nei precedenti tre ricorsi contro il
rigassificatore, il Comune rivierasco ha rimarcato appunto la presenza di
numerosi impianti industriali presenti nell'area, anche a rischio di incidente
rilevante, quali ad esempio i depositi costieri di carburante nell'area dell'ex
raffineria Aquila, i diversi impianti attivi in Zona industriale, tra cui il
termovalorizzatore, a ridosso del Canale navigabile, i pontili per l'attracco
delle navi petroliere con gli allacci alle condutture dell'oleodotto transalpino
gestito dalla Siot, nonché la Ferriera. Inoltre - sostiene il ricorso - il
progetto del metanodotto andrebbe a cozzare direttamente con il Piano regolatore
del Porto che contempla l'ulteriore sviluppo delle attività mediante la
realizzazione di nuove infrastrutture quali l'estensione del molo VII, la
realizzazione del nuovo molo VIII e i lavori di realizzazione del Terminal ro-ro
all'ex Aquila. Insomma: un'area già destinata ad un considerevole incremento dei
transiti, specie delle navi porta-container. Ma è la questione della sicurezza
nei confronti della cittadinanza che mette maggiormente sotto accusa il
progetto. «Le tubazioni del metanodotto risultano molto a ridosso della costa
muggesana: stiamo parlando di una distanza di soli 75 metri dal molo Cristoforo
Colombo e quindi dal nostro centro storico», stigmatizza il sindaco di Muggia
Laura Marzi. Non secondaria sarebbe poi la presenza di navi gasiere lunghe 200
metri e larghe 50 che dovrebbero necessariamente transitare attraverso la parte
più stretta del Vallone di Muggia - tra i pontili della Siot e lo stesso molo
Colombo - ovvero in un tratto di 630 metri. «Una distanza peraltro già quasi
coperta come spazio di manovra dalle navi petroliere che vengono ormeggiate ai
pontili del Terminal olii e che non tiene conto del futuro traffico di navi del
Terminal ro-ro», tuona ancora Marzi. L'assessore all'Ambiente Laura Litteri
ricorda poi le problematiche legate ai fondali «risaputamente inquinati, che se
smossi dunque provocherebbero delle gravi conseguenze», fermo restando che «il
futuro dello sviluppo energetico non può essere riconducibile ad un metanodotto
ma alle energie rinnovabili». Marzi evidenzia infine la filosofia portante del
ricorso contro il ministero dell'Ambiente: «La sicurezza della popolazione ed il
rispetto per l'ambiente sono per noi preponderanti rispetto ai benefici che si
ipotizzano derivare dalla realizzazione di un metanodotto e di un
rigassificatore»
Riccardo Tosques
E adesso manca solo il ricorso del capoluogo -
Capigruppo già in pressing su Dipiazza
«Tutti i capigruppo del Consiglio comunale di Trieste hanno firmato una
mozione urgente che impegna il sindaco Dipiazza a presentare ricorso contro il
Decreto ministeriale con cui è stata disposta la compatibilità ambientale del
progetto del metanodotto presentato da Società Snam Rete Gas spa». Piero Camber,
capogruppo Fi, rassicura che il capoluogo farà la sua parte nella battaglia
contro il metanodotto. Nell'ultima seduta del Consiglio un testo a firma Pd, per
effetto anche dell'input del sindaco di Muggia Marzi (foto), è stato sottoposto
all'attenzione dei capigruppo, che senza distinguo hanno deciso di sottoscrivere
all'unanimità la richiesta di intervento di Dipiazza contro il progetto di Snam
Rete Gas. «Il documento non è stato votato subito, durante l'ultima riunione del
Consiglio, esclusivamente per motivi di tempo», rassicura Camber. Insomma: dopo
Muggia, Ancarano, Regione e San Dorligo , anche Trieste è pronta a sottoscrivere
un ricorso contro il metanodotto.
(tosq.)
IL PICCOLO - GIOVEDI', 16 novembre 2017
FERRIERA - Esposto bis di Battista alla Procura
Il senatore triestino Lorenzo Battista, eletto nel M5s poi passato al gruppo
Articolo 1-Mdp, ha presentato un nuovo esposto alla Procura della Repubblica
triestina «per conoscere quali attività siano state svolte da Siderurgica
Triestina (o da Acciaierie Arvedi9 per la preventiva messa in sicurezza dei
suoli e per la bonifica ambientale dell'area, nonchè per sapere se le procedure
attuate rispondano alle novità in materia ambientale introdotte dalla legge
68/2015 in materia di ecoreati». Battista fa riferimento - prosegue la nota -
«alle attività previste dall'accordo di programma, con precise indicazioni di
spesa» in particolare per i 25 milioni di euro destinate alle preliminari
operazioni di bonifica ambientale e risanamento dei suoli. L'azienda - scrive
ancora il parlamentare - si è impegnata ad attivare interventi di prevenzione
«presentando progetti per la messa in sicurezza dei suoli e acque di falda».
Battista chiede inoltre che le istituzioni competenti si attivino per
velocizzare le coperture dei parchi minerali.
Il governo spinge i trasporti su rotaia: traffici
quadruplicati - Il bilancio del ministro Delrio: «La cura del ferro funziona»
Il ruolo strategico dei porti del Nord Adriatico con Trieste
ROMA - Ad un anno esatto, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture
Graziano Delrio, ritorna a Pietrarsa per tracciare un bilancio della cura del
ferro. Un 2017 «molto intenso» che registra «un incremento del trasporto merci
su ferro» e un'azione del Governo efficace che ha consentito di mettere
incentivi ulteriori per il rinnovo dei carri ferroviari e finanziare
completamente i corridoi merci. Delrio è intervenuto al forum al Museo Nazionale
Ferroviario di Pietrarsa a Portici (Napoli) dove i rappresentanti dei diversi
settori hanno fatto il punto sui risultati della cura del ferro che il Governo
sta implementando. Numeri importanti: 80 miliardi di fatturato sui corridoi
logistici, incremento del traffico a 49,23 milioni di treni chilometro; crescita
del traffico ferroviario merci quadrupla rispetto a quella del Pil (dal 2014 al
2017 +8,9% contro un +2% del prodotto). Plaude anche l'ad di Rete Ferroviaria
Italiana, Maurizio Gentile: «il traffico merci su ferro continua ad aumentare.
Dal minimo di 43 milioni di treni chilometro siamo già risaliti nel 2016 ai 47.
Ora siamo quasi a fine novembre e il 2017 si va attestando intorno a 49,23
milioni di treni chilometro». A fronte dei risultati raggiunti, vi è ancora
strada da percorrere: «Siamo in Europa il fanalino di coda con una quota modale
del ferro sul trasporto terrestre del 13%, anche se le imprese private del
settore stanno conquistando notevoli quote» dice Guido Gazzola, presidente di
Assofer «Per il futuro dobbiamo aumentare tale quota in modo sensibile
attraverso molte azioni da sviluppare quali l'efficientamento del materiale
rotabile, oltre a sostenere le industrie che investono sul trasporto su ferro».
Per Ennio Cascetta, alla guida di Ram, la società per le autostrade del mare:
«Dal 2014 al 2017 il traffico ferroviario merci è cresciuto del +8,9%, quattro
volte più del Pil, che è cresciuto del 2%». «Necessario è integrarsi con
l'industria» afferma Nereo Marcucci, presidente di Confetra. «Confetra e
Confindustria devono essere player nazionali in un mercato europeo». Al tavolo
di discussione hanno offerto i loro contributi anche Stefan Pan, vice presidente
di Confindustria, Marco Gosso ad di Mercitalia Logistics, Zeno D'Agostino,
presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale,
Giancarlo Laguzzi, presidente FerCargo. «Stiamo vedendo per la prima volta, che
tutti i porti del Nord Adriatico hanno una crescita importante dal punto di
vista dei traffici. Il primo elemento da analizzare è questo: c'è un corridoio
marittimo Adriatico al servizio dei traffici internazionali, che sta diventando
un corridoio di riferimento», ha sottolineato D'Agostino. Trieste ha appena
assunto la presidenza del Napa, associazione dei porti del Nord Adriatico,
Merkel, ambiente a rischio - Appello
BONN - La comunità internazionale deve lavorare con «serietà», «fiducia» e
«affidabilità» per l'attuazione dell'accordo di Parigi sul cambiamento
climatico, perchè il riscaldamento globale riguarda il «destino del pianeta e
nessuno può o deve ignorarlo». Così la cancelliera tedesca, Angela Merkel, si è
rivolta ai rappresentanti di oltre 200 paesi e ai capi di stato e di governo
riuniti alla Cop23, la conferenza sui cambiamenti climatici, che si è aperta
oggi a Bonn. Merkel ha riconosciuto che la Germania dipende ancora molto dal
carbone ma ha aggiunto che le energie rinnovabili sono «un pilastro
fondamentale» nel mix energetico tedesco. La Ue è cosciente delle sue
responsabilità nella lotta contro il surriscaldamento globale e ogni stato
membro deve «dare il suo contributo», ha aggiunto.
GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 15 novembre 2017
Ambiente a rischio, allarme scienziati: situazione quasi irreversibile
La comunità scientifica della Union of Concerned Scientists ha lanciato un avvertimento preoccupante per quanto riguarda l’ambiente: la crescita esponenziale dell’umanità, il cambiamento climatico, la deforestazione e la riduzione della biodiversità stanno mettendo a dura prova la salute del nostro Pianeta. Già nel 1992 era stato redatto il World Scientists’ Warning to Humanity, un documento in cui si metteva in guardia dall’impatto troppo invasivo dell’uomo sull’ambiente, e oggi la situazione è notevolmente peggiorata.
William J. Ripple, uno dei 15000 ricercatori che fa parte
della Union of Concerned Scientists, professore della Università dell’Oregon, e
altri 1500 scienziati hanno deciso di fare il punto della situazione aggiornando
il documento del 1992. Ciò che è emerso è preoccupante: l’umanità non ha
adottato in questi anni le misure necessarie per salvaguardare la nostra
biosfera che, a oggi, è in tremendo pericolo. Le problematiche ambientali emerse
25 anni fa come l’estinzione di specie animali rare, la distruzione della
biodiversità e l’inquinamento non sono state risolte, anzi: sono peggiorate.
Secondo i ricercatori stiamo andando verso una situazione quasi irreversibile.
L’acqua potabile presente sul nostro Pianeta è ridotta del 26%, le zone
cosiddette morte degli oceani sono aumentate del 75%, abbiamo perso quasi 300
milioni di ettari di foresta, l’emissione di anidride carbonica è aumentata e le
temperature sono anch’esse in crescita. Cresce inoltre il numero della
popolazione umana del 35% anche se le risorse per il sostentamento diminuiscono
e il 29% di animali presenti sul nostro pianeta è sparito negli ultimi anni. A
chi attacca i ricercatori definendoli “allarmisti”, gli scienziati rispondono
spiegando che questi sono dati concreti e oggettivi, nati da studi reali che
dimostrano come l’uomo stia vivendo una vita insostenibile. A questo si aggiunge
così l’immediata necessità di aprire un nuovo dibattito sulle questioni
ambientali, prima che sia davvero troppo tardi.
Selena
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 15 novembre 2017
Negozi, ristoranti e wellness - Nuovo volto chic per la
Fiera
Al posto del cadente comprensorio di oggi sorgerà entro il 2021 un
moderno centro su due piani di colore bianco con 6400 metri quadrati di verde
più 800 posti auto
Nel 2021 - se la sequenza di iter amministrativo, cantiere, allestimento si
sarà dimostrata virtuosa - al posto dell'attuale cadente ex Fiera sarà sorto un
complesso su due piani di quasi 20 mila metri quadrati, di colore bianco e
«dalla forma morbida e dinamica», arricchito da uno spazio verde pubblico
pensile di 6400 metri quadrati, che avrà l'ingresso principale in via Rossetti e
sarà raggiungibile anche da piazzale De Gasperi attraverso una rampa. La vecchia
Fiera sarà completamente demolita e l'edificio, che prenderà il suo posto,
ospiterà esercizi commerciali, attività artigianali, ristoranti, un centro
wellness. In programma 800 posti auto. Non sono invece previsti appartamenti. Il
gruppo austriaco Mid Gmbh di Klagenfurt, mediante la filiale altoatesina, sarà
costruttore e poi gestore del compendio. I lavori dureranno
complessivamente tre anni e poggeranno su un investimento di circa 65 milioni di
euro. La realizzazione assorbirà l'impegno di 300 lavoratori, mentre si stimano
oltre 500 assunzioni permanenti all'interno del futuro "recinto" imprenditoriale.Il
progetto, presentato ieri mattina in Municipio alla presenza dell'amministratore
di Mid Walter Mosser e del sindaco Roberto Dipiazza, non limita i suoi effetti
alla pur ampia superficie dell'ex area espositiva, ma coinvolge anche la
viabilità esterna con particolare riferimento alla parte finale di via Domenico
Rossetti, per la quale si pensa di tornare all'antico doppio senso. L'architetto
Francesco Morena, allievo di Aldo Rossi, impegnato in passato nell'ex Pescheria
e nel polo logistico Pacorini, recentemente attivo in Cina e in Arabia Saudita,
progettista della sede della Popolare Cividale, definisce questo intervento di
riqualificazione urbana «delicato», perchè implica una notevole opera di scavo
svolta in una zona a elevata densità abitativa. Non ci sarà bisogno di
autorizzazioni della Soprintendenza, ma sarà necessario stendere uno studio di
impatto ambientale. Saranno divelti 108.905 metri cubi di strutture edilizie,
con un volume di scavo pari a quasi 90 mila metri cubi: stoccare terra e inerti
è uno dei problemi maggiori da affrontare e fa parte dell'agenda messa a punto
dal sindaco e dagli investitori, riunitisi subito dopo la presentazione tenutasi
in Salotto Azzurro. Come soluzione Dipiazza ha pensato alle disponibilità di
Cava Faccanoni. Alla presentazione erano presenti, a sottolineare la rilevanza
dell'operazione per il settore edile del territorio, due esponenti dell'Ance, il
presidente regionale Andrea Comar e e il presidente di Pordenone-Trieste Donato
Riccesi. Comar, direttamente coinvolto nella realizzazione con la sua azienda,
ha insistito sull'importante ricaduta che il progetto eserciterà sull'indotto
edile giuliano. Professionisti, tecnici, aziende, maestranze saranno proposte
dal territorio. Al ridisegno di questa parte della città Dipiazza crede molto.
Innanzitutto perchè riscrive e rivitalizza l'area ormai fatiscente dell'ex
Fiera. Poi perchè ritiene il progetto «attrattivo»: «Non è vero - attacca il
sindaco, mettendo le mani avanti rispetto alle possibili critiche - che avrà
ripercussioni negative sulle attività commerciali esistenti, anzi sarà un
magnete di nuove iniziative imprenditoriali. Non mi è parso, visitando le strade
prossime all'ex Fiera, di aver notato tutto questo fervore: via del Ghirlandaio
è piena di serrande abbassate». Ma spera che il grande poligono ex fieristico
tra via Rossetti, via Revoltella, via Sette Fontane, piazzale De Gasperi sappia
trainare la qualità sociale complessiva di un rione un po' sulle ginocchia.
Pensa a rimettere in sesto piazzale De Gasperi «uno spazio urbano non
all'altezza di quanto stiamo facendo a Trieste». Auspica che anche il vicino
asse di via Costantino Cumano, in passato zona ad alta intensità castrense,
possa trovare una nuova e più vivace identità, tale da abbracciare le sedi
museali allestite nell'ex caserma "Duca delle Puglie", come il museo di Storia
Naturale e come il museo Diego de Henriquez.
Massimo Greco
La scommessa da 60 milioni dell'avvocato di Klagenfurt
«Trieste è una delle città più belle della Penisola, era una città
dell'impero asburgico, non è lontana dalla nostra sede aziendale di Klagenfurt.
Crediamo che sia una realtà dove vi sia ancora molto da recuperare rispetto ad
altre parti d'Italia. Abbiamo visto che era stata bandita un'asta per la
cessione della Fiera e abbiamo deciso di parteciparvi. L'Italia non è famosa per
la rapidità delle procedure burocratiche, ma noi siamo fiduciosi della
collaborazione da parte delle istituzioni triestine». Walter Mosser, fondatore
del gruppo carinziano Mid che costruirà e gestirà il futuro dell'ex comprensorio
fieristico, ha voluto illustrare in prima persona le ragioni dell'investimento a
Trieste. Lo ha fatto in modo asciutto, ricordando di aver in cantiere altre
iniziative imprenditoriali nel nostro Paese. Era accompagnato dal rappresentante
di Mid Immobiliare srl, la controllata italiana del gruppo con sede a Bolzano,
Armin Harnatschek. Sessantotto anni, Mosser è nato a Villaco e si è laureato in
legge nell'Università di Graz. Inizialmente ha svolto l'attività forense a
Klagenfurt, poi alla fine degli anni '80 - informa il sito di Mid - ha
cominciato a sviluppare il suo primo progetto immobiliare e nel 1995 ha fondato
la holding, dove sono concentrate le sue attività. In un arco temporale quasi
trentennale ha realizzato oltre 70 immobili tra centri commerciali e parcheggi,
operando nell'area centro-europea (Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Ungheria, Slovenia, Croazia). Per un totale di investimenti - riporta la
brochure diffusa ieri mattina nel corso della presentazione in Salotto Azzurro -
di oltre 1,2 miliardi di euro. Così sono sorti l'Europark di Budapest; i Qlandia
sloveni a Nova Gorica, a Novo Mesto, a Kranj, a Maribor; i Qlandia croati a
Zagabria. La realizzazione più vicina a Trieste è dunque Nova Gorica,
«frequentata da molti italiani - dice Mosser - ma non comparabile con quanto
vogliamo fare a Trieste, perchè di dimensioni minori». Sul dossier c'è il
dichiarato impegno di Dipiazza, il quale ha garantito la sollecitudine dei
passaggi autorizzativi.Il mandato all'architetto Francesco Morena attiene alla
costruzione di un edificio «ad alta efficienza energetica, impiegando materiali
riciclabili ed ecologicamente compatibili e tecnologie come il fotovoltaico e la
geotermia». L'avventura triestina di Mosser ha avuto inizio in aprile, quando la
sua offerta di 13 milioni 318,44 euro aveva migliorato di un paio di milioni la
base d'asta comunale per l'acquisto dell'ex Fiera. Già in quell'occasione
l'imprenditore carinziano, annunciando l'intenzione di investire oltre 60
milioni nell'operazione immobiliare del comprensorio di Montebello, aveva
evidenziato il vantaggio competitivo geografico di Trieste con «un'ottima
posizione sul confine con la Slovenia». Ad aiutare in modo decisivo la riuscita
della vendita, concorse il nuovo Piano regolatore, che consentì di inserire
nuove possibilità di intervento. Le innovazioni urbanistiche consentirono anche
una sensibile lievitazione del valore immobiliare dell'area, che salì dagli
originari 7 a oltre 10 milioni. La cifra al metro quadrato - aveva riferito
l'assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi - era stata stimata dagli uffici
comunali a 2119 euro al metro quadrato. Il rogito, che trasferiva la proprietà
alla Mid Immobiliare, era stato firmato a Trieste in settembre avanti il notaio
Ruan.
magr
A "lezione" di differenziata per rispettare l'ambiente
- nelle scuole di Duino Aurisina, Sgonico e Monrupino
DUINO AURISINA Trasmettere ai bambini la cultura della tutela ambientale,
insegnando loro le basi di una intelligente e oculata gestione dei rifiuti.
Questo l'obiettivo dell'iniziativa promossa dalla Isontina ambiente, la Srl che,
da qualche mese, gestisce la raccolta delle immondizie nei territori dei Comuni
di Duino Aurisina, Sgonico e Monrupino. Per l'intero anno scolastico in corso,
saranno organizzati percorsi di avvicinamento alle diverse tematiche ambientali,
proponendo ai più piccoli attività da vivere in prima persona. Tre i filoni sui
quali si articolerà il programma: visite, eventi e concorsi, lezioni in aula.
Ogni sezione sarà modulata in base all'età dei partecipanti, che potranno
beneficiare di questa novità a titolo del tutto gratuito. Per coloro che vanno
dai 6 ai 13 anni saranno allestite visite all'impianto di compostaggio di Moraro,
dove sarà possibile assistere a quel processo che riesce a trasformare i rifiuti
dell'umido in sostanze utili per l'uomo. Al termine della visita, della durata
di un'ora, ai ragazzi sarà consegnato un campione di compost da utilizzare a
casa. Sempre a Moraro sarà possibile visitare l'impianto di selezione e
riciclaggio, dove si potrà spiegare come sono suddivise le varie tipologie di
rifiuti prima di trattarli. Un momento di gioco e divertimento abbinato
all'apprendimento sarà la "Festa dello scambio", nel corso della quale tutti i
partecipanti porteranno uno o più oggetti, altrimenti destinati al cestino, per
scambiarli con altri. «Lo scopo - spiegano dall'Isontina ambiente - è di educare
diffondendo la cultura del riuso e del riciclo, in luogo dell'abitudine al
consumo». Il materiale, formato principalmente da capi d'abbigliamento e
accessori, giocattoli, complementi d'arredo, dovrà essere preventivamente
portato dai bambini e dai ragazzi nelle scuole di competenza, dove gli addetti
della Isontina ambiente andranno a catalogarli, attribuendo a ciascuno elemento
un punteggio in stelline, in base alla qualità delle condizioni generali. Al
termine della festa, sarà compilata una classifica; chi ne avrà accumulate di
più riceverà un riconoscimento. Ma il progetto della Isontina ambiente prevede
anche lezioni per imparare a differenziare i rifiuti utilizzando i contenitori
corretti, per capire il funzionamento del porta a porta, quali errori devono
essere evitati per essere considerati buoni cittadini, sotto il profilo della
gestione del tema rifiuti. Al termine dell'anno scolastico sarà effettuato un
test e ai bambini che lo supereranno sarà consegnato un diploma. "È questa
un'iniziativa che apprezziamo molto - ha commentato Daniela Pallotta, sindaco di
Duino Aurisina - perché è da piccoli che bisogna assimilare questo tipo di
cultura".
Ugo Salvini
«Stop al rigassificatore nel golfo del Quarnero» -
Ancora una bocciatura da parte della Regione : «Troppi rischi per l'ambiente
Lo Stato croato prima risani l'area dell'ex impianto petrolchimico Dina»
FIUME - Ancora una bocciatura della Regione quarnerino-montana nei riguardi
del rigassificatore offshore che dovrebbe venire dislocato nelle acque di fronte
alla località vegliota di Castelmuschio (Omisalj), nel golfo del Quarnero. Dopo
il "no" opposto dal comune di Castelmuschio, è stato il governatore della
regione fiumana, Zlatko Komadina, ad esporre in conferenza stampa la propria
contrarietà al progetto che ha già l'appoggio delle autorità statali croate. «La
contea - ha detto Komadina - sostiene la municipalità di Castelmuschio, specie
la sua richiesta che, se rigassificatore galleggiante deve essere, lo Stato
croato provveda a risanare l'area del vicino ex impianto petrolchimico della
Dina, dove sono depositate decine di tonnellate di sostanze tossiche. Non
possiamo avventurarci in nuovi rischi ambientali senza avere risolto quelli
vecchi. In riva al Quarnero siamo consci del fabbisogno energetico della
Croazia, ma contemporaneamente Zagabria deve essere sensibile nei riguardi di
Castelmuschio e della nostra contea». A prendere la parola è stata anche
Koraljka Vahtar Jurkovic, assessore regionale all'Ambiente e membro della
commissione incaricata di studiare lo studio d'impatto ambientale del terminal
metanifero. «La decisione finale riguardante lo studio d'impatto ambientale
spetterà all'assemblea regionale, che si esprimerà in merito nella sua sessione
del 23 novembre. Il documento viene sottoposto a pubblico dibattito e
personalmente posso dire che non ha la mia approvazione. Non rispetta quattro
presupposti e cioè valori adeguati di impatto ambientale, ecologia, economia,
energia ed estetica». Per Vahtar Jurkovic, il rigassificatore avrà un impatto
negativo sull'ambiente marino, dalla clorazione agli scavi del fondale, per
tacere delle emissioni e dai rumori prodotti 24 ore su 24. Inoltre sarà la più
grande costruzione visibile nel golfo fiumano, pari ad un grattacielo di 17
piani. Considerato poi che l' impianto offshore è sempre accompagnato da una
nave da carico, generalmente lunga sui 300 metri, allora si possono capire le
preoccupazioni degli ambientalisti. «La struttura galleggiante - ha aggiunto
Vahtar Jurkovic - influenzerà maggiormente l'ambiente rispetto ad un
rigassificatore incassato sulla terraferma, il cui impatto risulterebbe di gran
lunga più sopportabile». Ha infine invitato gli interessati a prendere parte al
comizio pubblico che si terrà oggi a Castelmuschio, dedicato al progetto dell'
impianto Lng.
Andrea Marsanich
GREENSYTLE.it - MARTEDI', 14 novembre 2017
Nube radioattiva sull’Europa: la sorgente tra Russia e Kazakhistan - radioattivita' anche in Friuli
Sarebbero state individuate delle tracce di radioattività, in seguito all’espansione di una nube radioattiva, nell’atmosfera nel periodo compreso tra il 27 settembre e il 13 ottobre. L’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare francese avrebbe individuato delle tracce di rutenio-106 nell’atmosfera di tutta l’Europa e in Italia.
Secondo i dati forniti dall’ente francese i livelli
raggiunti dal materiale radioattivo non avrebbero conseguenze né sull’ambiente
né sulla salute. Si sa che la sorgente della nube radioattiva dovrebbe trovarsi
in Russia o in Kazakhistan. In Italia l’ISPRA ha attivato la sua rete di
monitoraggio della radioattività. Insieme alla Protezione Civile la situazione è
stata tenuta sotto controllo e i valori di rutenio-106 non hanno destato
particolare allarme. In varie Regioni è stata riscontrata la presenza di
materiali radioattivi nell’aria, in particolare in Friuli, in Lombardia, in
Piemonte, in Emilia Romagna e in Toscana.
L’emissione della nube radioattiva sarebbe avvenuta nell’ultima settimana di
settembre. Tutto sarebbe derivato da un presumibile incidente, anche se non ci
sono informazioni certe al riguardo. Nessun Paese ha diramato un allarme per
fughe radioattive. Secondo l’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare
francese, non ci sarebbero nemmeno pericoli per la sicurezza alimentare, a
partire da prodotti importati dalla zona in cui avrebbe avuto origine la nube
radioattiva. Viene raccomandato di effettuare dei controlli a campione per
escludere ogni rischio di eventuale contaminazione.
Gli esperti tengono in considerazione diverse ipotesi. Il rutenio-106 può
trovarsi in centri per il trattamento di tumori e nella sede di agenzie
spaziali. Viene utilizzato in medicina e nei satelliti artificiali, per cui si
presume anche che tutto potrebbe aver avuto origine dalla ricaduta a terra di un
vecchio satellite. Gli esperti ritengono che non potrebbe essersi trattato di un
incidente che ha coinvolto direttamente una centrale nucleare, perché altrimenti
nell’atmosfera sarebbero state individuate anche altre sostanze radioattive.
Gianluca Rini
COMUNICATO STAMPA - MARTEDI', 14 novembre 2017
Trieste: Piazzale Rosmini, M5S Quarta Circoscrizione:
"La situazione è intollerabile. Non c'è stato ancora alcun intervento sui
terreni e nessuna messa in sicurezza"
Poche settimane dopo la nostra elezione, il 13 giugno del 2016, avevamo
presentato in Quarta Circoscrizione una mozione con la quale avevamo messo in
evidenza la situazione di piazzale Rosmini, impegnando il sindaco Dipiazza e la
sua giunta ad attivarsi per capire la causa dell'inquinamento di quell'area, a
informare i cittadini sui tempi di bonifica e su quelli di riapertura e a
trovare nuovi spazi ricreativi sicuri per i cittadini. Lo scorso 29 agosto,
inoltre, abbiamo depositato anche una interrogazione rivolta al presidente della
Quarta Circoscrizione. Attraverso questo atto pubblico abbiamo voluto esortare
il presidente a interpellare il sindaco Dipiazza e gli assessori competenti per
ottenere informazioni finalmente chiare sulle modalità di bonifica (fitorimedio)
e sui tempi di esecuzione, per chiedere l'applicazione di tutte le soluzioni
possibili per la messa in sicurezza immediata di piazzale Rosmini, per
pretendere una seria politica di abbattimento degli inquinanti diffusi e per
salvaguardare le attività che gravitano attorno al giardino. Le risposte non
sono mai arrivate. Anzi, ad oggi il giardino di piazzale Rosmini appare
abbandonato a se stesso. Non c'è stato alcun intervento sul terreno e nessuna
messa in sicurezza; i cartelli che indicavano i pericoli e i comportamenti da
tenere sono consunti e rotti, mentre le barriere sono state divelte e
abbandonate nei cespugli. Il giardino con tutto il suo carico di composti
tossici, caratterizzati da una forte presenza di cloro, diossine e furani, giace
nel silenzio autunnale, ospitando bambini e famiglie su tutta la sua superficie.
Ci chiediamo come una situazione così grave possa essere ancora tollerata. Tutta
la città continua a registrare zone pesantemente inquinate e sono giornaliere le
proteste da parte sia dei singoli cittadini che delle associazioni in genere che
chiedono a gran voce delle soluzioni. La zona industriale, la valle delle
Noghere, Servola, il terrapieno di Barcola, le grotte del Carso, il centro
cittadino, i giardini, tutti in qualche modo sono stati colpiti. Crediamo sempre
che la priorità debba essere la salute, in ogni circostanza, per questo il
monitoraggio delle misure di sicurezza deve essere costante, l'informazione
capillare e le soluzioni rapide e durature nel tempo. Per questi motivi
chiediamo ancora una volta al sindaco e ai suoi assessori di iniziare una
politica seria che combatta l'inquinamento in tutta la città e in tutti quei
poli di aggregazione che poi sono anche il valore aggiunto di benessere,
sicurezza ed economia dei vari rioni cittadini.
Gianluca Pischianz, Dania Bianco e Adriana Panzera - consiglieri
circoscrizionali del MoVimento 5 Stelle - Quarta circoscrizione Comune di
Trieste
IL PICCOLO - MARTEDI', 14 novembre 2017
Il tecnico del clima dell'Ictp - Giuliani individua le
applicazioni tecnologiche più valide per la ricerca
Laureato in Fisica a Roma, Graziano Giuliani lavora all'Ictp dal 2010. Alle
spalle ha un'ottima esperienza perché, oltre allo studio, per diversi anni ha
lavorato anche per un'azienda internazionale che produceva software per
l'agenzia spaziale europea. «Dopo questo periodo però sono voluto tornare alla
ricerca», dice. Quindi si trasferisce prima all'Aquila, poi al Cnn di Firenze e
infine approda a Trieste, all'Ictp. Il team di cui fa parte ha propositi
formativi: «Il mio ruolo è piuttosto tecnico, mi occupo dello sviluppo del
modello climatologico a scala regionale. Un lavoro in precedenza affrontato da
Filippo Giorgi negli anni '80». Nello specifico il ruolo di Graziani va ad
assolvere esigenze di applicazione tecnologica: «La ricerca è abituata ad
usufruire strumenti sempre più raffinati, più veloci, richiede delle
competenze», ma solo i ricercatori che si sono formati negli ultimi cinque, sei
anni hanno avuto accesso a un percorso formativo in tal senso: «Per cui la mia
figura, che ha spaziato anche nel campo industriale, ha acquisito queste
pratiche che permettono ai ricercatori di affrontare tecnicamente la loro
ricerca». Competenze che hanno a che fare con la formazione: «Individuare cioè
il modo migliore con cui un nuovo oggetto tecnologico può essere utilizzato ai
fini dello studio». Graziano Giuliani fa parte anche del comitato scientifico
del Master in Hight Performance Computing dell'Ictp e della Sissa, un progetto
che offre un percorso formativo oltre la laurea specialistica: «Serve sia agli
studenti che vogliono utilizzare strumenti ad alta prestazione, sia alle
aziende». Al di fuori della sua attività Giuliano Graziani si dedica alla
famiglia: «Il figlio più piccolo mi impegna molto, suona il piano e gioca a
rugby. Spesso sono io ad accompagnarlo sia al Conservatorio che agli
allenamenti, anzi ormai naturalmente sono diventato un tifoso della squadra di
rugby di Trieste. E poi c'è la lettura, mi appassiona molto, soprattutto i libri
di storia».
Mary B. Tolusso
GREENSTYLE.it - LUNEDI', 13 novembre 2017
Rifiuti marini: riciclo beach litter possibile, le novità da Ecomondo
Sono perlopiù cotton fioc, oggetti e imballaggi sanitari, frammenti plastici, tappi e cannucce tra i rifiuti marini più presenti. A denunciarlo sono i risultati delle indagini sul “Beach litter” presentate a Ecomondo 2017 e promosse dall’Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo in collaborazione con Legambiente ed ENEA.
Nel documento viene inoltre evidenziato quanto in molti spesso non sanno, ovvero che tali materiali potrebbero essere avviati al riciclo con ripercussioni positive sia economiche che ambientali. La presentazione del rapporto ha rappresentato un punto d’incontro tra istituti di ricerca, associazioni e imprese sulla “caratterizzazione del beach litter presente sulle spiagge”, così da poter poi sviluppare un piano di riciclo per questi materiali. Necessario inoltre individuare modalità efficaci di sensibilizzazione rivolte a consumatori e imprese, affinché prestino maggiore attenzione alla gestione quotidiana dei rifiuti. Fondamentale sradicare cattive abitudini come il gettare i cotton fioc nel water o richiamare a una più sostenibile gestione dei pellet di plastica per la pre-produzione industriale. Sulla base dei campionamenti effettuati dai tecnici di Goletta Verde, iniziativa operata da Legambiente, i ricercatori hanno evidenziato come la percentuale di plastica rinvenuta nel “beach litter” sia superiore al 90% in entrambi i punti di prelievo del litorale tirrenico (la spiaggia di Coccia di Morto in Provincia di Roma e la spiaggia della Feniglia in Provincia di Grosseto). Come riportato nello studio i campioni raccolti rispecchiano le “specificità delle due spiagge”, che hanno caratteristiche differenti per: tipologia; flusso di bagnanti; vicinanza ad insediamenti urbani/industriali; facilità di accesso. Polipropilene (PP) e Polietilene (PE) i polimeri plastici maggiormente presenti, che insieme costituiscono rispettivamente il 79% (Coccia di morto) e il 66% del totale (Feniglia). Come ha dichiarato Angelo Bonsignori, presidente IPPR e direttore generale Federazione Gomma-Plastica: «Lo studio rappresenta solo il primo passo per affrontare il problema del beach litter. Abbiamo recentemente costituito il “Tavolo permanente per il riciclo di qualità” per analizzare, anche attraverso il coinvolgimento delle aziende di riciclo, la concreta fattibilità di recupero dei materiali presenti sulle nostre spiagge.» Specialmente per quella frazione degradata o composta da diversi polimeri che non possono tornare tal quali nelle rispettive filiere. Intendiamo inoltre promuovere una prima campagna di raccolta del beach litter in alcuni Comuni costieri in accordo con le Amministrazioni e studiare la realizzazione di un impianto pilota per il riciclo di questi materiali. A margine della presentazione è intervenuto anche Loris Pietrelli, ricercatore ENEA, che ha dichiarato: «Quelli che erano i punti di forza delle plastiche, leggerezza, durabilità e costi contenuti oggi rappresentano il limite di questi materiali che permangono nell’ambiente per decenni prima che si degradino. Comunque è importante ricordare che non si può demonizzare la plastica, perché con questo termine si identificano centinaia di materiali polimerici, con caratteristiche molto diverse, di cui non possiamo più fare a meno.» Il risultato principale di questa prima ricerca riguarda la composizione dei materiali raccolti. La netta prevalenza di materiali termoplastici quali polietilene e polipropilene, facilita il recupero ed il riutilizzo del materiale spiaggiato. È necessario inoltre ricordare che le plastiche arrivano da terra e quindi sono il risultato di una cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani. Ad esempio, l’enorme quantità di cotton fioc rinvenuta lungo le spiagge rappresenta un “caso” emblematico soprattutto se si pensa che nei primi anni del 2000 la commercializzazione dei bastoncelli non biodegradabili era vietata. Un invito a prendere in sempre maggiore considerazione il problema del beach litter arriva da Stefano Ciafani, direttore generale Legambiente, che sottolinea l’importanza assoluta di una corretta sensibilizzazione al riguardo: «Questo studio rappresenta una prima importante collaborazione tra istituti di ricerca, associazioni e imprese per affrontare il problema del marine litter. Un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti come ha dimostrato anche la Conferenza mondiale sugli Oceani organizzata dall’ONU a cui abbiamo partecipato, raccontando la nostra esperienza di monitoraggi scientifici considerata come una delle esperienze più avanzate al mondo della citizen science.» Purtroppo la cattiva gestione dei rifiuti e l’abbandono consapevole restano le principali cause del fenomeno. Al tempo stesso i dati evidenziano come buona parte di questi rifiuti potrebbero essere riciclati. I risultati, sebbene preliminari, mostrano dati incoraggianti circa la qualità del blend ottenuto mescolando i rifiuti spiaggiati. Una novità assoluta che dimostra come sia fondamentale sia prevenire il problema attuando campagne di sensibilizzazione, sia lavorando sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’avvio di una filiera virtuosa del riciclo.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - LUNEDI', 13 novembre 2017
A San Dorligo nasce il contest per i sacchi di rifiuti anti bora
Comune e A&T lanciano una gara rivolta alle scuole con
l'obiettivo di scovare il modo per evitare che i contenitori del porta a porta
volino per strada in caso di vento forte
SAN DORLIGO DELLA VALLE - L'appello è: fate ricorso alla fantasia. Questa la
richiesta che Comune di San Dorligo della Valle e A&T Servizi ambientali -
l'azienda che, dallo scorso primo luglio, gestisce la raccolta rifiuti nel
territorio amministrato dalla giunta guidata dal sindaco Sandy Klun - hanno
formulato agli alunni delle quarte e quinte delle scuole elementari e a quelli
delle medie del territorio. L'obiettivo? Invitare i bambini e i ragazzi a
individuare una soluzione che permetta di evitare che, quando soffia forte la
bora a San Dorligo della Valle, i sacchetti delle immondizie pronti alla
raccolta differenziata porta a porta, appesi a cancelli, reti divisorie, muri,
attraverso gli appositi ganci forniti dalla stessa A&T Servizi ambientali,
prendano il volo. Il premio per le due soluzioni che un'apposita commissione
giudicherà essere le più meritevoli consisterà in una visita al Museo della bora
di via Belpoggio 9. Ma non basta. Gli alunni delle due classi migliori vedranno
i loro progetti, di cui sarà valutata non solo la funzionalità ma anche
l'ingegnosità e la simpatia, proposti sul sito internet della A&T Servizi
ambientali. «E speriamo - dicono dall'azienda che si occupa della raccolta
rifiuti a San Dorligo - che siano anche progetti facilmente praticabili. In tal
caso non esiteremmo a utilizzarli». Da una decina di anni sul territorio è
attiva la raccolta porta a porta, attraverso l'uso di contenitori assegnati a
ciascun utente. Nel tempo, i cittadini hanno spontaneamente adottato soluzioni
che prevedono l'utilizzo di ganci, catene o altro, per evitare la dispersione
dei contenitori, quando si alza la bora. Ecco allora nascere l'iniziativa comune
dell'amministrazione e dell'azienda, che va a stimolare i cittadini più piccoli,
tradizionalmente dotati di grande fantasia e inventiva, per coinvolgerli in un
compito che ha uno scopo molto serio ma che a scuola può diventare un gioco
divertente e istruttivo.Il Comune di San Dorligo è formato da un notevole numero
di frazioni, sparse su un territorio che va dalla piana di Bagnoli alle colline
di San Giuseppe della Chiusa. Un paesaggio vario, nel quale i residenti hanno
costruito seguendo diversi criteri; ecco che i partecipanti al concorso potranno
veramente esercitare la fantasia, cercando soluzioni che potranno essere
applicate in base alla situazione locale.Il regolamento prevede che le classi
documentino sistemi efficaci, intelligenti, originali, curiosi e simpatici «per
gestire la raccolta rifiuti attraverso bidoni o sacchetti nelle giornate di
bora. I lavori potranno essere presentati fino al 28 febbraio 2018 e inviati,
corredati di foto, video, informazioni e tutto ciò che permette di valutare la
proposta nel suo insieme, alla mail scuole@aet2000.it. Per poter avere tutte le
indicazioni utili per poter partecipare a questa gara di fantasia si può
scrivere alla stessa e mail utile per la presentazione dei lavori o telefonare
allo 0432 691062.
Ugo Salvini
L'APOCALISSE CLIMATICA
Le polveri sottili? Sotto il tappeto. Hanno fatto un giro di valzer nei
caffè quando infuriava la siccità che in questo 2017 è stata più lunga del
solito. Poi ha piovuto, pioggia acidissima, oltre tutto, perché attraversava
un'atmosfera gonfia di veleni, e del respiro che ci uccide non parlerà più
nessuno fino al prossimo allarme. Un proverbio orientale dice che il saggio
indica la Luna, lo sciocco guarda il dito. La differenza è notevole. Come quella
tra chi considera i cambiamenti climatici una sventura di là da venire e chi
ribatte che abbiamo già il cappio al collo. Ad esempio il rapporto Ispra
pubblicato dal National Geographic. Inverni più caldi in Italia di 2,15 gradi,
in media, rispetto agli ultimi trent'anni. Più caldo e meno acqua dove c'è
sempre stata. E quali sono le reazioni? Trump se ne frega, smarcando l'America
che dovrebbe avere un ruolo-guida. La Cina, dove The Donald si trova in questi
giorni, l'argomento non viene sfiorato: il combinato disposto
comunismo-consumismo impone di produrre a testa bassa turandosi il naso.
L'Europa organizza summit, ultimo il Cop23 a Bonn, portando a casa briciole.
Intanto anche i negazionisti ormai si convincono che il pericolo c'è.
Un'ottobrata anomala ha armato la mano di piromani vigliacchi. Roghi dolosi
hanno stuprato le meraviglie del Creato in Val di Susa e nelle Prealpi lombarde.
Cacciatori assatanati si appostavano in attesa che animali di pregio uscissero
allo scoperto dai boschi in fiamme, per dire di che cosa è capace l'homo
sapiens. I giornali hanno pubblicato le foto del sole malato sopra le cappe di
smog a Milano e a Torino. Ci dovrebbero finire i volti di straordinari imbecilli
che sguazzano nella tragedia di una foresta annientata e di una fauna in fuga.
Numeri: la concentrazione di anidride carbonica nella quale siamo immersi è pari
al 145 per cento rispetto al 1750, il livello più elevato degli ultimi 800mila
anni. Lo ha sentenziato il Wmo, massima organizzazione meteorologica mondiale.
Il confronto tra epoche tanto distanti svela che il passaggio dai 790 milioni di
abitanti sulla Terra prima del boom industriale e i 7,5 miliardi di oggi ha
avuto il suo peso, è chiaro. Ma ci dice anche un'altra cosa: i problemi
attribuibili alla crescita si affrontano, il nuovo mondo non lo sa fare. Nel
sermone di Ognissanti il nuovo arcivescovo di Milano monsignor Delpini si è
chiesto fino a quando l'umanità evoluta continuerà a farsi del male. Papa
Francesco nell'enciclica "Laudato sì" aveva scritto: «Mai abbiamo maltrattato e
offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli.. Molto facilmente
l'interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare
l'informazione per non vedere colpiti i propri progetti». Eccolo il più grande
dilemma dei nostri giorni: maneggiamo l'arma delle potenti tecnologie, ma non
sappiamo calmierare regole di vita che prospettano l'Apocalisse climatica.
Scienza e politica si scoprono in antitesi. Considerando la colpevole inerzia
degli Stati, alcuni studiosi propongono di raffreddare la Terra con uno scudo di
nubi artificiali e di scaricare massicce dosi di ferro nel mare per rigenerare
plancton. Soluzioni fantasiose a parte, è ferma la convinzione che la partita
dei cambiamenti climatici sia ancora una questione di umana ragionevolezza e di
decisionale fermezza. Le energie alternative sono state individuate. La
situazione di Sorella Terra non è buona. Nemmeno delle sue creature. Si vive di
più perché abbiamo la possibilità di arginare malattie. Sicuri che una sorta di
nemesi storica non colpirà le generazioni future a causa delle intemperanze di
quelle passate? Due immagini drammatiche sono finite sui social negli ultimi
anni. La prima: nove orsi polari che si fracassano sulle rocce, traditi dal loro
amico naturale, il ghiaccio sciolto lassù in cima al mondo. La seconda: trenta
balene spiaggiate in Norvegia perché hanno ingoiato sacchetti di plastica,
perdendo l'orientamento. Le avevano scambiate per calamari. La stessa cosa che
sta accadendo all'umanità.
GIANNI SPARTÀ
Arci Servizio civile in Slovenia e Croazia volontari in arrivo all’Unione italiana
Prenderà il via oggi, dopo due mesi di formazione a Trieste, l'attività all'estero di quattro volontari dell’Arci Servizio civile nell'ambito del progetto “Culture di Confine”. Due volontari provenienti da Bari e da Trento e due in arrivo da Ferrara e Torino prenderanno servizio negli uffici dell’Unione Italiana, il massimo organo rappresentativo della Comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia, nelle sedi di Capodistria e Fiume (foto). Ad annunciarlo è Arci Servizio civile Fvg. Attraverso scuole, istituzioni e associazioni di promozione, diffusione e mantenimento della cultura e della lingua italiana nell’area, il progetto intende contribuire allo sviluppo ulteriore dell’integrazione della minoranza italiana in Istria e Quarnero, incrementando le opportunità di scambio fra le diverse comunità, anche attraverso la diffusione della cultura della comunità italiana. Arci Servizio Civile, associazione di promozione sociale, è la più grande associazione di scopo italiana dedicata esclusivamente al servizio civile.
IL PICCOLO - DOMENICA, 12 novembre 2017
La Sala Tripcovich? È venuto il momento di demolirla
Abbiamo letto sul Piccolo del degrado della sala Tripcovich, realizzata in
deroga al piano regolatore vigente nel 1992, stravolgendo la stazione delle
corriere progettata da Umberto Nordio, edificio che era dignitoso ma non
eccelso. La sala doveva essere provvisoria in attesa del restauro del teatro
Verdi e per legge la deroga al piano regolatore doveva valere per un anno
prorogabile al massimo di altri due. La provvisorietà della sala comportò la
mancanza di camerini, ricavati in degli orrendi container sul retro, ora per
fortuna eliminati e dalla mancanza di un impianto di condizionamento e di un
bar. L'associazione Triestebella ritiene, come propose anche l'architetto Mario
Botta, che tale brutto edificio debba essere demolito perché non corrisponde più
per niente all'originale stazione. La sua demolizione consentirebbe di
realizzare una bella unità di spazio nella piazza, aggiungendo al giardino il
sedime della sala. Oltre ad avere così un'area verde di maggior respiro, Trieste
offrirebbe a chi vi arriva una più degna accoglienza. Per unificare il giardino
sarebbe bene anche eliminare i tratti che lo attraversano di via Flavio Gioia e
corso Cavour, come era previsto nel progetto dell'architetto Zagari vincitore
del concorso del 2002 per la sistemazione delle Rive. La piazza potrebbe
diventare una grande rotatoria eliminando i semafori e snellendo il consistente
traffico.
Roberto Barocchi - architetto Associazione Triestebella
Il porto fluviale di Belgrado che mina l'oasi naturalistica
Ambientalisti in lotta contro il nuovo progetto per il
quale la Serbia punta ai capitali cinesi: nell'area di 900 ettari vivono
numerose specie protette
BELGRADO - Il progresso e lo sviluppo economico hanno il loro prezzo. A
Belgrado potrebbero costare la distruzione di una zona dove da sempre decine di
specie di uccelli vivono o sostano durante le migrazioni. È Beljarica, un'area
verde sulle sponde del Danubio, a venti minuti d'auto dal centro della
metropoli: terre umide battezzate dagli ambientalisti "l'Amazzonia di Belgrado",
per i loro canali interni e la vegetazione che cresce rigogliosa, natura
incontaminata. Proprio lì, secondo i piani delle autorità locali, dovrà sorgere
un nuovo grande porto fluviale, molto probabilmente con capitali cinesi,
un'altra tessera del megaprogetto "One Belt One Road", la Nuova via della seta.
E l'Amazzonia in miniatura sarebbe a rischio di completa devastazione. La
denuncia circola da tempo nel Paese ed è stata canalizzata in una petizione
online promossa dalla Lega serba per l'azione ornitologica - che dal 2010 si
batte per proteggere l'area - allarmata dalla possibile cancellazione di una
riserva di gran pregio. Petizione in cui si ricorda che Belgrado ha quello «che
altre capitali non hanno, un'oasi inalterata a un passo dal centro della città».
Oasi che dà rifugio ai pesci di fiume per i quali Beljarica è «un importante
luogo per la riproduzione», a circa «60 specie di mammiferi e 137 di uccelli, di
cui 109 protette a livello nazionale», conferma al Piccolo l'ecologo e
ornitologo Dragan Simic. Specie come linci, nutrie, cinghiali, sciacalli dorati,
coppie di aquile dalla coda bianca, il "re della nebbia", fra gli esemplari più
maestosi della specie in Europa. Al riparo ma ancora per poco, secondo i
promotori della sottoscrizione che chiedono che l'area sia dichiarata zona
protetta. E che non vi sia costruito, come annunciato già nell'agosto dell'anno
scorso - così si legge nel testo della petizione - «il nuovo porto di Belgrado»,
un'operazione che potrebbe portare alla «completa distruzione» di un'area che
«da secoli salva Belgrado dalle inondazioni» del Danubio, giacché rappresenta
un'area di sfogo per le acque.Il porto, con migliaia di metri cubi di cemento e
asfalto, coprirà quasi «tutti i 900 ettari» di Beljarica, hanno denunciato gli
ecologisti chiedendo ai belgradesi di reagire così come fecero i viennesi che
nel 1984 scesero in piazza contro la costruzione della centrale idroelettrica
Hainburg sul Danubio. Ai tempi, furono 353mila quelli che firmarono una
petizione simile a quella lanciata in Serbia, che però, almeno per ora, non ha
raggiunto le 10mila sottoscrizioni, anche se le firme sono in crescita
nell'ultimo periodo. E potrebbero aumentare nei prossimi mesi, quando ci sarà
maggiore chiarezza sul destino di Beljarica, già in passato indicata dai media
locali come area di sviluppo del nuovo porto. Indicazioni che tutto andrà in
questa direzione sono contenute in una mappa del Consiglio urbanistico della
città di Belgrado, che segna in giallo il perimetro di Beljarica come area
edificabile, in rosso le nuove arterie stradali e ferroviarie. La zona è a un
tiro di schioppo dalla superstrada e dal ponte "cinese" Mihajlo Pupin, aperto
tre anni fa, lungo 1.482 metri, finanziato da un prestito della EximBank cinese
di 226 milioni di dollari che ha coperto l'85% del costo totale dell'opera. E
Pechino sarà con alta probabilità coinvolta anche nel nuovo progetto del porto,
conferma la "Strategia per lo sviluppo 2021" approvata dalla municipalità di
Belgrado, dove si legge che le fonti di finanziamento dell'opera, almeno 350
milioni di euro, saranno oggetto di «negoziati tra la Repubblica di Serbia» e
quella Popolare cinese. L'opera non a caso è voluta vicino al ponte Pupin, dove
dovrebbe sorgere anche il grande parco industriale promesso a maggio dal sindaco
di Belgrado, Sinisa Mali, col coinvolgimento sempre della Cina, parco in cui
dovrebbero insediarsi decine di aziende cinesi. Gli interventi potrebbero
distruggere Beljarica «definitivamente», aggiunge Simic precisando che «non ci
sono informazioni ufficiali su contratti firmati», ma bisogna chiedersi «se
serve un porto da 900 ettari, in parte serbo, in parte cinese». Soprattutto in
una piccola ma preziosa "Amazonija".
Stefano Giantin
IL PICCOLO - SABATO, 11 novembre 2017
Intervento - Il ritorno prepotente sulla scena del
rigassificatore di Zaule
Segnali inquietanti nella baia di Zaule. Addio al RoRo in area ex Aquila,
dopo la cacciata della Teseco; si vocifera di futuri ampliamenti ai depositi
petroliferi; in via Errera si pensa ad un'ipotesi di costruzione di un impianto
per la produzione di gas dal trattamento di rifiuti e, ciò che più preoccupa, il
ritorno in pista del rigassificatore della Gas Natural, dopo l'approvazione del
gasdotto marino della Snam del 12 giugno 2017.A proposito del rigassificatore le
preoccupazioni sono giustificate anche dal fatto che nell'analisi di impatto
della regolamentazione (A.I.R.), collegata al decreto attuativo del Porto
Franco, tra gli " Obiettivi a medio e lungo periodo" elencati, a pagina 4 punto
C/2, viene imposto di monitorare l'incremento del traffico LNG con cadenza
biennale (traffico di LNG è legato al rigassificatore). A tutto ciò possiamo
aggiungere che nella conferenza stampa indetta a conclusione dei lavori della
sessione plenaria del Comitato dei ministri di Italia e Slovenia (copresieduta
dall'onorevole Angelino Alfano) il ministro sloveno Erjavec ha ribadito che la
Slovenia è contraria al rigassificatore di Zaule. Da ciò si deduce che durante
l'incontro se ne sia parlato e che sia stato il nostro ministro a riesumare
l'argomento. Quindi, mentre in tutto il mondo i siti indicati per l'ubicazione
di questi impianti vengono scelti in funzione della tutela delle popolazioni,
delle attività economiche e dell'ambiente, per quanto riguarda Trieste, si va
invece controcorrente, in quanto si pretende di imporre un rigassificatore a
Zaule, sulla terraferma, al centro di un'area densamente popolata e,
soprattutto, scavalcando e ignorando le norme di sicurezza e le precauzioni
adottate, oltre che in Italia per gli impianti già esistenti (Porto Viro e
Livorno), anche in tutto il resto del mondo. Sembra proprio che lo Stato
italiano voglia condannare la nostra popolazione a vivere in perenne pericolo,
bloccare definitivamente lo sviluppo del nostro porto e l'economia della città e
rendere il nostro mare tossico e infruibile. Martedì 31 ottobre si è svolto un
incontro al quale ha partecipato il Comitato con l'assessore regionale
all'ambiente Vito, per conoscere lo stato dell'arte del progetto e quali
interventi, a breve termine, la Regione intenda attuare, anche in vista
dell'imminente presentazione del Piano energetico nazionale .Le risposte sono
state vaghe e indefinite per cui, visto anche che le conferenze dei servizi al
Mise rischiano di effettuarsi in piena campagna elettorale, riteniamo opportuno
ribadire la nostra posizione e cioè:Amministratori e parlamentari della nostra
Regione devono denunciare apertamente, senza paura e con forza che questa scelta
(del governo) va contro Trieste, la sua economia, la sicurezza dei cittadini e
la salute del nostro mare ed imputare a chi ha dato il benestare all'impianto,
di aver colpevolmente ignorato i rilievi fatti, da oltre dieci anni, da
scienziati, professori, tecnici, esperti, sull'assoluta incompatibilità
dell'impianto con le caratteristiche del sito e sulle tante incongruenze
rilevate nel progetto stesso (come ben descritto nella delibera del consiglio
comunale di Trieste del 2012). Restare silenti, limitarsi a dichiarare
periodicamente la propria contrarietà menzionando solamente l'incompatibilità
con le attività del porto e attendere le decisioni del Tar, sono scelte
assolutamente infruttuose.
Giorgio Jercog - Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste
In treno all'aeroporto dal 19 marzo - Settanta convogli
giornalieri alla fermata del polo intermodale. Nuovo sportello UniPoste. E
arriva anche Flixbus
TRIESTE - La data è stata fissata. Approderà il 19 marzo prossimo il primo
treno alla fermata ferroviaria che si sta realizzando al polo intermodale dei
trasporti di Ronchi dei Legionari. E, da allora, saranno ben 70 i convogli
giornalieri che viaggeranno nelle due direzioni, quella di Trieste e di Venezia,
compresi quelli ad alta velocità che, verosimilmente, dovranno far ripensare
tutto il sistema di fermate lungo la linea. L'annuncio è stato dato ieri, in
occasione della visita che la presidente della giunta regionale, Debora
Serracchiani, ha compiuto al vasto cantiere che, dal gennaio scorso, interessa
l'area tra lo scalo aereo e la linea ferroviaria. Serracchiani, assieme al
presidente ed al direttore generale di Trieste Airport, Antonio Marano e Marco
Consalvo ed al sindaco di Ronchi dei Legionari, Livio Vecchiet, ha anche
inaugurato la nuova filiale di UniPoste, società privata che ha aperto il suo
nuovo sportello. Trieste Airport, che chiuderà il 2017 con oltre 800mila
passeggeri, guarda anche al futuro ed annuncia, dall'estate prossima, nuovi
collegamenti per la Germania, Francoforte in primis. Il polo intermodale sta
diventando una realtà e Ronchi dei Legionari sarà il primo aeroporto in Italia a
disporre, in un così ristretto spazio, di tutti i sistemi di trasporto integrati
tra loro. Al terminal autobus, capace di ospitare ben 17 stalli di sosta,
arriverà anche la low cost Flixbus che, qui, farà una sosta lungo la linea
Nizza-Pola. «In questi mesi abbiamo corso, ci siamo presi un impegno che sta
andando in modo spedito - ha detto Serracchiani - e di questo non posso che
ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questo vasto cantiere. Il polo è
un ponte per il futuro, un'opera che serve al territorio e che, sono sicura,
potrà attrarre altri utili investimenti». L'importo complessivo delle opere in
appalto alla Ici Coop ed alle ditte ad essa collegate è di 13,6 milioni di euro
e ad oggi sono stati eseguiti lavori per un totale di 3.880.000 euro per quanto
riguarda il primo lotto, ultimato al 57%, e di 1.500.000 euro per il secondo
lotto, completato al 23%. Entro marzo, come detto, dovrà essere tutto finito e
Trieste Airport guarda proprio al completamento dei lavori come una tappa
importante per il rilancio dei collegamenti e per la crescita dei passeggeri. Le
strutture in cemento armato del parcheggio multipiano sono già state ultimate ed
è in corso la realizzazione degli impianti, mentre nei parcheggi a raso verranno
a breve completati gli stalli in cemento drenante e l'impianto di illuminazione.
Per quanto riguarda la passerella sono in corso di montaggio le strutture verso
la fermata ferroviaria, mentre il varo del ponte sulla linea è previsto per la
seconda metà di dicembre. Per quanto riguarda l'autostazione degli autobus, è
stata completata la torre di collegamento verticale con la passerella e sono in
fase di realizzazione la sala d'aspetto, i locali tecnici e i servizi. Lo scalo
ronchese, infine, inizia ad essere attrattivo anche per l'insediamento di nuove
attività commerciali. Ieri, alla presenza del suo presidente, Francesco Paduano,
ha aperto il suo sportello, aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18.30,
UniPoste. Si tratta di un operatore postale privato che propone servizi di
pagamento, servizi di finanziamento ed assicurativi, ma anche servizi turistici,
telefonici e prodotti informatici. L'azienda possiede una rete commerciale
articolata su due canali, quello diretto e la rete di franchising, con 21 punti
vendita. UniPoste punta ad una decisa crescita con un fatturato previsionale per
il 2018 pari a 7,4 milioni di euro.
Luca Perrino
«Trieste e Capodistria da record per i treni
intermodali» - Forum di Alpe Adria Business International
TRIESTE - «Il numero dei treni intermodali che fanno settimanalmente i porti
di Trieste (200) e Capodistria (120) supera quello dei treni operati da
Rotterdam (250)». Lo ha detto il presidente dell'Autorità di Sistema Portuale
del Mare Adriatico Orientale, Zeno D'Agostino, intervenendo al Sdgz Alpe Adria
Business forum, alla Stazione Marittima di Trieste, la cui sessione conclusiva
si è focalizzata su un confronto tra i due vicini scali di Trieste e di
Capodistria (Slovenia), e le opportunità di sviluppo che possono apportare alla
regione Alpe Adria. Due porti in competizione, ma che collaborano su molti
fronti. D'Agostino ha più volte rimarcato il ruolo importante che può svolgere
il Napa, associazione porti Nord Adriatico, anche alla luce del recente rientro
del porto dell'Emilia Romagna nell'associazione che vede tra i membri anche
Trieste, Capodistria, Venezia e Fiume (Croazia) e che ha visto proprio il
passaggio del semestre di presidenza da Capodistria a Trieste. «Il Ruolo del
Napa - ha puntualizzato D'Agostino - diventa strategico anche alla luce dei dati
statistici che stiamo raccogliendo nel 2017. Stiamo vedendo per la prima volta,
che tutti i porti del Nord Adriatico hanno una crescita importante dal punto di
vista dei traffici. Il primo elemento da analizzare è questo: il corridoio
marittimo Adriatico è sempre più centrale nei traffici internazionali».«In uno
scenario in cui i volumi di traffico del porto di Trieste, assieme a quelli
degli altri scali dell'Alto Adriatico, registrano una forte crescita, la sfida,
strutturata dal lavoro compiuto in questi ultimi anni dalla Regione, è quella di
sviluppare le aree retroportuali del Friuli Venezia Giulia estendendone
l'attività alla Carinzia, alla Slovenia e alla Croazia»: così l'assessore
regionale alle Attività produttive, Sergio Bolzonello.
Tassa rifiuti “gonfiata” in molti Comuni - L’applicazione su garage, soffitte e cantine fa lievitare le bollette. A scovare l’errore un deputato M5S
ROMA - Molti Comuni hanno moltiplicato illegittimamente la tassa sui rifiuti, la Tari. Hanno applicato più volte su un singolo immobile, applicandola anche su garage, soffitte e cantine, la quota variabile che caratterizza questo tributo. Risultato: il balzello è così stato complessivamente gonfiato, in alcuni casi fino a raddoppiare. Il problema non è di poco conto, visto che riguarda molti Comuni, alcuni anche grandissimi. Un primo check alle delibere l’ha fatto il Sole24Ore scoprendo che a “inciampare” sono state anche grandi realtà: Milano e Genova, Napoli e Catanzaro, Cagliari e Ancona, Rimini e Siracusa, prescindendo dal colore politico. Il merito di aver strappato a livello parlamentare il velo su questo “errore”, dando così l’avvio a una campagna di rimborsi che potrebbe valere anche molti milioni, va comunque al deputato M5S, il pugliese Giuseppe L’Abbate. Il suo commercialista gli aveva segnalato l’anomalia commessa nel Comune dove risiede, Polignano a Mare. Lui ha quindi chiesto chiarimenti con una interrogazione alla quale il ministero dell’Economia in Commissione Finanze ha dato una risposta chiarissima nel senso e nelle conseguenze. «La parte variabile della tariffa – ha spiegato il sottosegretario Pierpaolo Baretta – va computata solo una volta considerando l’intera superficie dell’utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze situate nello stesso comune». L’esempio portato dall’interrogazione era quello di un appartamento di 100 metri, con un garage di 30 metri e una cantina di 20 metri. In concreto il Comune aveva applicato i 2 euro della quota fissa sui 100 metri e sul 50% della superficie di garage e cantina. Ma poi aveva applicato su ogni singolo cespite catastale i 141 euro della quota variabile, che così veniva moltiplicata per tre. Risultato: una stangata di 673 euro contro i 391 che, in base al chiarimento del ministero dell’Economia, dovranno essere pagati. «Siamo partiti dal confronto dal basso e dalla verifica di quanto riferito dai cittadini – afferma L’Abbate – Ci danno degli incompetenti, ma poi siamo noi, con lo studio e l’approfondimento, a risolvere gravi problemi a livello nazionale causati dalle altre forze politiche». Ora si apre la strada per i rimborsi. I Comuni interessati potrebbero essere moltissimi, vista l’incertezza normativa oramai dissolta. Per comprendere se si è pagato di più bisognerà prendere i bollettini di pagamento che riportano anche i calcoli della tariffa applicata sulle singole unità immobiliari e sulle pertinenze: quest’ultime non devono contenere la quota variabile. Se questa invece è riportata si può richiedere il rimborso. C’è tempo fino a 5 anni e il Comune può compensare il dovuto sulle bollette future o restituire il maggior importo pagato in 180 giorni. «Meglio tardi che mai», commenta L’Abbate. «Pensare – aggiunge – che l’interrogazione l’avevo presentata nel 2016 e che la risposta è arrivata un anno dopo. L’errore si sarebbe potuto correggere prima».
A Rovigno fondi Ue per l'ambiente - Da Bruxelles 21
milioni: col nuovo sistema di depurazione le acque reflue riutilizzate per
l'irrigazione
ROVIGNO - Una volta ultimato il sistema di raccolta, smaltimento e
depurazione delle acque reflue, Rovigno sarà la seconda città nel Paese - dopo
Parenzo - ad avere risolto il problema in maniera integrale. Le acque depurate
ottenute saranno cioè riutilizzate per l'irrigazione delle aree verdi:
operazione che porterà rilevanti risparmi sulla bolletta, visto che ora invece
per l'irrigazione si attinge dalla rete idrica pubblica. Il progetto -
sicuramente uno dei più importanti sul fronte degli interventi infrastrutturali
di Rovigno - è stato presentato nel palazzo municipale dal sindaco Marko Paliaga
assieme al direttore dell'azienda municipalizzata "Epurazione acquee" Ognjen
Pulic. Il valore complessivo dell'operazione è di 30 milioni di euro, 21 dei
quali ottenuti dal Fondo di coesione dell'Unione europea. Quest'ultimo,
istituito nel 1994, fornisce finanziamenti per progetti nel settore
dell'ambiente e delle reti transeuropee, mentre dal 2007 le risorse possono
essere utilizzate anche per progetti in settori connessi allo sviluppo
sostenibile, fra cui l'efficienza energetica e le energie rinnovabili. Per quel
che riguarda Rovigno l'obiettivo è quello della rimozione dei contaminanti dalle
acque reflue di origine urbana e industriale, così da renderle compatibili con
l'ambiente al momento del loro sversamento nei punti prescelti senza che vengano
a crearsi dei danni all'ecosistema. Va ricordato che la costruzione dei primi
impianti del progetto è iniziata 11 anni fa: ora però si punta ad accelerare per
portare a termine l'intera operazione entro la fine del 2019, quando al sistema
saranno allacciati tutti gli abitanti e le aziende di Rovigno e di Villa di
Rovigno. Si tratta di un totale di 63mila utenze, comprese le centinaia di
migliaia di villeggianti che d'estate soggiornano sul territorio. In questo
momento i cantieri sono concentrati tutti nella zona di Villa di Rovigno, dove
sono in corso di posa 1.100 metri di tubature. A partire da febbraio si lavorerà
invece nella zona dell'ospedale di Rovigno e del rione di Borik, dove verranno
deposti 24 chilometri di tubature che consentiranno 700 nuovi allacciamenti. I
lavori verranno interrotti nel corso della stagione estiva, per poi riprendere
nell'autunno del 2018. Giù entro questo mese intanto verrà risanato il
collettore di 2,5 chilometri che collega il rione di Lamanova al nuovo
depuratore di Cuvi attraversando la zona di Valbruna. La posa del collettore
costiero tra il Gandusio e il porto è invece programmata per l'anno prossimo.Il
progetto comprende anche la costruzione di sette stazioni di pompaggio. A lavori
ultimati - dunque tra circa due anni - saranno eliminati anche i cattivi odori
che a volte serpeggiano tra le vie e le piazze di Rovigno. L'appalto del
cantiere è stato affidato all'azienda edile Krk di Veglia. La città di Rovigno -
è stato detto in sede di presentazione - sta dunque compiendo un passo
importante nel miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti e dei
villeggianti, grazie soprattutto al Fondo di coesione europeo che ha creduto
nella validità del progetto.
(p.r.)
IL PICCOLO - VENERDI', 10 novembre 2017
FERRIERA - Miani e Servola respira ricevuti in Regione
«Un incontro costruttivo, a seguito del quale sono stati presi alcuni impegni basati sulla collaborazione e la comunicazione relativamente alle problematiche di carattere ambientale afferenti all’attività della Ferriera». Questo - come riporta una nota della Regione - il concetto espresso dall’assessore all’Ambiente Sara Vito che ha incontrato ieri, con i vertici della Direzione centrale Ambiente e dell’Arpa, i presidenti del Circolo Miani e del Comitato Servola respira, Maurizio Fogar e Romano Pezzetta. Dopo l’incontro Vito ha dato mandato agli uffici «di approfondire i temi che saranno segnalati da Miani e Servola respira nell’ottica di un confronto puntuale e trasparente con il territorio». Oggi invece al Circolo della Stampa di Corso Italia, Legambiente organizza un incontro pubblico su «La siderurgia in Italia e il caso Ferriera».
Bonifiche, al via due appalti per 1,4 milioni - Aggiudicate le gare per l’analisi di terreni e acque e per il progetto contro l’inquinamento delle falde
Un nuovo passo in avanti nel lungo iter burocratico riguardante le bonifiche all’interno del cosiddetto Sin, il Sito di interesse nazionale della Zona industriale di Trieste, “affare” che attualmente ricade tra le competenze della presidente della Regione Debora Serracchiani in veste di commissario straordinario per l’attuazione dell’accordo di programma per l’area della Ferriera di Servola. Invitalia, braccio operativo del ministero dello Sviluppo economico che funge da stazione appaltante, ha completato infatti - informa una nota della Regione stessa - le procedure di affidamento per due gare d’appalto. Alla prima, che ha come obiettivo l’analisi dei terreni e delle acque per valutarne il livello di inquinamento, hanno partecipato 13 operatori economici e, tecnicamente, si riferisce all’affidamento dei servizi di esecuzione della campagna di indagini geognostiche e idrogeologiche. La prima procedura ha determinato alla fine l’aggiudicazione ad un Rti, un Raggruppamento temporaneo d’imprese, formato da Theolab Spa, Geosyntech Srl, Geoalpina Srl e Lgt Laboratorio Geotecnico, per un importo di 363.177,70 euro più Iva (di cui 36.347,71 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso) per un ribasso pari al 60,02%. La seconda gara riguarda invece la progettazione per la realizzazione di un barrieramento finalizzato a impedire il deflusso di eventuali falde acquifere inquinate e per la costruzione di un apposito impianto di trattamento delle acque. Nel dettaglio, alla fase di selezione del secondo bando hanno partecipato 12 operatori economici e il contratto riguarda l’affidamento dei servizi di progettazione definitiva, rilievo plano-altimetrico e progettazione esecutiva proprio delle opere di messa in sicurezza della falda. In questo caso l'aggiudicazione è andata ad un Rti costituito da Studio Altieri Spa, Sqs Servizi Qualità e Sicurezza Srl, Progettando Srl, Arcomai Snc e studio geologico Andrea Borgia, per un importo complessivo di 904.032,94 euro Iva esclusa (di cui 4.241,58 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso) per un ribasso finale risultato pari al 31,23%. Lo stanziamento totale per la realizzazione delle opere di bonifica del Sin tra analisi, progettazioni e lavori - ricorda ancora la nota della Regione - ammonta a 41,5 milioni di euro.
Ancora tutti divisi sul glifosato L’accordo non c’è
È stallo in Europa sul glifosato. I Paesi Ue, per l’ennesima volta, non sono riusciti o a esprimere una maggioranza qualificata pro o contro il rinnovo per 5 anni della licenza per l’erbicida, accusato di avere effetti nocivi anche gravi sulla salute umana. L’ultima occasione sarà il comitato d’appello, che la Commissione potrebbe convocare il 27 o 28 novembre. Senza un’indicazione chiara l’Esecutivo potrebbe decidere di adottare la sua proposta senza l’avallo degli Stati. Dopo i giorni scorsi, in cui le diplomazie si erano mosse alla ricerca di compromessi e alleanze, nel voto di ieri si sono riproposte le divisioni che scandiscono la vicenda glifosato ormai da quasi due anni: 14 paesi hanno votato a favore, 9, tra cui l’Italia, contro e 5 si sono astenuti. Rispetto al sondaggio sul rinnovo a 10 anni condotto dalla Commissione a fine ottobre, due paesi (Romania e Bulgaria) hanno cambiato posizione da favorevoli ad astenuti, perché considerano troppo breve una licenza di 5 anni. Francia e Italia hanno votato no (con Belgio, Grecia, Malta, Ungheria, Cipro, Lussemburgo e Austria).
Sono i polmoni bis del pianeta - Alghe "star" al
superconvegno - Oggi e domani a Trieste il più importante meeting scientifico
sulla materia
«Grazie a loro possiamo conoscere la salute dei mari. E qui le
monitoriamo dal 1986»
TRIESTE - Quando si parla del più grande polmone verde del mondo il pensiero
va immediatamente alla foresta amazzonica. Eppure c'è un altro importantissimo
polmone verde, fondamentale per contribuire all'abbattimento dell'anidride
carbonica in atmosfera. È costituito dalle praterie di alghe presenti nei nostri
mari: a livello mondiale, infatti, a produrre il 50% dell'ossigeno del pianeta
grazie alla fotosintesi clorofilliana sono proprio le alghe e, soprattutto, le
microalghe. Che sono organismi molto piccoli, delle dimensioni di alcuni micron,
ma molto numerosi e ad alta efficienza: sono la base della catena alimentare del
mare e uno strumento essenziale a disposizione dei ricercatori per tenere
monitorata la qualità dell'ecosistema marino in relazione ai cambiamenti
climatici. Sempre di più, inoltre, si sta studiando il loro impiego come fonti
rinnovabili di energia e come materie prime nei settori della farmaceutica,
della cosmesi, della nutraceutica e dell'alimentazione. Si occuperà proprio di
questi temi la Riunione scientifica annuale del Gruppo di algologia della
Società botanica italiana, il più importante convegno a livello nazionale
dedicato allo studio sulle alghe, in programma oggi e domani nella Sala Maggiore
della Camera di Commercio. Quest'anno il convegno, organizzato dall'Ogs, dalle
università di Trieste e di Udine e dal Wwf - Area Marina Protetta di Miramare,
con il patrocinio del Comune e della Regione, vedrà la partecipazione di circa
100 esperti di algologia nazionali e internazionali e sarà l'occasione per
analizzare lo stato dell'arte della ricerca e le nuove metodologie per lo studio
delle alghe. Ne abbiamo approfittato per fare il punto con gli esperti sulla
salute del nostro Golfo, che viene continuamente monitorata proprio attraverso
il controllo delle modificazioni della comunità micro e macroalgale.«L'aumento
della temperatura delle acque è il primo dei fattori che influenzano la
struttura della comunità algale - spiega Marina Cabrini, ricercatrice dell'Ogs e
coordinatrice del Comitato organizzatore del convegno -: il monitoraggio a lungo
termine delle alghe presenti nel nostro Golfo ci dice molto sugli effetti dei
cambiamenti climatici. A Trieste siamo fortunati, perché, grazie all'istituzione
a Miramare della prima Area marina protetta d'Italia, siamo la città che dispone
della più lunga serie temporale di dati: è dal 1986 che, ogni mese, raccogliamo
dati su alghe e microalghe presenti in loco». I cambiamenti climatici,
sottolinea la ricercatrice, hanno un impatto consistente sull'ecosistema marino,
di cui le alghe rappresentano un tassello fondamentale. «Con una maggiore
quantità di anidride carbonica, che dall'aria si "scioglie" nell'acqua, si ha il
fenomeno dell'acidificazione degli oceani, ovvero un abbassamento del ph
dell'acqua che favorisce alcune specie di alghe e ne danneggia altre. Ciò si
riflette nella combinazione della comunità fitoplanctonica marina, portando a
uno squilibrio dell'ecosistema e a una diminuzione della biodiversità», spiega
la ricercatrice. Tra le diverse tipologie di microalghe presenti nel nostro
Golfo, ve ne sono alcune di potenzialmente tossiche, anche se la principale
criticità per il nostro mare in questo momento non è rappresentata dalle alghe:
«C'è un problema più grosso, legato alla presenza importante dall'estate scorsa
di piccoli organismi gelatinosi, le noci di mare (Mnemiopsis leidyi), che non
sono urticanti come le meduse, ma hanno un impatto negativo sull'ecosistema -
spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell'Ogs -.
Sono organismi "alieni" arrivati fin qui con le acque di sentina delle navi,
carnivori ed estremamente voraci: mangiano plancton ma anche uova e larve di
pesce e a lungo andare potrebbero causare una diminuzione del pesce azzurro
presente nel nostro mare. Nutrendosi anche dei predatori delle alghe, inoltre,
potrebbero paradossalmente favorirne uno sviluppo massivo». Quanto alle alghe
tossiche, invece, nel nostro Golfo ce ne sono due, di specie sotto osservazione:
una è la Dinophysis, che produce una tossina che si accumula nei mitili,
divoratori di questa microalga, che se mangiati possono causare all'uomo
problemi gastrointestinali. «La presenza di questa microalga è limitata ad
alcuni periodi dell'anno - racconta Del Negro - ma nel tempo ha messo in
ginocchio la miticoltura, perché obbliga a sospendere la raccolta e la
commercializzazione dei mitili per mesi».L'altra microalga sotto osservazione è
la Ostreopsis Ovata, che produce una tossina che nell'uomo può causare problemi
respiratori. Ma non c'è da allarmarsi, perché finora non ha mai raggiunto
concentrazioni tali da rappresentare un rischio per la salute pubblica.
Giulia Basso
Osservatorio sull’economia del mare - Progetto della Regione con fondi Ue per la creazione di un polo tecnico-professionale
TRIESTE - Analizzare le nuove esigenze delle imprese dell’economia del mare per impostare percorsi di orientamento, formazione e apprendistato capaci di proiettare i giovani lavoratori nella transizione epocale dell’industria 4.0. Con questo obiettivo la Regione Friuli Venezia Giulia darà vita all’Osservatorio sui fabbisogni del comparto, creato grazie a un finanziamento europeo di 300mila euro e inserito nel Polo tecnico-professionale dell’economia del mare del Fvg, che interessa oggi cantieristica, nautica da diporto, produzioni offshore, trasporti marittimi e logistica. All’iniziativa parteciperanno Maritime technology cluster, Associazione piccole e medie industrie, Ires Fvg e Confindustria. Come spiegato dall’assessore al Lavoro, Loredana Panariti, «l’iniziativa ha l’obiettivo di rilevare e analizzare le necessità formative e occupazionali delle imprese di questa filiera, strategica per lo sviluppo del territorio». L’osservatorio lavorerà con i soggetti pubblici e privati interessati allo sviluppo di percorsi di formazione che possano preparare a mestieri che oggi esistono solo a livello teorico e che la rivoluzione produttiva in atto renderà invece indispensabili. Saranno coinvolte scuole, enti di formazione e imprese, di cui si analizzeranno fatturati, competenze richieste e disponibilità a ospitare esperienze di alternanza scuola-lavoro. «Lo scopo è la riprogettazione della formazione», ha concluso Panariti. In Fvg si rafforza dunque la creazione di un sistema di istruzione e formazione ad alta specializzazione professionale e tecnologica in un'ottica di rete che intensifichi i rapporti tra sistema di formazione e realtà produttive, aumentando la possibilità degli studenti di trovare un lavoro adatto al proprio profilo. L’indagine riguarderà anche le imprese che partecipano indirettamente all’economia del mare, come ad esempio le aziende friulane dell’impiantistica e degli allestimenti. Verranno inoltre realizzate azioni di orientamento per favorire la conoscenza delle filiere produttive e delle professioni del comparto, l’alternanza scuola lavoro, la certificazione delle competenze, nonché la revisione e integrazione dell'offerta scolastica e formativa.
(d.d.a.)
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 9 novembre 2017
CAMBIAMENTO CLIMATICO E ATTIVAZIONE SOCIALE. SERENA
PELLEGRINO (SINISTRA ITALIANA): PARTE IN ITALIA, IN CONTEMPORANEA A COP 23, #CLIMATECHANGINME.
I CITTADINI DEVONO ESSERE COINVOLTI NELLA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO,
LA POLITICA DEVE PUNTARE AL CUORE DEL PROBLEMA, CIOE' IL FALLIMENTARE SISTEMA
FONDATO SUL BUSINESS E NON SULLA VERA ECONOMIA, NORMA DELLA CASA COMUNE.
CONFERENZA STAMPA A MONTECITORIO CON ASSOCIAZIONE “A SUD”.
“Di fronte alla crisi dell’impegno e della coerenza in materia ambientale
dei partiti storici e mentre subiamo la crescente pressione del cambiamento
climatico, i corpi intermedi ed il loro impegno si rivelano importantissimi, né
è prova il fatto che le associazioni ambientaliste danno molto fastidio, devono
compiere tra mille ostacoli un lavoro enorme per diffondere le notizie mentre la
grande stampa, collegata come sappiamo solo ad alcuni nomi e cognomi, non fa
passare le informazioni. In particolare, l’apparato mediatico ufficiale non dice che il parlamento ha una
committenza, cioè il popolo, ed il Governo ne ha un’altra, cioè il potere
economico e le lobbies, e che quanto più un governo è forte tanto più è oggetto
di concrete interferenze da parte delle multinazionali. Destabilizzare l’
architettura istituzionale, affermando in maniera demagogica che le relative
articolazioni e livelli di rappresentanza sono brutti e cattivi, è un regalo
inestimabile a chi governa il mercato globale, quello che gestisce il business
in rotta di collisione con la norma della casa comune, cioè la reale economia
del pianeta, fondata sulle leggi ecosistemiche. La lotta al cambiamento
climatico non può prescindere da queste consapevolezze.”
L’ha dichiarato la parlamentare Serena Pellegrino presentando oggi in conferenza
stampa alla Camera dei Deputati, assieme all’on Mirko Busto ( M5S), in
contemporanea all’analoga iniziativa di COP23 a Bonn, la campagna internazionale
#ClimateChangingMe, promossa in Italia dall'Associazione A Sud che ha realizzato
anche l’istant-book intitolato "Trova le Differenze. L'Italia tra il dire e il
fare nella lotta ai cambiamenti climatici", disponibile on line.
“Lo scopo di azioni come queste, definite oggi di attivazione sociale, che
abbiamo convintamente voluto promuovere dalla sede parlamentare, è pienamente
condivisibile ed è enorme l’urgenza di realizzarle. Il tema del cambiamento
climatico è lontano dalle persone , è percepito come troppo tecnico, materia da
scienziati: invece bisogna rendere tutti consapevoli di quanto la crisi
climatica sia purtroppo assolutamente democratica e coinvolga senza sconti ogni
essere vivente sul pianeta, dobbiamo far riflettere sull’esperienza diretta che
ognuno di noi quotidianamente affronta per gestire le conseguenze del
cambiamento climatico, e soprattutto renderci individualmente partecipi sia
delle azioni e dei progetti a contrasto dei diversi fenomeni, sia dei processi
decisionali che devono risalire fino al cuore del problema, cioè la
trasformazione del modello economico che è la causa principale della crisi del
pianeta.“
IL PICCOLO - GIOVEDI', 9 novembre 2017
Via libera al laminatoio bis della Ferriera - La Regione dà l'ok al piano per l'impianto di decapaggio. Il comitato 5 Dicembre: «Prima bisogna chiudere l'area a caldo»
La Regione da il via libera al progetto per l'impianto di decapaggio della Ferriera di Servola. La struttura rientra nel disegno di ampliamento del laminatoio, quindi della parte a freddo dell'impianto, presentato da Siderurgica triestina e ora al vaglio delle istituzioni. La scelta della Regione suscita la riprovazione del comitato 5 Dicembre, che stigmatizza la scelta di dare il via libera «prima di aver garantito la chiusura dell'area a caldo». La Commissione regionale tecnico consultiva di valutazione di impatto ambientale si è riunita ieri a Trieste, fa sapere la Regione, e «ha espresso parere favorevole con due prescrizioni». Lo screening di Via (valutazione di impatto ambientale) è stato avviato in relazione alla collocazione urbana della ferriera dopo che Siderurgica Triestina aveva presentato istanza al ministero dell'Ambiente per ampliare il capannone dove si svolge l'attività a freddo e inserirvi un impianto di decapaggio. Il decapaggio è un'operazione effettuata attraverso degli agenti chimici, che abradono la parte superficiale del metallo, rendendola porosa e quindi adatta ad essere ricoperta con un altro metallo. Il direttore generale della direzione regionale Ambiente ed Energia ha firmato ieri il decreto con il quale il parere favorevole viene trasmesso al ministero dell'Ambiente. La Commissione ha verificato che «non sussistono problemi di impatto», afferma la Regione, «ma ha comunque indicato prescrizioni per il rumore e per gli scarichi»: «L'impatto acustico dell'impianto di decapaggio dovrà essere verificato al termine del piano di risanamento del rumore già previsto per l'insediamento industriale, così da verificare che la sua incidenza sia contenuta. Anche gli scarichi di cloruri, secondo prescrizione, andranno monitorati». Aggiunge ancora l'ente regionale: «Alla Commissione non sono pervenute indicazioni dal Comune di Trieste in merito agli interventi oggetto della riunione di ieri». L'azienda prende atto della notizia e attende l'invio ufficiale del documento prima di commentare la scelta della Regione. Commenta il comitato 5 Dicembre: «Assurdo che la Regione autorizzi nuove parti d'impianto prima di aver verificato che i lavori fatti sull'area a caldo portino a migliorie sostanziali». E ancora: «Il Comune continua ad essere nei fatti assente disattendendo tutte le promesse fatte, a dimostrazione del suo allineamento con la linea della Serracchiani». Conclude il comitato: «L'ampliamento del laminatoio avrebbe dovuto essere autorizzato dopo aver fissato la data di chiusura dell'area a caldo. Ricordiamo infine che la costruzione del capannone è oggetto di indagine da parte della magistratura».
Giovanni Tomasin
La Lista Dipiazza replica all’opposizione «Il Pd permette alla fabbrica di inquinare»
La Lista Dipiazza replica al centrosinistra sul tema Ferriera, dopo che il Pd aveva attaccato i «bluff» del sindaco: «I consiglieri del Pd hanno perso un'altra occasiona buone per tacere. Probabilmente l'ultima batosta elettorale siciliana, in ordine di tempo, ha annebbiato la mente facendo scordare loro che sono gli unici protagonisti del problema Ferriera e facendoli cadere nel qualunquismo». Lo si legge in un comunicato firmato dal capogruppo Vincenzo Rescigno. «Il Pd ormai privo di contenuti oltre a scadere nel dileggio, con il più becero del qualunquismo e con la spocchia di sempre, cavalca la giusta insofferenza e rabbia dei cittadini verso la Ferriera che, è bene ricordarlo, il Pd ha deciso di portare avanti dopo che nel 2012 era stata decisa da tutti la chiusura. Non contenti di questo il Pd ha sottoscritto accordi di programma e rilasciato un'Aia allo stabilimento che permette alla Ferriera di agire al di fuori della normale normativa ambientale, intossicando la qualità di vita dei cittadini».
Tesoretto da un milione per Porto vecchio - Passerà
dalla Prefettura al Comune. Russo: «Va usato per creare la società di scopo». Ma
Dipiazza pensa al futuro di Esof
Rispunta un tesoretto da un milione di euro per il Porto vecchio.
Attualmente è in mano alla Prefettura e finirà nelle casse del Comune: i
particolari verranno discussi in un incontro che si terrà domani in piazza Unità
fra i due enti. I soldi sono quelli che il senatore dem Francesco Russo recuperò
tempo addietro nelle pieghe di una finanziaria. Come verranno impiegati? Lo
stesso Russo predilige l'idea che vadano a costituire la base per la società
incaricata di gestire il recupero dell'antica area portuale. Secondo il sindaco
Roberto Dipiazza, però, «la costituzione della società non è fonte di
preoccupazione» e sarà meglio impiegare il milione per porre le basi del
progetto di Trieste Capitale europea della Scienza - Esof 2020. È un aspetto,
quest'ultimo, su cui il Comune si sta mobilitando proprio in questi giorni, con
un'indagine preliminare di mercato da completare entro l'anno: l'obiettivo è
trovare un partner interessato a partecipare al progetto di edificazione del
centro congressi necessario a ospitare l'evento, e che sia interessato poi a
gestirlo nella fase post-Esof. Commenta il sindaco Dipiazza: «Non mi preoccupa
dover finanziare la società. Se possibile, preferiremmo traslocare questo
milione alla Capitale europea della Scienza. Si tratta di un progetto da dieci
milioni, per cui anche qualsiasi contributo è il benvenuto». Dipiazza si
riferisce all'idea, già presentata nei mesi scorsi, di realizzare un doppio
centro congressi nei magazzini prossimi alla centrale idrodinamica: «L'evento
della Città della Scienza è importante ma è necessario che resti qualcosa per la
città anche dopo. Secondo noi il centro congressi potrebbe rispondere a questa
esigenza e il milione farebbe comodo. Il nostro piano A è ampio, se poi non sarà
possibile realizzarlo abbiamo già pronto un piano B». I soldi verranno affidati
al Comune ed è all'ente locale che spetterà decidere che farne di preciso,
purché resti in ambito di Porto vecchio. Il senatore Russo, però, è l'uomo che i
soldi li ha raggranellati: «Vengono dalla legge di bilancio di due anni fa,
furono destinati con un decreto apposito. L'intento con cui sono stati destinati
è la creazione della start up della società pubblica di gestione del Porto
vecchio». L'indicazione di gestire l'operazione attraverso uno strumento del
genere, prosegue il parlamentare, provenne a suo tempo dal presidente
dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone: «Ottimizza la
possibilità di gestione con strumenti manageriali più raffinati - dice Russo -,
ed evita al Comune di essere travolto da una partita che è politica ma anche
molto tecnica». L'ipotesi a cui si sta lavorando, dice Russo, è «una società
molto snella, con un manager di grande esperienza internazionale, che avrà
l'opportunità di raccontare l'area in giro per il mondo e costruire il bando in
modo da renderlo potabile alle forme di interesse che si sono manifestate».
L'idea, conclude, «è andare un po' a copiare quel che hanno fatto le zone di
rigenerazione urbana simili alla nostra in altri paesi».
Giovanni Tomasin
Natura - "Salviamo le nutrie", incontro a Muggia
Domani pomeriggio alle 18.30, al Caffè teatro Verdi di Muggia, incontro sul
tema delle nutrie. L'incontro ha come scopo quello di far conoscere questo
animale, i motivi per cui si trova qui, le sue abitudini, le sue peculiarità e
il perché si è trovato sotto le luci della ribalta a causa di una legge che
prevede, se venisse approvata, la sua completa eradicazione tramite metodi
cruenti. Il programma della serata prevede - alle 18.30 - la proiezione del
documentario "The invasion, a coypumentary" della Silos production. Alle 19.30
seguirà l' introduzione del biologo Sergio Dolce sul territorio del Rio Ospo e
dei laghetti delle Noghere. Si proseguirà con l'intervento del biologo Samuele
Venturini, che negli ultimi anni si è occupato dello studio delle nutrie e delle
possibili soluzioni alternative all'abbattimento. Già in altre zone, come Torino
e Perugia, si è deciso di intervenire in maniera non violenta, e di controllare
le colonie di animali presenti sul territorio. In particolare, nella zona del
rio Ospo, da anni vive una colonia di nutrie, che non si è mai diffusa più di
tanto, e salvo rari casi (mai veramente accertati), non ha mai arrecato danni a
argini o a colture contigue. La serata è organizzata in collaborazione con
l'Associazione vegetariani e vegani di Muggia. Ingresso libero e aperto a tutti.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 8 novembre 2017
Il gruppo Pd attacca i bluff di Dipiazza sulla Ferriera
«Tutti stanno scaricando il sindaco Dipiazza perché si sono accorti di
quanto noi avevamo detto sin dall'inizio: le sue erano false promesse, un bluff
giocato sulla pelle dei lavoratori, degli abitanti di Servola e dei triestini».
È l'affondo sferrato dai consiglieri comunali del Partito democratico di
Trieste, all'indomani della dura presa di distanza ufficializzata dal Comitato 5
dicembre nei confronti di Roberto Dipiazza, accusato dal gruppo di cittadini No
Ferriera di aver fatto disatteso completamente gli annunci fatti in periodo
elettorale. «Un punto, questo, che ci differenzia nettamente dall'attuale giunta
- proseguono gli eletti dem -. Noi, durante l'amministrazione Cosolini, abbiamo
governato in modo serio e responsabile, senza mai vendere fumo alla gente: forse
lo abbiamo pagato in termini elettorali?». Il problema, proseguono gli esponenti
della forza dell'opposizione, è l'atavica tendenza a strumentalizzare lo
stabilimento siderurgico di Servola. «Purtroppo la Ferriera è stata sfruttata
come merce elettorale troppe volte nella storia della nostra città - prosegue il
gruppo Pd -. Il sindaco Dipiazza lo ha fatto tante volte, promettendo risultati
irraggiungibili. Molti cittadini componenti dei comitati gli hanno creduto. Ora
comprendiamo - continuano i consiglieri comunali - che il tradimento di un finto
alleato bruci. Lo stesso Comitato oggi dice che sarebbe stato meglio avere a che
fare con un avversario schietto piuttosto che con un falso amico». Un assist
vero e proprio, quello del Comitato, che l'opposizione sfrutta quindi a pieno.
«Non ci stancheremo mai di ribadirlo - concludono i consiglieri democratici:
sulla Ferriera serve un progetto serio che coniughi salute, ambiente e lavoro.
Noi lo abbiamo cercato e voluto con forza, senza illudere le persone. Dobbiamo
contenere l'impatto ambientale e garantire che tutti gli standard siano
scrupolosamente rispettati, ma allo stesso tempo è indispensabile mantenere i
livelli occupazionali. Trieste non può permettersi un sindaco che fa il finto
tonto».
Nuova rete fognaria a Noghere e Crociata - Lavori per
otto mesi - Via all'estensione degli impianti oggi in uso a San Dorligo - Opera
da 1,2 milioni. Disagi ridotti allo stretto necessario
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Partirà entro questo mese il cantiere
dell'AcegasApsAmga che porterà, entro la prossima estate, all'estensione della
rete fognaria di San Dorligo della Valle, fino a comprendere anche le zone di
Noghere e Crociata. I reflui potranno così confluire al depuratore di Zaule,
permettendo la dismissione di quello di Prebenico, con un deciso miglioramento
degli standard ambientali. L'allacciamento sarà obbligatorio per le utenze
interessate da quest'intervento. Le abitazioni ubicate in prossimità della
condotta fognaria sono in tutto una trentina. I lavori, che comporteranno un
investimento complessivo di circa un milione e 200mila euro, sono inseriti nel
più ampio contesto del nuovo progetto generale di razionalizzazione del sistema
fognario a servizio del comprensorio comunale di San Dorligo della Valle.Il
progetto permetterà di completare il collegamento tra questo sistema e quello
triestino, che fa riferimento al depuratore di Zaule. «Tale passaggio risulta
fondamentale - spiega un comunicato dell'AcegasApsAmga - perché permetterà di
mandare in pensione il piccolo depuratore di Prebenico che, pur essendo a norma,
in termini di trattamento presenta concrete difficoltà gestionali. Si tratta di
un'opportunità di riqualificazione urbana - continua il testo - che è uno degli
obiettivi del progetto di realizzazione di una nuova condotta fognaria». Il
progetto è stato presentato alla cittadinanza nel corso di una pubblica
assemblea, svoltasi a Caresana: partirà dalla località Noghere e proseguirà
lungo la strada provinciale 13 in direzione di Crociata. L'AcegasApsAmga e
l'amministrazione comunale di San Dorligo lavoreranno d'intesa per programmare
un cantiere capace di garantire il miglior scorrimento possibile del traffico.
Si stima che gli interventi di allaccio delle abitazioni alla fognatura
avverranno a Noghere entro il mese di giugno, mentre a Crociata il cantiere si
chiuderà il mese successivo. Eventuali variazioni nelle tempistiche saranno
condivise con l'amministrazione e comunicate alla popolazione residente.
Entrando nel dettaglio, in corrispondenza di ogni civico coinvolto,
l'AcegasApsAmga realizzerà il cosiddetto "pozzetto d'ispezione", un punto di
consegna, sul limite della proprietà privata, a cui dovranno allacciarsi gli
impianti privati delle abitazioni. Per la realizzazione di tale allacciamento
non sarà richiesto alcun onere ai cittadini. Una volta realizzato il pozzetto
d'ispezione, ogni utenza dovrà invece provvedere all'esecuzione degli eventuali
interventi impiantistici ed edili sull'area privata necessari per adeguare lo
scarico, deviandolo fino al pozzetto realizzato al confine della proprietà. Una
volta terminati i lavori e prima dell'attivazione dell'allacciamento, i
cittadini dovranno richiedere alla stessa AcegasApsAmga il rilascio del nulla
osta allo scarico, per il quale sarà richiesto il pagamento di 113 euro. Le
opere saranno realizzate sotto terra, quindi non incideranno sull'aspetto
paesaggistico. I lavori saranno inoltre realizzati prevalentemente su area
stradale. Non si prevedono inquinamenti e disagi e anche le limitazioni al
traffico saranno ridotte all'essenziale.
Ugo Salvini
Venezia dice stop alle grandi navi - Basta passaggi
davanti a San Marco, approdi a Marghera
VENEZIA - Basta "inchini" dei giganti del mare davanti a San Marco. Le
grandi navi da crociera dovranno dire addio al passaggio scenografico di fronte
al centro storico di Venezia, e ripiegare su un approdo meno glamour a Marghera.
Lo ha deciso a Roma il "Comitatone" interministeriale per Venezia, dopo 6 anni
di discussioni. L'annuncio è giunto dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio.
Nell'arco di 3-4 anni - ha spiegato - andranno a Marghera tutte le navi oltre le
55mila tonnellate di stazza. Dopo le rotte alternative bocciate nel tempo, la
soluzione presa dal Governo, e condivisa da Comune e Regione Veneto, è quella
proposta dall'Autorità Portuale: le grandi navi non entreranno più dalla bocca
di Porto del Lido passando in bacino san Marco e nel canale della Giudecca, ma
lo faranno dalla bocca di Porto di Malamocco e, lungo il canale dei Petroli, si
fermeranno a Marghera. Per il sottosegretario Baretta è «un punto di equilibrio
tra tutela ambientale, sviluppo territoriale e attività imprenditoriale». Le
navi extra-lusso, di categoria più piccola e "green" continueranno a arrivare
alla Marittima. L'indirizzo del Comitatone è bocciato da ambientalisti e
movimento "No Grandi navi-laguna bene comune" come la «peggiore soluzione
possibile».
Il mare restituisce 100 anni dopo i segreti della
corazzata "Wien"
Archeologi subacquei riporteranno in superficie i resti della nave
austroungarica affondata il 10 dicembre 1917 da due motoscafi italiani nella
baia di Muggia
TRIESTE - Un pezzo di storia di Trieste si prepara a riemergere dal mare,
sotto la superficie dell'acqua del canale navigabile. Nei prossimi giorni
verranno riportati a galla alcuni dei resti della nave da battaglia della classe
Monarch della Marina militare dell'impero austroungarico, la corazzata Wien,
affondata nella notte del 10 dicembre 1917, mentre si trovava nella baia di
Muggia. A quasi un secolo di distanza, quindi, si riapre un capitolo che nel
tempo è stato oggetto di interesse da parte di storici, archeologi e semplici
curiosi. Dagli anni '50 il relitto è stato più volte oggetto di spedizioni
organizzate per prelevare ciò che era rimasto. Poi per lungo tempo è stato
dimenticato e lasciato nell'oblio dell'acqua torbida dove lentamente si è
deteriorata. Qualche anno fa è stato individuato nuovamente il punto esatto dove
è rimasta adagiata, ormai quasi sepolta dal fango, con l'idea di conservare
ancora qualche frammento, a testimonianza di un episodio che ha segnato la
storia della città. A breve quindi si procederà con il "salvataggio" di alcuni
elementi, che poi faranno parte di un'ampia mostra, in programma a dicembre.
L'operazione di recupero si svolgerà nei prossimi giorni nello specchio d'acqua
antistante Muggia, e sarà condotta dall'archeologa subacquea Rita Auriemma,
direttore del Servizio catalogazione, formazione e ricerca dell'Erpac-Ente
regionale per il Patrimonio culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, sotto
la direzione scientifica della di Paola Ventura, funzionario archeologo della
Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia e
grazie alla collaborazione del nucleo Sommozzatori del Corpo dei vigili del
fuoco e della Capitaneria di Porto di Trieste. La nave da battaglia era stata
varata nel 1895 e classificata come unità da difesa costiera. Nell'agosto del
1917, assieme alla gemella Budapest, era stata assegnata a Trieste. Il 6
novembre aveva attaccato la batteria costiera italiana di Cortellazzo, alle foci
del Piave, azione che aveva convinto i comandi italiani a neutralizzare
definitivamente sia il Wien sia il Budapest. Il compito era stato quindi
affidato al sottotenente di vascello Luigi Rizzo, che la sera del 10 dicembre
era partito al comando di due motoscafi Mas, il Mas 9 e il Mas 13, con
l'obiettivo di colpire le due navi austriache, ancorate nel Vallone di Muggia e
di eliminarle. Durante la notte, superata la diga ed elusa la sorveglianza
armata, era riuscito a oltrepassare il varco e attaccare nell'oscurità le navi
alla fonda, con due siluri lanciati contro il Wien e altrettanti contro il
Budapest. Solo i primi colpi erano andati a segno e la corazzata Wien affondò in
appena cinque minuti, portando con sè 33 uomini d'equipaggio, mentre i naufraghi
sopravvissuti con difficoltà avevano guadagnato la riva nuotando nel buio. Sono
molti i triestini a ricordare quel naufragio, in particolare i parenti di chi
all'epoca era a bordo, si è salvato e ha poi ha tramandato i racconti di un
disastro improvviso. Nel 1925 sono stati recuperati dal relitto lo sperone di
prua e il frammento della poppa con il nome della corazzata, il primo è stato
regalato a D'Annunzio per il suo Vittoriale, mentre l'altro si trova oggi al
Museo Storico navale di Venezia. Nel decennale dell'azione, nel 1927, lo stesso
Luigi Rizzo indossò lo scafandro da palombaro e scese sul relitto della nave che
aveva affondato. La demolizione della corazzata è proseguita poi nel tempo a
fasi alterne, con l'impiego dei palombari fino ai primi anni '50. Oggi gli
ultimi resti rimangono sui fondali, a circa 20 metri di profondità, dove si
preparano a essere riportati sulla terra ferma, prima delle operazioni di
pulizia e sistemazione, per esporli al pubblico. L'intervento infatti mira alla
valorizzazione di un patrimonio storico definito di grande valore, e i frammenti
erratici che verranno recuperati saranno restaurati e faranno parte della mostra
"Nel mare dell'intimità. L'archeologia subacquea racconta la storia
dell'Adriatico", che sarà allestita al Salone degli Incanti dal 17 dicembre al 1
maggio 2018, organizzata dall'Erpac-Servizio di catalogazione, formazione e
ricerca e dal Comune di Trieste, in collaborazione con la Soprintendenza
Archeologia, Belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, il Polo museale
del Friuli Venezia Giulia, e oltre sessanta partner italiani e internazionali.
La mostra gode del patrocinio del Mibact, dei ministeri della Cultura e del
Turismo croati, del ministero della Cultura Sloveno e di Promoturismo Fvg
(www.nelmaredellintimita.it).
Micol Brusaferro
IL PICCOLO - MARTEDI', 7 novembre 2017
Rottura definitiva tra i No Ferriera e Dipiazza -
Attacco frontale del Comitato 5 dicembre: «Si è rivelato un falso alleato che
non mantiene la parola»
«Sulla Ferriera, Dipiazza non racconta la verità e quindi non può incontrare
i cittadini per un confronto pubblico». Il Comitato 5 dicembre prende
ufficialmente le distanze dal sindaco, considerato inadempiente rispetto agli
impegni presi in passato. «Cosolini si confrontò con la cittadinanza sul destino
di Servola - osservano in una nota i portavoce del comitato -. Dipiazza ora non
può farlo perché sta tradendo completamente la promessa fatta agli suoi elettori
di intraprendere subito tutte le azioni necessarie per far chiudere l'area a
caldo della Ferriera. Purtroppo, dopo aver annunciato nei primi mesi successivi
alla sua elezione l'avvio di azioni politiche e legali nei confronti
dell'azienda, il sindaco ha sospeso ogni iniziativa, a dimostrazione del fatto
che si trattava di impegni di facciata privi della reale volontà di inchiodare
alle proprie responsabilità Arvedi e la Regione».«Dipiazza si tiene stretta la
delega alla Ferriera - prosegue il Comitato -. E lo fa perché la sua reale
intenzione è tenere tutto fermo. Vuole fare in modo che le migliaia di cittadini
scese in piazza finiscano per demoralizzarsi, smettendo di tenere alta
l'attenzione sul tema Ferriera». Di qui la pesante accusa di immobilismo mossa
nei confronti dell'amministrazione comunale. «Dipiazza - continua il 5 dicembre
- detesta dover rendere conto alla città di quello che fa: un atteggiamento che
si vede anche su altre questioni come il tram o i richiedenti asilo. Anche il
tavolo con noi e le altre associazioni si è rivelato una mossa di facciata.
All'inizio Dipiazza credeva che avrebbe potuto raccontarci quello che voleva ma
quando ha capito che noi cittadini non potevamo essere controllati ma, al
contrario, volevamo vederci chiaro e controllare che il Comune agisse, ha
cominciato a tagliarci fuori». Inevitabile, a questo punto, il "divorzio" dalla
giunta municipale. «Noi continueremo ad auto-organizzarci tra cittadini,
prendendo ogni distanza possibile da un sindaco che, viste le tante promesse non
mantenute, dovrebbe dimettersi. Cosa che però, non essendo una persona di
parola, di certo non farà. Spera di far calare il silenzio sulla Ferriera e poi,
con calma quando il problema si risolverà fisiologicamente o per merito di
altri, tenterò di attribuirsi meriti inesistenti. Cosolini fu un avversario
dichiarato - conclude la nota. Dipiazza un falso alleato, il che è peggio».
Onu, il 2017 sarà l'anno più caldo di sempre -
L'allarme alla conferenza di Berlino: «Ma dopo l'uscita degli Usa gli accordi di
Parigi non sono a rischio»
ROMA - Il 2017 sarà molto probabilmente uno dei tre anni più caldi di
sempre. Il dato, emerso da uno studio dell'Organizzazione metereologica
mondiale, fa da monito all'apertura dei lavori della conferenza mondiale delle
Nazioni Unite sul clima a Bonn. E la responsabile del segretariato dell'Onu
Patricia Espinosa ha spronato presenti e non: «Adesso dobbiamo agire». L'accordo
di Parigi va mantenuto e rispettato, ha aggiunto Frank Bainimarama, premier
delle isole Fiji, che presiedono il vertice, ospitato solo tecnicamente dalla
Germania. Il summit è ritenuto in effetti decisivo per puntellare l'accordo di
Parigi e procedere verso i regolamenti per attuarlo, dopo la clamorosa decisione
di Washington di uscirne. Il temuto «effetto domino», però, non c'è stato: Usa e
Siria sono gli unici paesi delle Nazioni unite a essersi chiamate fuori
dall'intesa. E anche sugli Stati Uniti la speranza di un ripensamento rispetto
al passo indietro non è affatto sepolta: tecnicamente, come è noto, non potranno
uscirne prima del 2020, c'è tempo, e tante cose possono ancora accadere, ha
affermato la ministra tedesca dell'Ambiente, Barbara Hendricks. La Germania
intanto, attraverso la delegata del governo Merkel, ha annunciato di voler
stanziare altri 50 milioni di euro per le isole a rischio: ne aveva già
destinati 190 al fondo concepito per questa emergenza. E da Berlino arriva anche
la volontà di diminuire le emissioni del 40% rispetto al 1990, entro il 2020.
Mentre circa 25 mila persone, provenienti da 195 Paesi del mondo, prendono parte
al cosiddetto Cop23 (23/ima Conferenza delle parti) nella ex capitale, a Berlino
l'allarme sul clima crea un chiaro rimbombo sulle trattative in corso fra Unione
Liberali e Verdi per formare un eventuale governo dai colori Giamaica. L'Fdp ha
sempre detto di riconoscersi negli obiettivi di Parigi, ma pur volendo
rispettare gli obiettivi posti per il 2030 e quelli per il 2050, vorrebbe
rallentare le politiche per gli obiettivi del 2020. I Verdi, dall'altro lato,
non demordono: «Il clima va tutelato, altrimenti i colloqui termineranno
velocemente», ha ribattuto la Verde Simone Peter. Ma anche Angela Merkel ha a
cuore le politiche sul clima: è stata lei a evitare contagi, al G20 di Amburgo,
isolando gli Usa sulla scelta di Parigi.
SLOWFOOD.it - MARTEDI', 7 novembre 2017
«Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050»
«Il cambiamento climatico è già una realtà, purtroppo. Possiamo ancora – se ci daremo da fare molto velocemente – limitare i danni, ma gli effetti del riscaldamento globale sono già visibilissimi. Basti pensare, guardando a casa nostra, all’alternarsi di siccità e bombe d’acqua; lo vediamo – e lo vedremo sempre più spesso – nel boom dei fenomeni migratori legati al cambiamento climatico o ai suoi effetti»
Resta alta l’attenzione dei media per le conseguenze del
clima che cambia. Per fortuna a parlarne siamo in buona compagnia come dimostra
questo articolo a cura di Roberto Giovannini uscito ieri su La Stampa. Vogliamo
riprenderlo perché pone l’accento su una delle conseguenze forse più
sottovalutate, o comunque volutamente ignorate da chi condanna e chiude ai
flussi migratori senza se e senza ma per il proprio tornaconto politico.
Purtroppo tra i danni causati dalla scelta occidentale di un modello che tende
alla crescita infinita senza nessuna riflessione sulle conseguenze, c’è anche il
dramma di chi è costretto ad abbandonare casa proprio a causa dei gravi disastri
causati dal riscaldamento globale. «Tra gennaio e settembre del 2017, si legge
in un rapporto di Oxfam International, ben 15 milioni di persone hanno dovuto
abbandonare le loro case per fuggire un evento meteo estremo: di questi, in 14
milioni provenivano da Paesi a basso reddito. Tra il 2008 e il 2016, in media, i
rifugiati climatici sono stati 21,8 milioni l’anno. Tra i Paesi più colpiti il
Bangladesh, l’India e il Nepal, che lo scorso agosto hanno subìto rovinose
inondazioni, che hanno colpito 43 milioni di persone e prodotto oltre 1200
vittime. Ma anche le piccole isole del Pacifico, con i cicloni Pape e Winston
del 2015, che nelle Isole Fiji hanno messo in fuga 55 mila persone, e ridotto
del 20% il prodotto interno lordo nazionale. » scrive Giovannini che tra le sue
fonti cita il rapporto di Lancet Countdown che parla di un miliardo di rifugiati
climatici entro il 2050 e il documento con cui il ministero della Salute
italiano ha preparato il G7 dei ministri della Salute che si è aperto il 5
novembre a Milano. «Ci sono alternative a questo futuro così inquietante?» si
chiede Giovannini che risponde mettendo in evidenza le risposte della scienza
(leggi qui l’articolo completo), sì rispondiamo anche noi se tutti ci mettiamo
d’impegno nel nostro quotidiano – riducendo gli sprechi inanzitutto, consumando
meno carne, scegliendo produzioni artigianali e privilegiando varietà locali – e
se lavoriamo per avviare e rafforzare quelle economie resilienti che da sempre
Slow Food sostiene. Ecco come ci stiamo impegnando nella lotta al cambiamento
climatico, aiutaci anche tu, dona ora.
Roberto Giovannini, «Un miliardo di rifugiati climatici entro il 2050», La
Stampa del 6 novembre 2017
IL PICCOLO - LUNEDI', 6 novembre 2017
ROMANIA - L'antica foresta tutelata dall'Unesco sparita
nel nulla - La "mafia dei boschi" ha tagliato e prelevato alberi di valore
radendo al suolo un'area protetta di più di cinquanta ettari
LE ZONE GREEN - Le riserve occupano il 5% del Paese - Le aree protette
della Romania occupano 1.234.710 ettari pari al 5,18% del territorio. Sono
distinte in parchi nazionali e naturali, riserve scientifiche e naturali,
monumenti naturali, riserve della biosfera e siti Ramsar - LA FAUNA - Lupi,
orsi, falchi sacri e grandi rapaci - La natura della Romania è una delle più
incontaminate d'Europa. Nelle sue foreste domina la vita selvatica: lupi, linci,
orsi, cervi, volpi, cinghiali e camosci, ma anche molti uccelli come falchi
sacri e grandi rapaci - IL PARCO - Canyon mozzafiato e faggi storici - Il parco
di Semenic Cheile Carasului, nei Carpazi meridionali, ospita una delle faggete
più belle d'Europa. Punto privilegiato di partenza per gli escursionisti che
vogliono raggiungere le gole di Carasului è il paese di Semenic
BELGRADO - Immaginate un celebre e imponente parco nazionale, creato in una delle aree montuose più affascinanti e delicate del Paese, nei Carpazi meridionali, area protetta fin dal 1982. Ora figuratevi una delle cime dei monti del parco, coperta da una fitta foresta di alti e antichi faggi. Poi, chiudete gli occhi, riapriteli e un bosco assai vasto, di almeno cinquanta ettari, non c'è più. Scomparso nel nulla. Sembra impossibile, ma è quanto accaduto in Romania, nel parco nazionale Semenic-Cheile Carasului, nella parte occidentale del Paese, non lontano dal Danubio e dalla frontiera con la Serbia. A denunciare il caso è stato un video postato di recente su YouTube, girato con un drone, che mostra un'ampia porzione del parco completamente spoglia, rasata a zero. Video che ha raggiunto diffusione nazionale, creando scandalo, dopo essere stato ripreso dalla Tv Digi24, che ha dato ampio risalto al caso. Ricordando che Semenic è un vero gioiello, custode di una delle più grandi foreste vergini di faggio in Europa, quasi 5mila ettari inclusi nella lista dei patrimoni dell'Unesco solo la scorsa estate. Ma cosa è successo, a Semenic? Quello che da decenni avviene in tutto il Paese, in parchi naturali e non: disboscamento selvaggio da parte di ignoti. Arrivati nel parco con seghe elettriche e camion, tagliano e portano via alberi di grande valore. Disboscamento che, nel caso di Semenic, ha spinto il governo romeno a promettere azioni rapide e rigorose per affrontare il grave problema, facilitato anche dall'inazione delle autorità preposte alla salvaguardia del territorio. Manca infatti ancora, ha denunciato Digi24, «un piano per limitare il taglio degli alberi» nel parco. Concorda Corneliu Sturza, attivista del gruppo ecologico Gea Nera, sottolineando che «abbiamo chiesto al ministero» dell'Ambiente di fare i conti con la questione «ben tredici anni fa». Qualche colpa ce l'avrebbe anche l'amministrazione della zona protetta, che non avrebbe «mai trasmesso il piano di management» al ministero, hanno scritto i media locali citando il dicastero dell'Ambiente di Bucarest. Denunce corroborate in televisione dalla Guardia forestale di Timisoara, che ha confermato di non poter far nulla in assenza di un piano di management del parco, limitandosi a «mettere a dimora» nuove piante per colmare i grandi vuoti causati dalla deforestazione. E il problema della «mafia dei boschi», così l'hanno definita alcuni media di Bucarest, è tutt'altro che inedito, come attestano le denunce estive di gruppi ambientalisti. Che proprio a Semenic avevano individuato altri "buchi" causati dall'azione barbarica dell'uomo. Disboscamento selvaggio che non è circoscritto a Semenic, tutt'altro. È invece un problema nazionale. E molto serio, come confermato dal presidente Klaus Iohannis, che l'anno scorso - dopo che a migliaia erano scesi in piazza in segno di protesta - ha firmato una legge che dichiara «minaccia alla sicurezza nazionale» il disboscamento illegale, mentre Ong e associazioni in passato hanno chiesto persino una «moratoria» totale al disboscamento, incluso quello legale. Disboscamento che mette a rischio anche le comunità montane, sempre più a rischio di frane e alluvioni per la scomparsa del patrimonio boschivo. Fenomeno gravissimo, per la Romania - Paese che conserva il 65% delle foreste vergini in Europa - che dal 2000 al 2012 ha perso «tre ettari di foreste all'ora», ha denunciato Greenpeace in uno studio qualche anno fa, sottolineando che il 49% delle «superfici de-forestate» era localizzato in aree protette. Sempre Greenpeace, ha ricordato di recente il portale Balkan Insight, ha rivelato che sono «quasi diecimila i casi di disboscamento illegale» scoperti solo l'anno scorso, con un danno per lo Stato di circa nove milioni di euro. E di cinque miliardi di euro dalla caduta del regime di Ceausescu a oggi, secondo il gruppo Agent Green. Oltre ad almeno una preziosissima foresta, nel cuore di Semenic.
Stefano Giantin
Parco delle Incoronate: piano Ue da 6,5 milioni - UN
VASTO PROGETTO DI FRUIZIONE TURISTICA E CULTURALE
SEBENICO - L'Unione europea apre il portafoglio per il varo di programmi che
miglioreranno l'offerta del Parco nazionale delle Incoronate, in Dalmazia,
destinazione che ogni anno ospita migliaia di diportisti italiani, specie del
Nordest del Paese. Il governo croato ha infatti deciso l' assegnazione di 49
milioni di kune (circa 6 milioni e mezzo di euro) a fondo perduto, di cui ben
l'85 per cento arriverà dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e il
restante 15 dai comuni di Stretto (Tisno) e Murter - Incoronate. Queste
municipalità hanno voluto assumere il ruolo di partner del parco nazionale per
il progetto intitolato Rediviva Kurnata: promozione della fruizione sostenibile
dell'eredità naturale nel Parco nazionale delle Incoronate. Il direttore del
parco, Josip Zanze, ha fatto sapere che entro il 2021 questa istituzione potrà
contare su tre nuovi centri, strutture grazie alle quali i visitatori potranno
sia ammirare le bellezze paesaggistiche di questo angolo di paradiso adriatico,
sia conoscere i ristoranti e i negozi di souvenir del parco. A Betina,
sull'isola di Murter, verrà aperto lo «Scrigno del tesoro», nell'omonimo
capoluogo dell'isola sarà a disposizione la «Coronata», mentre sulla principale
isola dell'arcipelago, Incoronata, gli ospiti potranno fruire della «Casa del
mare incoronato». «Grazie a questo progetto, che ci permetterà di aprire 20
nuovi posti di lavoro - ha rilevato Zanze - potremo non solo migliorare l'
infrastruttura del parco ma anche garantire una maggiore sicurezza ai
visitatori. Inoltre Rediviva Kurnata ci consentirà di controllare con maggiore
efficienza l' entrata e uscita dei vacanzieri, migliorando il sistema di
pagamento dei biglietti. Offriremo insomma servizi più qualitativi, a tutto
vantaggio dei diportisti». L'ex caserma militare presente sull'Incoronata sarà
trasformata nella Casa del mare incoronato. Ci sarà una mostra permanente sugli
aspetti specifici della vita degli isolani in questo splendido arcipelago. La
struttura disporrà inoltre di bar, servizi igienico-sanitari e una rivendita di
souvenir delle Incoronate. Lo Scrigno del tesoro a Betina rappresenterà la
soluzione ideale per coloro che vogliono scoprire e ammirare flora e fauna
terrestre e marina di questa manciata di isole e scogli, 89 per la precisione.
a.m.
IL PICCOLO - DOMENICA, 5 novembre 2017
Il "gigantismo navale" mette fuori gioco l'Adriatico -
La lettera del giorno di Ladi Minin - Isanav (Istituto per lo studio delle
attività navalmeccanIche)
Qualche giorno fa si è insediata a Venezia la cabina di regia
tecnico-politica per la portualità del Nord Adriatico, con il dichiarato
intendimento di far collaborare i porti di Ravenna, Venezia e Trieste e creare
le condizioni logistiche per intercettare, in particolare, i traffici mercantili
con la Cina e inserirsi così in quella grande strategia finanziaria-industriale,
funzionale all'espansionismo economico cinese, sintetizzabile nella cosiddetta
"nuova Via della Seta". Ammirevole iniziativa, che però non prende
sufficientemente in considerazione l'ennesima esplosione del gigantismo navale,
insito nelle leggi del capitale, che portano anche alla concentrazione delle
grandi società del trasporto marittimo. Nelle condizioni attuali, il problema
vero ed escluso anche dal recente riordino della portualità italiana è che i
porti italiani sono fuori gioco, essendo inadeguati a ricevere e gestire queste
navi e questi volumi di container. Nel prossimo futuro è prevedibile che le
ultra-mega portacontainer da 14-18mila teu verranno spostate sulle rotte
Asia-Usa ed Europa-Usa e sulle rotte con il Far East s'affacceranno quelle di
portata nominale superiore ai 20mila teu. Nella discussione effettuata a Venezia
si ricomincia parlare con timidezza dell'isola offshore, chiamandola mini
offshore, prevedendo le attrezzature portuali adeguate e l'esclusione di quella
parte riguardante le rinfuse liquide, che bene verrebbero a Trieste a colmare il
suo già importante ruolo in questo ambito. A buon intenditore poche altre
parole.
IL PICCOLO - SABATO, 4 novembre 2017
Elettrodotto Udine-Redipuglia - Arriva l'ok del Tar
Il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso presentato da alcuni Comuni
friulani contro l'elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia, la nuova linea di Terna a
380 kilovolt, lunga 40 chilometri, in esercizio dallo scorso 29 settembre. «La
sentenza conferma la correttezza dell'iter amministrativo che ha consentito
l'avvio dell'opera», ha commentato il presidente di Confindustria Udine, Matteo
Tonon, esprimendo «la soddisfazione degli industriali friulani» e ricordando che
«sono occorsi 14 anni per giungere a questo risultato, che ha consentito
un'opera indispensabile per la sicurezza di approvvigionamento di energia
elettrica in Regione». Tonon annota che «Confindustria Udine, oltre a
partecipare al confronto che si è svolto con il territorio, ha ritenuto che
l'obiettivo fosse assicurare al territorio le necessarie opportunità di
sviluppo, insieme a condizioni di effettiva sostenibilità a vantaggio sia delle
famiglie che potranno fruire di energia meno cara che delle imprese, che
potranno contare sull'efficientamento di rete». Terna fa sapere che proseguono i
lavori preliminari alla demolizione di 110 km di vecchie linee: «Trenta Comuni
della Bassa friulana e zone limitrofe vedranno smantellati circa 400 tralicci di
vecchie linee, con sollievo anche di 680 edifici oggi a 100 metri dalle linee
che saranno demolite. E 367 ettari di territorio saranno liberati dalla servitù
di elettrodotto».
Legambiente - Incontro su Siderurgia e Ferriera
Il Circolo Verdeazzurro Legambiente di Trieste organizza un incontro pubblico sul tema "La siderurgia in Italia e il caso Ferriera di Trieste" venerdì 10 novembre alle 17 al Circolo della Stampa.
IL PICCOLO - VENERDI', 3 novembre 2017
Un piano antischianto per 78 grandi alberi - Intervento
da 135mila euro del Comune «a tutela della pubblica incolumità»
Dalle querce ai platani su strade e dentro i parchi. Scattano le
manutenzioni -
gli alberi a rischio "schianto" nel comune di Trieste
Sono 78 gli alberi di Trieste su 122mila soggetti arborei (di cui circa
15mila censiti) che hanno più di un metro di diametro e che sono considerati -
proprio così - "a rischio schianto". Le loro altezze variano tra i 9,5 e i 36
metri: si va dall'ippocastano della chiesa di Basovizza al platano di via del
Follatoio passando ovviamente per le grandi piante dei vari parchi e giardini
storici. Sono le cosiddette alberature in classe C, ovvero gli alberi "a rischio
di schianto" con diametro superiore a un metro. L'amministrazione comunale, su
proposta dell'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, ha di recente approvato
un progetto esecutivo da 135mila euro (sui 150mila inizialmente previsti) di
manutenzione straordinaria delle grandi alberature per l'anno in corso. Il
lavoro, inserito nel programma triennale delle opere 2017-2019, è interamente
finanziato con avanzo economico. «Il progetto - si legge espressamente nella
delibera - risponde alla necessità, nell'ambito della generale gestione delle
alberature presenti lungo i viali cittadini, nei parchi e nei giardini pubblici,
di provvedere anche alla preminente esigenza di tutela della pubblica incolumità
di persone e cose».Sono 280 i giorni di lavori previsti. Il cronoprogramma dei
pagamenti per l'operazione prevede: 100mila euro nel 2018 e 35.554 nel 2019. A
firmare il progetto esecutivo è il dottore forestale Francesco Panepinto assieme
al perito agrario Renato Ravara. «Il progetto - si fa sapere - prevede di
eseguire la manutenzione straordinaria degli alberi in classe C di propensione
al cedimento di cui al protocollo della Società italiana di arboricoltura
(rischio moderato di schianto) i cui diametri abbiano valori uguali o superiori
a 100 centimetri misurati a 130 centimetri dal suolo». In questo modo si è
arrivati a censire 78 esemplari con queste caratteristiche presenti sul
territorio del Comune di Trieste. Di questi quattro sono stati dichiarati
"monumentali". Si tratta dei due platani che stanno nel Giardino pubblico "Muzio
de Tommasini" e che hanno un diametro superiore ai 160 centimetri (il record
assoluto per Trieste), della Zelkova carpinifolia (originaria del Caucaso) del
parco di Villa Sartorio (111 centimetri di diametro e 22 metri di altezza) e del
pino di Aleppo di Villa Revoltella (110 centimetri di diametro e 20 metri di
altezza). Ma non sono i soli a vantare un elevato "pregio ornamentale e storico
culturale" e una fragilità soprattutto legata al castello, che richiede una
potatura di selezione, e alle condizioni fitosanitarie. Un approccio, in ogni
caso, improntato alla "tutela e alla conservazione". «Una decina di soggetti
arborei presenti all'interno del Giardino Muzio de Tommasini, di età ormai
prossime ai 160 anni, è stata messa in sicurezza mediante ancoraggi statici o
dinamici che necessitano di essere revisionati e sostituiti essendo trascorsi
gli anni di efficienza statica dei tiranti», si annota nel progetto. Fra i
controlli previsti ci sono anche le prove di trazione mediante l'utilizzo di
tensiometri e inclinometri per testare la capacità di ancoraggio della zolla
radicale nonché la resistenza alla bora. Questi test saranno eseguiti
soprattutto per gli ippocastani di piazza Libertà e di via Domenico Rossetti,
tenuto conto degli schianti per ribaltamento avvenuti negli anni passati. Nel
febbraio del 2015, per esempio, un ippocastano sotto l'effetto della bora era
schiantato al suolo in piazza Libertà proprio per il ribaltamento della zolla
radicale. Tra le piante di grandi dimensioni interessanti ci sono i bagolari di
piazza Hortis, piazza della Cattedrale, via dei Capitelli, il tiglio selvatico
del giardino pubblico, l'olmo siberiano di viale Raffaele Sanzio, i cedri
dell'Atlante di Villa Revoltella, la sofora del Giappone del giardino "Wegner
Engelmann", gli olmi montani del ricreatorio Pitteri. Se avanzeranno delle
risorse, si fa sapere, l'indagine e gli interventi saranno estesi anche agli
alberi con diametro inferiore a un metro di diametro presenti nel Giardino de
Tommasini, in piazza Libertà, via Rossetti e nel Parco di Villa Revoltella. Ogni
anno, comunque, vengono monitorati mediamente 4mila alberi dal punto di vista
sia statico che sanitario. Alla fine dell'intervento dovrebbero restare in piedi
solo grandi alberi a prova "di schianto". Nella speranza di non dover perdere
per strada nessuna delle 78 piante attualmente censite.
Fabio Dorigo
Una petizione per la sicurezza dei pedoni - Sinistra per Trieste chiede al Comune di proteggere gli attraversamenti sulle strisce. Raccolta di firme
Garantire i pedoni che attraversano sulle strisce, «perché recentemente è iniziato quello che sembra essere un vero e proprio tiro al bersaglio». Assicurare i lavoratori sulla conservazione dei loro diritti e della retribuzione, anche in presenza di appalti al ribasso. “Sinistra per Trieste”, associazione «che non ha obiettivi elettorali», recentemente costituitasi «per la conservazione dei valori della vera sinistra», entra nel concreto della vita quotidiana. «La politica non è fatta solo di enunciazioni teoriche – ha spiegato ieri uno dei fondatori dell’associazione, Marino Sossi, rivolgendosi a una platea all’interno della quale si sono notati fra gli altri il senatore Francesco Russo e Gianfranco Carbone, per molti anni protagonista della scena politica triestina e regionale – perciò iniziamo con una raccolta di firme in calce a una petizione con la quale chiederemo al Comune di adottare tutte quelle misure che possano rendere meno pericoloso, per i pedoni, l’attraversamento delle strade in presenza delle strisce pedonali. Puntiamo alle 200 firme – ha aggiunto – con l’auspicio di essere ascoltati. Per quanto concerne gli appalti – ha proseguito Sossi – chiediamo che i contratti deboli non diventino strumento di sfruttamento. Non si possono tagliare le ore a piacimento del datore di lavoro. Proporremo perciò l’intervento della Commissione Trasparenza del Comune. Vogliamo la “clausola sociale” – ha precisato il portavoce di Sinistra per Trieste – che prevede la conservazione del trattamento precedente, anche in presenza del cambiamento del vincitore dell’appalto. Ma verificheremo anche se il Comune si è tarato sul nuovo Codice degli appalti, il quale prevede che si affidino direttamente alcuni servizi a soggetti noti, ovviamente rispettando determinate regole». Sossi ha poi accennato alle nuove iniziative già in cantiere: «Nelle prossime settimane – ha annunciato – parleremo anche degli orari dei bus notturni e dell’inquinamento dei pubblici giardini». A breve “Sinistra per Trieste” si presenterà ai triestini, allestendo banchetti in vari punti del centro, dove saranno illustrate le varie campagne in atto, anche per dare avvio alla stagione dei tesseramenti. «Vogliamo difendere soprattutto i più deboli – ha concluso Sossi – sempre più spesso costretti a vivere sotto la soglia della dignità».
Ugo Salvini
FIUME - Un orso a caccia di cibo nel pieno centro
di Crikvenica - Nella notte
FIUME - La serata di Halloween non ha portato solo le streghe a Crikvenica.
Nella notte tra martedì e mercoledì la località turistica a sud-est di Fiume ha
avuto un ospite inatteso: un orso che, noncurante di auto e passanti, ha
percorso le vie del centro, quasi sicuramente alla ricerca di cibo. Il
plantigrado, un esemplare adulto, ha approfittato del buio per calarsi nella
città rivierasca, trotterellando dapprima lungo la centrale via Ante Starcevic e
quindi nelle strade circostanti, fino ad arrivare a non più di un centinaio di
metri dal palazzo comunale e dal commissariato di polizia. L'animale ha fatto
scappare impaurite alcune persone che si trovavano nei paraggi, ma
fortunatamente non è accaduto nulla di grave. Come ribadito dagli esperti, gli
orsi sono particolarmente attivi in queste settimane, impegnati nella ricerca di
cibo prima del letargo invernale. Forse proprio per questo l'orso è arrivato
fino all'abitato. E si è poi mostrato in tutta la sua stazza anche in riva al
mare, percorrendo il cosiddetto Molo Nero di Crikvenica. Anche in quel caso,
fatta eccezione per la paura rimediata da alcune persone, non si è avuto il
minimo incidente. Ricordiamo che una ventina di giorni fa, sempre a Crikvenica,
un cinghiale era entrato nel cortile di un asilo d'infanzia, prima di venire
abbattuto da alcuni cacciatori del posto. L'entroterra di Crikvenica pullula di
orsi e cinghiali, ma mai finora questi animali selvatici si erano avventurati in
pieno centro. Quasi superfluo aggiungere che gli abitanti sono molto preoccupati
e chiedono l'aiuto delle autorità. Va ricordato infine che da Crikvenica e
dintorni non sono stati pochi i plantigradi che negli ultimi vent'anni hanno
raggiunto a nuoto l'isola di Veglia, facendo stragi di pecore e agnelli.
(a.m.)
FEDERACCIAI - Gozzi: la siderurgia Made in Italy cresce
del 2%
ROMA - L'acciaio italiano sta vivendo «un momento buono», essendo un settore
«ciclico, legato all'andamento della congiuntura». È l'analisi del presidente di
Federacciai Antonio Gozzi, secondo il quale le acciaierie italiane producono «il
secondo acciaio europeo per quantità e per qualità» e si preparano a chiudere
l'anno con «una crescita del 2%». Un risultato che le pone «un pò più in alto
della congiuntura nazionale», come evidenziano anche i conti trimestrali di
Tenaris, con ricavi in crescita del 32% a 1,3 miliardi di dollari (1,11 mld di
euro) ed un utile netto salito del 515% a 95 milioni di dollari (81,63 mln euro,
RPT). Numeri che dimostrano come l'acciaio «continua ad essere un settore vitale
- indica Gozzi - nel quale sono successe cose importanti». Tra queste
l'orientamento dei produttori su «acciai di qualità». Quello italiano - spiega
il numero uno di Federacciai - «strutturalmente lo è, grazie anche alle
miniacciaierie (mini-mill), con forno elettrico e laminatoio attaccato», che
sono una «invenzione italiana» e che consentono di «mettere insieme il massimo
di efficienza e di qualità della produzione». Una realtà diversa ma
complementare a quella del megaimpianto dell'Ilva di Taranto.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 2 novembre 2017
LEGAMBIENTE - Dibattito pubblico sulla Ferriera
Il Circolo Verdeazzurro Legambiente Trieste invita a un incontro pubblico sulla siderurgia in Italia e il caso Ferriera. L'iniziativa si terrà venerdì 10 novembre 2017 presso il Circolo della Stampa di Trieste, Corso Italia 13, alle ore 17. Interverranno nella discussione Maria Maranò, della segreteria nazionale di Legambiente, Lino Santoro, chimico ambientale (Legambiente Trieste), Mario Mearelli, ecologo (Legambiente Trieste). Modera il dibattito il presidente del circolo verdeazzurro, Andrea Wehrenfennig.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 1 novembre 2017
Serracchiani rinsalda l'asse a sinistra - Dibattito a
Trieste con gli ex Sel. «Prima dei nomi va messo a fuoco il programma»
TRIESTE - Debora Serracchiani ancora non si pronuncia sul suo probabile
passaggio a Roma, né sulla tenzone per la candidatura alle prossime regionali.
La presidente Fvg ha dialogato ieri al Caffè San Marco di Trieste con
l'esponente di Territorio e Società Giulio Lauri sulla possibile alleanza alle
consultazioni del 2018. Si è trattato dell'evento di esordio per la formazione
che farà del sindaco di Udine Furio Honsell il suo portabandiera, e la vocazione
al patto con il Partito democratico è stata evidente. Se per la sinistra
sedevano in sala esponenti come l'assessore Loredana Panariti e il consigliere
regionale Alessio Gratton, per il Pd c'erano la segretaria regionale Antonella
Grim, il segretario provinciale Giancarlo Ressani, il consigliere Franco Rotelli
e altri. La presidente ha delineato l'identità della futura coalizione: «Nella
nostra visione c'è il Pd a fare da perno, c'è un centro civico o moderato, e c'è
una sinistra di governo. Non mi riconoscerei in una sinistra di opposizione, che
si limita a dire come si dovrebbe fare invece di mettersi alla prova. Il tema
che dobbiamo porre è quello dell'identità della sinistra, perché abbiamo perso
di vista la cultura che la identifica in Italia e in Friuli Venezia Giulia».
Quanto al candidato, sia Lauri che Serracchiani hanno sottolineato l'urgenza di
confrontarsi prima sui programmi. Ha detto Lauri: «Vorrei che ci dividessimo, se
proprio ci dobbiamo dividere, su temi forti come sanità e trasporti, piuttosto
che sui nomi. Se invece troveremo un punto di accordo sul programma, ragioneremo
di candidati». La presidente ha assunto la medesima posizione, senza fare
riferimento al proprio futuro politico: «Prima del nome dobbiamo sistemare il
programma». Serracchiani ha poi rivendicato l'identità «di centrosinistra» della
sua giunta e del suo operato: «Siamo stati i primi in Italia a introdurre la
misura attiva di sostegno al reddito. Quando siamo arrivati gli utenti dei
servizi sociali erano circa 5mila, dopo l'introduzione della misura sono saliti
a 30mila. Il che significa che abbiamo risposto a una domanda reale». La
presidente ha proseguito: «Non abbiamo mai tagliato, anzi abbiamo implementato,
i fondi sociali. Abbiamo introdotto l'housing sociale, che da una risposta a chi
è troppo "ricco" per l'Ater e troppo "povero" per comprare una casa. Abbiamo
abbattuto le rette dei nidi». Serracchiani ha poi iscritto tra le politiche di
sinistra «anche gli sforzi per la crescita»: «La terza corsia, il porto,
l'edilizia scolastica. Da lungo tempo questa regione non vedeva politiche del
genere». Lauri ha ripreso i concetti: «Sinistra è fare qualcosa che serva ai
settori deboli della popolazione. Il sostegno al reddito è stato preso a spunto
da altre Regioni e anche a livello nazionale». L'esponente di Territorio e
Società ha poi osservato: «Per l'ambiente è stato fatto molto, oggi ad esempio
non si parla più di rigassificatore a Trieste, ma si può e si deve fare di più».
Quanto alle riforme, secondo il consigliere di Sel «anche per motivi di
contesto, si è privilegiato la determinazione rispetto all'ascolto del
territorio. Probabilmente abbiamo commesso l'errore di non confrontarci a
sufficienza sui mondi in cui le riforme andavano a impattare». Ancora Lauri:
«Franco Belci ci chiedeva di impostare il confronto sul tema della legge
elettorale. Noi però dobbiamo confrontarci su quello che possiamo fare in questa
regione, e non su Renzi, D'Alema». Serracchiani ha poi elencato alcuni punti da
definire nel futuro programma: «Il sostegno al reddito dovrà essere strutturale,
va consolidata la riforma della sanità, bisogna ottenere una maggiore autonomia
della Regione in ambito scolastico». Il dibattito si è concluso con una
contestazione del Comitato 5 Dicembre sulla Ferriera di Servola.
Giovanni Tomasin
Orzo, riso e frumento entrano in classe - Dedicata ai
cereali la nuova edizione del progetto "Orto in condotta" voluto da Comune e
Slow food
Coltivare un orto per vederlo crescere e prosperare, seguire l'evoluzione
dei cicli naturali, capire al meglio il cibo che si porta in tavola e conoscerne
i valori nutrizionali. Questo l'obiettivo del progetto "Orto in condotta -
L'educazione alimentare nelle scuole triestine", il cui nuovo protocollo è stato
presentato ieri dall'assessore all'Istruzione Angela Brandi, e da Andrea Gobet,
responsabile per l'educazione nell'ambito della Condotta locale di Slow Food. Il
Comune e Slow Food già da tempo collaborano per portare nelle scuole e nei
ricreatori la cultura del gusto e di una giusta alimentazione. «In città - ha
detto Brandi - sono da tempo operativi circa sessanta di orti. Questo nuovo
protocollo rappresenta l'evoluzione di ciò che già esiste e che riteniamo sia di
massima importanza per la formazione dei nostri giovani. Come amministrazione
abbiamo stanziato 8mila euro, da distribuire in questo anno scolastico e nel
prossimo - ha precisato l'assessore - vale a dire il doppio della dotazione
dello scorso anno, perché crediamo nel progetto e intendiamo coinvolgere sempre
di più anche gli insegnanti». Ogni anno viene scelto un tema specifico: quello
attuale è dedicato ai cereali, nel 2016 era stato l'olio d'oliva. «Il tema è
vasto - ha osservato Gobet - perché si va dalla valorizzazione della natura,
alla riduzione degli sprechi, al gusto della corretta alimentazione. Operare per
esperienza diretta - ha continuato - significa avvicinare i giovani
all'argomento. I bambini diventano così soggetti attivi. Entrare nelle scuole e
nei ricreatori è un passaggio fondamentale. La prossima settimana - ha ricordato
il responsabile per l'educazione della Condotta triestina di Slow Food - è in
programma la Festa nazionale dell'Orto in condotta, mentre a fine anno avremo il
tradizionale Mercatino. Saranno tutte occasioni di approfondimento su argomenti
che, in particolare nel mondo di oggi - ha concluso - sono fondamentali per una
corretta crescita culturale dei nostri bambini e dei nostri giovani». Il Comune,
in base al Protocollo, mette a disposizione del progetto i terreni per la
realizzazione degli orti e l'acqua per l'irrigazione, nonché alcune
attrezzature. In alcuni casi, si individua anche il "nonno ortolano", un
volontario competente in materia, che si rende disponibile per affiancare i più
piccoli nella gestione dell'orto.
(u.s.)
IL PICCOLO - MARTEDI', 31 ottobre 2017
«Ferriera a ritmi ridotti finchè le emissioni non saranno nei limiti» - La governatrice vede i sindacati e rinnova i termini della diffida - Sollecitata la conclusione dell’iter per ampliare il laminatoio
«All’azienda abbiamo ribadito che la diffida a ridurre la produzione rimane in vigore finché non sarà accertata l'efficacia degli interventi sull'altoforno». Debora Serracchiani ripete che Siderurgica Triestina dovrà lavorare a ritmo ridotto finché non saranno risolti i problemi di emissione emersi negli ultimi tempi. La presidente è intervenuta ieri all'incontro fra azienda, sindacati, enti locali, Arpa e Autorità portuale, dove ha parlato anche delle coperture dei parchi minerari, indicando «con forza la necessità di procedere prontamente con tutte le azioni necessarie per metterli in sicurezza». I progetti dell'impresa verranno ora resi oggetto di istruttoria da parte del ministero dell'Ambiente, come prescritto dall'Aia. Il vertice, convocato da Serracchiani in quanto commissaria per l'Area di crisi di Trieste, è stato richiesto dalle confederazioni di Cgil, Cisl e Uil per approfondire le prospettive industriali, occupazionali e ambientali complessive della zona industriale triestina, verificando inoltre lo stato d'attuazione dell'accordo di programma sulla Ferriera. I sindacati hanno ottenuto che il problema sia affrontato in futuro nell'ambito di un ragionamento più ampio sull'industria triestina e per questo motivo l'incontro è servito anche a scandagliare le manifestazioni di interesse riguardanti il comprensorio dell'ex Ezit e dell'ex Arsenale. Serracchiani ha inoltre ricordato che «per il rilancio occupazionale ci sono i 27 milioni messi in campo per l'Area di crisi industriale complessa di Trieste». In una nota congiunta, Cgil, Cisl e Uil spiegano che «si è chiesto un punto di confronto periodico che metta assieme rappresentanza sindacale, rappresentanza datoriale, istituzioni e imprese dell'area per un confronto su progetti e dati oggettivi per stemperare conflitti sociali e per la discussione su altre progettualità future». Ma ciò che più conta è che stavolta i rappresentanti dei lavoratori ritengono che «il confronto e la messa a disposizione dei dati richiesti sono stati molto soddisfacenti». Il dialogo continuerà a metà dicembre, con un secondo incontro per aggiornare la discussione sui molti punti all'ordine del giorno, fra cui anche la verifica dell'attuazione dell'accordo con l'Istituto superiore di sanità per l'analisi dello stato di salute della popolazione residente nella zona. Se Dipiazza ha ribadito la necessità di giungere alla graduale chiusura dell'area a caldo, Serracchiani chiesto di velocizzare il più possibile l'iter per l'ampliamento del laminatoio, in quanto l'ultimo progetto presentato dall'azienda non rientrava nell'Accordo di programma. Sulla chiusura dell'area a caldo, la presidente ha evidenziato la necessità di rimanere nell'iter dell'Aia, ricordando che l'eventualità comporterebbe «lasciare in strada dall'oggi al domani quasi 500 famiglie», in una prospettiva di difficoltà di ricollocazione occupazionale. Sul nodo ambientale, Serracchiani ha richiamato infine la diffida e la sospensione delle attività dell'altoforno, rilevando come ogni volta in cui si siano registrati degli sforamenti ai limiti fissati dall'Aia la Regione sia sempre intervenuta. La presidente ha poi rimarcato come, da parte dell'azienda, siano state effettuate delle opere migliorative «che si possono toccare con mano: affermare il contrario sarebbe una rappresentazione incoerente della realtà».
Diego D'Amelio
Ecosistema, le città del Fvg si scoprono più "verdi" -
Legambiente pone i quattro capoluoghi nella parte alta della classifica
Pordenone e Udine fanno da traino. Trieste fa il balzo in avanti più
rilevante -
La classifica dell'ecosostenibilita'
TRIESTE - Legambiente promuove le prestazioni ambientali del Friuli Venezia
Giulia, anche se è la sola Pordenone a mantenere il passo delle prime città
italiane in classifica entrando nella top ten. Lo studio, che ha visto la
collaborazione fra l'associazione ambientalista, l'istituto di ricerca Ambiente
Italia e Il Sole 24 Ore (che lo ha pubblicato ieri), ha messo sotto la lente
d'ingrandimento 104 capoluoghi di provincia, tenendo conto di 16 indicatori
all'interno di cinque diverse macroaree: aria, acqua, rifiuti, mobilità ed
energia. L'indagine, che ha esaminato i dati del 2016 e ha portato alla
redazione del 24esimo Rapporto ecosistema urbano, fotografa un territorio che
sta provando ad accreditarsi fra le regioni virtuose in Italia anche dal punto
di vista ambientale. I numeri raccontano di un generale passo in avanti, se si
tiene conto che, rispetto al rapporto stilato nel 2016, Pordenone è passata
dall'11.o al quinto posto, Udine dal 29.o al 12.o e Trieste - che resta comunque
ultima in Fvg - dal 64.o al 39.o posto assoluto. Solo a Gorizia è andata peggio
rispetto ai 12 mesi precedenti: è scivolata dalla 12.a posizione del 2016 alla
25.a del 2017. La classifica stilata da Legambiente, che ha visto Mantova,
Trento, Bolzano e Parma occupare le prime quattro posizioni, e Viterbo, Brindisi
ed Enna tenere alto il fanalino di coda della graduatoria, ha permesso
un'analisi qualitativa dei dati di ogni singola città presa in esame.
La qualità dell'aria
Il biossido di azoto fa registrare una media regionale inferiore a quella del 2014 (al di sotto della media di tutti i capoluoghi, pari a 29,1 microgrammi per metro cubo), dato fortemente influenzato dal risultato di Trieste e in parte di Pordenone. Nessuna città supera il limite di legge, fissato a 40 microgrammi per metro cubo. La media regionale del Pm10, dopo l'incremento del 2015, è diminuita in tutte le città capoluogo. Gorizia e Trieste - dove la riduzione del particolato in 13 anni si deve in parte all'eliminazione del parco macchine più vecchio - registrano livelli pari al valore obiettivo per la salute (20 microgrammi per metro cubo) indicato dall'Organizzazione mondiale della sanità. La concentrazione di ozono, invece, mediamente non supera la soglia di protezione della salute umana, anche se si discosta il valore di Udine, forse determinato dal forte soleggiamento dei mesi estivi.
I consumi idrici
Calano in tutti i capoluoghi di provincia del Fvg. La media regionale, pur abbassandosi, resta però superiore (+4,8%) al valore medio italiano (152,7 litri al giorno pro capite). La dispersione della rete, ovvero la differenza tra l'acqua immessa e quella consumata, rimane invariata rispetto al 2015. Pordenone conferma il valore di eccellenza, rientrando tra le sei città virtuose d'Italia, con perdite inferiori al 15%. Trieste, invece, vede aumentare la sua percentuale oltre il 47%.
I rifiuti urbani
La produzione pro capite di rifiuti urbani ritorna a crescere in tutti i capoluoghi regionali, portando la media regionale oltre i 501 chilogrammi per abitante ogni anno. I dati di Arpa confermano questa tendenza. Cresce, e in questo caso è un dato positivo, anche la percentuale di raccolta differenziata, con Pordenone - al primo posto in Italia - che supera la soglia dell'80%, Gorizia e Udine che superano l'obiettivo del 65% e con Trieste che fa un passo avanti ma che non riesce a raggiungere ancora il 40%.
Trasporto pubblico e motorizzazione
Gli indicatori in questo caso presentano valori stazionari, con l'eccezione di Trieste che, con 308 viaggi per abitante ogni anno, cresce del 2,8%. Il capoluogo giuliano si classifica fra i più virtuosi in Italia anche quanto alle auto circolanti, con 52 mezzi ogni 100 abitanti.
La ciclomobilità
Cresce l'estensione dei percorsi ciclabili (+2,6%) ma non cresce il numero delle persone che si spostano in bicicletta, mentre risulta in leggerissimo aumento l'estensione media delle isole pedonali.
Rinnovabili e spazi verdi
Aumenta la diffusione (+4,25%) del solare termico e fotovoltaico installato in regione sulle strutture pubbliche. Lo studio di quest'anno, inoltre, introduce per la prima volta un indicatore che misura la disponibilità di alberi di proprietà pubblica ogni cento abitanti. Pordenone registra una disponibilità di 28,84 alberi, Gorizia di 26,13 e Udine di 24,12, a fronte di una media nazionale che si assesta sui 18 alberi ogni cento abitanti. Il dato di Trieste non è disponibile.
Luca Saviano
Allarme Onu: record di CO2 in atmosfera
L'anidride carbonica, il principale gas serra, prodotto dalle attività dell'uomo e responsabile del riscaldamento del pianeta, ha registrato una impennata record nel 2016. La maggiore negli ultimi trent'anni. Colpa del Nino, il periodico riscaldamento dell'Oceano Pacifico. Ma anche delle emissioni umane, soprattutto da energia e trasporti: 36 miliardi di tonnellate all'anno. A lanciare l'allarme è l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), agenzia con sede a Ginevra. L'anno scorso la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è passata dalle 400 parti per milione del 2015 a 403,3. Un aumento annuo di 3,3 parti per milione, il doppio dell'aumento medio annuale degli ultimi 10 anni. Una concentrazione che non si verificava da 800mila anni. «È il maggiore incremento che abbiamo osservato nei 30 anni dalla nostra attività», ha detto Oksana Tarasova, responsabile del programma globale di controllo dell'atmosfera terrestre in seno al Wmo. «Il precedente risale al 1997-1998 e fu di 2,7 parti per milione, contro i 3,3 tra il 2015 e 2016. Senza dimenticare che si tratta anche di un balzo del 50% sulla media dell'ultimo decennio». La causa immediata di questa impennata è il Nino del 2015-2016, fenomeno naturale di riscaldamento del Pacifico meridionale. Nel complesso, i paesi interessati da questo fenomeno l'anno scorso hanno emesso 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 in più rispetto al 2011. Questa massa di gas di origine naturale si è andata a sommare ai 36 miliardi di tonnellate prodotte dalle attività umane. Di qui l'impennata della concentrazione, nonostante le emissioni di CO2 di origine umana non crescano da un paio d'anni. Foreste e oceani non riescono a smaltire l'enorme massa di gas che si accumula nell'atmosfera. Il risultato è l'effetto serra.
Torna a salire il Pil, rifiuti in aumento - Cresce la
produzione di spazzatura: la mappa della differenziata. I dati dell'Ispra
ROMA - La produzione di rifiuti urbani torna a salire dopo anni di declino.
In Italia è +2,0%. Questo si evince dal rapporto annuale redatto dall'Ispra
(l'Istituto superiore per la prevenzione e ricerca ambientale del Ministero
dell'Ambiente). Nel 2016 siamo tornati sopra la soglia "psicologica" dei 30
milioni di tonnellate. Il 2015 ci aveva fatto sperare in un disaccoppiamento fra
dati del Pil e dei consumi (in ripresa) e dati dei rifiuti urbani (in calo). Nel
2016 cresce l'economia e tornano a aumentare i rifiuti. Ancora forti i
differenziali regionali: la prima in classifica per produzione procapite,
l'Emilia Romagna, con 653 kg ad abitante all'anno, quasi il doppio dell'ultima
in classifica, la Basilicata, con 354. La raccolta differenziata è sopra il 50%
del totale dei rifiuti come media nazionale. Al nord la percentuale è del 64,2%
(migliore organizzazione e diffusione storica delle raccolte domiciliari), al
centro al 48,6% e il sud è al 37,6%. Tassi di raccolta differenziata molto
elevati restano tipici di comuni medio piccoli, in tutta Italia. Nelle grandi
città è oggettivamente più difficile fare la differenziata, come conferma lo
studio europeo sulle capitali, tutte con valori molto bassi. Col crescere delle
raccolte differenziate aumenta il valore complessivo degli scarti non avviati a
riciclaggio, pari a 2,5 milioni di tonnellate secondo Fise/Unire. Anche se la
differenziata arrivasse al 70% avremo sempre circa il 15% di scarti da avviare a
recupero energetico o in discarica. Ormai il riciclaggio è il principale destino
dei rifiuti seguito dal conferimento in discarica dove finisce il 25% degli
scarti, quasi interamente trattati prima di essere interrati. Il flusso in
discarica è diminuito del 5% sul 2015, è nella media europea a 28%, ma è
elevato: nei Paesi nord europei il valore è 1,5%. Il recupero di energia è
attestato al 20%, "bruciati" 5,4 milioni di tonnellate di spazzatura, con una
riduzione del 3,2% rispetto al 2015. Ridurre la discarica e aumentare
riciclaggio e recupero di energia restano le priorità di un Paese che comunque
sta facendo passi avanti. L'esportazione di rifiuti riguarda 433.000 tonnellate
di rifiuti urbani; ne importiamo 208.000. Il costo ad abitante della gestione
dei rifiuti urbani è salito "solo" dello 0,6% sul 2015, attestandosi su un
valore medio di 218 euro ad abitante all'anno, circa 500 euro per famiglia
media. La Tari copre ormai oltre il 98% dei costi del servizio (84% nel 2001).
In 15 anni si è ridotto il sussidio pubblico dalla fiscalità e questo ha
contribuito a spingere in alto le tasse locali, insieme all'aumento assoluto dei
costi di gestione. L'Italia è entrata nella direzione dell'economia circolare,
con due terzi del territorio che presenta performance d'eccellenza paragonabili
al nord Europa. Il Rapporto Ispra ci dice che non esiste una strategia "rifiuti
zero", che non scompaiono ma possono essere riciclati e avviati a recupero
energetico, riducendo la discarica, ma sapendo che non si può riciclare tutto e
serve un mix ragionevole di riciclaggio e incenerimento.
(a.d.g.)
La "guerra" dei rifiuti in centro e periferia finisce
davanti al Tar - Impugnata da due realtà romagnole la gara da 9,3 milioni -
AcegasApsAmga congela la procedura in attesa di verdetto
Un ricorso al Tar del Friuli Venezia Giulia "congela" l'appalto per lo
spazzamento e per la raccolta dei rifiuti solidi nell'area urbana triestina:
AcegasApsAmga ha quindi preferito, in regime di autotutela, prorogare fino al 30
aprile del prossimo anno gli attuali gestori del servizio, che sono Italspurghi
e la coop Sole. Una gara di consistente rilevanza, sia per i 9,3 milioni in
palio che per l'attenzione con cui l'utente/cittadino/contribuente guarda alla
qualità ambientale. AcegasApsAmga aveva lanciato due bandi nella scorsa
primavera, uno dedicato alla pulizia dell'area urbana e l'altro alla pulizia
della periferia: gare differenti per topografia, caratteristiche operative,
curricula aziendali, portata finanziaria. Infatti il bando "periferico"
ammontava a 3,6 milioni di euro. Comunque un bell'impegno per l'utility, che
appaltava complessivamente 13 milioni di attività ecoambientale a cinque anni di
distanza dalla precedente gara svoltasi nel 2012. I termini per la presentazione
delle offerte da parte delle imprese interessate scadevano in maggio, in estate
le lettere di invito alle ditte, l'aggiudicazione era programmata tra settembre
e ottobre. Diversi gli appalti, diversi gli esiti. Il forese (Circoscrizioni
1-2-6, zona Altipiano) non sembra aver sortito problemi per l'aggiudicazione: ha
vinto il raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) formato dalla capogruppo
Querciambiente soc.coop., la coop Germano, la coop Franco Basaglia. Una gara
riservata a operatori economici e a coop sociali il cui scopo principale «sia
l'integrazione sociale professionale delle persone con disabilità o
svantaggiate». Ha prevalso il gestore uscente, che quindi non avrà particolari
problemi a proseguire nel lavoro già domani, giornata di Ognissanti. Per 3,6
milioni e per un biennio - rinnovabile per un ulteriore anno a discrezione di
AcegasApsAmga - spazzamento manuale e meccanizzato, "porta a porta" della
biomassa, ingombranti a domicilio, imballaggi di cartone, raccolta pile. Il
discorso cambia con l'altra gara, quella che riguarda il Centro e l'immediata
periferia cittadina. AcegasApsAmga non ha inteso fornire dettagli sui
protagonisti della vicenda giudiziaria amministrativa. E'possibile una
ricostruzione ufficiosa sulla base di informazioni raccolte negli ambienti
imprenditoriali triestini: la gara sarebbe stata impugnata da un'associazione
temporanea di imprese (ati) costituita da due importanti realtà romagnole, il
gruppo Ciclat, con quartier generale a Ravenna, e il consorzio di coop sociali
Formula Ambiente, basato a Cesena. Da quanto è dato sapere, entrambe sarebbero
all'esordio in gare di tipo ecoambientale a Trieste. La questione, su cui si è
bloccata l'aggiudicazione, riguarderebbe la quota riservata alla cooperazione
sociale. L'ati romagnola sarebbe stata infatti esclusa nella fase di
pre-qualifica dei "candidati" alla gara. E allora la decisione di adire alla
giustizia amministrativa: a tale notizia AcegasApsAmga non ha proceduto
all'apertura delle buste, che è stata così congelata in attesa della pronuncia
da parte del Tar Fvg. Pronuncia che pare fissata per venerdì 10 novembre. Ciclat
è presente su un'ampia porzione del territorio nazionale: Piemonte, Emilia,
Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia, Sardegna. Prudenza ha consigliato all'utility
di concedere un'ampia proroga agli attuali gestori, che lavoreranno - come
abbiamo premesso - fino alla fine dell'aprile 2018. AcegasApsAmga si è comunque
tenuta la possibilità di recedere anticipatamente nel momento in cui dovesse
maturare l'esito della gara temporaneamente sospesa. Sei mesi di proroga non
sono certo pochi, ma è probabile che siano scattate ragioni di opportunità
operativa: si va verso la stagione fredda con possibili precipitazioni (anche
nevose), si veleggia verso il periodo di fine anno con tutto il lavoro che ne
consegue, un eventuale cambio del gestore in corsa rischierebbe di ripercuotersi
sulla qualità e sull'efficienza del servizio in una stagione sovente rognosa. La
gara da 9,3 milioni si articola in due lotti. Il primo riguarda le
Circoscrizioni 3° e 4°, il secondo coinvolge le Circoscrizioni 5° e 7°. Il bando
richiede lo spazzamento manuale e meccanizzato del Centro e della periferia,
raccolta "rsu", servizi accessori. Anche in questo caso il periodo è di 24 mesi,
con la possibilità di un rinnovo annuale. Per entrambi i bandi l'aggiudicazione
vede premiare il criterio di qualità, che ottiene 70 punti, rispetto a quello
del prezzo (30).
Massimo Greco
Bagarre in aula sui rifiuti di San Dorligo - Scontro
opposizione-giunta sul nuove gestore del servizio. Assemblea pubblica bis
all'orizzonte
SAN DORLIGO DELLA VALLE - Toni accesi ieri mattina nel corso della seduta
del Consiglio comunale di San Dorligo della Valle. A tenere banco, ancora una
volta, il tema della raccolta delle immondizie sul territorio, da qualche mese
competenza della "A & T 2000", spa che opera col sistema cosiddetto "in house",
subentrata alla Italspurghi. Protagonisti di un confronto verbale, a tratti
molto concitato, il sindaco, Sandy Klun, e il consigliere comunale, Boris Gombac,
capogruppo di "Uniti nelle tradizioni", i cui rappresentanti siedono sui banchi
dell'opposizione. Quest'ultimo ha presentato una mozione, firmata anche
dall'altro consigliere di "Uniti nelle tradizioni", Massimiliano Dazzi, citando
la recente assemblea convocata dal suo movimento per discutere dell'argomento
rifiuti, per chiedere «l'abolizione del sistema dei 'sacchetti appesi', una più
articolata distribuzione dei raccoglitori per il verde, l'eliminazione dei
sacchetti di carta per l'umido».Il capogruppo, dopo aver definito "inadeguata"
l'impresa incaricata del servizio e aver criticato «la gestione della
movimentazione dei mezzi destinati alla raccolta delle immondizie», ha concluso
pesantemente: «Questa maggioranza puzza come le immondizie sparse sul
territorio».Klun ha replicato con forza: «Abbiamo operato ascoltando le
richieste di tutti e stiamo provvedendo, cercando di soddisfare tutte le
esigenze. Sul discorso del verde - ha aggiunto il sindaco - si sta ragionando, e
ricordo che la "A & T 2000" ha grande esperienza, infatti sono moltissimi i
cittadini soddisfatti". Danilo Slokar (Lega Nord) e Roberto Drozina (lista
Territorio e Ambiente) hanno proposto a Gombac di ritirare la mozione e passare
la palla alla competente commissione consiliare. Il capogruppo di "Uniti nelle
tradizioni" non ha accettato, ma ha voluto andare al voto, che ha avuto esito
netto: mozione bocciata da un secco "no", con l'unica ovvia eccezione del voto
favorevole dello stesso Gombac. A breve però i cittadini di San Dorligo della
Valle Dolina avranno la possibilità di esprimersi direttamente nei confronti del
sindaco, della giunta e dei consiglieri, in quanto dovrebbe essere convocata una
nuova pubblica assemblea, nel corso della quale si parlerà del tema della
raccolta delle immondizie.
(u.s.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 30 ottobre 2017
Nasce il centro hitech anti-disastri petroliferi -
Ultimata la ristrutturazione del Magazzino 23, da giovedì piena operatività
Nel polo per la robotica subacquea di Saipem-Sonsub anche un'Academy
Con la fine dei lavori di ristrutturazione del Magazzino 23, scatta giovedì
2 novembre l'operatività del Polo mondiale per la robotica subacquea che
Saipem-Sonsub ha insediato in Porto vecchio nell'area dell'Adriaterminal.
Un'operazione che quello che è uno dei più importanti contractor a livello
mondiale del settore della costruzione e manutenzione delle infrastrutture al
servizio dell'industria oil&gas con una operatività nei cinque continenti, ha
voluto fare a Trieste e che negli ultimi mesi ha avuto uno sviluppo inatteso.
Tale da far diventare il porto del capoluogo del Friuli Venezia Giulia l'hub
internazionale per le operazioni di emergenza in tutto il pianeta, il playground
dove saranno testate le attrezzature per le lavorazioni sottomarine più avanzate
tecnologicamente, robot e droni in testa, e la sede dell'Academy dove verranno
formati gli ingegneri e i tecnici che si specializzeranno nelle nuove
professioni di questo settore ancora semisconosciute. «Abbiamo scelto Trieste
per una serie di motivi - spiega l'ingegner Massimo Fontolan, vicepresidente di
Sonsub, società innovativa interamente controllata da Saipem -: per la
situazione logistica data da una banchina con fondali importanti e acqua chiara
dove possono attraccare grandi imbarcazioni e dove possiamo effettuare i nostri
test, per la presenza in quest'area di un supply chain adeguato, cioè un indotto
di forniture e servizi indispensabili per la nostra catena di distribuzione e
soprattutto per la possibilità di operare in regime di Punto franco. Tutte le
nostre attività infatti si svolgono off shore e qui sono libere dall'aspetto
doganale, mentre ad esempio a Marghera (dove Saipem ha una sede con 150 tecnici,
ndr) per tutte le attrezzature che riportavamo a terra dovevamo sempre fare la
procedura di importazione temporanea in Italia. Qui invece possono entrare e
uscire liberamente e questo per noi è strategico. Ecco perché il nostro
equipment lo abbiamo portato qui, ma dagli ultimi due anni (il primo sbarco è
del 2010, ndr) non ci limitiamo ad attività di puro stoccaggio. Ora abbiamo
restaurato completamente il Magazzino 23 (la cifra, non ufficiale, parla di un
investimento di 3 milioni solo per questo, ndr) e vi abbiamo già insediato anche
i nostri uffici. Ma probabilmente a breve dovremo espanderci ancora, faremo una
serie di nuove assunzioni, sposteremo qui alcune attività che facciamo a
Marghera». A Trieste saranno però assemblati anche i robot sottomarini. «Li
costruivamo a Houston - confessa Fontolan -, abbiamo chiuso a Houston (la città
del petrolio, ndr) e aperto a Trieste». Tutto questo ricorda anche ciò che sta
avvenendo con Sèleco che grazie al Punto franco si sta trasferendo a Trieste. Ma
l'operazione Saipem ancor meglio si inserisce nella filosofia di riconversione
del Porto vecchio. «Noi non spostiamo grandi quantitativi di merce - spiega
Fontolan - non è il nostro mestiere, né qui sarebbe possibile sviluppare un
moderno terminal, ma attiriamo cervelli, sviluppiamo nuove tecnologie,
prepariamo le professioni del futuro e Trieste lo ha capito meglio di altre
città. Creeremo importanti interazioni con gli istituti tecnici, le università,
le realtà scientifiche locali. Ospiti della nostra sede vi sono già ora tecnici
inglesi, irlandesi, americani, norvegesi e di Singapore che vengono qui a
istruirsi. Con l'Academy transiteranno ogni anno a Trieste decine e decine di
professionisti e cresceranno le ricadute sul territorio (già ora si parla di una
trentina di milioni all'anno, ndr)». Il primo elemento di svolta che ha fatto di
Trieste una base di rilievo mondiale è stato l'Offset installation system (Ois),
una gigantesca attrezzatura colorata in giallo ancora per qualche giorno
visibile anche dalle Rive che è il carrier, cioè il "portatore" di un tappo in
grado di chiudere, comandandolo da un chilometro di distanza, un pozzo
petrolifero subacqueo a cui siano saltate tutte le valvole di sicurezza e
impedire così la fuoriuscita di olio e gas in mare aperto. Di tappi esistenti in
giro per il mondo ce ne sono quattro, ma l'unico "portatore" esistente sul
pianeta è questo di Trieste. «Saipem - ribadisce Fontolan - ha vinto la gara per
la sua realizzazione bandita dalle otto principali compagnie petrolifere al
mondo».
Silvio Maranzana
L'azione a 4mila metri di profondità - Nel 2002
l'intervento per l'incidente della Prestige al largo delle coste spagnole
E un ulteriore salto di qualità è pronto per la base di Trieste nel campo
dell'oil&gas. «Il nostro cliente - spiega ancora Massimo Fontolan,
vicepresidente di Sonsub - ora non sarà più soltanto il gruppo delle prime otto
società petrolifere del mondo che ci hanno commissionato la realizzazione dell'Ois,
ma il consorzio che comprende tutte le società petrolifere. Stiamo trattando con
loro infatti per portare a Trieste, il Centro per qualsiasi tipo di intervento
nell'area del Mediterraneo. Qui infatti c'è già l'hub internazionale per le
operazioni di emergenza in mare e tra le nostre credenziali possiamo vantare
anche l'intervento fatto sulla petroliera Prestige». La Prestige era una
petroliera monoscafo tipo Aframax che, affondando al largo delle coste spagnole
il 19 novembre 2002 con un carico di 77mila tonnellate di petrolio, provocò
un'immensa marea nera che colpì la vasta zona compresa tra il nord del
Portogallo fino alle Landes, in Francia, causando un notevole impatto ambientale
alla costa galiziana. L'intervento di Saipem consentì l'estrazione del
combustibile dalla Prestige mediante un sistema di botti, detto anche
"estrazione per gravità". Che consiste nel perforare lo scafo aprendo un foro di
70 centimetri di diametro per installare un sistema a doppia valvola che regoli
l'uscita. Si aggancia una botte di alluminio marino che si riempie di
combustibile (fino a 300 m³) per portarlo fino a 40 metri dalla superficie e
trasferire il combustibile a una nave attraverso un tubo. Il costo stimato
dell'operazione fu di 99,3 milioni di euro, ma un anno dopo il disastro, le
spiagge galiziane contavano più bandiere azzurre di sempre. «Abbiamo operato con
i nostri robot a quattromila metri di profondità», sottolinea Fontolan. Chiaro
che a quelle profondità non possono scendere gli uomini, ma l'ingegner Giacomo
Pellicioli ci tiene a sottolineare che «in Saipem gli infortuni non esistono
perché viene prestata massima attenzione alla sicurezza e anche durante i sei
mesi di lavori nel Magazzino 23, eseguiti da una ditta esterna, nessuno si è
fatto nemmeno un graffio». Un grave disastro è invece alla base dell'iniziativa
che ha indotto le compagnie petrolifere a bandire la gara per il famoso
porta-tappo. È stato quello della piattaforma Deepwater Horizon, affiliata alla
British Petroleum, con uno sversamento massiccio di petrolio nelle acque del
Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo a oltre
1.500 metri di profondità. Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è
terminato 106 giorni più tardi, il 4 agosto 2010, con milioni di barili di
petrolio sulle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida,
oltre al fatto che la frazione più pesante del petrolio ha formato grossi
ammassi sul fondale marino. In seguito all'esplosione, 115 dei 126 uomini a
bordo sono riusciti a mettersi in salvo (17 feriti), mentre 11 sono morti.
Nonostante gli sforzi dei soccorritori per spegnere l'incendio, è risultato
impossibile domare le fiamme e il 22 aprile 2010 la struttura della Deepwater
Horizon è collassata, mentre una seconda esplosione ne ha causato
l'affondamento. La tragica vicenda è narrata anche in un film di successo,
"Deepwater, inferno sull'oceano". Con l'Offset installation system di Trieste,
il disastro sarebbe stato fortemente ridotto.
(s.m.)
Il drone sottomarino che abbatterà i costi - Hydrone
verrà assemblato, testato e lanciato a Trieste - Fontolan: «Rivoluzionerà le
manutenzioni e le estrazioni»
C'è un nuovo avveniristico gioiello tecnologico di Saipem-Sonsub che a
Trieste verrà assemblato, testato e lanciato: si chiama Hydrone ed è un drone
marino unico al mondo, pilotato a distanza senza cavi cioè via wi-fi e in grado
di arrivare dove l'uomo non può, non su pianeti sconosciuti, ma sott'acqua, se
non ventimila leghe sotto i mari, certamente migliaia di metri sotto, per
operare sulle condotte degli impianti di petrolio e gas. «Stiamo sviluppando
Hydrone - spiega Massimo Fontolan, vicepresidente di Sonsub -, stiamo costruendo
il prototipo, a Trieste lo rifiniremo e utilizzeremo quest'area come playground
dove saranno anche realizzati simulacri per mimare le operazioni che poi faremo
in tutto il mondo». I macchinari sono attualmente in fase di costruzione nella
sede di Marghera che recentemente, per la prima volta, ha aperto le porte ai
rappresentanti dei media. Il drone acquatico dotato di bracci meccanici è stato
pensato anche per ridurre i costi e rendere autonoma la manutenzione degli
impianti. Non ci sarà infatti più bisogno di una nave di supporto, come accade
invece ora con il robot Innovator 2.0, attualmente in uso per la costruzione dei
condotti e che è vincolato a un cavo lungo oltre sette chilometri, con costi
molto elevati. «Hydrone è il primo esemplare al mondo di questa tipologia - ha
ribadito Fontolan -, darà origine a una famiglia di modelli che limiteranno
l'intervento umano e abbatteranno i costi per estrarre petrolio». L'azienda
punta a rivoluzionare il modo stesso di estrazione per rendere conveniente lo
sfruttamento dei giacimenti anche se il prezzo scende. Il futuro a lungo termine
prevede lo spostamento di tutto il processo: dalla trivellazione al trattamento
delle sostanze, sul fondo del mare. La tecnologia "Springs", sviluppata in
collaborazione con i giganti francesi Total e Veolia, va in questa direzione e
permette di trattare e pompare l'acqua marina per l'estrazione del petrolio
attraverso filtri posti sul fondale, senza doverla trasportare da impianti sulla
terraferma. Saipem ora punta a seguire tutte le fasi degli impianti sottomarini,
dalla posa delle tubature alla manutenzione. E i piloti dei droni sottomarini si
formeranno in Porto vecchio. «Chi saranno? Quali competenze dovranno possedere?
Lo stiamo appena valutando - rivela il vicepresidente di Sonsub -, a formarli
sarà l'Academy di Trieste». Ma in attesa di Hydrone che dovrebbe esordire
operativamente nel 2019, Saipem-Sonsub utilizza Innovator 2.0, robot che dal
Texas hanno trovato casa a Trieste. «Sono veicoli a controllo remoto di ultima
generazione - aggiunge Fontolan -, sono stati testati a Trieste. Ne abbiamo una
cinquantina, ma per fortuna oggi qui non se ne vede nemmeno uno, sono tutti a
lavorare in giro per il mondo. Noi costruiamo infrastrutture sul fondo del mare,
teste di pozzo, recuperiamo olio e gas, lo trattiamo e lo portiamo a terra.
Loro, guidati a distanza, da una nave, fanno anche i montatori e gli
installatori. Stanno operando in Africa, nel golfo del Messico, nel mare del
Nord, nel Sud-Est asiatico e in altri siti ancora». Va rimarcato che nel 2017
Saipem ha raddoppiato il budget per la tecnologia passando da 30 a 60 milioni di
euro fidando sul fatto che proporre soluzioni innovative ai committenti dell'oil
and gas rappresenti uno degli elementi su cui scommettere per assicurarsi un
vantaggio competitivo nel mercato. Non a caso, oltre alla mole di investimenti
già messa in pista, dal 2012 al 2016, per lo sviluppo di nuove tecnologie (163
milioni, di cui 73 solo in innovazione pura), Saipem può vantare 36 nuovi
brevetti solamente nel 2016 (l'anno scorso che peraltro è risultato essere
quello più prolifico nella storia societaria), oltre ai 2308 già registrati nel
corso del tempo, e 176 tecnologie proprietarie, distribuite tra raffinazione,
petrolchimico e Snamprogetti.
(s.m.)
Albania, un maxi resort nell'area naturale protetta
Venti Ong, fra cui il Wwf, criticano il progetto destinato a sorgere in
una laguna fra le più grandi del Mediterraneo. Ma la popolazione spera nei nuovi
posti di lavoro
BELGRADO - I Balcani, terre ancora poco battute, nascondono gioielli più o
meno sconosciuti. Il lago di Ohrid, Scutari, Kopacki Rit, il "deserto" di
Deliblatska Pescara. Ma ci sono anche perle quasi ignote. E forse anche per
questo più a rischio. Una di queste è una laguna fra le più grandi del
Mediterraneo, dimora di decine di tipi di uccelli e pesci, 90 specie minacciate,
40 a rischio estinzione. È Karavasta, in Albania: parco nazionale da una decina
d'anni, habitat perfetto per l'ormai raro pellicano crespo. Ma Karavasta è anche
altro. Come Scutari, è l'obiettivo di grandi progetti immobiliari che potrebbero
deturpare uno dei più preziosi ecosistemi d'Europa. La denuncia, non nuova, è
stata rilanciata in questi giorni da Reporter, portale albanese braccio del
Balkan Investigative Reporting Network e dal Courrier des Balkans (Cdb).
Entrambi i media hanno messo il dito nella possibile futura piaga, un
investimento che può mettere a rischio Karavasta: guardato con favore dalla
popolazione locale che spera in posti di lavoro e sviluppo, ma visto come fumo
negli occhi dagli ecologisti. L'investimento, ancora allo stato embrionale, è
quello previsto per la costruzione di un grande villaggio turistico, il "Divjaka
Resort": un'idea della Mabetex, colosso che fa capo al tycoon Behgjet Pacolli,
attuale ministro degli Esteri kosovaro. Il progetto, se realizzato, «permetterà
agli ospiti di apprezzare uno fra i più incantevoli panorami della riserva» in
un villaggio che rispetterà «la qualità ambientale», promette la Mabetex dal suo
sito.Il villaggio, hanno svelato gli ambientalisti, sarà composto da 370 ville e
2.400 appartamenti in edifici che si affacceranno sulla laguna, alti fino a
venti piani, hotel, strade di accesso, e sulla costa un lungo frangiflutti.
Secondo alcune organizzazioni locali, tra cui EcoAlbania, il resort potrebbe
ospitare contemporaneamente fino a 18.000 ospiti al giorno, più del doppio degli
abitanti della vicina cittadina di Divjake. Valore del possibile investimento -
il maggiore di questo genere nel Paese - 1,5 miliardi di euro. L'ipotesi resort
non è piaciuta a molti ambientalisti locali e soprattutto alla Mediterranean
Wetlands Alliance, un network di una ventina di Ong - tra cui il Wwf - che nei
mesi scorsi ha criticato in una lettera aperta indirizzata al premier Rama i
piani di sviluppo. Divjaka-Karavasta è una delle più «importanti zone umide nel
bacino del Mediterraneo, rappresenta un sito-chiave» per flora e fauna ed è
«popolato ogni anno da milioni di uccelli che vi sostano durante la migrazione»,
oltre che sito importante per l'economia locale, in crescita grazie al turismo
responsabile. Sito che potrebbe essere messo a rischio dal mega-resort, un
progetto «estremamente negativo e inaccettabile». Ma a che punto è il progetto?
«Persone dell'azienda ci hanno informato che stanno ancora lavorando al project
design e hanno già sottoposto uno studio strategico preliminare di impatto
ambientale al ministero dell'Ambiente», spiega al Piccolo Taulant Bino,
presidente della Società ornitologica albanese. A ministero e premier invece
«noi abbiamo chiesto» invece «di fermare il progetto. Non sappiamo» cosa
accadrà, «quando ci rivolgiamo al ministero ci rispondono che nessuna decisione
è stata presa, ma in ogni caso noi riteniamo che il progetto sia distruttivo».
Non tutti sono così pessimisti. Una prima versione originale del progetto era
«molto ambiziosa e pericolosa per l'ambiente», ma ora «hanno rivisto il
progetto», assicura Jamarber Malltezi, professore di Agricoltura all'Università
di Tirana. «Se il modello rivisitato e corretto sarà attuato, potrebbe portare a
uno sviluppo sostenibile. Come ambientalisti abbiamo espresso le nostre
preoccupazioni un anno e mezzo fa, su un piano che prevedeva la trasformazione
in terreni edificabili della "core area" del parco. Ora hanno cambiato
atteggiamento. Se il nuovo progetto sarà applicato e se le autorità
monitoreranno» il tutto, allora potrà essere «un progetto di successo». E
monitoraggio, soprattutto in questo caso, è la parola-chiave per salvare
Karavasta
Stefano Giantin
«Così Banca Etica aiuta le startup triestine» - Enrico
Trevisiol: «Non finanziamo solo il terzo settore. L'accordo con l'Area di
ricerca è un esempio»
MILANO«Il territorio di Trieste è ricco di idee imprenditoriali innovative
che si combinano bene con i nostri valori. Sarà un percorso di crescita
condiviso». Enrico Trevisiol, direttore di Banca Etica a Trieste (attiva dal
2011), spiega così l'accordo con Innovation Factory, l'incubatore certificato di
Area Science Park, per sostenere lo sviluppo delle startup. Un'iniziativa che
conferma l'approccio particolare di questo istituto di credito, che senza
rinunciare all'obiettivo di generare profitti - il primo semestre si è chiuso
con un utile netto di 2,2 milioni di euro, impieghi per 770 milioni, raccolta
diretta a 1,32 miliardi e indiretta a 584 milioni - guarda anche all'impatto
sociale delle sue scelte strategiche. «Una startup può nascere - ha detto
Fabrizio Rovatti, direttore di Innovation Factory - in modi diversi: da
un'intuizione, un colpo di genio o in risposta a una reale esigenza. Ma per
svilupparsi e crescere ha bisogno di supporto e sostegno. Supporto significa
aiuto nella realizzazione di un percorso di avvicinamento al mercato che include
tutti gli aspetti del progetto imprenditoriale. Sostegno, invece, significa
avere a disposizione, quando necessario, strumenti finanziari idonei e
personalizzati, fondamentali per la crescita. In questo Banca Etica è di certo
uno dei partner ideali per le nostre startup». Trevisiol, come nasce l'accordo
con Innovation Factory? I nostri programmi di microcredito e microfinanza sono
imperniati sulla ricerca di partner locali, con una grande conoscenza dei
rispettivi territori. Nell'Area Science Park di Trieste c'è un ecosistema in
grado di cogliere le esperienze di gemmazione di imprese con grande taglio di
innovazione e al tempo stesso in linea con il nostro modo di fare banca, cioè a
sostegno di una nuova economia. Cosa intende? Tradizionalmente abbiamo sempre
finanziato il terzo settore. Ora spostiamo l'asse verso l'economia di impatto
sociale. Come funziona l'accordo? Finanzieremo le startup, cioè aziende
costituite da non più di cinque anni e con massimo cinque dipendenti. Oltre ad
associazioni con partita iva aventi le medesime caratteristiche e imprese in via
di costituzione. I settori che vogliamo sostenere vanno dall'agricoltura
biologica all'utilizzo di tecnologie inclusive, ai servizi sanitari di
prossimità. Il credito può arrivare fino a 25mile e riguardare iniziative come
acquisto di beni e servizi strumentali all'attività di business, retribuzione di
nuovi lavoratori e frequenza dei corsi di formazione. Chi segnala le aziende da
sostenere? Il processo può partire dalla nostra banca, così come da Innovation
Factory. Dopo di che si fa un esame congiunto e la collaborazione prosegue anche
dopo l'eventuale concessione del finanziamento per un monitoraggio continuo.
Come le dicevo, puntiamo su percorsi condivisi con i territori per sviluppare
una nuova economia.
Luigi Dell'Olio
LA RUBRICA NOI E L'AUTO - MEZZI ELETTRICI PER FAR
RESPIRARE LE NOSTRE CITTÀ
Le recenti notizie sul blocco del traffico per inquinamento in alcune città
dell'Italia del nord, mi hanno paradossalmente fatto ritornare più giovane. Mi
sono, infatti, tornate in mente le così dette "targhe alterne", regolamentate da
un decreto legislativo dell'ormai lontano aprile 1999, che consentivano la
circolazione "alternativamente" un giorno ai veicoli con targa pari e il giorno
successivo a quelli con targa dispari. Il provvedimento scattava all'indomani
della segnalazione, da parte delle apposite centraline urbane, del superamento
dei limiti previsti, per esempio, dell'anidride carbonica e delle particelle Pm
10.Evidentemente non ci sono stati in questi anni progressi risolutivi che
abbiano definitivamente cambiato la situazione di inquinamento. Nel caso vengano
prossimamente presi provvedimenti che vietino la circolazione di veicoli
appartenenti, per esempio, alla categoria euro inferiore o uguale alla 5,
ricordo che detta categoria è indicata sulla carta di circolazione sotto la voce
V. 9, del riquadro 2. Peccato che tale sigla non sia riportata con chiarezza, ma
c'è solo l'indicazione della normativa europea di riferimento, che va appena
ricercata. Per dare un consiglio pratico a chi non è avvezzo a cercare i dati su
internet, ricordo che i tutti i veicoli immatricolati dopo il 1° gennaio 2011
sono euro 5 e quelli immatricolati dal 1° settembre 2015 sono euro 6. Sempre sul
tema inquinamento da motori, dal 1°gennaio 2019 non potranno più circolare i
veicoli euro 0, che sono tutti quelli immatricolati prima del 1° gennaio 1993.
Contrariamente a quello che si credeva in un primo momento, con grande spavento
dei relativi proprietari, e cioè che il provvedimento riguardasse in generale
tutti i veicoli, la prescrizione si riferisce solamente agli autobus ed ai
veicoli con più di 8 posti, escluso il conducente. Il pensiero non può che
andare alla necessità che si diffondano più rapidamente possibile i veicoli
elettrici che, a questo punto, sono gli unici che potranno risolvere il problema
inquinamento, pur essendo validi anche i veicoli ibridi. Ma ci vorrà ancora
tanto tempo e tanta buona volontà da parte di tutti, istituzioni e privati.
Giorgio Cappel
L'ANALISI: IL FUTURO SENZA BENZINA - Una scelta obbligata: cambiare o morire
L’INDUSTRIA DELL’AUTO SCHIERATA IN MODO COMPATTO LE PRIME MOSSE IN CINA, IL LUNGO ADDIO AL PETROLIO
E insieme crescono i livelli di anidride carbonica e delle polveri sottili, responsabili in parte di un inquinamento non più sostenibile. Una situazione che ormai viene affrontata a livello globale con politiche ambientali che dovrebbero contrastare questa deriva. A tutto questo si è aggiunto lo scandalo delle emissioni, noto come Dieselgate, scoppiato due anni fa proprio negli Stati Uniti d'America. Il caso delle emissioni truccate, però, ha avuto indubbiamente un lato positivo proprio per l'ambiente, visto che ha portato un'enorme accelerazione della mobilità a zero emissioni. Una rincorsa verso l'auto elettrica che finalmente ha coinvolto un po' tutti i grandi costruttori, a cominciare proprio dai colossi tedeschi che da subito hanno capito che bisognava dare una svolta all'automobile. In altre parole che andava cambiata oppure sarebbe stata destinata a sparire. E così eccoci davanti a nuovi scenari, francamente impensabili appena qualche anno fa. Con l'intera industria automobilistica schierata in formazione compatta per rivedere il sistema della mobilità. Una sfida gigantesca che vede coinvolti tutti e che sta partendo proprio dal più grande mercato del mondo, la Cina. Il paese della grande muraglia è di gran lunga la più grande piazza del mondo con i suoi 24 milioni di auto vendute ogni anno ed è qui, infatti, che i principali analisti del settore prevedono una crescita costante delle auto elettriche. A cominciare da AlixPartners, società globale di consulenza aziendale, secondo cui la corsa verso le "zero emissioni" sta finalmente prendendo velocità proprio grazie alla Cina con Europa e Nord America ancora non in grado di tenere il passo. Qualche numero per farsi un'idea più precisa: nel secondo trimestre del 2017, in Cina sono stati venduti veicoli per un'autonomia elettrica totale di 22,5 milioni di chilometri, mentre in Europa lo stesso dato si è attestato a poco più della metà, circa 12,6 milioni di chilometri, con l'Italia sedicesima in questa speciale graduatoria con 0,20 milioni di chilometri venduti. Entro il 2030, i veicoli elettrici e ibridi rappresenteranno oltre il 40% delle vendite di veicoli in Europa con la Cina, però, saldamente in testa nella classifica mondiale delle vendite. Insomma, la scossa è davvero arrivata. E nello stesso tempo è iniziato il lungo addio al diesel prima e alla benzina poi. Complici anche gli amministratori delle grandi città che hanno già pronti piani di azione progressiva per togliere le auto a carburante fossile prima dai centri storici e poi dall'intero territorio cittadino. I sindaci di Londra, Parigi, Berlino e altri ancora hanno già fatto le loro ordinanze, preso decisioni che difficilmente saranno modificabili. Ci vorranno ancora anni, forse non pochi, ma il processo è ormai partito. Anche perché dalle parte delle case automobilistiche c'è proprio questa consapevolezza e nei loro piani industriali cominciano a comparire progetti davvero innovativi. Dalla Volvo alla Mercedes, dalla Volkswagen alla Toyota sono tutti convinti che l'elettrificazione cambierà finalmente la faccia all'automobile. Le ridarà la dignità perduta in questi anni riposizionandola nelle città e ripulendola da quella "brutta immagine" di oggetto inquinante che negli ultimi anni ne stava decretando la fine. Per ricominciare, dunque, ci vorrà una vera rivoluzione. D'altronde per l'auto non c'era altra scelta: cambiare o morire.
VALERIO BERRUTI
La grande fuga dal petrolio - Energia elettrica e
idrogeno i carburanti del futuro
IN MOSTRA PROTOTIPI LEGATI AL FUTURO PROSSIMO E A QUELLO REMOTO -
BATTERIE, GUIDA AUTONOMA E CONNETTIVITÀ LE PAROLE D'ORDINE
Elettrico, connettività e guida autonoma saranno i grandi temi del Salone di
Tokyo che ha appena aperto i battenti. Rispetto alle rassegne europee, Ginevra a
marzo e Francoforte a settembre, l'indirizzo generale non cambia, ma
protagonista è quasi esclusivamente la nutrita squadra dei costruttori
nipponici, con un comune denominatore: la mobilità sostenibile in vista delle
prossime Olimpiadi 2020 a Tokyo. L'auto del futuro secondo Toyota sarà a
idrogeno perché, rispetto all'elettrico, permette un pieno in pochi minuti, come
un modello benzina o diesel, ma assicura fino a 1.000 chilometri di autonomia.
Il concept fuel-cell Fine-Comfort Ride (linea di carburante a basso consumo)
anticipa un crossover di lusso dal design molto scolpito a coda tronca, che
rappresenta un'evoluzione dell'attuale C-Hr ma può ospitare fino a sei
passeggeri. In più, grazie alla guida autonoma, la configurazione degli interni
diventa a salotto. In casa Lexus tengono a mantenere il segreto sino alla
vigilia, ma pare essere pronta al debutto un'evoluzione del grande Suv Rx con
tre file di sedili, mentre la variante di serie del crossover compatto Ux
probabilmente slitterà a Ginevra 2018. E poi dovrebbe esserci un'ammiraglia
fuel-cell, un dispositivo elettrochimico che combina idrogeno e ossigeno
mediante un catalizzatore. Due prototipi per mostrare il futuro prossimo e il
futuro remoto di Mazda. Il primo, vicino alla produzione dovrebbe anticipare la
futura generazione della Mazda3 prevista per il 2018-2019. La prossima Mazda3
sarà anche il primo modello a impiegare una nuova architettura per le compatte e
la nuova generazione di motori benzina Skyactive-X ad accensione comandata, che
combina bassi consumi ed emissioni ridotte di un diesel pur bruciando benzina.
Con un secondo modello di ricerca la casa di Hiroshima mostra l'evoluzione del
linguaggio stilistico Kodo-design, lanciato per la prima volta nel 2012. Si
tratta di una berlina-coupé dalle linee sensuali, esaltate da un lungo cofano
che si innesta con il corpo centrale della vettura e chiude su una coda corta. A
Tokyo sono protagoniste le visioni futuristiche di Suv e crossover come il
piccolo e-Survivor della Suzuki, un off-road in taglia extrasmall, due posti
secchi, trazione integrale hi-tech e motore elettrico indipendente per ciascuna
ruota. Questo prototipo dovrebbe prefigurare i tratti della nuova Jimny attesa
per il 2018. Dalla Mitsubishi un Suv-coupé, battezzato E-Evolution Concept, un
concentrato di innovazione tecnologica e intelligenza artificiale che sarà anche
l'apripista del futuro linguaggio stilistico della casa recentemente entrata a
far parte dell'alleanza Renault-Nissan. Con l'Ev Concept, una quasi vettura di
serie, la Honda aveva prefigurato al salone di Francoforte i contenuti
dell'utilitaria elettrica prevista per il 2019, basata su una nuova piattaforma
destinata a modelli a batteria in diversi segmenti. Alla rassegna nipponica è
arrivata una piccola Honda elettrica: la Concept Sports Ev dalla silhouette
compatta con linee dinamiche e sportive, tratteggiate da un lunotto avvolgente
che appoggia su una coda tronca, evocativo della S600 degli anni Sessanta. Con
la sorella Ev Concept oltre al telaio, la sportiva condivide anche i gruppi
ottici posteriori quadrati. Non sembrano esserci legami tra il modello Ev che la
Honda lancerà in Cina il prossimo anno e questi prototipi, e che genereranno
delle gamme di prodotti per il Giappone e l'Europa. Sempre in tema di compatte
sportive elettriche, a Tokyo la Nissan svelerà un concept che prefigura
un'eventuale variante Nismo della seconda generazione della Leaf. La casa
giapponese ha infatti deciso di investigare se l'idea di una compatta sportiva
sia applicabile anche alle auto elettriche, immaginando una sorta di Ev Gti. Il
secondo concept Nissan dovrebbe essere il tanto atteso crossover a batteria, per
il momento presentato come contenitore di una strategia di "mobilità
intelligente" che unisce elettrificazione con guida autonoma e connettività, ma
destinato a entrare presto in produzione.
MARGHERITA SCURSATONE
IL PICCOLO - DOMENICA, 29 ottobre 2017
Roghi in Piemonte, inquinamento record
TORINO - Una giornata senza vento ha consentito di fermare o rallentare il
fronte degli incendi in Piemonte. Dal Canavese alle valli del Cuneese, la
situazione è migliorata, ma l'allerta resta massima, ha ammonito il presidente
della Regione, Sergio Chiamparino. Oggi, infatti, è previsto che torni a
soffiare il vento, con raffiche - annuncia Arpa - «forti o molto forti» dalle
Alpi Cozie alle Lepontine, una vasta regione che comprende anche le vallate
devastate dai roghi di questa settimana. Il vento foenh potrebbe arrivare fino
alle pianure. Continuerà quindi la battaglia contro roghi che hanno distrutto
già migliaia di ettari di pascoli e foreste, minacciando aree di grande pregio
ambientale, come il parco nazionale del Gran Paradiso, a rischio per le fiamme
che si sono propagate a Locana in Valle Orco, e alla più vasta cembreta
d'Europa, il bosco dell'Alevè, nel Saluzzese. Mentre si combatte l'emergenza,
partono anche le indagini dei carabinieri forestali: a fare scoppiare i roghi
potrebbe esserci stata anche la mano degli incendiari. Ma è rientrato l'allarme
per i due sospetti inneschi trovati nei boschi di Cumiana (Torino): erano
probabilmente solo mucchi di legna preparati per fare un barbecue, peraltro
vietato dal 10 ottobre in Piemonte, quando è stato dichiarato lo stato di
massima pericolosità per gli incendi boschivi. E mentre gli incendi continuano a
interessare anche i boschi del Varesotto, il Lombardia, a Torino la
concentrazione di polveri sottili nell'aria è arrivata a livelli mai raggiunti,
354 microgrammi al metro cubo: 7 volte superiore ai limiti di legge.
IL PICCOLO - SABATO, 28 ottobre 2017
In fiamme 2mila ettari di boschi - Piemonte, il
governatore Chiamparino chiede lo stato di emergenza
TORINO - Incendi senza tregua in Piemonte. La giornata di ieri è stata forse
la peggiore, con la Valle di Susa in piena emergenza, intere frazioni evacuate e
un allarme, poi rientrato, per una squadra di Vigili del fuoco accerchiata dalle
fiamme. I roghi restano estesi anche in altre vallate della provincia di Torino,
in particolare nel Canavese, in Valchiusella, e nel Cuneese. Alimentati dal
vento, che ha soffiato fino a 137 km all'ora in alta quota, e favoriti dalla
gravissima siccità, gli incendi hanno già distrutto oltre 2mila ettari di
pinete, boschi e pascoli. Il fronte complessivo è esteso su 120 chilometri e la
giunta regionale, presieduta da Sergio Chiamparino, ha formalizzato al governo
la richiesta dello stato di emergenza. «L'allerta resterà massima anche la
prossima settimana», ha spiegato Chiamparino. In Piemonte ieri hanno operato
oltre 2.000 volontari, carabinieri forestali e vigili del fuoco. In azione 5
Canadair dei Vigili del fuoco, un elicottero e 50 squadre a terra. Oltre al
fuoco, a spaventare è il denso fumo spinto dal vento a fondovalle: a Torino la
concentrazione di polveri sottili ha sfiorato i 200 microgrammi al metro cubo,
quattro volte oltre la soglia massima consentita. La fuliggine si è depositata
in tutti i quartieri.
IL PICCOLO - VENERDI', 27 ottobre 2017
La Regione mette fretta ad Arvedi sui "parchi" -
Dipiazza minaccia cause
Si acuiscono i contrasti sugli spolveramenti e la copertura dei parchi
minerali della Ferriera di Servola. La Conferenza dei servizi ha stabilito che
il progetto di fattibilità del Gruppo Arvedi per la copertura delle aree a parco
passerà al vaglio del ministero dell'Ambiente, ma la Regione Fvg impone
all'azienda, in attesa della realizzazione, la presentazione entro 90 giorni di
un piano d'intervento per contenere gli spolveramenti. Una situazione che non
trova però l'approvazione del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che annuncia
il ricorso alle vie legali: «Non si può pensare di coprire i parchi minerali nel
2022». È quanto emerso ieri dalla terza seduta della Conferenza (della quale
fanno parte Regione, Comune, Azienda sanitaria universitaria integrata di
Trieste, Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e Vigili del fuoco).
Fa sapere la Regione: «La Conferenza, dopo aver valutato il progetto Arvedi, ha
considerato come adempiute le prescrizioni imposte dall'Autorizzazione integrata
ambientale (Aia), rimarcando però con vigore che i tempi per la progettazione e
la realizzazione dell'intervento devono essere considerevolmente ridotti
rispetto a quelli previsti dal cronoprogramma dell'azienda siderurgica». Nello
specifico la Conferenza ha richiesto che il termine per la consegna degli
elaborati definitivi del progetto venga fissato in 60 giorni rispetto ai 140
proposti da Arvedi e per gli elaborati esecutivi in 40 giorni contro i 130
previsti dalla proprietà dell'impianto. Il progetto, del valore stimato di 38
milioni di euro, prevede la realizzazione di due capannoni alti circa 40 metri e
lunghi circa 280 metri, per progettare i quali e ottenere le autorizzazioni alla
costruzione Arvedi stima un periodo di circa due anni, che si aggiungono ai due
anni circa necessari alla realizzazione dell'opera. Intervenendo sul tema,
l'assessore regionale all'Ambiente, Sara Vito, ha evidenziato che le migliorie
apportate all'impianto «devono garantire una riduzione delle immissioni
nell'atmosfera, ma è necessario intervenire rapidamente per evitare il ripetersi
degli spolveramenti. Il progetto di copertura dei parchi, sul quale dovrà
esprimersi il ministero, rappresenta una soluzione, ma la sua realizzazione
richiederà tempi lunghi, quindi la Regione vuole che l'azienda individui e attui
azioni concrete per risolvere il problema fino a che la struttura non sarà
operativa».Commenta invece Dipiazza in un video su Fb: «Per l'ennesima volta il
progetto sulla copertura dei parchi minerali appare come una presa per i
fondelli da parte della proprietà a tutti noi in quanto il progetto di copertura
parchi prevede la sua realizzazione nel 2022. Oltre ad aver diffidato la
proprietà a seguire le tempistiche che abbiamo dettato capaci di ridurre di
oltre la metà i tempi di progettazione, abbiamo anche chiesto di intervenire
immediatamente per l'eliminazione degli episodi di spolveramento. In Conferenza
dei servizi ho anche comunicato che il Comune di Trieste ha individuato
l'avvocato che ci affiancherà nell'azione che stiamo portando avanti a tutela
della salute dei lavoratori e dei cittadini».
(g.tom.)
INCONTRO A PARENZO - Collaborazione transfrontaliera tra Italia e Croazia sulla pesca
TRIESTE - La nuova collaborazione transfrontaliera tra regioni italiane dell'Alto Adriatico (Fvg, Veneto ed Emilia Romagna) e quelle croate è stata al centro dell'incontro tenuto a Parenzo (Croazia) alla fiera internazionale della pesca Crofish 2017 cui hanno partecipato anche l'assessore regionale Fvg alle Risorse ittiche, Paolo Panontin, il ministro dell'Agricoltura della Croazia, Tomislav Tolusic, e il presidente della Regione Istriana, Valter Flego. A margine Panontin ha evidenziato che «l'Adriatico si differenzia notevolmente dagli altri mari europei: è importante che, attraverso margini di flessibilità della normativa Ue, la gestione delle risorse e attività di pesca sia coordinata tra marinerie contigue e regioni transfrontaliere». Il rafforzamento della collaborazione transfrontaliera potrebbe consolidarsi in un tavolo tecnico istituzionale allargato a marinerie e esperti per soluzioni di tutela e incremento risorse ittiche. Tra i temi pure l'ipotesi di un nuovo programma strategico per la tutela delle risorse marine.
IL PICCOLO - GIOVEDI', 26 ottobre 2017
Ambiente - La Regione mantiene le limitazioni
alla Ferriera
Il gruppo Arvedi chiede alla Regione di revocare i limiti produttivi della
Ferriera ma l'assessore all'Ambiente Sara Vito, replicando a un'interrogazione
del consigliere grillino Andrea Ussai, risponde che la revoca potrà avvenire
solo quando i valori saranno certificati e verificati dall'Arpa. La Vito ha
ricostruito in sintesi la vicenda, partendo dal decreto di diffida 1998/2017,
ricordando che le colate mensili non possono superare quota 290, che la marcia
dell'altoforno deve restare entro le 34 mila tonnellate mensili, che la
produzione di coke deve limitarsi alla stretta funzionalità della ghisa. E ha
comunicato che sono state autorizzate «un numero maggiore di colate di minor
durata» così da ottenere un miglioramento delle prestazioni ambientali
dell'impianto. Lo scorso 13 ottobre Acciaieria Arvedi ha domandato la revoca
della diffida, in quanto gli interventi realizzati in Ferriera - a cominciare
dalla bocca da forno dell'altoforno - fanno ritenere che il rispetto dei valori
sia immediatamente conseguibile. Quindi, il provvedimento limitativo non avrebbe
più ragione di essere. Ma, come abbiamo visto, Sara Vito ha detto di non
accontentarsi dell'annuncio, vuole avere certezza che gli interventi effettuati
garantiscano il rispetto dei valori stabiliti dall'Aia. Per cui prima i
controlli validati, poi l'eventuale superamento delle limitazioni produttive.
Ussai ha commentato criticamente la risposta dell'esponente giuntale regionale.
Contestando soprattutto la concessione di un numero maggiore di colate «in modo
arbitrario e unilaterale ... Una decisione che calpesta i parametri previsti
dall'Aia ... attraverso una Conferenza dei servizi». Il giudizio complessivo
resta severo: «La giunta Serracchiani - scrive Ussai - continua a temporeggiare
e a essere succube del gruppo Arvedi». Il consigliere del M5s chiede che venga
definito un nuovo accordo di programma, tale da integrare l'area servolana con
lo sviluppo portuale, così da superare la produzione "a caldo".
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 25 ottobre 2017
«Dalla green economy 3 milioni di posti»
La green economy ha già creato quasi 3 milioni di posto di lavoro green
(2.972.000), ossia occupati che applicano competenze 'verdi'. Una cifra che
corrisponde al 13,1% dell'occupazione complessiva nazionale, destinata a salire
ancora entro dicembre. È quanto emerge dal rapporto GreenItaly 2017, ottavo
rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere. Nello specifico dall'economia
verde arriveranno quest'anno 320 mila green jobs e considerando anche le
assunzioni per le quali sono richieste competenze green si aggiungono altri 863
mila occupati. Insieme all'occupazione, la green economy crea anche ricchezza: i
quasi 3 milioni di green jobs italiani contribuiscono infatti alla formazione di
195,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 13,1% del totale complessivo.
IL PICCOLO - MARTEDI', 24 ottobre 2017
Ttp "allunga" le corse fino alla Marittima - L'ad Napp
punta ad una sinergia con il settore crocieristico «I passeggeri dalle Rive
potrebbero salire subito in Carso»
«Il tram è una piccola chicca a cui i triestini sono legatissimi e che si
presta anche a una funzione turistica, ma il capolinea di piazza Oberdan è stato
pensato 100 anni fa, in una zona che non è affatto turistica. Ecco perché
un'idea interessante, secondo me, potrebbe essere collocare il capolinea stesso
sulle Rive». Nel giro di proposte che in questi giorni arrivano dai triestini
che stanno firmando le petizioni su carta e web per rivedere il tram "in moto"
verso Opicina, c'è anche quella di Franco Napp come amministratore delegato di
Ttp, la Trieste Terminal Passeggeri Spa. Un'idea, la sua, pensata nel momento
della firma pro-trenovia, che l'ad di Ttp sigla per la seconda volta. La prima
era stata nel 2014 in scia a un'iniziativa indetta dal Piccolo, dopo che il tram
era stato fermo per oltre un anno. «Il Delfino verde al Molo quarto raccoglieva
una presenza di passeggeri minore rispetto a quando è stato poi spostato sul
molo Audace, con direzione Grado. Il capolinea per i visitatori è legato alla
visibilità, non solo alla sua conoscenza», afferma Napp. Perché non pensare a
qualcosa di più per sfruttare al meglio questo patrimonio, dunque? È quanto si
chiede Napp, che aggiunge: « Ai triestini piacerebbe di sicuro, il progetto.
Tutto è da verificare, ovviamente, non sono un tecnico ferroviario, ma sarebbe
auspicabile che il tram transitasse sul lungomare, come accadeva con i tram
urbani di un tempo. Questo mezzo deve essere visto anche in ottica turistica -
sostiene Napp - pur mantenendo la fruibilità per i residenti, perché è un ottimo
mezzo di trasporto». Il concetto di base sarebbe quello di far passare comunque
la 2 per piazza Oberdan e farla arrivare a Opicina, sfruttando le vie interne,
magari via Milano o via Valdirivo, dove, secondo Napp, «visto che la frequenza
di passaggio del tram è abbastanza ridotta rispetto ai bus, non congestionerebbe
il traffico». Sarebbe da rivedere poi, almeno in parte, pure la geografia dei
parcheggi frontemare, gestiti proprio da Ttp. «Bisogna capire la fattibilità, i
costi, i finanziamenti, dovrebbero aprire un tavolo il Comune e Trieste
Trasporti, però credo che avendo noi a Trieste i massimi esperti del settore,
che possono giudicare se sia o meno possibile la realizzazione, perché non
provare. La rete tranviaria triestina è importante e ci sono tante città che
hanno rivisto il trasporto su rotaia, quindi perché non valorizzare di più
quello che già abbiamo?». L'ipotesi - ritiene sempre l'ad di Ttp - potrebbe
interessare le compagnie di navi, che «farebbero un accordo con chi gestisce la
trenovia - spiega - garantendo un numero sicuro di passeggeri che, una volta
sbarcati, salirebbero direttamente a bordo del tram, per esempio su una corsa in
partenza alle 9.30 dalle Rive e alle 12 da Opicina». «La compagnia compra i
biglietti e li rivende ai suoi croceristi. La vendita integrata di biglietti si
assiste di frequente nel mondo dei trasporti». E per non intasare il viavai di
residenti, Napp propone anche un'altra soluzione: rendere fruibile ai turisti le
vetture in orari non di punta. «Si potrebbe fare ricorso a più vetture,
recuperandole un po' in giro per il mondo», suggerisce ancora l'ad di Ttp:
«Quello su rotaia è un modo di viaggiare pulito, rispettoso dell'ambiente».
Benedetta Moro
Discarica record scoperta a Opicina - Recuperati a Pian
del Grisa 152 copertoni abbandonati. A Banne spunta un proiettile della Grande
Guerra
OPICINA - Oltre 150 copertoni di auto e camion recuperati in un'unica zona
del Carso. È probabilmente una discarica da guinness dei primati quella che è
stata smantellata dall'associazione ambientalista Sos Carso in un solo,
intensissimo pomeriggio. "Armata" di guanti di lavoro, sacchi neri, un
furgoncino e tantissima energia, una quindicina di volontari triestini ha
ripulito infatti un'area verde in zona Pian del Grisa, vicino a Opicina. Un
lavoraccio che ha riportato alla normalità una zona boschiva in cui si era
accumulato, appunto, un qualcosa come 152 gomme gettate vergognosamente in una
dolina. Come se non bastasse, nella stessa area, sono stati recuperati altri
quattro manufatti - due frigoriferi, una lavatrice e un boiler - oltre ad una
decina di sacchi neri riempiti con materiali in plastica e vetro. La giornata
dei volontari di Sos Carso era iniziata in un'altra località del Carso
triestino, più esattamente a Banne. Qui, all'interno di un bosco adiacente il
sentiero Cai numero 2, sono state recuperate "solamente" 13 gomme di camion,
assieme a ferraglia varia e materiale sparso in plastica e vetro, per un totale
di una quindicina di sacchi neri. E proprio a Banne uno dei volontari si è
ritrovato tra le mani un'incredibile sorpresa: un piccolo ordigno bellico
risalente alla Prima guerra mondiale. Come emerso successivamente Fabio Mergiani,
membro del Gest (il Gruppo escursionisti triestini), è incappato in un
proiettile di cannone da 75 mm inesploso, a pochi metri dalla rete di recinzione
dell'autostrada. Prontamente sono state chiamate le forze dell'ordine per
recuperare l'oggetto. In poco tempo sono arrivate sul posto tre volanti che
hanno messo al sicuro il reperto portandolo via in una speciale valigia. Una
scoperta particolare, che ha vivacizzato le discussioni del pranzo dei volontari
che dopo un buon piatto di gnocchi caldi, si sono spostati a Pian del Grisa,
dove è stato effettuato il repulisti da record con oltre 150 gomme. «Ne abbiamo
fatte diverse, di uscite ecologiche nel nostro amato Carso, ma questa giornata è
stata davvero epica per noi: raccogliere 165 copertoni di auto e camion oltre ad
una trentina di sacchi neri di spazzatura è stato un risultato davvero notevole,
che al tempo stesso fa riflettere sulla mancanza di senso civico da parte di
alcune persone», racconta Cristian Bencich, portavoce e cofondatore di Sos
Carso. Intanto la pagina Fb dell'associazione, apartitica e apolitica, ha
raggiunto grazie al suo encomiabile lavoro oltre 600 like in pochi mesi dalla
sua nascita. «Noi come volontari possiamo fare tanto ma chiaramente non tutto -
spiega Bencich - e per questo quando qualcuno va a passeggiare in Carso può
sempre riempire almeno un sacchetto. Certo, noi possiamo riempire un bidone o
anche due, ma per quanto riguarda i problemi grossi, vedi le ex discariche,
onestamente confidiamo che in un prossimo futuro chi di competenza possa
iniziare a fare qualcosa per rimediare». Il lavoro di Sos Carso rimane
assolutamente volontario. Anche se le donazioni di guanti da lavoro e sacchi
neri sono sempre ben accetti. «Entro l'anno vorremmo fare almeno ancora
un'operazione di pulizia. Abbiamo in mente alcune zone che ci sono state
segnalate da alcuni cittadini - conclude Bencich - e una di queste è quella di
Fernetti, sul sentiero vicino all'autoporto».
Riccardo Tosques
È polemica a San Dorligo sulla nuova raccolta rifiuti -
DOPO l'assemblea promossa dall'opposizione
SAN DORLIGO - «Sacchetti che si rompono», una «cattiva distribuzione dei
raccoglitori sul territorio», e ancora «scarsa considerazione per le richieste
della popolazione». Le acque sono sempre più agitate a San Dorligo della Valle
sul tema della raccolta rifiuti. In risposta alla conferenza stampa tenuta dal
sindaco, Sandy Klun, la scorsa settimana, nel corso della quale, assieme ai
tecnici della "A & T 2000", la società "in house" che da luglio si occupa del
servizio, il sindaco stesso aveva parlato di «dati confortanti nella raccolta
rifiuti», va registrata la polemica presa di posizione del gruppo "Uniti nelle
tradizioni" che in Consiglio comunale siede all'opposizione. I due
rappresentanti del movimento, il capogruppo Boris Gombac e il consigliere
Massimiliano Dazzi, hanno promosso e coordinato una pubblica assemblea che ha
visto una folta partecipazione di cittadini, arrabbiati per la qualità del
servizio, che hanno definito «scarsa», mentre Gombac e Dazzi hanno classificato
«deliranti le parole con le quali Klun si è magnificato del proprio operato,
vantando incredibili performance, basate solamente su previsioni». «Le lamentele
della popolazione - così Gombac e Dazzi - dicono di un andamento della raccolta
rifiuti molto peggiorato col nuovo gestore». I presenti hanno bocciato il
sistema dei sacchetti appesi, preoccupati per «le conseguenze igieniche, di
decoro e di degrado ambientale che tale soluzione comporta». L'assemblea si è
espressa per il ritorno ai bidoncini colorati, nei quali inserire i sacchetti
per le case unifamiliari, mentre per i condomini sono state proposte «isole
ecologiche riservate, con raccoglitori da 1100 litri con chiavi in cui conferire
i sacchetti». «Urgente» è stato definito il problema della raccolta del verde
vegetale proveniente dallo sfalcio. «Sono tanti i nostri concittadini anziani -
hanno ricordato Gombac e Dazzi - e non tutti automuniti. La richiesta, forte e
rimarcata, è di dotare tutte le frazioni di appositi cassonetti per la raccolta
del verde». Ribadita poi la necessità di «utilizzare sacchetti in plastica
biodegradabile» e di «rimodulare la frequenza della raccolta, in modo che
plastica e lattine siano prelevate settimanalmente».
Ugo Salvini
«Il rilancio passa dal recupero delle Noghere» - Il
neosegretario del Pd di Muggia Micor: «Turismo, welfare e lavoro i primi temi da
affrontare»
MUGGIA - Vigile urbano classe 1979, padre di due bambini, da sempre legato
al centrosinistra. Il consigliere comunale Massimiliano Micor è il nuovo
segretario del circolo muggesano del Pd. Micor, qual è lo stato di salute del
circolo? Il circolo è il motivo per cui questo partito può essere il punto di
riferimento per i muggesani che credono in determinati valori. I circoli sono la
parte sana del partito, che purtroppo a livello dirigenziale si è chiuso in se
stesso isolandosi dai militanti. Nel 2016 il Pd ha ottenuto a Muggia 1066 voti,
oltre 750 in meno rispetto al 2011. Vede continuità tra l'operato di Nesladek e
quello di Marzi?Gli scenari nei quali la Giunta attuale sta operando sono
profondamente diversi rispetto al passato. Chi ci ha preceduto ha posato dei
mattoni importanti per la costruzione della Muggia futura: adesso quest'opera
deve essere terminata, visto che il progetto finale è condiviso. Ci sono
prospettive di dialogo con l'opposizione? Abbiamo dimostrato che su alcuni temi
possiamo convergere, tutti vogliamo il bene comune. Difficilmente però potremo
trovarci in accordo quando si parla di unioni civili, Ius soli e diritto
all'accoglienza. Tema sicurezza. Aumentare le videocamere è la soluzione? Spesso
la percezione non corrisponde alla realtà, comunque credo che l'installazione di
telecamere non sia la panacea di tutti i mali. A questa si deve affiancare un
lavoro capillare di controllo del territorio. Alto Adriatico. Quale il futuro
del piazzale? Per ora è una risorsa sprecata. Vista la posizione in cui sorge e
visti i probabili futuri interventi su quell'arteria potrebbe diventare un'area
polifunzionale. La sua opinione sul nuovo regolamento dei velocipedi in centro
storico? Sono sempre stato scettico al riguardo, ma credo anche sia
controproducente ridurre tutto il dibattito all'ordinanza in sé. Penso si debba
calibrare le stessa in previsione di uno sviluppo del trasporto su bici
fondamentale sia in ottica turistica sia di trasporto pulito. Sul fronte rifiuti
dal 2018 partirà il "porta a porta". I muggesani sono pronti? Più si differenzia
più si ricicla, più si ricicla più i rifiuti possono diventare una risorsa. Per
raggiungere determinate percentuali di differenziazione si è scelta questa
strada, la più coraggiosa. Inizialmente ci saranno delle criticità, ma la
qualità dell'informazione sarà decisiva. I prossimi tre macro-temi che intende
promuovere a livello politico-amministrativo? Turismo: bisogna terminare i
lavori sulla costa e completare un percorso ciclabile che arrivi a Ospo.
Sociale: difesa delle classi più deboli, pietra miliare della nostra politica.
Lavoro: recupero dei terreni ex Ezit nella valle delle Noghere per mettere in
moto un'opportunità di sviluppo.
(r.t.)
IL PICCOLO - LUNEDI', 23 ottobre 2017
Nasce a San Dorligo una mail speciale per il "caso
odori"
La Seconda commissione del Consiglio comunale di San Dorligo competente in
materia di ambiente, che ha promosso il tavolo tecnico sulla "questione odori"
riconducibili alla vicinanza degli insediamenti industriali e portuali alle
case, ha istituito un indirizzo di posta elettronica «dedicato ai cittadini, al
quale indirizzare segnalazioni riguardanti criticità di carattere ambientale
pertinenti al territorio comunale di San Dorligo Della Valle - Dolina». Lo rende
noto con un comunicato Roberto Potocco , consigliere comunale in quota Pd e
presidente della stessa Seconda commissione Ambiente del Comune di San Dorligo,
che prossimamente - in scia ai primi confronti riservati ad addetti ai lavori,
istituzioni e rappresentanti delle aziende insediate sul territorio - convocherà
una nuova riunione del tavolo tecnico sulla "questione odori" aperta però, in
questo caso, alla cittadinanza.
IL PICCOLO - DOMENICA, 22 ottobre 2017
«Il vertice dell'Ente porto non ci informò
sull'amianto» - La testimonianza dell'ex sindacalista e dipendente dell'Eapt
Giuliano Veronese
Il collega: «Nessuna prescrizione». Il tecnico Laureni:
«L'amministrazione sapeva»
La testimonianza di Giuliano Veronese, già sindacalista della Cisl poi di
Unionquadri e funzionario dell'Ente autonomo del porto (Eapt), si è rivelata
molto importante nel giudizio civile che ha determinato la decisione sul
risarcimento per le morti causate dall'amianto. «Da parte della direzione
portuale - racconta Veronese, entrato giovanissimo in porto nel 1961 quando
aveva 19 anni - non c'è mai stata alcuna prescrizione che avvertisse i
lavoratori riguardo la pericolosità dell'amianto e che indicasse le misure da
assumere perlomeno per limitare il pericolo». Nella prima metà degli anni
Settanta Veronese era pesatore negli hangar di calata nel Porto nuovo, dove
veniva sbarcato l'amianto: «Era imballato in sacchi di carta, sacchi che
venivano sbarcati con le gru e successivamente spostati a mano dentro i
magazzini. Spesso i sacchi si aprivano, quindi il contatto o l'aspirazione
dell'asbesto erano altamente probabili». «Abbiamo saputo che il vertice portuale
era a conoscenza di questi livelli di pericolosità e abbiamo saputo di lettere
che furono scritte alle associazioni imprenditoriali - riprende Veronese - ma
queste informazioni non raggiunsero mai i lavoratori». Una ricostruzione che
coincide con i nitidi ricordi di Guido Ingrao, anch'egli "quadro"
dell'amministrazione portuale, con una lunga gavetta sulle banchine. Classe
1946, prime esperienze con ditte di spedizione, poi l'assunzione all'Eapt dove è
rimasto fino al 1998 «quando consegnai le chiavi del Molo VII agli olandesi di
Ect». Anche Ingrao era pesatore negli anni '70: «Mi pare che gli sbarchi di
amianto riguardassero gli hangar 51, 53, 62, 63. Probabilmente alcuni di questi
sono stati abbattuti. Sacchi di carta vulnerabili, "nuvole" di polvere quando
avveniva lo sbarco mediante gru fisse, che a loro volta montavano strutture in
asbesto ... In giro per i magazzini si potevano trovare partite residue di
minerale». E Ingrao conferma: «Nessuna prescrizione, nessuno sapeva. Perlomeno
noi lavoratori non sapevamo. Non ricordo alcun controllo medico specifico». Poi
il giovane pesatore salì di grado e venne assegnato ai traffici specializzati,
dove ebbe la responsabilità operativa del terminal container: «Ma lì non c'erano
problemi di amianto». Quando Veronese accenna a una lettera spedita dall'Eapt
alle associazioni d'impresa, fa riferimento a un documento la cui copia è in
possesso di Umberto Laureni, già manager dell'Asl e assessore all'Ambiente nella
giunta Cosolini. La missiva risaliva al febbraio 1978 ed era firmata dall'allora
direttore dell'Ufficio del lavoro portuale, Lorenzo Colautti: rappresentava il
frutto di una serie di riunioni e di scritti susseguitisi nell'autunno 1977.
L'oggetto della lettera, diretta ad armatori-agenti
marittimi-spedizionieri-industriali, era inequivocabile: "Manipolazione
dell'amianto nel porto di Trieste". La Compagnia portuale aveva chiesto all'Eapt
quali misure di sicurezza adottare «stante la ravvisata pericolosità» della
merce trattata. La «soluzione ottimale», secondo Colautti, consisteva in un
imballaggio consono: o palettizzazione con ricopertura plastica oppure impiego
del container. In questa maniera - scriveva Colautti - si sarebbero tutelati i
lavoratori e si sarebbe evitato l'inquinamento dell'aria circostante.In realtà
Colautti recepiva una prescrizione contenuta nella relazione del 7 dicembre 1977
preparata dal Servizio medicina del lavoro, che all'epoca era ancora una
struttura amministrativa comunale. Struttura di cui faceva parte il neo-assunto
ingegnere Umberto Laureni. «Non si può dire che l'amministrazione portuale non
sapesse - rammenta Laureni - perché i problemi posti dalla manipolazione
dell'amianto erano numerosi, dalle modalità meteo al vestiario, dalle
raccomandazioni di non fumare all'igiene personale. Chi doveva sapere sapeva,
perché noi avevamo provveduto ad avvisare».
Massimo Greco
Mobilità sostenibile energeticamente
Domani alle 10.45, all’Università in Sala Cammarata (piazzale Europa 1), verrà dato il via ai lavori del progetto Muse “Collaborazione transfrontaliera per la mobilità universitaria sostenibile energeticamente efficiente”.
IL PICCOLO - SABATO, 21 ottobre 2017
Amianto killer in banchina - In arrivo altre due
sentenze - In ballo richieste per un milione dopo i 645mila euro riconosciuti
nel ricorso pilota
L'Autorità portuale rischia altri due maxirisarcimenti per decessi da
amianto nell'arco di un paio di mesi. Il caso di Gino Gruber, l'ex dipendente
della Compagnia portuale Terra morto nel 2015 per mesotelioma, non è l'unico:
l'Authority, in questi giorni condannata in primo grado dal giudice del lavoro
del Tribunale di Trieste a pagare 645mila euro, potrebbe presto incappare,
dunque, in una doppia sentenza milionaria, attesa tra novembre e dicembre. I
fascicoli in mano ai magistrati riguardano, in particolare, due ex operatori in
sevizio all'allora Ente porto: assunti tra la fine degli anni Sessanta e
l'inizio degli anni Settanta, andati in pensione attorno al '90 e morti
recentemente proprio a causa della continua esposizione al pericoloso materiale,
avvenuta sulle banchine dello scalo durante le operazioni di scarico dei sacchi.
In quell'epoca il traffico navale, per questo tipo di merce, abbondava: a
Trieste, tra gli anni Sessanta e Novanta, erano approdate circa 600mila
tonnellate di amianto. Quando le gru imbragavano la merce, una parte andava
distrutta: i sacchi erano di carta. La polvere, così, si liberava nell'aria,
depositandosi nei magazzini e sul resto degli stoccaggi. E veniva respirata,
inevitabilmente, con rischi devastanti per l'organismo: d'altronde ogni grammo
di amianto, come emerso nei processi, conteneva ben 10 milioni di fibre. E i
portuali, ignari, lavoravano senza alcuna misura di sicurezza. Le altre due
famiglie che hanno ingaggiato la loro battaglia contro l'Authority sono difese
dall'avvocato Fulvio Vida, analogamente ai parenti di Gruber. Il legale è da
anni uno specialista in questo genere di controversie. Se l'esito processuale
dovesse concludersi a favore delle parti lese, l'Autorità portuale si troverebbe
a saldare una cifra attorno al milione di euro. Circa 500mila euro per una delle
due vittime, e 500mila per l'altra. Due casi, questi, che rientrano nelle
tragiche statistiche sui decessi da amianto. L'ultimo report di giugno, che ha
tenuto conto sia della provincia di Trieste che di quella di Gorizia, parlava di
273 vittime certificate. 196 nell'Isontino e 77 nel capoluogo giuliano. Ma
ulteriori accertamenti ancora in corso su altre persone scomparse potrebbero far
schizzare il dato a quota 380. Numero destinato a gonfiarsi ulteriormente,
stando ai timori degli esperti, visto che l'incubazione della patologia ha un
periodo trentennale. Non a caso i decessi avvenuti in tempi più recenti
riguardano operatori che avevano svolto la propria attività professionale, per
l'appunto, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Novanta. Si
stima peraltro che in quell'epoca sarebbero stati almeno duemila i portuali
impiegati nelle operazioni di carico e scarico dalle navi e dai treni. Ora la
sentenza sulla vicenda di Gino Gruber crea di fatto un precedente giudiziario di
non poco conto: per Trieste si è trattato del primo maxirisarcimento per un
lavoratore di una compagnia portuale. Il provvedimento del Tribunale ha infatti
accertato la responsabilità diretta sulla salute delle persone dell'allora Ente
porto. La compagnia non era una società esterna, ma incarnata nelle struttura
logistica. Forniva manodopera in quantità per il lavoro sulle banchine. Nessuno
dei manovali sapeva a cosa andava incontro. E chi sapeva, ai piani alti, non ha
fatto nulla.
Gianpaolo Sarti
L'intervista - «Negli uffici dell'Ente non se ne
parlava mai»
Ha vissuto con l'incubo dell'amianto per tutta la vita. Prima con la morte
del padre, un ex artigiano specializzato negli impianti sanitari e di
riscaldamento. Poi, più o meno consapevolmente, con il suo impiego in porto tra
gli anni Settanta e Novanta. Gianmarco Misigoi, 65 anni, non era solo un
gruista, a diretto contratto con chi si occupava delle operazioni di carico e
scarico merci sulle banchine, ma ha fatto carriera anche come funzionario. «In
amministrazione, in quegli anni, non ho mai sentito parlare di amianto»,
afferma. «Io, almeno, non ne ho avuto la percezione. Anche se il pericolo era
ormai noto. I giornali ne scrivevano». Esattamente in quale periodo ha lavorato
per l'Ente porto?Io sono stato assunto nel 1977. Ho lavorato come gruista fino
al 1982, in quel periodo mi sono trovato diverse volte nelle banchine dove si
sbarcava l'amianto. Successivamente ho fatto la carriera amministrativa. Come
funzionario mi sono occupato dei contenziosi e del piano regolatore, mai di
questioni connesse all'amianto. Cosa ricorda di quando faceva il gruista?Ricordo
innanzitutto che un anno dopo la mia assunzione è morto mio padre, a 49 anni.
Aveva un tumore al polmone. Una cosa fulminante, se n'è andato in tre mesi. Era
un artigiano, un libero professionista specializzato negli impianti sanitari e
di riscaldamento. Maneggiava amianto: perché le isolazioni dei tubi,
specialmente nei locali caldaia, contenevano quel materiale. I medici dicevano
che la causa della morte poteva essere l'esposizione all'amianto. «Ma come?», mi
sono detto io, «è roba che maneggiamo in porto». Come veniva maneggiato?Era in
sacchi di carta che si rompevano spesso durante le operazioni di scarico con le
gru. La polvere andava dappertutto come nebbia. Io che lavoravo a 15-20 metri di
altezza vedevo bene tutto. Nessun portuale era dotato di misure di sicurezza. Ma
lei che poi ha fatto il funzionario, sa forse se negli ambienti amministrativi
si discuteva del problema?La pericolosità era nota, anche perché iniziavano i
primi casi e si leggeva di cosa succedeva sui giornali. Ma non ho avuto la
percezione che negli uffici dell'Ente porto se ne discutesse seriamente. Si è
mai occupato della sua salute?Certo, faccio periodicamente delle radiologie.
Finora non mi è stata riscontrata alcuna placca.
(g.s.)
Gli ex portuali fra ricordi e ansia - «Fibre ovunque se
soffiava bora»
Pende come "una spada di Damocle", che potrebbe scendere da un momento
all'altro. «Certo, non ci pensi ogni venti minuti, soprattutto se non hai
sintomi, altrimenti non vivi più, ma comunque è inevitabile che ti venga in
mente». Va così la vita di Rosario Gallitelli, 59 anni. Ha lavorato per l'Ente
porto dal 1979 al 2010, e qualche anno prima in una cooperativa, presente anche
come sindacalista. La paura che il tempo trascorso a contatto con l'amianto gli
possa provocare un mesotelioma, sì, ce l'ha anche lui. Non fa distinzione tra
chi era direttamente al servizio dell'Ente porto e chi invece faceva parte delle
varie Cooperative portuali, dove - in quest'ultimo caso - i soci lavoratori
erano impiegati sull'imbarco o allo sbarco e maneggiavano l'asbesto. Anche se i
primi non toccavano direttamente con mano l'amianto, incorrevano nel rischio di
inalarlo lo stesso. «Bora, la movimentazione in generale...in qualche modo vi si
veniva a contatto - spiega Gallitelli -. Un sacco rotto da 25 chili ad esempio,
in mezzo al piazzale: con un po' di bora il materiale volava dappertutto, si
sono trovate tracce di asbesto nei magazzini dopo dieci anni. Chi era nelle
Compagnie era più esposto, ma lo erano anche i commessi, i gruisti, i pesatori,
questi ultimi ad esempio contavano i sacchi ed erano sotto la virata, bastava
l'inalazione delle fibre di amianto, che coinvolgevano tutto il porto. Gli
operatori della Compagnia prendevano in mano i sacchi - conclude -, magari gli
altri erano a due metri da loro. Soci e lavoratori dell'ente erano tutti sulla
"stessa barca", per usare un eufemismo». Lui ha fatto il gruista e poi il
polivalente, un operativo, «ero comunque coinvolto». Di persone perite per
amianto, tra amici e colleghi, personalmente Gallitelli ne ha conosciute una
decina, soprattutto della Compagnia ma anche dell'Ente. Il decennio '70-'80 è il
periodo in cui c'è stato il maggior numero di scarichi, sottolineano alcuni, che
hanno visto imbarchi e sbarchi quotidiani di questo composto. «Ho ancora le
agendine dove mi segnavo su che nave e in che giorno lavoravo, e la materia che
sbarcavamo o imbarcavamo, perché c'erano tariffe diverse e serviva per
controllare se era stato rispettato il compito», ricorda un altro lavoratore
impiegato nella Compagnia, Luciano del Rosso, 70 anni, in porto dal settembre
del '70 al maggio del '94. «Sulle pagine di questo diario quindi - continua - ho
anche scritto tante volte "asbesto", così come tanti altri miei coetanei. Ci
sono le prove». Motivo per cui «tanti colleghi sono morti o comunque sono
affetti da mesotelioma - aggiunge Gallitelli -, ma non è una novità, perché lo
sappiamo che l'amianto arrivava alla rinfusa, non c'era alcuna protezione, ora
l'unico elemento di novità è che c'è un risarcimento. Finora abbiamo avuto
sentenze che riconoscono l'esposizione dei portuali per tutti coloro che sono
andati in pensione dopo il '92. Ciò però rappresenta un elemento di questo
contenzioso, perché si cerca di far valere questo diritto anche per chi è stato
esposto prima del '92». Del Rosso apparteneva alla sezione di bordo,
«preparavamo i sacchi». Motivo per cui si è iscritto subito al registro esposti
all'amianto, quando è nata l'iniziativa attorno al 2005. «Noi tutti eravamo
soggetti all'amianto. Ricordo le nuvole che uscivano dai contenitori quando si
rompevano. Oggi i miei colleghi e io sappiamo di questo stillicidio, per non
dire morìa, che forse è una parola davvero brutta». L'iscrizione comporta visite
periodiche che però, avverte del Rosso, avvengono molto di rado, «perché per
chiamare tutte le persone, c'è molto tempo d'attesa, io ho aspettato cinque anni
tra una visita e l'altra, per fortuna sono risultato sempre negativo».
Nonostante questo «si vive un po' con l'ansia». Tanto che «dei miei colleghi -
racconta - non hanno nemmeno risposto al richiamo dell'Azienda sanitaria, invece
secondo me bisogna prendere coraggio e fare i controlli sempre più spesso». Gli
esami consistono nei raggi e nella spirometria. «La cosa positiva è che con
questo tesserino ricevuto dopo l'iscrizione abbiamo l'esenzione dei costi dei
raggi per determinate aree del corpo, ma questi esami normali non vanno così in
profondità come le altre due prove». Del Rosso, ricorda, per fortuna si faceva
la doccia al lavoro, ma «portavo la tuta a casa per lavarla, così anche mia
moglie ha fatto comunque degli esami, sempre negativi». Se nei primi tempi non
si faceva nulla, dopo aver compreso la gravità dell'esposizione all'amianto, «si
lavorava con un certa tutela, con mascherine bianche. Ci davano da bere anche
del latte, dicevano che faceva bene...».
Benedetta Moro
San Dorligo - Odori oltre i limiti di legge - Il tavolo
si apre ai cittadini
SAN DORLIGO DELLA VALLE - È ben oltre i limiti di legge, in misura superiore
al 2%, l'inquinamento da odore nel territorio comunale di San Dorligo della
Valle. È questo il preoccupante dato emerso nel corso della prima riunione
ufficiale sul "caso odori" in scia al tavolo tecnico organizzato dal Comune
guidato dal sindaco Sandy Klun e promosso dalla Commissione consiliare per
l'Ambiente, presieduta da Roberto Potocco. All'invito dell'amministrazione hanno
aderito, fra gli altri, Alessio Tilli, direttore generale della Tal Oil Siot,
Andrea Soldan, manager della Wärtsilä, Eric Marcone, dirigente dell'Autorità
portuale, Maria Grazia Fornasiero, responsabile del Dipartimento di Trieste
dell'Arpa, Lucio Petronio, dell'Azienda sanitaria universitaria integrata,
nonché numerosi consiglieri comunali. «Un consesso ampio e qualificato - ha
spiegato Potocco - perché il problema è grave, sussiste da tempo, da più di
dieci anni per essere precisi, e, davanti alle proteste della cittadinanza, è
ferma intenzione dell'amministrazione fare tutto ciò che è nelle proprie
possibilità per contenere e ridurre il fenomeno». Il dato dell'inquinamento da
odore è stato definito dai rappresentanti dell'Arpa che, nei primi mesi di
quest'anno, ha effettuato le rilevazioni, coinvolgendo i residenti. Esiste
dunque un disagio olfattivo conclamato a San Dorligo della Valle «perché,
seguendo le linee guida predisposte dalla regione Lombardia - ha spiegato
Alessandra Pillon dell'Arpa - e adottate in tutta Italia, il limite del
parametro che lo configura è fissato al 2% e in questo Comune siamo ben al di
sopra». Luciano Agapito, dirigente della Regione, ha ribadito a questo proposito
che «anche in Friuli Venezia Giulia vigono le regole applicate dalla Regione
Lombardia». Le sorgenti della "molestia" sono molto probabilmente individuabili
nell'ambito delle attività produttive delle aziende che operano nel territorio.
A conferma della generale situazione di disagio per le persone residenti, Lilli
ha confermato che «il problema dei disturbi olfattivi è recepito anche
all'interno della Siot da parte dei dipendenti», ricordando che negli ultimi 10
anni, comunque, l'azienda «ha investito più di un milione e 600mila euro per la
mitigazione degli odori, affidando anche uno specifico studio alla locale
Università». Il direttore della Siot ha infine precisato che «talvolta le
segnalazioni riguardano emissioni che non provengono dalla Siot» stessa. Un
altro tema toccato è stato quello che riguarda la qualità del greggio trattato
dalla Siot, ma su questo Lilli ha sottolineato che «l'azienda non ha possibilità
di scegliere il greggio». Soldan ha invece osservato che «l'impatto della
Wärtsilä sull'ambiente, per quanto concerne gli odori, è trascurabile». Potocco,
a fine seduta, ha annunciato che «a breve sarà nuovamente convocato il tavolo
tecnico, stavolta alla presenza dei cittadini, che così potranno dire la loro».
LA REPUBBLICA.it - VENERDI', 20 ottobre 2017
Nove milioni di morti l'anno: l'inquinamento uccide 15 volte più delle guerre
Un sesto dei decessi mondiali causati dallo smog: tre volte più dell’effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria e 15 volte più di tutti conflitti armati e delle altre forme di violenza. I numeri vengono dal rapporto della Lancet Commission on Pollution & Health - L'inquinamento atmosferico causa mezzo milione di morti l'anno in Europa
ROMA - L'inquinamento è diventato la più grave minaccia per la salute. Nel 2015 ha causato 9 milioni di morti, un sesto del totale. E' tre volte più dell'effetto combinato di Aids, tubercolosi e malaria; 15 volte più di tutte le guerre e delle altre forme di violenza. I numeri vengono dal rapporto preparato dalla Lancet Commission on Pollution & Health firmato dalla Global Alliance on Health and Pollution e dell'Icahn School of Medicine del Monte Sinai (New York). Un prezzo molto alto non solo in termini di vite umane, ma anche dal punto di vista economico: le malattie legate all'inquinamento nei Paesi a reddito medio e basso si traducono in una riduzione annua del Pil che può arrivare al 2% e nei Paesi a reddito alto in un aggravio della spesa sanitaria dell'1,7%. Mentre le perdite di benessere derivanti dall'inquinamento sono stimate in 4,6 trilioni di dollari all'anno: il 6,2% della produzione economica mondiale. Tra i principali responsabili di questo quadro sanitario, anche per il legame sempre più stretto tra inquinamento e cambiamento climatico, figurano i combustibili fossili: il loro uso, sommato alla combustione della biomassa nei paesi a basso reddito, produce l'85% del particolato e una quota rilevante di altri inquinanti atmosferici. A fronte di questi dati allarmanti ci sono i vantaggi registrati grazie alle leggi di salvaguardia ambientale. I miglioramenti della qualità dell'aria negli Stati Uniti - testimonia lo studio - non solo hanno ridotto i decessi da malattie cardiovascolari e respiratorie, ma hanno anche prodotto 30 dollari di benefici per ogni dollaro investito dal 1970. In assenza di interventi efficaci, al 2050 l'aggravarsi del caos climatico sommato alla progressiva urbanizzazione provocherà però un aumento del 50% dell'inquinamento. "Possiamo evitarlo perché ci sono strategie ben testate e a basso costo che permettono di mantenere l'inquinamento sotto controllo: dobbiamo smettere di avvelenare noi stessi", commenta il copresidente della Commissione, Richard Fuller. "In particolare bisogna regolamentare l'uso di alcune sostanze chimiche particolarmente dannose, come i metalli pesanti e i distruttori endocrini che danneggiano l'apparato riproduttivo e il sistema neurologico. Purtroppo in Europa i progressi in questo campo vengono rallentati dall'azione delle lobby dei settori industriali coinvolti", aggiunge Roberto Bertollini, l'unico italiano presente nella Commissione.
ANTONIO CIANCIULLO
IL PICCOLO - VENERDI', 20 ottobre 2017
Amianto killer in Porto - Primo maxirisarcimento -
Authority condannata a versare 645mila euro ai familiari di un operaio
L'uomo morì di mesotelioma dopo aver lavorato per 32 anni per una coop
L'Autorità portuale di Trieste è stata condannata a sborsare 645 mila euro
per risarcire la famiglia di una vittima di amianto: Gino Gruber, nato nel '44 e
morto nel 2015 a 71 anni per mesotelioma. Lo ha stabilito il Giudice del lavoro
del Tribunale di Trieste, che ha pronunciato una sentenza storica, destinata a
fare giurisprudenza. Per la prima volta nel capoluogo giuliano e la seconda in
Italia (l'unico precedente riguarda Venezia), viene accertata infatti la
responsabilità dell'allora Ente porto su un ex dipendente di una compagnia
portuale. Finora era accaduto soltanto per chi in passato era stato al servizio
diretto dell'Authority. Stando alle stime, il caso potrebbe fare ora da
apripista per almeno un centinaio di vicende analoghe, vale a dire persone
colpite dalla stessa patologia. E per chissà quante altre in futuro.
L'incubazione, come noto, ha un periodo di almeno trent'anni. Infatti il caso su
cui si è appena espresso in primo grado il Tribunale di Trieste risale a
parecchio tempo fa, tra il '60 e il '92, quando Gruber era socio-lavoratore
della Compagnia portuale Terra, una cooperativa che forniva allo scalo
manodopera in appalto. Circostanza vietata dalle norme del codice di
navigazione, ma su cui vigeva una deroga. Lui, come circa altri 2mila colleghi
ignari della pericolosità dell'amianto, si occupava dello scarico del materiale
delle navi provenienti dal Sudafrica. Dagli anni Sessanta fino al '92 a Trieste
sono approdate 600 mila tonnellate di amianto, usato soprattutto come isolamento
nell'edilizia e nella cantieristica. Ogni grammo contiene 10 milioni di fibre.
Tutto veniva maneggiato senza protezione alcuna. Niente maschere, niente tute
speciali. Il materiale di solito era contenuto in sacchi di carta da 25 kg
ciascuno che si rompevano frequentemente. D'altronde il trasporto dalle
imbarcazioni alle banchine avveniva con le gru che imbragavano la merce a
piramide, per poi essere smistata a bordo dei treni o negli hangar. I racconti
su cosa succedeva durante le operazioni hanno nutrito una folta letteratura
giudiziaria: la polvere che fuoriusciva dagli imballaggi luccicava nell'aria,
come neve a Natale. La respiravano tutti. L'inquinamento si riversava su
qualsiasi altro prodotto accatastato nei magazzini. La polvere si puliva con la
scopa, gli abiti con una spruzzata di aria compressa. Le fibre giravano ovunque.
Ma l'amianto non era considerato pericoloso dai tabellari Inail, anche se una
lettera del 6 febbraio del '78 (protocollo 1238) firmata dall'allora direttore
dell'ufficio del lavoro portuale, Lorenzo Colautti, avvisava l'Associazione
industriali, l'Unione spedizionieri internazionali, l'Unione agenti marittimi,
l'Associazione armatori, la Camera di commercio e l'Ufficio di sanità marittima,
della «ravvisata pericolosità che la manipolazione di detta merce poteva
rappresentare». Visto che, si legge oggi nel testo, «le fibre possono
determinare, per inalazione, gravissime malattie polmonari individuabili, oltre
che nell'asbestosi, nei tumori e soprattutto nei mesoteliomi della pleura». La
lettera del direttore suggeriva quindi l'uso di imballi adeguati, con la
copertura di plastica e l'impiego di container. Ma i lavoratori delle compagnie
erano stati adeguatamente informati? E le misure di sicurezza? Nulle. I rischi,
come visto, sono già noti quella volta. Ma ai portuali viene fatto bere il
latte. Gino Gruber inizia ad ammalarsi nel 2013, per un'attività in cui è stato
impegnato fino a una ventina d'anni prima. Muore nel 2015. Agli eredi legittimi,
cioè la moglie vedova, le due figlie e le due nipoti, la magistratura ha
riconosciuto un risarcimento di 645.090,99 euro. Gli altri ex dipendenti non si
sono finora fatti avanti per chiedere giustizia perché la società, negli anni, è
andata in liquidazione. Contro chi potevano rivalersi? Ma adesso la sentenza ha
sparigliato le carte: grazie anche alla testimonianza di un ex dirigente della
Cisl, Giuliano Veronese, il Tribunale ha accertato la responsabilità passiva
dell'Ente porto (attuale Autorità portuale) per malattia professionale e morte
di un socio lavoratore di una compagnia. «Il pronunciamento - osserva l'avvocato
della famiglia, Fulvio Vida - è basilare perché tutela le legittime aspettative
dei partenti della persona deceduta». Il provvedimento potrebbe innescare
effetti a catena.
Gianpaolo Sarti
A San Dorligo "vola" la differenziata - Balzo del 10%
dopo l'introduzione del nuovo sistema di raccolta porta a porta
SAN DORLIGO - Un aumento del 10% nella differenziata passata, da luglio a
settembre, dal 57 al 67%, soglia superiore a quella minima prevista per legge,
fissata a 65. Un drastico calo nella produzione di rifiuti non riciclabili,
quelli destinati all'inceneritore, passati da una media di 135 kg all'anno per
abitante a 63. Un risultato quest'ultimo che permetterà di sottrarre, ogni anno,
circa 420 tonnellate di rifiuti allo smaltimento. Sono confortanti i dati
relativi al servizio di raccolta rifiuti a San Dorligo, riferiti dal sindaco
Sandy Klun, che ha voluto tracciare un primo bilancio, dopo l'introduzione, da
luglio, del nuovo sistema di raccolta "porta a porta controllato", promosso
dalla società pubblica partecipata "A & T 2000 spa". «Avevamo già un buona
gestione della raccolta rifiuti nel nostro territorio - ha commentato Klun - ma
dopo l'arrivo della "A & T 2000 spa", le performance sono ulteriormente
migliorate. Siamo stati i primi, nell'ambito della nostra provincia a utilizzare
il sistema del "porta a porta!, che si sta rivelando molto efficace. Colgo
l'occasione - ha sottolineato - per confermare che non trascuriamo chi protesta
utilizzando il numero verde e che ascoltiamo tutti, perché anche le critiche
possono contribuire a perfezionare ulteriormente il servizio. È migliorata anche
la raccolta in occasione delle sagre paesane - ha continuato Klun - che nel
nostro Comune sono piuttosto frequenti. Ritengo fondamentale la collaborazione
della popolazione, che ha correttamente recepito le nuove regole, dopo le
iniziali perplessità, causate dalle novità». Nel corso dell'incontro i
rappresentanti della "A & T 2000 spa" hanno anche fatto osservare che ci sono
stati evidenti miglioramenti nel dettaglio della differenziata. «Le analisi
effettuate sugli imballaggi in plastica e sulle lattine indicano uno scarto del
14,1 per cento, il che significa che, su cento chili di rifiuti di questa
tipologia, l'85,9 per cento è immediatamente riciclabile. Lo scarto scende all'1
per cento nell'organico umido mentre nel vetro si scende ulteriormente
addirittura a meno dell'1 per cento».
(u.s.)
Rigassificatore a Veglia, nuovi dubbi - Opposizione
della Regione croata a un impianto offshore. Il governatore: «Progetto
stravolto, danno per il turismo»
FIUME - Sempre più lastricata di problemi la strada che porta al
rigassificatore offshore di Castelmuschio (Omisalj), nell'isola quarnerina di
Veglia. Ad appoggiare il "no" all'impianto galleggiante da parte della
municipalità di Castelmuschio è stata anche la Regione del Quarnero e Gorski
kotar. Nella recente seduta del suo parlamentino è stata ribadita la contrarietà
al terminal offshore, giacché si tratterebbe di un progetto completamente
diverso rispetto al piano iniziale. «Si è sempre parlato di rigassificatore
sulla terraferma, nei pressi della località di Castelmuschio - ha osservato il
governatore Zlatko Komadina - un impianto per così dire "incassato", che non
avrebbe costituito un pugno all'occhio della popolazione locale e dei numerosi
turisti che vengono a trascorrere le vacanze sull'isola di Veglia. Invece da
Zagabria è arrivata mesi fa la notizia che si è deciso di dare la precedenza al
rigassificatore in mare, una nave gigante lunga 300 metri, larga 100 e alta come
un grattacielo di 17 piani. Un mostro, mi si consenta il termine, anche molto
rumoroso e turisticamente non accettabile. Per tacere della questione del
raffreddamento delle acque di mare, trattamento necessario al funzionamento
dell'impianto». Stando a Komadina ci sono anche altri aspetti che alla Contea
litoraneo-montana non piacciono affatto. La sede dell'impresa che dirigerà
l'impianto, infatti, sarà dislocata a Zagabria e non invece a Fiume o in seconda
battuta a Veglia città. E dunque «ci sentiamo ingannati perché le entrate
relative alle tasse sui ricavi e sulle entrate finiranno nelle casse comunali
zagabresi, mentre noi ci terremo i rischi ambientali. Non vogliamo - ha aggiunto
Komadina - si ripeta il caso del Gorski kotar, con questa regione attraversata
da centinaia di chilometri di gasdotto e altre tubature di proprietà ma senza
alcun guadagno degno di nota. Anzi, il Gorski kotar si vede puntualmente
obbligato a chiedere l'elemosina a Zagabria per andare avanti. La stessa sorte è
stata riservata al Quarnero che però non ci sta». Anche il vice governatore
della Regione, Marko Boras Mandic, è stato chiaro: «Noi non ci opponiamo al
progetto di partenza, quel rigassificatore sulla terraferma che garantirebbe
l'avvio di centinaia di posti di lavoro ed entrate non indifferenti per le
autonomie locali. Il terminal offshore è invece poca cosa per Castelmuschio e la
sua contea, in pratica poche migliaia di euro all'anno e una decina di occupati
in più. Appoggiamo insomma le istanze del comune di Castelmuschio e le riteniamo
giuste. Zagabria non può ignorare la nostra opposizione». A reagire è stata
l'azienda statale Lng Croazia, alla quale è stata affidata la realizzazione del
rigassificatore galleggiante, da posizionare nelle acque poco al largo di
Castelmuschio. In un comunicato si spiega che l'interesse dei fruitori
d'oltreconfine per l'impianto sulla terraferma è scarso e per questo motivo è
stato deciso di puntare sull'offshore. «Sarà in funzione dal 2019 al 2029,
mentre tre anni prima - così nel comunicato - partirà la costruzione del
rigassificatore in mare, da attivare nel 2029». Intanto però i vertici del
comune di Castelmuschio hanno ribadito ufficialmente l'opposizione al progetto
bis. Anzi, la sindaca Mirela Ahmetovic ha fatto sapere che la municipalità è
pronta a pagare dal suo bilancio affinché lo Stato croato rinunci alla
mega-nave.
Andrea Marsanich
IL PICCOLO - GIOVEDI', 19 ottobre 2017
Sottopassi nel degrado - Piano da 200mila euro per rimetterli in sesto
Manutenzione straordinaria fra Barcola, Sant’Anna e Valmaura - Quello della stazione rientrerà nel restyling di piazza Libertà
Trieste non è una città di sottopassi. Quelli esistenti si contano sulle dita di una mano. Tuttavia versano quasi tutti in condizioni pietose. Di un piano di manutenzione straordinaria si era parlato a lungo durante la giunta di Roberto Cosolini con l'assessore Andrea Dapretto. Ma non se ne è fatto nulla per il famigerato Patto di stabilità. Ora, a oltre un anno dall'insediamento della terza giunta Dipiazza, è stato approvato un accordo quadro per la manutenzione straordinaria dei sottopassaggi pedonali per un ammontare di spesa pari a 200mila euro. Nella lista ci sono i sottopassi di via Dell'Istria (zona cimitero di Sant'Anna), di via Miani e via Mafalda di Savoia (zona PalaTrieste) e di Barcola (piazzale 11 Settembre). Non c'è il sottopasso più famoso e più usato, quello della Stazione centrale, che, molto probabilmente, sarà compreso nei previsti lavori di riordino di piazza Libertà (in agenda nel 2018 con una spesa complessiva di quattro milioni di euro). L'iniziativa è prevista nel programma triennale delle opere pubbliche 2017-2016. Il cronoprogramma dei pagamenti per l'opera prevede due rate: 100mila euro nel 2018 e 100mila nel 2019. È previsto l'affidamento in appalto a un'unica impresa per 365 giorni di lavoro continuativi. L'intervento di manutenzione sui tre sottopassi, si legge nella delibera, si pone l'obiettivo «di renderli sicuri e accessibili a tutti i cittadini» oltre a eliminare lo stato di degrado in cui versano da anni. Quasi tutti i sottopassaggi stradali sono deturpati da graffiti. Verrà effettuata l'idropulizia delle parti lapidee, con la rimozione dei graffiti e il trattamento delle superfici con vernici "antiscritte" (sperando che siano efficaci). La manutenzione straordinaria contempla inoltre il rifacimento della pavimentazione, inclusi i gradini delle scale, il risanamento degli intonaci con tinteggiatura finale, la realizzazione, la sostituzione e la riparazione di cancelli, parapetti, inferriate, serramenti in ferro o alluminio. Saranno rifatti contestualmente gli impianti elettrici e gli impianti di illuminazione e di emergenza per la sicurezza, con le relative telecamere. È previsto anche il rifacimento delle opere di fognatura con revisione o sostituzione delle tubature con espurgo dei pozzetti per evitare problemi di allagamento. Il sottopasso di Barcola, in viale Miramare, è soggetto spesso ad allagamenti. Un problema causato anche dalle pompe, pur sostituite alcuni anni fa, che spesso si bloccano per la presenza di acqua marina. Quello di Barcola è il sottopasso che versa nelle peggiori condizioni. Più volte è stato segnalato all'amministrazione dalla Terza Circoscrizione. Dei tre, il sottopassaggio pedonale più frequentato è quello di via dell'Istria che collega la fermata dell'autobus al cimitero di Sant'Anna. Non si contano le segnalazioni sulle scale sdrucciolevoli e sulle barriere architettoniche che lo rendono inaccessibile ai disabili. A inizio anno è stata anche presentata una mozione da parte del Movimento 5 Stelle che impegnava il presidente della Settima circoscrizione «ad attivarsi presso l'assessore competente affinché il sottopassaggio sia reso sicuro ed accessibile a tutta la popolazione». Nel piano di manutenzione straordinaria non si fa cenno però alle barriere architettoniche.
Fabio Dorigo
A Longera rispunta il parcheggio dimenticato -
Approvato dall'amministrazione il progetto esecutivo per 11 posti con un
investimento da 50mila euro
A volte ritornano. Nel fiume carsico delle opere pubbliche è rispuntato il
parcheggio di Longera. Stava nel piano triennale delle opere del 2010 (seconda
giunta di Roberto Dipiazza) come una delle priorità rionali chiesta e ottenuta
dalla Sesta circoscrizione (San Giovanni e Chiadino-Rozzol). Poi è scomparso
fino e riemergere nel piano triennale 2014-2016 messo a punto
dall'amministrazione Cosolini. E il 20 settembre scorso la terza giunta Dipiazza
ha approvato il progetto definitivo ed esecutivo del parcheggio, con una spesa
complessiva pari a 50 mila euro. Sarà realizzato a monte dell'abitato di Longera
di Sopra poco oltre l'attraversamento del torrente Farneto con accesso da una
stradina poderale di collegamento con la via Marchesetti. Non sarà necessario
procedere ad alcun esproprio visto che l'area di intervento è di proprietà del
Comune di Trieste. «Si prevedono di realizzare 11 stalli per autoveicoli a
pettine di cui uno per guidatori con disabilità», si legge nel progetto. I
lavori prevedono lo sbancamento dell'area adiacente alla stradina di
collegamento tra Longera e via Marchesetti per circa un metro con riprofilatura
del versante a monte del parcheggio che sarà risistemato a verde con la
«piantumazione di specie arbustive di media taglia e ornamentali» quali il
biancospino e cotinus coggirya ("sommacco") come espressamente richiesto dalla
Commissione paesaggistica. Non c'è stato bisogno di una relazione idrogeologica.
Le acque di pioggia verranno smaltite come avviene oggi, scivolando liberamente
per l'intera area lasciata a verde e finendo nell'alveo del vicino torrente
Farneto. L'intervento, infatti, non prevede la realizzazione di alcuna struttura
di sostegno e neppure la realizzazione di reti di smaltimento delle acque
piovane. Dopo l'approvazione del progetto esecutivo si potrà partire con la
procedura di gara alla quale saranno invitate almeno 10 imprese. Il contratto
stabilisce il termine di 90 giorni per l'ultimazione dei lavori. Il
cronoprogramma dei pagamenti prevede la liquidazione dei 50mila euro entro
quest'anno essendo l'opera inserita nel piano triennale opere 2014-2016. E così,
dopo sette anni di attesa, Longera potrà avere un suo parcheggio pubblico.
(fa.do.)
Piano Paesaggistico - Forum architetti Fvg
L'Ordine degli Architetti ha avviato ieri il suo forum sul Piano paesaggistico regionale: ha coinvolto i 2.500 architetti del Fvg per l'avvio di gruppi di lavoro per produrre documenti di osservazioni.
FERRIERA - Citazione ad aprile per Siderurgica
Triestina
La Procura di Trieste ha citato in giudizio, per l’ 11 aprile,
responsabili e dirigenti di Siderurgica Triestina.
Fra le persone citate in giudizio - riferisce il senatore Lorenzo Battista (Articolo 1 - Mdp) - ci sono Giovanni Arvedi, Francesco Rosato, Andrea Landini, Umberto Fachinetti e Daniele Agapito. Le ipotesi di reato - rende noto Battista che ha presentato un'interrogazione pubblicata ieri sul sito del Senato - riguardano violazioni edilizie e ambientali in relazione alla realizzazione di un capannone per il nuovo laminatoio. L’Ufficio stampa di Siderurgica Triestina comunica che «l’evento citato fa riferimento unicamente alla tempistica di avvio delle opere preliminari e preparatorie riferite alla costruzione del laminatoio, per il quale sono state ottenute tutte le previste autorizzazioni. L’oggetto della contestazione è pertanto limitato e circoscritto e concerne esclusivamente i tempi di inizio delle opere propedeutiche alla costruzione del capannone. Per questo si è comunque provveduto all’opportuna regolarizzazione. È una fase che viene vissuta con assoluta serenità».
La rivolta contro i soffiatori «Alzano polveri e
rifiuti» - I cittadini lamentano l'uso disinvolto dello strumento per la pulizia
delle strade
Sotto accusa anche il rumore eccessivo e la mancata raccolta dei cumuli
di foglie
Scatta a Trieste la rivolta contro i "soffiatori". I cittadini criticano lo
strumento utilizzato dagli addetti alla pulizia delle strade che, a loro parere,
non farebbe altro che sollevare nuvoloni di robaccia: polvere, sabbia, foglie e
altri rifiuti. «L'uso disinvolto di questo mezzo di spazzamento - sostengono -
deve essere proibito. Fa rumore e, soprattutto, alza nuvole di polveri creando
grossi problemi a chi passa lì accanto e non solo». L'utilizzo dei soffiatori è
previsto nell'appalto con il quale AcegasApsAmga assegna a Italspughi,
cooperativa Sole e Quercia Ambiente la pulizia delle strade cittadine. Questo
strumento che spinge con un forte getto d'aria fogliame, mozziconi di sigarette,
cartacce, deiezioni canine e polvere viene utilizzato in molte zone della città
e ha il vantaggio di riuscire a effettuare un'efficace pulizia anche sotto le
automobili, raggiungendo punti che difficilmente una scopa riuscirebbe a
ripulire. I cumuli di rifiuti spinti in un unico punto dai soffiatori vengono
poi raccolti al passaggio dei mezzi aspiratori. I cittadini segnalano però
l'utilizzo non sempre corretto di questi strumenti da parte di alcuni operatori,
che con il loro "soffio" investirebbero i passanti o spingerebbero le foglie
nelle caditoie. Altri denunciano cumuli di foglie che non sarebbero mai stati
raccolti dall'aspiratore. «Non è giusto generalizzare - sostiene Luisa Polli,
assessore all'Ambiente -, ma è ovvio che sta al singolo operatore lavorare con
professionalità, onestà e sensibilità». Nelle vie più strette, dove i mezzi di
aspirazione non passano facilmente, gli operatori continuano a utilizzare le
scope. Alle proposte dei cittadini di bagnare il terreno prima dell'utilizzo del
"diabolico" soffiatore o di usare degli aspiratori che raccolgono e non spingono
i rifiuti e le polveri, l'assessore replica: «Se le foglie sono bagnate il
soffiatore non riesce a fare il suo lavoro - spiega -, mentre gli aspiratori non
risolvono il problema delle polveri, perché escono comunque dal sacco che
contiene il raccolto. La classica "ramazza" - aggiunge - alza comunque polveri,
richiede più tempo e di conseguenza i costi aumentano». Quasi un anno fa Polli
aveva accolto una mozione del Movimento 5 Stelle dove si evidenziava il problema
dell'utilizzo dei soffiatori a Servola, Valmaura e Chiarbola e si chiedeva
all'amministrazione di passare dal sistema di pulizia con i soffiatori a quello
del lavaggio stradale. Da alcune settimane Polli ha dato indicazioni di
sospendere l'utilizzo dei soffiatori a Servola. «Non è provato che sollevando
polvere i soffiatori provochino problemi alla salute, ma ho ritenuto doveroso
raccogliere il disagio di chi abita a Servola, dove è conclamato sussista un
grado di inquinamento da polveri superiore al resto della città, e far
sospendere l'uso di questi strumenti in quella zona» specifica Polli.
Italspurghi che ha in appalto la pulizia delle strade di Servola ha avviato ora
l'utilizzo delle spazzatrici ad acqua con un operatore a terra che interviene
dove il mezzo meccanico non arriva. Pulire le strade con questo metodo richiede
più tempo. Il lavaggio stradale prevede una modifica al Pef che necessita
dell'approvazione del Consiglio comunale. «Auspico un parere favorevole
trasversale per dare risposte a questa gente - dichiara Polli -. In generale
comunque si stanno valutando nuove modalità e tecnologie di pulizia delle
strade».
Laura Tonero
Sale la differenziata - Duino Aurisina nel club dei
virtuosi
La raccolta diversificata cresce in un anno dal 33% al 43% «Isole
ecologiche meglio posizionate e cittadini più attenti»
DUINO AURISINA - Migliora la raccolta differenziata (la media mensile passa
dal 33, 22% del 2016 al 43. 38% registrata quest'anno da gennaio ad agosto
compreso). Cala il totale dei rifiuti prodotti (la media dei primi sette mesi
del 2016 era di 515 tonnellate, quella dello stesso periodo di quest'anno è di
506). Duino Aurisina sta diventando un Comune virtuoso per quanto concerne la
raccolta rifiuti. È questo l'esito della prima verifica sull'intero territorio
compiuta da Isontina ambiente, la srl con sede a Ronchi dei Legionari che, dal
febbraio dello scorso anno, gestisce lo smaltimento rifiuti nel Comune oggi
guidato dal sindaco Daniela Pallotta. «I dati sono confortanti sotto tutti i
profili - spiega Andrea Humar, l'assessore comunale titolare, fra le varie
competenze, di quelle che riguardano i servizi sul territorio e l'ambiente -
perché entrambi gli indicatori principali, cioè quelli che riguardano l'aumento
della differenziata e il peso complessivo dei rifiuti prodotti, evidenziano un
comportamento più attento e puntuale da parte dei residenti». Indubbiamente ci
mette del suo anche Isontina ambiente: «Una migliore distribuzione nel
territorio delle isole ecologiche - riprende Humar - sta favorendo un
atteggiamento più responsabile da parte della popolazione». Che ha tutto da
guadagnare fra l'altro da questa situazione, perché a fine anno, quando si farà
il bilancio dei costi del servizio di asporto rifiuti, se i dati dell'intero
2017 confermeranno quanto reso noto ora, si potrà eventualmente pensare a una
riduzione delle tariffe.«È molto presto per ipotizzare un taglio dei costi -
sottolinea Humar - ma di certo a fine anno faremo una considerazione generale su
questo servizio e valuteremo il da farsi». La normativa in materia oggi è molto
chiara: i comuni devono pareggiare, a livello di bilancio, il servizio di
raccolta rifiuti, nel senso che, dato un determinato costo complessivo, lo
stesso va ripartito fra tutti i contribuenti. Ulteriore elemento di
soddisfazione per il Comune il netto calo dei rifiuti abbandonati dai cosiddetti
"depositanti in transito", quasi sempre imprese edili provenienti da altri
comuni e dalla Slovenia, che trovano comodo abbandonare il risultato di lavori
di demolizione nei pressi dei cassonetti del territorio di Duino Aurisina.
Raffrontando il periodo che va da febbraio ad agosto del 2016 con lo stesso del
2017, si arriva alla conclusione che le tonnellate di rifiuti derivanti da
lavori edili si sono ridotte di più di una decina di tonnellate: da 193, 7 a
183. «Questo è il risultato di una migliore disposizione delle isole ecologiche
- precisa Humar - perché abbiamo tolto i cassonetti dalle strade principali,
cioè quelle a maggior transito».In un panorama positivo, rimane un punto su cui
la giunta dovrà invece lavorare con particolare attenzione, quello che riguarda
il sensibile aumento dei rifiuti dell'indifferenziata nel periodo estivo.
Quest'anno si è passati dalle 272, 8 tonnellate di giugno alle 298, 6 di luglio
per arrivare alle 301, 8 di agosto. «Si tratta di un fenomeno legato alla
presenza dei turisti - continua Humar - che non possono conoscere, alla pari dei
residenti, la dislocazione delle isole ecologiche e quindi dei raccoglitori per
la differenziata. Per la prossima estate - prosegue l'assessore - provvederemo a
renderle più visibili».La prossima settimana intanto inizierà la distribuzione
sul territorio, in particolare a Malchina, Medeazza e Visogliano, dei
raccoglitori per il verde.
Ugo Salvini
LA PRESENTAZIONE - Oggi i dati degli ultimi tre mesi a
San Dorligo alla luce del nuovo sistema di smaltimento
Saranno resi noti stamani, nel corso di una conferenza che inizierà alle 12,
nella sala del Consiglio comunale di San Dorligo della Valle, i dati sui
risultati ottenuti sul territorio, con il nuovo sistema di raccolta
differenziata, negli ultimi tre mesi. Saranno inoltre analizzate la situazione
attuale e le possibilità di ulteriore miglioramento. Alla presentazione dei
nuovi dati parteciperanno pubblici amministratori e gestori del servizio. A San
Dorligo della Valle, per la cronaca, nelle ultime settimane si erano registrate
proteste da parte di alcuni residenti che avevano denunciato disservizi nella
raccolta rifiuti.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 18 ottobre 2017
Il Carso che domina Barcola si rifà il look con 1,7 milioni
Il Comune stanzia una maxiposta con ex fondi
provinciali per la messa in sicurezza e il recupero di 150 ettari da destinare a
viti e olivi e per nuovi itinerari turistici
Centocinquanta ettari di pastini da ripristinare entro la fine del 2019 sul
costone carsico, per consentire la coltivazione di vigneti e uliveti. Epicentro
di questa operazione di riqualificazione paesaggistica i dintorni di Contovello.Il
Consorzio di Bonifica "Pianura Isontina" ha ottenuto un milione e 742.966,37
euro, che originariamente erano stati assegnati alla Provincia di Trieste dalla
Regione Fvg e dal Fondo Trieste, per l'ampliamento di una strada campestre e per
il riassetto dei muri "a secco" che delimitano i terreni terrazzati. Verranno
inoltre realizzate vasche in grado di contenere l'acqua piovana a scopo irriguo,
collegate con la rete idrica gestita da AcegasApsAmga. «Una volta erano zone
dove si arrivava con l'asino e la carriola - commenta il presidente del
Consorzio Enzo Lorenzon - adesso bisogna infrastrutturarle per permettere un
utilizzo economico adeguato». Sviluppo agricolo, recupero e valorizzazione di
aree rurali abbandonate o semi-abbandonate, reintroduzione di coltivazioni
«compatibili con evidenze naturalistiche di rilevanza sovraregionale» sono gli
obiettivi del finanziamento ricevuto, come documentato dal Consorzio nel
progetto presentato al Comune lo scorso 8 giugno dal titolo "Infrastrutturazione
del costone carsico triestino 1°lotto". Per entrare in azione, il Consorzio
isontino ha però preventiva occorrenza di una variante al Piano regolatore
generale del Comune triestino, in quanto dovrà effettuare alcune espropriazioni.
A tale riguardo la giunta, su proposta dell'assessore Luisa Polli, ha approvato
una delibera che accende la procedura di adozione della variante, che sarà
esaminata dal Consiglio comunale. Un iter che l'amministratrice leghista
delegata alla Pianificazione territoriale conta di chiudere prima di Natale. Poi
il Consorzio provvederà, come stazione appaltante, all'affidamento dei lavori,
con l'obiettivo di consegnare al territorio triestino una Contovello doppiamente
attrattiva, per l'investimento agricolo-produttivo e per il turismo carsico.
Senza contare - ricorda la Polli - gli aspetti correlati alla tutela
dell'ambiente. Un'operazione che interessa lo stesso Dipiazza, come sindaco e
come responsabile dell'agricoltura per l'Uti giuliana: tant'è che il primo
cittadino, insieme alla Polli, ha recentemente svolto un sopralluogo a
Contovello. Poi l'assessore rammenta un altro argomento che rende importante il
recupero di quella zona carsica: è il tema enologico legato alla Glera, in
quanto un aumento della disponibilità di vigneto faciliterebbe l'ottenimento di
quote produttive. Paesaggio, suolo, economia sono tre fattori - a giudizio della
Polli - che meritano da parte del Consiglio, quando tratterà la variante, una
linea di attenzione propositiva. Variante - ricorda la delibera 488 - che non è
sottoposta a valutazione ambientale strategica e sulla quale i competenti uffici
della Regioni Fvg hanno statuito che il progetto «non necessita di valutazione
d'incidenza appropriata e può essere eseguito». Fu la Provincia di Trieste, con
una delibera del giugno 2015, a delegare il Consorzio alla progettazione e
all'esecuzione delle opere. Peccato che la Provincia non esista più nel momento
in cui un'operazione importante come questa è in pista di decollo. Il
finanziamento ha una storia lunga e tormentata - come si ricordava alcuni mesi
fa - , avendo mosso i primi passi ai tempi della giunta regionale guidata da
Riccardo Illy, quando assessore alle Risorse agricole era Enzo Marsilio. Dopo
lunghi anni di "sonno", i fondi sono stati destati e destinati: la grande parte
proviene dalla Regione Fvg (750 mila euro) e dal Fondo Trieste (440 mila euro).
Da tempo il Consorzio della Pianura Isontina guarda con interesse al territorio
triestino, come sottolinea il presidente Enzo Lorenzon, con una lunga milizia al
volante dell'organismo di bonifica. Il Consorzio è già stato impegnato in un
importante lavoro nel bacino di Montedoro, tra Muggia e San Dorligo.
Massimo Greco
IL PICCOLO - MARTEDI', 17 ottobre 2017
Idee vincenti per evitare lo spreco d'acqua - Ai
progetti di due studenti del Deledda-Fabiani i premi assegnati dall'evento
nazionale "Water-Hack"
Cento studenti di tredici scuole italiane si sono incontrati e sfidati
all'Istituto per ciechi di Milano, durante l'evento "Water-Hack", la prima
maratona dedicata interamente al tema dell'acqua e della sua sostenibilità. Tra
i cento giovani alunni, "armati" di idee e creatività, anche sei studenti dell'Its
"Deledda-Fabiani" di Trieste, che hanno partecipato appunto all'importante
iniziativa, promossa dal Miur per la scuola italiana. Un evento, che si è svolto
in concomitanza con il forum internazionale "Rules of water, Rules for live". E
tra tra i vincitori finali dell'hackaton figurano proprio due studenti del"Deledda-Fabiani:
Emil Mastromauro, per il progetto "Link Sink", ha vinto grazie alla su originale
"creatura": un rubinetto intelligente che, grazie a un sistema di flussometri,
monitora e aiuta a ridurre gli sprechi quotidiani dell'acqua grazie a
un'applicazione per smartphone che informa costantemente l'utente. Premiato
anche un altro triestino, Giacomo Baldassi, che con il suo gruppo "Goccia a
Goccia" ha trionfato con l'ambizioso progetto che ha l'obiettivo di mettere a
confronto giovani tra i 18 e i 25 anni di Paesi in via di sviluppo e dei Paesi
europei sui temi della gestione dell'acqua. C'è dunque grande soddisfazione per
la vittoria dei due studenti triestini, ai quali sono stati assegnati due
prestigiosi premi: il gruppo di Emil svolgerà un progetto di ricerca su biologia
e zoologia marina in collaborazione con l'Università di Milano Bicocca presso il
loro centro di ricerca alle Maldive; mentre il gruppo di Giacomo rappresenterà
l'Italia dei giovani a una conferenza mondiale che si terrà dal 18 al 23 marzo
nientemeno che a Brasilia. «È stata una lunga maratona progettuale - sottolinea
entusiasta la docente Maria Zappalà - un evento importante per la centralità del
tema affrontato, ovvero la salvaguardia delle risorse idriche. Quello che ci
tengo maggiormente a sottolineare è però l'impegno degli studenti che si sono
impegnati nella ricerca delle migliori soluzioni per affrontare il tema del
risparmio dell'acqua: questo potrà servire sicuramente da modello per altri
studenti e i giovani in generale». Perché, ricordano dalla scuola, è ai giovani
che è affidato il futuro, e non solo quello dell'acqua.
Alexandra Del Bianco
AIDDA - Serracchiani parla di treni e ripresa
Sarà dedicata al tema "I treni della ripresa. Infrastrutture materiali e immateriali per competere in Europa" la conviviale dell'Aidda in programma oggi alle 19 all'hotel Riviera. Interverrà Debora Serracchiani
IL PICCOLO - LUNEDI', 16 ottobre 2017
Ambiente - Convegno Ogs sui rischi naturali
"Pianificazione territoriale, prevenzione dei rischi naturali e strumenti per la tutela dell'ambiente" è il titolo di un convegno organizzato oggi alla Camera di commercio dall'Ogs. Inizia alle 8.30 e finisce alle 17.
IL PICCOLO - DOMENICA, 15 ottobre 2017
Il domino della siderurgia Made in Italy - Gli scenari
dall'Ilva alla ex Lucchini di Piombino. Intanto in Fvg l'export dei grandi
gruppi (da Danieli a Pittini) è in ripresa
MILANO - Ultimo braccio di ferro per la siderurgia nazionale. Nel giro di
qualche mese, e comunque entro il primo semestre 2018, dovrebbero concludersi le
tutte vicende societarie, giudiziarie e ambientali, che hanno paralizzato a
lungo l'acciaio Made in Italy. Stiamo parlando dell'Ilva di Taranto, ora alle
prese con un piano industriale che riduce di un terzo la forza lavoro e impone
sacrifici contrattuali a tutti i dipendenti e il "niet" da parte di governo e
sindacati; la ex Lucchini di Piombino che dovrebbe essere rilevata, dopo un
inconcludente interregno degli algerini di Issad Rebrab, dalla cordata che
puntava all'Ilva (Arvedi e gli indiani di Jindal), e infine l'attesa rinascita
dell'ex Alcoa ora nell'orbita degli svizzeri di Sider Alloys.Tutte vicende
spinose e complicate, su cui non mancheranno le sorprese e i colpi di scena, ma
che dopo anni di palude si avviano al rush finale. Intanto che è si va
ricomponendo il mosaico dei siti produttivi, e non sarà un processo indolore,
soprattutto sul fronte occupazionale, la siderurgia nazionale prosegue la sua
lenta ma costante ripresa. Nei primi sette mesi dell'anno la produzione è
aumentata dell'1,7%, pari a 14,4 milioni di tonnellate. Diminuiscono le
importazioni e cresce l'export, che fa un passo in avanti dell'1,7%. A trainare
il lavoro degli altoforni è la congiuntura positiva dell'industria italiana.
L'acciaio infatti è un ottimo indicatore del ciclo economico: automotive,
elettrodomestici, metalmeccanica sono i suoi più grandi consumatori. Un trend
che si riflette anche sul Nordest e sulla vocazione internazionale del
territorio. Basti pensare al balzo dell'export (+8,8%) segnalato, nel secondo
trimestre dell'anno, da Confindustria Udine che vede il grande exploit della
siderurgia locale, quella del gruppo Danieli e di Pittini di Osoppo, in aumento
del 48%. Tant'è che a piccoli passi l'Italia torna nella top ten globale dei
paesi produttivi d'acciaio, al decimo posto scalzando l'Ucraina ancora in
trincea per le tensioni politiche all'interno del paese. Sarà comunque difficile
per l'Italia mantenere questa posizione in graduatoria, perché gli altri paesi
concorrenti crescono in modo molto più spedito, basti pensare all'Iran (+15%) e
a Taiwan (+7%). La battaglia sui grandi volumi con le economie asiatiche è persa
da tempo. l continente asiatico cuba oggi il 69% della produzione mondiale,
contro il 10% dell' Europa. Perciò appare ormai segnata la strada di un acciaio
delle specialità, e peraltro intrapresa da aziende italiane come il gruppo
Danieli di Buttrio nella produzione di impianti siderurgici ad alto tasso
tecnologico. In proposito la società friulana ha ospitato un summit
internazionale nella prima settimana di ottobre il Dim-Danieli Innovaction
Meeting, forum dei leader mondiali dell'acciaio nel quale ogni quattro anni si
analizzano lo stato di salute e le dinamiche globali della siderurgia.
Quest'anno il forum Danieli ha puntato le antenne su innovazione, tecnologie e
competitività nel mercato dell'acciaio da qui al 2035, con particolare
riferimento alle conseguenze delle politiche protezionistiche doganali e
all'attuale situazione di "new normal periodo", cioè di "calma piatta" per
quanto riguarda la richiesta di nuovi impianti siderurgici. La Pittini di
Osoppo, a un anno dalla scomparsa del signore delle Ferriere, Andrea Pittini,
deve confrontarsi con una mega multa da 43 milioni comminata dall'Antitrust per
presunta concorrenza sleale. Una sanzione che, se confermata, metterebbe a dura
prova il cammino di ripresa dell'industria siderurgica del territorio. C'è poi
il tema ambientale che allunga le sue ombre su tutto il comparto dalle vicende
Ilva fino alla Ferriera di Servola del gruppo Arvedi, e che potrà essere sanato
solo con investimenti in tecnologie avanzate e sostenibili.
Christian Benna
IL PICCOLO - SABATO, 14 ottobre 2017
La svolta verde di Lubiana: stop alle auto inquinanti
La stretta del governo: dal 2030 in vigore nuove regole per le
immatricolazioni per abbattere le emissioni nocive. Via libera alla diffusione
delle auto elettriche
BELGRADO - Basta auto inquinanti a diesel e a benzina. Sì a quelle
elettriche e ibride plugin, è quello il futuro. Futuro prossimo che non è solo
quello di Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Norvegia, ma anche della vicina
Slovenia. Che sta imboccando una strada sempre più 'verde' per il proprio
sviluppo. Slovenia dove il governo ha annunciato giovedì la futura introduzione
di nuove regole per l'immatricolazione di nuove automobili. «Dal 2030, non
permetteremo la registrazione di macchine tradizionali», ha confermato Bojan
Zlender, numero uno dell'ufficio ministeriale che si occupa delle politiche dei
trasporti. Maggiori dettagli sono stati resi noti dall'agenzia di stampa slovena
Sta, che ha specificato che lo stop alle vendite nel 2030 riguarderà auto diesel
o a benzina «che producano più di 50 grammi di Co2 al chilometro». Già dal 2025,
le auto dovranno inoltre avere una impronta inferiore ai 100g/km, come
prescrivono gli obiettivi Ue. Non si tratta dunque di un «divieto totale», sul
modello francese o britannico, ma che potrebbe avere conseguenze simili. Al
momento, «solo veicoli elettrici e gli ibridi elettrici plug-in» (Phev),
ricaricabili senza uso di motore a combustione, rispettano questo limite, ha
ricordato infatti la Sta. Se nei prossimi anni nuove tecnologie abbatteranno le
emissioni delle auto tradizionali, anche queste potranno continuare a essere
registrate. In caso contrario - scenario più probabile - chi vorrà acquistare
auto nuove dal 2030 dovrà puntare necessariamente su veicoli elettrici o Phev. È
proprio a questo che mira Lubiana, ossia di «far salire al 17 per cento la
quota» di auto verdi nel Paese, oggi un minuscolo 0,1% del parco macchine, già
entro il 2030 e poi esponenzialmente negli anni successivi. Parliamo di grandi
numeri, in una nazione che ha uno dei più alti tassi di motorizzazione in
Europa. In Slovenia, sono infatti 523 le auto in circolazione ogni 1.000
abitanti. E se la quota del 17% sarà raggiunta, fra un decennio o poco più
saranno già 200mila le auto elettriche o Phev. Auto che avranno bisogno di più
colonnine di rifornimento di quelle oggi attive. Per questo, Lubiana ha
pianificato di aumentarle dalle attuali 227 fino a 22.300 nel 2030. Tutte
misure, quelle "anti-combustibili fossili", che sono contenute nella bozza della
«Strategia per lo sviluppo 2030», adottata giovedì dal governo, che include
anche altri punti importanti, come la riduzione del rapporto debito/Pil sotto il
60%. La strategia sarà sottoposta a un dibattito pubblico fino a novembre, per
essere perfezionata, e poi messa in pratica. Ma la rotta è segnata. Rotta che
non è troppo ambiziosa perché non copia «ad esempio il modello olandese, dove le
emissioni ammesse» nel 2030 saranno «zero e non 50», spiega a Il Piccolo Ignac
Zavrsnik, presidente dell'Associazione slovena per la mobilità elettrica (Dems).
«Non è la stessa storia che in Norvegia o in Olanda, ma è un cambiamento», un
passo avanti significativo che «ripercorre quelli dei Paesi più sviluppati». È
un «passo nella direzione giusta», gli fa eco Greenpeace Slovenia. «Ma dobbiamo
prestare attenzione da dove questi veicoli ricaveranno energia. Se essa arriverà
dal carbone o dal nucleare - continua Greenpeace - diminuiamo solo un problema e
ne prolunghiamo un altro. E l'elettrificazione deve andare a braccetto con «lo
sviluppo delle rinnovabili».
Stefano Giasntin
Tonno da 150 kg spiaggiato a Muggia - La carcassa
dell'esemplare di "pinna blu" è diventata una macabra attrazione aspettando la
rimozione
MUGGIA - Quasi due metri di lunghezza per circa 150 chilogrammi di peso:
l'enorme carcassa di un tonno rosso si è spiaggiata sul tratto del litorale
posto poco prima del comprensorio che ospita la base logistica militare di
Muggia. Il massiccio scombride, che da mercoledì giace senza vita sulla
spiaggetta di sabbia, per ora non ha trovato alcuna autorità disposta a
spostarlo, finendo col diventare una macabra attrazione. Non solo. Come emerso
da una testimonianza fotografica, al momento del suo recupero in acqua avvenuto
con una corda, il tonno aveva ancora la pinna, che successivamente è stata
asportata da ignoti, forse come "trofeo". Tutta la vicenda fa veramente
riflettere tenendo conto anche del fatto che questo pesce pelagico, il cui stato
di conservazione è peraltro fortemente minacciato, è considerato estremamente
pregiato. Il Paese che dall'Italia importa maggiormente il tonno rosso - detto
anche pinna blu, e da non confondere con il pinna gialla che troviamo nelle
classiche scatolette - è il Giappone, che lo utilizza in particolar modo per il
sushi. Basti ricordare l'eclatante asta avvenuta a inizio anno a un mercato
ittico nipponico che ha fatto il giro dei mass media mondiali. Al Tsukiji, il
mercato del pesce di Tokyo, un esemplare di 212 kg è stato venduto per 74,2
milioni di yen, equivalenti a qualcosa come 560mila euro: 2860 euro al kg.
«L'avessero raccolto subito e trattato a dovere, il tonno ritrovato sulla
spiaggia della strada per Lazzaretto avrebbe potuto davvero sfamare tantissime
persone», racconta basito il naturalista triestino Nicola Bressi. Invece così
non è stato e la carcassa del pesce è praticamente andata in putrefazione. Anni
fa, pare che di simili casistiche se ne occupasse la ditta Crismani. Ora invece
la situazione è stata risolta con un intervento piuttosto impetuoso da parte
dell'assessore alla Polizia locale Stefano Decolle: «Questa mattina (ieri, nd)
non appena saputo che la carcassa era ancora lì, ho fatto una rapida verifica
con i miei funzionari per trovare una soluzione. Entro la settimana una ditta
proveniente da un altro comune della regione provvederà alla rimozione
dell'animale morto». Ignoti, per ora, i costi dell'operazione.Lo spiaggiamento
di un tonno di queste dimensioni è una cosa piuttosto rara come spiega lo
zoologo Bressi: «Credo sia la prima volta che il corpo intero di un tonno venga
rinvenuto su una spiaggia della nostra provincia. In diverse occasioni questo
pesce è stato avvistato sul bagnasciuga, ma sempre smembrato». Al momento del
suo ripescaggio il pesce era privo di testa, molto probabilmente perché mozzata
dall'elica di un motoscafo. L'ultima considerazione su questa vicenda riguarda
la minaccia di estinzione del tonno rosso. La sua presenza a Trieste non è certo
eccezionale, ma negli ultimi anni si è fatta rara. Grazie ai fermo pesca
decretati dall'Iccat, questo animale, praticamente estinto nel golfo di Trieste
dopo la mattanza del 1954 che provocò la cattura di circa 800 tonni e la
conseguente chiusura delle tonnare triestine, sta tornando pian piano a
ripopolare le nostre acque
Riccardo Tosques
Passeggiata guidata nel Bosco Farneto a 200 anni
dall'apertura del primo sentiero
Il Comune di Trieste e il Corpo Forestale regionale organizzano quest'oggi
una camminata guidata nel Bosco Farneto per ricordare i 200 anni dall'apertura
del suo primo sentiero escursionistico. Lo storico sentiero era stato aperto nel
1817 dal negoziante Ignazio Czeike con l'intento di collegare la città alla
vetta del Cacciatore, allora sede del tiro al bersaglio. Tutta la cittadinanza
fu invitata a partecipare alla passeggiata inaugurale e per l'occasione venne
creato uno spiazzo per il gioco dei birilli e costruiti alcuni tavoli. Tutti
sono invitati a partecipare alla passeggiata odierna, che inizierà alle 10 dal
Ferdinandeo. La camminata toccherà il parco del Bosco Biasoletto e il Civico
Orto Botanico dove si concluderà attorno alle 12 con l'organizzazione di un
momento musicale nell'ambito della concomitante manifestazione "Come fogli(e) al
vento".L'escursione è gratuita, ci si iscrive sul posto. In caso di maltempo la
passeggiata verrà sospesa.
(m.l.)
IL PICCOLO - VENERDI', 13 ottobre 2017
Voce della Luna, a rischio l'estate 2018 - Decade dopo
un anno di impasse la causa al Tar che bloccava il restyling. In bilico a questo
punto anche la prossima stagione
Oltre al danno, la beffa. La società Bar Punta Faro srl di Lignano, che
aveva presentato ricorso al Tar dopo essere arrivata seconda nella gara per
l'assegnazione delle concessioni demaniali per la gestione dell'ex Voce della
Luna, ad un giorno dall'udienza decisiva ha sventolato bandiera bianca e si è
ritirata. Facendo perdere oltre un anno all'aggiudicataria Gmt sas e a tutta la
città di Trieste, che attende da tempo di veder rinascere quella struttura,
ridotta oggi a un cumulo di macerie. Da oggi la Gmt potrà serenamente lavorare
per ottenere i permessi e avviare l'apertura del cantiere. Ma lo "scherzetto"
giocato dai concorrenti ha fatto slittare di oltre un anno l'apertura della
nuova Terrazza a Mare (così la struttura viene chiamata nel progetto vincente
dello studio Metroarea degli architetti Tazio di Pretoro e Giulio Paladini),
mettendo a rischio anche la prossima stagione balneare. Se tutto filasse liscio
si potrebbe godere nuovamente del nuovo locale a fine estate 2018. Saranno i
gestori a decidere se varrà la pena aprire comunque, quando la stagione balneare
starà per tramontare, o se attendere la primavera del 2019. Quello che è certo è
che tra pochi mesi, passeggiando a Barcola, si inizieranno a vedere i primi
lavori destinati a trasformare quel che resta della Voce della Luna in quello
che diventerà uno dei punti di riferimento barcolani di triestini e turisti. «Il
10 ottobre ovvero il giorno prima dell'udienza - specifica Elena Marchesi,
legale della Gmt - hanno proposto una compensazione delle spese legali a fronte
del deposito, da parte loro, della cessata materia de contendere». Quelli di Bar
Punta Faro, da quanto si è saputo, avevano maturato da tempo la consapevolezza
che il progetto vincente potesse avere una marcia in più. Nel corso del
giudizio, infatti, era emerso come la proposta di Gmt avesse già ricevuto il
parere favorevole da tutti gli uffici tecnici coinvolti, risultando pienamente
conforme, mentre quella di Bar Punta Faro evidenziava incrementi volumetrici non
conformi al Piano regolatore vigente. Nell'atto depositato al Tar nell'ottobre
del 2016, Bar Punta Faro chiedeva in via principale che il Tribunale annullasse
«previa adozione di ogni idonea misura cautelare, ivi compresa la sospensione
degli effetti, tutti i provvedimenti impugnati» e che, conseguentemente,
condannasse «l'amministrazione regionale ad aggiudicare la gara in questione
alla ricorrente». In via subordinata la società friulana, che a Lignano gestisce
un importante stabilimento, chiedeva che il Tar condannasse la Regione al
risarcimento dei danni. Il Tar invece, in fase di procedimento cautelare, non ha
trovato fondamenti per la sospensione d'urgenza dell'aggiudicazione in attesa
del giudizio di merito conclusivo. L'intenzione di ostacolare la nascita della
nuova Terrazza a Mar,e gli imprenditori friulani l'avevano manifestata già pochi
minuti dopo l'esito della gara, annunciando il ricorso. Poi la sorpresa: a data
fissata, 24 ore prima dell'ultima udienza, Bar Punta Faro ha ammainato le vele.
«Si sono mossi con evidente scopo ostruzionistico - valuta l'avvocato di Gmt - e
hanno bloccato la rinascita di uno dei biglietti da visita di Trieste».
Laura Tonero
AL POLO DI GORIZIA - La tesi di laurea di tre neo architetti triestini per la riqualificazione del Gasometro di Broletto
Il gasometro del Broletto, vecchio e degradato? Ci pensano a ridargli dignità una ragazza, Beatrice Finocchiaro, e due ragazzi, Matej Dornik e Simone Huez. Freschi di laureati in Architettura all'Università di Trieste (sede di Gorizia), hanno realizzato come tesi (relatore Dimitri Waltritsch) un progetto per la riqualificazione dell'area, da via Caduti sul lavoro a via dei Lavoratori, che percorre tutta via d'Alviano. Perché avete scelto questa zona?Perché si presenta come un involucro vuoto, degradato e con una copertura - tutta in eternit- da smaltire, un raro esempio di archeologia industriale, non ancora valorizzato. Attorno a esso un'area industriale e di retroporto - con la sede di Trieste Trasporti e i magazzini dell'AcegasApsAmga - al confine con la città densamente abitata dei quartieri di San Giacomo e Chiarbola e sulla importante direttrice della mobilità San Vito-Servola, il tutto separato da un dislivello e da un muro di diversi metri. Il tutto è estremamente centrale nel contesto urbano della città, forse addirittura troppo per le funzioni che svolge attualmente.In che cosa consiste il vostro progetto?La nostra proposta è di un grande spazio pubblico a diversi livelli che va a ridisegnare la percorrenza ciclabile e pedonale esistente, potenziando quest'ultima attraverso un interscambio bus-auto-bici per renderla un efficace punto di collegamento con la esistente "Giordano Cottur". Le nuove volumetrie, composte da quattro nuovi edifici e dallo stesso Gasometro, andranno ad ospitare il nuovo polo universitario/scientifico della città, contenendo un incubatore per aziende, due edifici adibiti ad università, una casa dello studente. E cosa diventa l'interno del gasometro?Da edificio destinato a servire la città accumulando gas per l'illuminazione, vorremmo diventasse una biblioteca/auditorium. Viene ripresa la forma a cerchio, divisa in 14 spicchi. I diversi piani vanno a conformarsi seguendo questo disegno, collegato poi da una grande scala a spirale centrale, elemento caratterizzante del progetto. Quale sarebbe il concetto di fondo? Restituire questo frammento degradato di città alla città stessa, come inoltre già previsto dal piano regolatore. La soluzione individuata va a trasformare il dislivello in punto focale del progetto, rendendolo, tramite l'utilizzo di ampie gradinate che ne permettono la graduale discesa, uno spazio pubblico di lavoro/studio collettivo.
Benedetta Moro
Oggi in programma un convegno sull’energia con esperti di fama internazionale
Oggi dalle 14.30 alle 17.30, presso l'università di Trieste, (aula Magna edificio H3, Via Alfonso Valerio, 12/2 a Trieste), si terrà il primo convegno del Centro Interdipartimentale 'Giacomo Ciamician'. L'importante evento, che raccoglie a Trieste specialisti dell'energia di assoluta fama nazionale ed internazionale, si svolgerà nel pomeriggio secondo il seguente programma: indirizzi di saluto da parte di Giorgio Sulligoi collaboratore del Rettore dell’ università di Trieste e Coordinatore del Centro Interdipartimentale 'Giacomo Ciamician' su Energia, Ambiente, Trasporti e da parte di Stefano Casaleggi, direttore Generale di Area Science Park. Introduce Andrea Crismani, università degli Studi di Trieste. I temi trattati: la cooperazione tra i gestori di rete e di mercato (Alberto Pototschnig, direttore Acer - Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia); I fabbisogni di energia per il sistema portuale (Mario Sommariva, segretario generale, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.;La tutela del consumatore e l’integrazione dei mercati (Sara Tommasi, Università del Salento); Interconnessione delle reti elettriche di Italia e Slovenia in ottica merchant line Massimo Carratù, direzione Energia Elettrica AcegasApsAmga Spa.
Giovani - #MaiDireMai in assemblea
Si terrà alle 17.30, nella sede di via Fabio Severo 31, l'assemblea
dell'Associazione giovanile #MaiDireMai. #MaiDireMai nasce nel 2015
dall'esperienza di partecipazione attiva all'interno di Arci-Servizio civile
formata dall'insieme di giovani operanti attualmente in progetti di servizio
civile, giovani che hanno svolto attività in qualità di ex obiettori o ex
volontari, che hanno fatto un loro percorso collaborando attivamente in varie
iniziative. Dalla sua costituzione l'associazione organizza iniziative che
vedono impegnati i giovani su temi quali la cooperazione, l'associazionismo, la
pace, la solidarietà.
Alliance Française - L'emergenza clima in fotografia
Dodici immagini delle 44 vincitrici di un concorso fotografico
internazionale sul cambiamento climatico saranno le protagoniste della mostra
"Clima, stato di emergenza" che l'Alliance Française di piazza Sant'Antonio
Nuovo 2 ha portato in città. L'esposizione è figlia di un'iniziativa della
Fondation Alliance Française di Parigi nel 2015, in occasione del summit
mondiale sul cambiamento climatico. I fotografi sono stati invitati a illustrare
questioni e problemi relativi al clima e alle sue evoluzioni, di tracciare un
ritratto dei suoi effetti sulla vita della gente e sulle soluzioni pubbliche e
private, che nel proprio paese, vengono intraprese o anche solo immaginate per
contrastare gli effetti negativi di queste evoluzioni. 105 Alliances Drançaises
di 43 Paesi diversi hanno partecipato. La mostra verrà inaugurata alle 18;
interverranno Furio Finocchiaro, ricercatore e docente al Dipartimento di
matematica e geoscienze dell'Università di Trieste, e Alessandro Giadrossi,
presidente del Wwf Trieste. Seguirà aperitivo. Ingresso libero.
COMUNICATO STAMPA - GIOVEDI', 12 ottobre 2017
RUTENIO IN VENETO E NORD ITALIA. SERENA PELLEGRINO ( SI): PROBLEMA RISCONTRATO ANCHE IN ALTRI PAESI EUROPEI
COSA SIA SUCCESSO NON LO SA NEMMENO L’AIEA. IL
MINISTERO DELL’AMBIENTE RASSICURA SU ASSENZA RISCHI SANITARI E SU PROGRESSIVA
DIMINUZIONE CONCENTRAZIONI.
Roma, 12 ottobre 2017. Le tracce del radionuclide Ru-106 registrate dalle
stazioni di controllo della radioattività in aria delle sedi di Verona, Vicenza
e Belluno non sono soltanto un fenomeno locale . Il Ministero dell’Ambiente ha
oggi ammesso che oltre alla contaminazione registrata in Veneto, e
precedentemente in Lombardia, segnalazioni sono giunte da altre regioni del Nord
Italia. Inoltre, il problema e le relative preoccupazioni riguardano anche altri
Stati europei, dove sono state effettuate analoghe registrazioni di rutenio in
atmosfera, e c’è chi fra questi, in particolare la Francia, ipotizza che
l’origine della radioattività segnalata in Europa si trovi in una regione a sud
degli Urali. Al momento né Ministero dell’Ambiente né Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica sanno dire di più su cosa sia effettivamente accaduto e abbia
determinato l’anomalia radiometrica. Lo dichiara la parlamentare Serena
Pellegrino ( Sinistra Italiana) vicepresidente della commissione Ambiente che ha
sollecitato un chiarimento sulle cause della presenza del radionuclide. In
risposta all’interrogazione, è stato esplicitamente escluso il collegamento con
incidenti in centrali nucleari , è stato evidenziato il dato della progressiva
diminuzione delle concentrazioni nelle aree sotto controllo ed è stato infine
assicurato il costante controllo dell’ISPRA che pubblica aggiornamenti periodici
sulla problematica nel proprio sito web.
Serena Pellegrino
IL PICCOLO - GIOVEDI', 12 ottobre 2017
I pescatori croati: «Mare sempre più povero» - La
categoria punta il dito contro dilettanti e sportivi. Zagabria annuncia un
inasprimento dei controlli
FIUME - La pressione alieutica nel versante croato dell'Adriatico è
diventata insostenibile: troppi i pescatori, a impoverire di anno in anno le
risorse ittiche di un mare ormai allo stremo. È quanto ribadito a Porto Albona (Rabaz),
in Istria, durante la riunione nazionale dei pescatori che ha visto i
partecipanti lanciare non solo un grido d'allarme, ma anche chiedere misure
concrete per migliorare una situazione a loro dire disperata. Fra le proposte è
stata lanciata dunque quella di ridurre l'Iva sul pescato e di consentire ai
pescatori professionisti di beneficiare di condizioni migliori per arrivare alla
pensione. Dito puntato poi anche contro i pescatori sportivi e dilettanti,
ritenuti tra i maggiori responsabili del depauperamento ittico. Il viceministro
croato dell'Agricoltura con delega per la Pesca, Ante Misura, ha annunciato che
d'ora in poi i controlli per questi ultimi saranno molto più rigorosi: «Queste
due categorie dovranno contrassegnare i pesci catturati per impedirne la
vendita. E per chi non si metterà in regola ci saranno ammende severe. Il
ministero - ha aggiunto Misura - è impegnato nella tutela del nostro mare, ma ci
sono sempre singoli pescatori professionisti che chiedono agevolazioni». A
prestare ascolto al pescatore dalmata Igor Kralj di Bestonio (Baska Voda), più
del 50% dei pescatori dilettanti opererebbe in modo abusivo: «Insenature e
lunghissimi tratti costieri sono chiusi da reti e palamiti e disseminati da
miriadi di nasse. Il livello critico di prelievo è stato superato da tempo, ma
non succede niente e siamo vicini al punto di non ritorno». Gli ha fatto eco
Mate Oberan, presidente della sezione Pesca alla Camera d'Economia croata:
«Dobbiamo pescare di meno, rinunciare in parte o totalmente all'attività. Non so
comunque se potrà bastare per risollevare le sorti dell'Adriatico». Anche Sanja
Matic Skoko, biologa dell'Istituto oceanografico di Spalato, ha parlato di
situazione catastrofica, che può essere migliorata solo con un'azione comune.
Intanto però i dati degli ultimi anni sui pescati in Croazia sembrano non dare
ragione a chi si lamenta per la continua riduzione delle biomasse di pesci,
molluschi e crostacei. Lo scorso anno i professionisti croati hanno catturato
85mila tonnellate di pesce, con un aumento dello 0,9% sul 2015: il dominio come
sempre è spettato alle sardelle con 54mila tonnellate (+7,6% annuo). Nel 2015 il
pescato complessivo tra specie selvatiche e d'allevamento aveva toccato le 84
mila tonnellate, nel 2012 le 70mila e nel 2010 le 52mila tonnellate. Va detto
che da anni nel Paese si operano più volte all'anno i fermi biologici su varie
specie. Queste restrizioni hanno portato dei benefici al pesce azzurro, che
viene pescato in quantità maggiori rispetto a una decina di anni fa.
(a.m.)
Rigassificatore a Veglia - Castelmuschio si ribella
Il Comune: nessuna contrarietà alla struttura ma nel progetto vanno
previsti vantaggi economici per la popolazione. Pronto lo studio di impatto
ambientale
FIUME - Il progetto del rigassificatore offshore a Veglia ha vissuto in
questi giorni un'accelerazione con la chiusura del bando internazionale per
l'acquisizione della nave-rigassificatore (l'unità galleggiante di stoccaggio e
rigassificazione). Ma i responsabili del Comune interessato, quello di
Castelmuschio (Omisalj in lingua croata), non ci stanno: si dicono delusi dagli
effettivi benefici che la municipalità e la Regione quarnerina ricaveranno dal
progettato terminal. A fare da portavoce al malcontento è stato il
rappresentante di Castelmuschio nella Commissione per la valutazione
dell'impatto ambientale. Zlatko Klobas, l'unico a votare contro la Proposta
dello Studio di impatto ambientale del terminal, a nome del proprio Comune ha
affermato infatti che Castelmuschio e i suoi abitanti non hanno avuto sino a
questo momento la risposta che si aspettavano in merito alla domanda che
ritengono basilare: quale sarà, per la località isolana e per il Quarnero, la
convenienza che deriverà dalla presenza del rigassificatore galleggiante? Nel
precisare che la municipalità vegliota non è contraria all'impianto, Klobas ha
però aggiunto che non c'è alcun documento nel quale emergano dei dati precisi su
questa tematica. «Sì, qualche piccolo incasso per noi arriverà, risulteranno
occupate una decina di persone, ma nulla di più», ha detto Klobas rilevando che
«in presenza di simili strutture, le comunità locali traggono ovunque vantaggi,
magari sotto forma di gas a prezzo più basso per utenze private e industriali, o
di investimenti atti a migliorare le condizioni di vita della popolazione. In
questo caso non si vede invece niente». Dati alla mano, secondo gli atti
disponibili al momento il Comune di Castelmuschio dal proprio campeggio potrà
incassare introiti 15 volte superiori rispetto a quanto arriverà dal
rigassificatore: «Invitiamo pertanto le autorità competenti - ha concluso il
rappresentante della municipalità - a fare una riflessione per evitare che ciò
accada. In caso contrario ci sentiremmo ingannati, con tutte le conseguenze
possibili». Il documento definitivo dello studio di impatto ambientale sarà
pronto entro un massimo di sette giorni e diverrà poi oggetto di dibattito
pubblico. Sarà una fase molto delicata, nella quale emergerà sicuramente il
malumore degli abitanti per la presenza di un impianto non certo adatto per lo
sviluppo del turismo, oltre che - allo stato - non remunerativo per il Comune.
Intanto Lng Croazia, l'azienda pubblica che gestisce il progetto, ha fatto
sapere che al bando internazionale per l'acquisizione della nave-rigassificatore
e delle relative infrastrutture si sono fatte avanti 27 imprese.Il contratto
sarà firmato agli inizi del 2018, l'ultimazione del terminal è prevista entro il
2019: è questa infatti la condizione da rispettare per ottenere i 103 milioni di
euro a fondo perduto promessi dall'Unione europea (su un costo progettuale
complessivo di 360 milioni). Il terminal dovrebbe essere operativo negli ultimi
mesi del 2020. La capacità di movimentazione della struttura sarà di 2,5
miliardi di metri cubi di gas all'anno.
Andrea Marsanich
Un eco-questionario per "sconfiggere" l'anidride
carbonica
Dal 16 al 30 ottobre i triestini sono invitati a compilare un questionario
online sul tema dei consumi energetici e della cosiddetta sostenibilità, che
sarà reperibile al link "Ambiente. Comune. Trieste. it/Paes-Patto Sindaci".
Trenta minuti di tempo per la scienza, dal momento che l'indagine rientra nel
Piano di azione per l'energia sostenibile. L'ha annunciato ieri l'assessore
comunale all'Ambiente Luisa Polli assieme all'assessore alla Comunicazione
Serena Tonel. Ha spiegato Polli: «Il questionario servirà a fornire dati utili
per capire come abbattere le emissioni di anidride carbonica. Abbatteremo il 20%
delle emissioni entro il 2020 e raggiungeremo il 30% entro il 2030». Le ha fatto
eco Tonel: «Fondamentale alla riuscita sarà la partecipazione dei cittadini, che
è mia responsabilità sensibilizzare alla cittadinanza attiva. In vista di Esof
2020 Trieste deve dimostrare di essere all'avanguardia anche in tema di
sostenibilità». L'iniziativa è promossa dal Comune di Trieste assieme a numerosi
partner: Area Science Park, Regione, Università, Trieste Trasporti, Autorità
portuale, Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, Ater e
AcegasApsAmga.
(l.g.)
Il "riciclo creativo" per rispettare la natura di scena
al Centro visite della Val Rosandra
Nel pomeriggio di sabato prossimo, a partire dalle 15, al Centro visite
della Val Rosandra - al civico 507 di Bagnoli della Rosandra - si terrà un
laboratorio didattico, naturalmente a sfondo ecologico, finalizzato a far
scoprire ai bambini l'arte del cosiddetto"riciclo creativo". Con gli addetti del
Centro i piccoli partecipanti potranno così scoprire «come dare nuova vita - si
legge in una nota di presentazione dell'appuntamento - ad alcuni materiali
semplici, come i tappi di plastica delle bottiglie, che spesso vengono gettati
dopo il loro utilizzo». I bambini realizzeranno a questo proposito «dei
simpatici gadget naturalistici, da portare a casa, prendendo nel contempo
consapevolezza dell'importanza del riciclo e della riduzione dei rifiuti». La
partecipazione al laboratorio ludico didattico è gratuita. La durata prevista è
di 90 minuti.
Natura in città - Con il Wwf caccia alle specie aliene - Oggi alla Canottieri Adria la presentazione del “safari urbano” di domenica
Tutti scienziati per un giorno, alla scoperta della "Natura in Città", avvistando e segnalando, a partire da una caccia al tesoro nei parchi cittadini in programma domenica con partenza alle 10 dal Pontile Istria, specie animali e vegetali "aliene" tramite una app sviluppata a Trieste dal Dipartimento di Scienze della vita dell'Università. Anche il capoluogo giuliano aderisce all'evento nazionale di Wwf Italia in collaborazione con il progetto Csmon-Life "Urban Nature" che vede i cittadini diventare "cittadini scienziati". Un incontro introduttivo con tre "pillole" di biodiversità aperto a tutti si terrà oggi alle 17.30 alla Società Canottieri Adria. Stefano Martellos di Csmon-Life in "Citizen science" illustrerà come si può aiutare la ricerca scientifica. «In "Città bestiali: ma chi glielo fa fare ad abitare in città?" e "Ma la libellula vale la zanzara? Gestire la biodiversità urbana" analizzeremo in modo discorsivo e coinvolgente - anticipa il naturalista e zoologo Nicola Bressi - il perché tanti animali vivono in città e come: in città gli animali vivono secondo natura, ma in un ambiente che naturale non è. È un po' come i giocatori che devono abituarsi ai campi sintetici: le regole sono le stesse, ma i match si affrontano su terreni diversi. L'uomo sempre più dovrà condividere l'ambiente urbano con gli animali. La soluzione? Aumentare le biodiversità: più spazio daremo alle specie "positive", più ne toglieremo a quelle "negative"». «Attraverso il biomonitoraggio e grazie alle nuove tecnologie - conclude il presidente di Wwf Trieste, Alessandro Giadrossi - tutti i cittadini diventano potenziali segnalatori». Iscrizioni: wwftrieste@gmail.com).
(g.t.)
Incontro col mugnaio Tuzzi
Al padiglione I - PArco di S. Giovanni (ex Opp) alle 18 incontro con Enrico Tuzzi mugnaio con un'esperienza di cinque generazioni per parlare di farina, e di economia solidale. Tiziana Cimolino introdurrà sul tema delle filiere di economia solidale nel nostro territorio.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 11 ottobre 2017
Torrenti da risanare, sbloccati 200mila euro - Cresce
il livello di attenzione sui corsi d'acqua. Lo stanziamento era fermo dal 2012,
ora è stato riattivato
Il Municipio ha alzato il livello di attenzione sulla manutenzione dei corsi
d'acqua scoperti, che scorrono nel territorio comunale. Lo dimostra l'aver
rispolverato il seguente iter amministrativo: c'era una volta una vecchia
deliberazione giuntale, risalente alla stagione cosoliniana, che stanziava 200
mila euro per il primo lotto del risanamento dei torrenti scoperti. Era l'atto
445 del settembre 2012. Tra il 2015 e il 2016 una serie di operazioni contabili
hanno fatto sì che quei quattrini non andassero in cavalleria e potessero essere
utilizzati alla bisogna. E così il Documento unico di programmazione, varato a
fine giugno, ha riconsiderato l'esecuzione dell'opera. Dal punto di vista
finanziario, i lavori si avvalgono di due mutui contratti con Unicredit. Nella
macchina comunale la vicenda è seguita da Enrico Cortese, dirigente del servizio
spazi aperti-verde pubblico-strade. Gli elaborati progettuali sono stati
aggiornati, anche perché intanto è entrato in vigore il nuovo codice degli
appalti (d.lgs. 50/16). Il criterio di aggiudicazione scelto da Cortese è il
minor prezzo mediante ribasso sull'importo posto a base di gara. L'impresa avrà
a disposizione 180 giorni per completare i lavori. AcegasApsAmga e il Comune -
lo ha ricordato recentemente il dirigente dell'utility Maria Mazzurco - sono in
procinto di impostare uno studio sull'intero bacino idrografico dell'area
comunale. Un lavoro che manca all'apparato tecnico-documentario del territorio e
adesso viene considerato importante. Soprattutto alla luce di quanto è successo
a Livorno, dove lo straripamento di corsi d'acqua secondari, in seguito a un
violento nubifragio, hanno determinato la morte di otto persone. Lo spunto per
una ricognizione dettagliata del contesto idrografico triestino è stato dato
dalla prossima apertura del cantiere in via Carducci, che dovrà provvedere a
risistemare la volta in arenaria sotto la quale passa il torrente Chiave,
formato all'altezza del Portico di Chiozza dalla confluenza dei torrenti Farneto
e Settefontane. Gli effetti delle acque piovane sono stati tra le cause dei
gravi danni subiti dalla copertura del torrente. Cogliendo l'occasione di questo
intervento, utility e amministrazione comunale mapperanno la situazione idrica a
monte della città.
I giochi nel torrente Settefontane in via della Tesa
alta - LA LETTERA DEL GIORNO di Livio Damini
Vorrei correggere parzialmente le interessanti informazioni sul torrente
"Chiave" fornite dal signor Dino Cafagna e pubblicate con il titolo "Via
Carducci, è sbagliato chiamare quel torrente Chiave" nella benemerita rubrica
delle Segnalazioni su "Il Piccolo" del 5 ottobre scorso. Forse tratto in errore
dal nome della via omonima, il Cafagna scrive: "il torrente Settefontane (o
Klutz), proveniente da Cattinara (scorre sotto la via Settefontane e la via
Carducci)...". Ciò non corrisponde alla realtà. Detto torrente scorre invece
sotto la via della Tesa (foto) ovvero ciò che rimane di questa una volta
importante arteria, che iniziava dallo slargo che ora si chiama largo Sonnino e,
seguendo a zig-zag la linea della valle, saliva sino all'attuale piazza Foraggi.
Il torrente scendeva sì, da Cattinara, ma seguiva il percorso naturale del fondo
valle dell'attuale viale Ippodromo e quindi, via della Tesa. Un'anziana signora,
ora non più con noi, che fu bambina all'inizio del secolo scorso, mi raccontava
che con gli amichetti, giocava nel torrente Settefontane allora non ancora
coperto, nella parte alta di via della Tesa.Tra la fine degli Anni '60 e i '70
del 1900, improvvise e copiose precipitazioni piovose fecero nascere impetuosi
torrenti che, scorrendo da viale Ippodromo si infilavano nel loro "letto"
naturale di via della Tesa provocando un allagamento di quasi un metro di
altezza nella parte finale della strada, fino al Largo Mioni. Ancora oggi,
malgrado i provvidenziali lavori operati dal Comune di Trieste (in
quell'occasione vidi di persona il torrentello, venuto alla luce a causa dei
lavori), con l'apertura di capaci "bocche di lupo" che, se non ostruite da
terriccio e foglie trasportate dall'acqua, riducono la presenza del torrente in
superficie, repentini fenomeni meteorici possono provocare l'accumularsi
dell'acqua a valle della via. Un tanto per dimostrare che il torrente
Settefontane scorreva lungo quella linea valliva che poi divenne la via della
Tesa. L'attuale viale d'Annunzio costruito a metà degli Anni '30 (come viale
Sonnino) segue un percorso innaturale ai fini del deflusso delle acque piovane e
non viene mai allagato come succede invece in via della Tesa.
Nuovi treni regionali - Trenitalia presenta a Bologna i
convogli del trasporto locale
BOLOGNA - È partito da Bologna, in piazza Maggiore, il road show di
Trenitalia per far conoscere ai cittadini e ai pendolari i nuovi convogli della
flotta regionale destinati, dal 2019, a rivoluzionare positivamente il trasporto
locale. La prima regione dove arriveranno i nuovi treni pendolari sarà proprio
l'Emilia Romagna (nei piani non c'è il Friuli Venezia Giulia, confermano fonti
di Trenitalia): si tratta complessivamente di 86 convogli di cui 39 doppio piano
pensato per un'alta frequentazione) e 47 mono piano per una media
frequentazione. A livello nazionale, le nuove flotte dei treni regionali, 300
Rock prodotti da Hitachi Rail Italy e 150 Pop prodotti da Alstom, compongono la
maxi fornitura da 450 nuovi convogli della commessa da oltre 4 miliardi di euro
complessivi. «La musica sta cambiando - ha spiegato l'amministratore delegato di
Fs Italiane, Renato Mazzoncini parlando dal palco allestito in piazza -
sostituiremo nei prossimi anni il 50% della flotta regionale di tutta Italia. Il
20% l'abbiamo già sostituito negli ultimi due anni, quindi, ci troveremo con una
flotta che sarà sicuramente la migliore d'Europa».
IL PICCOLO - MARTEDI', 10 ottobre 2017
Amianto a Fiume - Si punta alla mappa dei siti a
rischio - La stima del Comune: tetti in eternit per mille tonnellate
L'assessore allo Sviluppo: «No alle discariche abusive»
FIUME - Nonostante le operazioni di bonifica effettuate negli ultimi anni, i
tetti in amianto a Fiume restano numerosi. Stando all'assessore municipale allo
Sviluppo, urbanistica ed ecologia, Srdan Skunca, si stima che nel capoluogo del
Quarnero vi siano ancora circa mille tonnellate di tetti in eternit,
quantitativo ritenuto estremamente pericoloso per questa città di 130 mila
abitanti. «Siamo consci che la situazione è tutt'altro che ideale - ha rilevato
l'assessore - il materiale di amianto va progressivamente rimosso, smaltito
correttamente e messo in condizioni di non nuocere. L'amministrazione comunale
ha emanato tempo fa la delibera relativa all'obbligo per i cittadini di
denunciare la presenza di tetti in amianto, specificandone il luogo in cui si
trovano e la quantità». L'obiettivo dell'amministrazione è quello di arrivare a
una sorta di mappatura dei siti pericolosi, aumentando nel frattempo la
consapevolezza della popolazione in merito alla necessità di rimozione dei tetti
in amianto. L'assessore ha lanciato anche un altro allarme: «Purtroppo - ha
detto Skunca - la rimozione di questi tetti e la sostituzione con tegole sta
avvenendo in modo non coordinato, disorganizzato, con il materiale che viene
portato via da aziende o singoli non autorizzati. Durante operazioni di pulizia
dell'ambiente, che a Fiume avvengono da decenni, si trovano spesso discariche
abusive, piene di rifiuti di asbesto. I cittadini devono capire che gettando
questi materiali nell'ambiente si rendono responsabili di un comportamento molto
pericoloso. Sottoposti agli agenti atmosferici, questi rifiuti tendono a
decomporsi, con l'amianto che va a disperdersi nell'ambiente. È a rischio per la
salute dell'uomo anche la sistemazione provvisoria del materiale di amianto
negli scoperti delle abitazioni». L'assessore della giunta di Vojko Obersnel ha
rilevato come nel 2014 siano state raccolte 49 tonnellate di materiale edile a
rischio; l'anno successivo si è arrivati a 81 tonnellate, mentre nel 2016 gli
organismi comunali ne hanno raccolte 31. A detta dell'assessore, i differenti
quantitativi raccolti negli ultimi tre anni indicano che il sistema non è ancora
bene oliato, denuncia lacune e va migliorato per poter eliminare negli anni a
venire le circa mille tonnellate di tetti in eternit ancora presenti a Fiume.
Andrea Marsanich
Legambiente - Opuscolo sui giardini inquinati
Oggi dalle 15 alle 17 nel Giardino pubblico di via Giulia i volontari di Legambiente distribuiranno ai cittadini l'opuscolo "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere".
IL PICCOLO - LUNEDI', 9 ottobre 2017
A Duino la maglia nera degli incidenti stradali - I
dati provinciali Aci. Il 76% dei casi più gravi fuori dagli abitati - Gli
incidenti nella provincia di Trieste
TRIESTE - Sono le strade killer della provincia. Parliamo delle arterie
lontane dai centri abitati, cioè le provinciali, le regionali, i tratti della
grande viabilità. Sono loro a meritare questo triste primato, in base
all'analisi degli incidenti verificatisi nel corso del 2016 fatta dalla
delegazione di Trieste dell'Aci e dalla quale emerge anche che, fra i comuni
della provincia, è quello di Duino Aurisina a vestire la maglia nera con un
numero di schianti stradali molto più alto degli altri (al netto del dato sul
territorio comunale di Trieste): 44 contro i 12 di San Dorligo della Valle, i 10
di Muggia, i 5 di Sgonico e i 3 di Monrupino. Dallo studio risulta che,
nell'ambito dei 952 incidenti sotto la lente, il maggior tasso di gravità, pari
al 46,51 per cento, è da attribuire a quelli che si sono verificati sui tratti
autostradali, il 30% a quelli capitati nelle strade provinciali, regionali e
statali. Conferma i risultati di questa analisi anche il tasso di mortalità, che
arriva al 76,92% sui tratti autostradali del territorio provinciale. Se si entra
poi nel dettaglio degli incidenti mortali, nove in tutto nel 2016, con un
aumento rispetto al 2015 quando ce n'erano stati sette, emerge un altro elemento
importante: sette dei nove si sono verificati nelle strade che circondano il
territorio comunale di Trieste, poi uno a Duino Aurisina e uno a Muggia. Questa
dunque l'ombra scura che si proietta sui dati diffusi dalla locale sezione dell'Aci.
Dai quali emerge anche un altro fattore molto preoccupante: il 33,22 per cento
degli incidenti vede, fra le "presunte circostanze", in sostanza le probabili
cause, il mancato rispetto dei segnali stradali. Segue, nel 19,52% dei casi,
l'alta velocità, e nel 14, 38% la guida distratta. Tre motivi omogenei che
stanno a indicare che, quando ci sediamo al volante, la nostra attenzione è
troppo spesso assorbita da tutto fuorché da ciò che dovrebbe contare di più,
cioè il rispetto delle regole del Codice della strada. Telefonini, utilizzati
per parlare o peggio per scrivere o leggere messaggi, navigatori, magari la
necessità di accendere una sigaretta, cercandola nelle tasche, sono troppo
spesso causa di disattenzioni che possono diventare fatali. Quello relativo alla
distrazione o comunque a un atteggiamento troppo disinvolto quando si impugna il
volante, è un fattore che trova conferma anche dall'analisi delle cause degli
incidenti mortali: nel 42,86 per cento delle situazioni, a provocarli, sulle
strade della provincia, è stato il mancato rispetto dei segnali, nel 28,57% la
guida distratta, nel 14,29%, con sinistra omogeneità, sia l'eccessiva velocità
sia la marcia contromano. Ulteriore elemento da valutare un altro dato reso noto
dall'Aci: quando negli incidenti sono coinvolti pedoni, in più di due terzi dei
casi, precisamente nel 67,66 per cento delle situazioni, gli stessi non hanno
alcuna responsabilità. Ciò sta a significare che, per quanto sempre più spesso
si notino, anche da parte di chi va a piedi, comportamenti non troppo corretti,
la maggiore responsabilità ricade più di due volte su tre su chi sta alla guida.
«Devo formulare un pubblico appello alla prudenza - dice Maura Lenhardt,
direttore della sezione di Trieste dell'Aci - perché dai dati si evidenzia un
progressivo peggioramento nell'atteggiamento delle persone quando si apprestano
a guidare un mezzo, sia esso un'automobile, uno scooter, una motocicletta, un
camion. Sono troppi oggi - aggiunge - i fattori che ci possono sottrarre
all'attenzione che andrebbe invece prestata alla guida. I telefonini sono
senz'altro da indicare come principale causa di distrazione - precisa la
responsabile della sezione di Trieste dell'Aci - perché basta osservare gli
automobilisti per notare quanto spesso abbiano all'orecchio un cellulare».
Eppure esistono molti correttivi che, per pochi euro, metterebbero tutti in uno
stato di maggiore sicurezza: se non si vuole spendere per un apparecchio di viva
voce, è sufficiente acquistare, per una cifra relativamente modesta, un
auricolare e indossarlo. Per sensibilizzare tutti a una maggiore attenzione
sulle strade, nei giorni della Barcolana, l'Aci di Trieste è stata presente con
uno stand, dove sono stati distribuiti opuscoli sul tema.
Ugo Salvini
TRASPORTI - Prenotazione dei taxi via app Sistema
attivo su 227 vetture
Il taxi a portata di clic. I triestini hanno iniziato in questi giorni a
prendere dimestichezza con l'applicazione "It Taxi", il nuovo sistema di
prenotazione dei taxi che fa risparmiare agli utenti tempo e denaro. Il
progetto, unico in regione e costato 40mila euro, ha dotato di nuova tecnologia
le 227 vetture della cooperativa Radio Taxi e di un nuovo potente sistema di
smistamento delle chiamate la sede centrale. La app mette direttamente in
contatto il cliente con il taxi a lui più vicino, senza dover comporre lo
040-307730 e tenendo conto non solo della distanza ma anche della percorrenza
delle singole vie, offrendo così la soluzione più vantaggiosa per l'utente. «Un
servizio che dà lustro alla nostra città e che nasce dalla lungimiranza di Radio
Taxi», ha sottolineato l'assessore comunale allo Sviluppo economico, Maurizio
Bucci, illustrando la novità della app. «Si tratta di un'iniziativa realizzata
in autonomia dalla cooperativa - ha evidenziato - che va di pari passo con
l'intenzione di questa amministrazione di rinnovare il sistema dei servizi al
pubblico». «Per i grandi utenti come alberghi o società - spiega Davide Secoli,
presidente Radio Taxi - è disponibile anche una specifica pagina web che
facilita ulteriormente il loro lavoro. Per i clienti convenzionati - aggiunge -
presto verrà introdotto un sistema di pagamento attraverso voucher elettronici
gestito direttamente dall'applicazione». Applicazione che affianca il classico
sistema di chiamata al centralino ed è disponibile anche in tedesco e inglese.
«L'impennata turistica impone a chi offre servizi di modernizzarsi - ha
osservato Enrico Eva, segretario di Confartigianato -, il turista è ingordo di
tecnologia ed è giusto dare risposte concrete a queste esigenze». «Il sistema di
"It Taxi" è semplice e intuitivo - ha spiegato Antonio Chersi, vicepresidente di
Radio Taxi -, cliccando sull'app l'utente viene geolocalizzato e sullo schermo
una mappa indica via e numero civico. Dopo aver dato conferma dell'indirizzo,
selezionando la sezione "preferenze" è possibile scegliere una serie di opzioni
e a quel punto si invia la richiesta». Una notifica avvisa il cliente del numero
del taxi in arrivo e del tempo di attesa.
(l.t.)
IL PICCOLO - DOMENICA, 8 ottobre 2017
Operazione restyling del Porto vecchio al traguardo in
6 anni -
L'accordo prevede la consegna dei lavori entro la fine del 2023 - Nessun
intervento di recupero per Magazzino 23 e "Locanda"
«La riqualificazione dell'area del Porto vecchio di Trieste è un obiettivo
di rilievo nazionale». È la premessa all'accordo operativo tra Ministero ai Beni
culturali, Regione Fvg, Comune e Porto di Trieste, per la partecipazione al
Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) del Cipe all'interno del ciclo di
programmazione 2014-2020 del Piano stralcio Cultura e Turismo. Un miliardo di
euro destinato alla realizzazione di 33 interventi fra cui anche quello da 50
milioni per il Porto vecchio di Trieste approvato dal Cipe il 1° maggio 2016. «È
la prima volta - si legge nella relazione introduttiva - che si affronta
organicamente tutta la problematica e la prima volta che si dispone di risorse
consistenti in grado di consentire il completamento funzionale di una parte
dell'area». L'accordo operativo è stato firmato lo scorso 25 settembre nel
palazzo della Regione da Dario Franceschini, Debora Serracchiani, Roberto
Dipiazza e Zeno D'Agostino. Il 28 settembre è stato approvato dalla giunta
comunale. Il protocollo d'intesa è stato invece sottoscritto il 28 maggio 2016
in Porto vecchio alla presenza dell'allora premier Matteo Renzi. Ora, dopo la
pubblicazione sull'albo pretorio dell'accordo operativo, si possono scoprire i
dettagli dell'operazione 50 milioni (molti inediti). «La stessa natura del Fondo
Sviluppo e Coesione - si legge nella relazione - impone che l'ingente, anche se
non esaustivo investimento, sia finalizzato a opere che producono impatti
positivi sin dal loro completamento». Per questo motivo dai 50 milioni sono
state escluse le opere di infrastrutturazione urbana non strettamente funzionali
e connesse all'intervento come le bonifiche ambientali o lavori "di messa in
sicurezza o di solo restauro". «Di conseguenza - si fa sapere - si escludono dal
finanziamento le bonifiche dei torrente Chiave e Rio Martesin che impegnerebbero
rispettivamente 11,5 e 4,5 milioni (16 milioni in totale)». L'obiettivo è stato
fin dall'inizio di «concentrare gli interventi in un'area limitata dell'enorme
compendio (60 ettari)» inglobando le ristrutturazioni già completate dell'ex
Centrale idrodinamica, dell'ex Sottostazione elettrica e, parzialmente, del
Magazzino 26. «Gli interventi previsti - si informa - assieme alle
ristrutturazioni già completate, vengono a formare un importantissimo attrattore
culturale in edifici di grande pregio architettonico adiacenti tra loro con un
viabilità adeguata e con la sistemazione di una passeggiata a mare». Il fronte
mare, tuttavia, non fa parte della sdemanializzazione e resta sotto l'Autorità
portuale. Si comincerà dalla realizzazione della rotatoria di viale Miramare,
dall'infrastrutturazione di questa porzione di Porto vecchio, dalla
realizzazione del Museo del mare (nei Magazzini 24 e 25), dal trasferimento
dell'Icgeb al Magazzino 26, dalla sistemazione dell'Ursus. Tra il protocollo di
intesa del 2016 e l'accordo operativo del 2017 sono stati rivisti alcuni importi
dei vari interventi. L'Ursus, per esempio, ha perso due milioni e mezzo (dei 5,5
inizialmente previsti) a favore soprattutto della viabilità (5 milioni). Il
Museo del Mare è stato privato di due milioni (da 25 da 23) e pure del Magazzino
23 (inizialmente coinvolto). Il trasferimento dell'Icgeb al Magazzino 26 avverrà
con due milioni in meno (da 12 a 10). È inoltre scomparso dall'orizzonte il
restauro della vecchia "Locanda" - già protagonista in passato di set
cinematografici - per il quale erano stati messi in conto 800mila euro.I 50
milioni non arriveranno tutti in una volta, ma in sei anni con le cifre
importanti negli ultimi quattro: 1 milione di euro nel 2017, 2,5 milioni nel
2018, 11 milioni nel 2019, 11 milioni nel 2020, 11 milioni nel 2021 e 13,5
milioni nel 2022. I primi due anni, infatti, saranno dedicati alla
progettazione. A incassare i fondi Cipe sarà la Regione. «Il soggetto attuatore
degli interventi dovrà inviare alla Regione entro un anno dalla stipula
dell'accordo (28 settembre 2018) il progetto di fattibilità tecnica e il
cronoprogramma relativo». Le procedure di gara per l'appalto dei lavori devono
essere avviate entro il 31 marzo 2019 e il termine di ultimazione degli stessi è
stabilito al 31 dicembre 2023. Poco o nulla, insomma, sarà pronto per Esof 2020,
Trieste capitale della scienza, che si terrà proprio in quell'area di Porto
vecchio. Sarà sempre la Regione ad effettuare il "monitoraggio" dell'intervento.
Qui l'accordo operativo riesce a inventarsi un calendario tutto suo. Al comma 4
dell'articolo 9 si legge: «Le relazioni sono inviate entro il 31 marzo e il 31
novembre di ogni anno a cominciare dalla prima scadenza successiva alla firma
dell'accordo». "Trenta dì conta novembre con april...".
Fabio Dorigo
Museo del mare europeo da diecimila metri quadri -
Contenitore culturale nei Magazzini 24 e 25. Costo degli adeguamenti 23 milioni
L'Icgeb va nel 26 ma i fondi sono meno della metà necessaria all’intero
trasloco
La viabilità prima di tutto. Si comincerà con la realizzazione della rotatoria di viale Miramare ha fatto sapere Roberto Dipiazza all'atto della firma dell'accordo operativo da 50 milioni. Il sindaco è riuscito a ritagliarsi 5 milioni di euro per le strade in Porto vecchio limando gli altri interventi previsti. «La soluzione proposta per la viabilità carrabile interna al Porto vecchio - si legge nella relazione - prevede la realizzazione di un accesso da viale Miramare all'altezza del varco attualmente esistente, con la previsione di una rotatoria stradale». Oltre alle corsie di marcia ci sarà «la presenza di corsie ciclabili». Ma non basta. «La costruzione della nuova sede stradale - si fa presente - dovrà prevedere la rimozione degli elementi lapidei (lastre di arenaria, masegni) al fine di consentire un loro recupero e riutilizzo». Nessuna pietà, invece, per i binari ferroviari. «Nel caso non fosse possibile procedere con il lievo del fasciame di rotaie, dovrà essere individuata una soluzione tecnica che consenta il loro ricoprimento al fine di potere realizzare la pavimentazione stradale». La bretella, infatti, dovrebbe passare dietro la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica e quindi sopra i binari utilizzati dal Tramway. Si stima di poter fare tutto in 42 mesi. Le infrastrutture urbane (illuminazione e reti elettriche, idriche e fognarie) richiederanno 9 milioni. «L'area, in ragione della sua destinazione d'uso fino alla sdemanializzazione, risulta priva dei servizi minimi fondamentali e indispensabili». Un milione e 700mila euro saranno assorbiti dalla rete elettrica. Le opere idriche, invece, dovrebbero assorbire circa 700mila euro. Due milioni e 400mila euro sono previsti invece per la realizzazione della rete fognaria e di drenaggio urbano (acque bianche). Un milione e 300mila euro sono destinati agli impianti di illuminazione pubblica. Già scelti i lampioni. «I corpi illuminanti - si legge - saranno di tipo decorativo a pastorale "tipo Trieste"». Quelli, per capirsi, che fanno impazzire il sindaco Dipiazza. Per la rete del gas si prevede di spendere 705mila euro. Per i servizi tecnologici (rete internet) è previsto un investimento da 210mila euro. I tempi previsti sono di 42 mesi. Il Museo del mare in Porto vecchio, che ingloberà l'attuale Museo di Campo Marzio, avrà come sede i Magazzini 24 e 25, entrambi in pietra e acciaio, su tre piani, interamente da ristrutturare, con complessivi 10mila metri quadrati utilizzabili. Con le collezioni pubbliche (come quella del Lloyd Triestino) e private sarà possibile allestire - si legge nella relazione - «un importante nuovo grande museo del mare di livello europeo». Il progetto scientifico del museo è ancora però tutto da scrivere: 3,5 dei 23 milioni sono dedicati ai lavori di arredo ed allestimento. Il progetto assorbe quasi la metà dei 50 milioni stanziati dal Cipe (23 milioni) e prevede la sua realizzazione in 6 anni. La scelta dei Magazzini 24 e 25 (inizialmente c'era anche il 23) è stata determinata anche dal fatto che sono adiacenti al 26 e che sono affacciati sul mare (il bacino del Molo Zero) per il quale già si prevede «un successivo sviluppo di un'attività espositiva esterna sulle banchine od addirittura sullo specchio acqueo». Si parla da anni del possibile approdo a Trieste dell'incrociatore Vittorio Veneto e del sommergibile Fecia di Cossato. L'Icgeb (Centro internazionale per l'ingegneria genetica e le biotecnologie) troverà sede nel Magazzino 26, edificio realizzato nel 1870 che si sviluppa su 4 piani, 35mila metri quadrati di superficie, uno dei più grandi del Porto vecchio, completamento restaurato negli esterni e parzialmente negli interni (nel 2011 ha ospitato la Biennale diffusa di Sgarbi). L'Icgeb, diretto da Mauro Giacca, è attualmente collocato in Carso, all'interno dell'Area di ricerca di Padriciano. L'attuale giunta comunale avrebbe fatto volentieri a meno della sua presenza in Porto vecchio (a inizio mandato l'assessore Rossi aveva fatto trapelare un suo depennamento da parte del governo). Sono stati il ministero e la Regione a imporlo. L'Icgeb assorbirà circa 20mila metri quadrati e 10 dei 50 milioni (all'inizio erano 12) per l'adeguamento architettonico e impiantistico. Al piano terra dovrebbero essere realizzati la reception, una zona mostre, il ristorante e bar, oltre a depositi e magazzini. Ai piani primo e secondo troveranno posto i laboratori, uffici per ricercatori, la serra, la zona produzione farmaci, lo stabulario e spazi per le start-up. Al piano terzo saranno realizzati gli uffici della direzione e dell'amministrazione, una meeting room da 250 posti, una seminar room da 90 posti e laboratori didattici. Il costo complessivo per il restauro del Magazzino 26 per ospitare l'Icgeb è pari a 26 milioni: «Le risorse a disposizione (10 milioni) non consentono la realizzazione dell'intero intervento, ma rendono necessaria l'individuazione di due lotti funzionali. Il primo che consente l'attivazione dei laboratori e quindi il trasferimento dell'attività di ricerca vera e propria nell'area di Porto vecchio con la possibilità di utilizzare i locali già ristrutturati nel corpo iniziale del Magazzino 26 in accordo il Comune di Trieste». Nel Magazzino 26 dovrebbe trovare sede anche l'Immaginario scientifico che sta a Grignano e che detiene un contributo di 400mila euro dal Miur per il trasloco.
(fa. do.)
Ferstoria si appella alle Ferrovie: «Non si
seppelliscano i binari cancellando il trenino»
Addio trenino in Porto vecchio. Una striscia d'asfalto seppellirà le rotaie.
«Dove ora è esposta la Locotender a vapore Gr 880 e dove fino a qualche tempo fa
correva il Tramway verrà edificata l'ennesima strada. Questo significa la fine
del trasporto su rotaia in Porto vecchio» sentenziano i volontari di Ferstoria
che si rivolgono al direttore di Fondazione Fs Luigi Francesco Cantamessa per
scongiurare lo scempio ferroviario: «Può aiutarci a salvare questo collegamento
con Trieste Centrale dalla cementificazione che il sindaco vuole fare eliminando
le rotaie coprendole con asfalto e creando al suo posto una strada per altro già
esistente qualche metro più in là?». Il progetto Tramway Porto vecchio Trieste
sarebbe dovuto ripartire per la Barcolana e invece è rimasto fermo. L'intenzione
di fare passare la bretella dietro la Centrale idrodinamica e la Sottostazione
elettrica seppellisce i binari e di conseguenza il Tramway Pvt, quello che, ai
tempi dell'ex sindaco Cosolini, sarebbe dovuto arrivare "quasi" a Barcola. Con
il risultato di eliminare «l'unico collegamento ferroviario tra il Porto vecchio
e la rete ferroviaria italiana, mettendo una pietra sopra al progetto di
trasporto passeggeri via treno per il futuro terminal crociere di Adria
Terminal».
(fa.do.)
Ascensore panoramico sull'Ursus - Tre milioni destinati
allo storico pontone, gigante scelto come simbolo dell'area
Si dovrà accontentare di 3 milioni (erano 5 e mezzo quelli promessi
inizialmente). L'Ursus, il pontone galleggiante varato nel 1914 e completato nel
1933, è destinato a diventare il simbolo del Porto vecchio. Era candidato anche
a diventare la mascotte del Parco del Mare al molo Fratelli Bandiera.
Sopravvissuta a un conflitto mondiale e messa a dura prova dalle raffiche di
Bora, la gru è rimasta un chiodo fisso del piano Cipe da 50 milioni di euro.
L'Ursus è rimasto operativo fino al 1994, poi fu abbandonato sino al 2004,
quando la Fincantieri spa, ultima proprietaria, decise di non demolirlo, ma di
donarlo alla Guardia Costiera ausiliaria. Nel luglio 2011 la Direzione regionale
per i beni culturali decreta il pontone galleggiante Ursus di "interesse
culturale" «quale importante testimonianza di archeologia industriale ed
elemento rilevante del porto e della città di Trieste». Con un braccio a torre
rotante su ralla di altezza di 75 metri con capacità di sollevamento di 150
tonnellate, l'Ursus è stato per molto tempo il pontone più potente. Inoltre è
l'unico mezzo del genere interamente progettato e costruito in Italia. Nel 1975
l'Ursus venne sottoposto a importanti lavori con la sostituzione dei motori
installati nel 1925 (uno dei quali è ancora visibile al Museo del mare di
Trieste). Un gigante buono dell'archeologia industriale che qualcuno (il
consigliere leghista Antonio Lippolis) considera un "obbrobrio" (e i soldi
stanziati «buttati nel cesso») e che qualcun altro (Roberto Dipiazza) vorrebbe
rottamare. «La prima notte di Bora taglierò gli ormeggi e lo lascerò libero di
andare per l'Adriatico», ha dichiarato scherzando il primo cittadino il giorno
della firma dell'accordo operativo. Le opere per l'Ursus riguardano il completo
carenaggio, la messa in sicurezza dello scafo, la musealizzazione della sala
macchine, di parte degli alloggi e delle aree comuni, il refitting della gru e
l'installazione di un ascensore a scopo turistico (il pontone è alto 75 metri).
«L'obiettivo principale del recupero del pontone gru - si legge nella relazione
- è quello di poter rendere fruibile al pubblico il mezzo stesso, garantendone
la sicurezza e il mantenimento dello stesso, portando a conoscenza le tecniche
di costruzione» di inizio del secolo scorso. Inizialmente il costo stimato era
pari a 5,5 milioni poi ridotto a 3. Si prevedono 38 mesi per il completamento
dei lavori tra progettazione ed esecuzione. Poi l'Ursus, rimesso a nuovo, si
offrirà anche come ascensore per il cielo.
(fa.do.)
Contovello reclama il "Pedibus" - La circoscrizione
Ovest chiede al Comune l'attivazione del servizio per le scuole
PROSECCO - Arriva dalla circoscrizione di Altipiano Ovest al Comune l'invito
a attivare nelle scuole primarie di Contovello, Prosecco e Santa Croce il
"Pedibus", l'originale sistema di spostamento a piedi in modo organizzato per i
bimbi in età scolare. Inventato e proposto dall'ambientalista David Engwicht nel
1992 in Australia, il Pedibus, ovvero Piedibus o Walking bus che dir si voglia,
è stato apprezzato e riproposto in tante nazioni per la sua semplicità. Recarsi
a scuola muovendosi a piedi guidati e accompagnati da insegnanti e genitori è
innanzitutto un utile sistema volto a socializzare e a conoscere l'ambiente
circostante. Inoltre il Pedibus tenta una prima risposta ai problemi di
sedentarietà e obesità che sembrano ogni giorno di più avvilire i più giovani,
catturati drammaticamente da televisori e telefonini e costretti, loro malgrado,
a rimanere attaccati agli schermi per ore e ore senza muoversi. Se a questa
situazione va a sommarsi un'alimentazione dove il fast food è per molti tragica
pratica quotidiana, va da sé che pure piccoli stratagemmi come il Pedibus
possano fare la differenza per una promozione di abitudine salutari attraverso
l'esercizio fisico. Secondo il consigliere Simon Rozac (Lega Nord) che ha
proposto al resto del consiglio la mozione rivolta all'attivazione del servizio,
i costi sarebbero inesistenti visto che l'organizzazione del servizio ricade sul
Comune, sulle associazione dei genitori e suo volontari. Dalla pratica del
Pedibus gli scolari trarrebbero autostima e attitudine al dialogo, oltre a
garantirsi migliori livelli di attenzione. Senza dimenticare che pure il
traffico veicolare risulterebbe ridotto nei pressi delle scuole con grande
beneficio per l'ambiente. «Il Consiglio circoscrizionale ha sposato
all'unanimità la proposta del Pedibus per le nostre scuole - aggiunge la
presidente del parlamentino Maja Tenze - un indirizzo che dà continuità a quanto
già promosso dalla precedente giunta comunale, per un servizio che risulta già
attivo in diverse scuole comunali. Per tutte queste ragioni chiediamo pertanto
agli organi competenti del Comune di recepire questa proposta e di realizzare il
Pedibus nelle scuole della prima circoscrizione».
(ma.lo.)
IL PICCOLO - SABATO, 7 ottobre 2017
Il piano franco-indiano per l'Ilva: 4mila tagli - Il
gruppo ArcelorMittal pronto a fare 10mila assunzioni: dura la reazione dei
sindacati
ROMA - Parte in salita la vertenza sull'Ilva, acquisita dalla cordata Am
InvestCo, controllata dal gruppo franco-indiano ArcelorMittal, in seguito al
fallimento controllato del gruppo siderurgico italiano un tempo di proprietà
della famiglia Riva. Ieri - a tre giorni dall'apertura del tavolo al Mise - i
sindacati hanno ricevuto da Am InvestCo e dai commissari straordinari dell'Ilva
la comunicazione richiesta dalla legge per la cessione del ramo d'azienda dove
deve essere indicato il futuro dei dipendenti e le loro nuove condizioni
giuridiche ed economiche. Anche se i numeri degli esuberi (4.000 circa) e di
quelli che saranno assunti da Am InvestCo (10.000 in tutto, ma ci sono anche i
70 dipendenti delle due controllate francesi Socova e Tillet) erano già noti, la
reazione dei sindacati è stata immediata, concorde e furibonda. A Cornegliano la
Fiom minaccia di occupare la fabbrica e a Taranto ci si prepara alla
mobilitazione. Mentre il viceministro Teresa Bellanova, che seguirà il Tavolo,
calma gli animi: «La trattativa deve ancora cominciare». Per la Fiom,
ArcelorMittal si è dimostrata «arrogante e inaffidabile». Il segretario generale
Fiom Francesca Re Davide e Rosario Rappa bollano la comunicazione come «una
provocazione» alla quale si può rispondere solo con «una forte azione
conflittuale di tutte le lavoratrici e i lavoratori». Per Marco Bentivogli
leader della Fim-Cisl, la trattativa «parte col piede sbagliato» e se non ci
saranno passi indietro «la mobilitazione generale diventerà inevitabile». Rocco
Palombella, segretario generale dei siderurgici della Uil, definisce
«inaccettabili» le condizioni poste da Am InvestCo. I più arrabbiati sono i
genovesi di Cornegliano dove i tagli previsti sono addirittura 600 su 1500. «Non
possiamo permettere questo schiaffo alla città» attacca Armando Palombo della
Rsu Fiom preannunciando «l'occupazione della fabbrica». Stessa rabbia da parte
della Fiom genovese: «Una lettera vergognosa che cancella fra l'altro due leggi
dello Stato: quella che prevede che in una cessione di ramo d'azienda passino
automaticamente anche i dipendenti e una legge che si chiama accordo di
programma e che dice che a Genova i livello occupazionali e i salari non si
possono toccare» attacca il segretario della Fiom genovese Bruno Manganaro A far
saltare in piedi i sindacati non sono stati solo i numeri (che potranno essere
discussi al tavolo), ma soprattutto le condizioni che dovranno essere accettate
dai lavoratori che passeranno alle dipendenze di Am InvestCo. Innanzitutto
perderanno le garanzia dell'art.18 perché saranno riassunti con il contratto a
tutele crescenti previsto dal Jobs Act, inoltre non ci sarà alcuna «continuità
rispetto al rapporto di lavoro» precedente «neanche in relazione al trattamento
economico e all'anzianità». Da quest'ultimo punto di vista Am InvestCo di dice a
valutare «alcuni ulteriori elementi di natura retributiva riferibili ad elementi
costituenti l'attuale retribuzione». Toccherà quindi ai sindacati trattare per
riuscire a mantenere i livelli retributivi. Nel frattempo, dall'Antitrust
europea si fa sapere, con un provvedimento, che l'operazione Ilva può «rientrare
nell'ambito di applicazione del regolamento sulle concentrazioni».
GREENSTYLE.it - VENERDI', 6 ottobre 2017
Rinnovabili, IEA: in crescita fino al 2022, boom del fotovoltaico
Fotovoltaico in forte crescita tra le fonti energetiche e boom delle rinnovabili a livello globale nel 2016. Questo lo scenario delineato nel nuovo rapporto diffuso dalla IEA (International Energy Agency) e intitolato “Renewables 2017″, nel quale l’agenzia avrebbe corretto il tiro sulla stima delle fonti pulite dopo le polemiche divampate negli scorsi mesi in merito alla sottostima in cui sarebbero incorse per anni le rinnovabili.
Secondo le nuove stime IEA il fotovoltaico correrebbe più forte del carbone e di ogni altra fonte energetica, contando su 74 GW di nuova potenza installata nel 2016 (+50% rispetto al 2015) su un totale globale di 165 GW per quanto riguarda le fonti rinnovabili. Una prospettiva che avrebbe spinto il direttore dell’International Energy Agency, Fatih Birol, ad affermare che ci apprestiamo ad assistere alla “nascita di una nuova era del fotovoltaico”, destinata a proseguire nella sua corsa fino al 2022.
In funzione delle nuove stime elaborate dalla IEA lo
scenario relativo al periodo 2017-2022 vedrà la comparsa di nuova potenza
elettrica per un ammontare di 920 GW. Come prevedibile il fotovoltaico reciterà
la parte del leone con 438 GW negli anni indicati, per una capacità complessiva
al termine dell’arco temporale di 740 GW.
Prendendo in considerazione uno scenario particolarmente positivo per le fonti
rinnovabili la quota raggiunta da quest’ultime potrebbe addirittura sforare i
1000 GW di nuova potenza elettrica al termine del 2022. Venendo ai numeri sulla
produzione energetica IEA conferma la forte crescita attesa dal comparto “Green
Energy” stimando intorno agli 8 mila TWh il suo contributo tra cinque anni. Più
del gas naturale e vicinissimo al carbone (circa 10 mila TWh). La quota verde
nel mix totale salirà dal 24 al 30%: in prima fila l’idroelettrico, seguito
nell’ordine da eolico, fotovoltaico e bioenergie. Più lenta invece la crescita
delle rinnovabili termiche, destinate alla produzione di acqua calda sanitaria,
al riscaldamento, e ai processi industriali. La percentuale del contributo
assicurato salirà secondo IEA appena del 2%, passando dal 9 del 2015 all’11% del
2022, senza quindi riuscire a impensierire in maniera netta le fonti fossili.
Sarà praticamente congelato il quadro della quota energie pulite nel settore
trasporti su strada in ottica 2022, ferme al 4,5% del mix, con i biocarburanti
al 90% del totale e i veicoli elettrici ancora indietro nelle vendite.
Claudio Schirru
IL PICCOLO - VENERDI', 6 ottobre 2017
Il Centro visite del Wwf pronto alle ex Scuderie già
all'inizio del 2018 - Sciolto il nodo degli ultimi 100mila euro necessari per
l'opera
Diventerà un museo interattivo con molte specie "simulate"
Il cantiere è ancora in fieri ma la data o per lo meno il periodo di
apertura del Centro visite dell'Area marina protetta di Miramare nell'ala destra
delle ex Scuderie è ufficiale: sarà a inizio del 2018. La ditta che sta portando
avanti i lavori di restauro, la Cramer Giovanni & Figli, sta lavorando a tutta
birra affinché tutto sia pronto in tempo. Un investimento di 450mila euro per
l'adeguamento funzionale, edile e di allestimento, dove il contributo più
consistente proviene dal ministero dell'Ambiente, pari a 350mila euro, a cui si
aggiungono 50mila euro di investimenti privati del Wwf, soggetto gestore della
Riserva, e 50mila euro della Fondazione CRTrieste. Fondi, questi, che hanno
dunque riempito il buco di 100mila euro che mancavano ancora all'appello nella
scorsa primavera. «Erano in corso di erogazione all'epoca», specifica il
direttore Maurizio Spoto. Tra le novità, il biglietto a pagamento per supportare
le spese di gestione della struttura. L'esposizione non ricalcherà più il
modello del Centro visite precedente nel Gartenhaus, il Castelletto del parco
asburgico di Miramare. I due piani e mezzo, per un totale di 300 metri quadrati,
dati in concessione per dieci anni dalla Soprintendenza Fvg a Wwf Italia,
ospiteranno un museo interattivo all'insegna dell'etica, senza ricorrere dunque
per forza alle specie animali vive. Un laboratorio didattico, una biblioteca,
percorsi tematici di approfondimento sull'alimentazione, la riproduzione e così
via, rivolti a piccoli e grandi con tante sorprese - assicura Sara Famiani della
Riserva - seguono il concetto dell'allestimento ecosostenibile. Saranno
rappresentate le circa 100 specie che costituiscono la biodiversità dell'Area
marina di Miramare e quindi del Nord Adriatico. Meduse, pesci luna, verdesche e
tanti altri vertebrati e invertebrati volteggeranno in queste stanze, realizzati
però con materiale sintetico. Il progetto degli spazi interni di questo museo
interattivo sfrutterà diorami, tecnologie 3D e multimediali ed è realizzato
dalla Wild'Art di Roma, che ha lavorato anche per l'Acquario di Genova e il
Museo civico di zoologia di Roma. Al piano terra, dove si troverà anche il
laboratorio didattico per le attività educative, fatto apposta per mostrare dal
vivo ai bambini analisi in diretta, ad esempio del plancton, verrà installato un
percorso fisso che, inserito nella parte sinistra, «simulerà il fondale protetto
marino roccioso - spiega Spoto -, fangoso e sabbioso, con i dorami, con tutta
una serie di cassetti che si apriranno per mostrare alcune scoperte». Ci saranno
quindi «modelli da toccare a partire da un ambiente di marea, con tanto di
marangoni dal ciuffo». Per chi non lo sapesse, sono gli uccelli che salutano i
visitatori dalla spiaggia dell'Area, non appena si solca il cancello del parco.
E poi ci saranno gli animali di scogliere, come i pesci che caratterizzano la
colonna d'acqua. Spunteranno le piante acquatiche come le fanerogame marine. In
mezzo un pannello a forma di onda che ospiterà tutte le tipologie dell'ambiente
pelagico, e in fondo le "touch tank", delle vasche tattili dove si potranno
toccare con mano stelle marine, ricci, alghe e oloturie, in rappresentanza
dell'ambiente di mare e della zona rocciosa, che non rischiano di essere
danneggiate con il contatto umano. Questa sarà l'unica sezione "viva". Al primo
piano, oltre a una saletta dedicata alle proiezioni e una biblioteca per la
consultazione di libri per grandi e piccini, e un teatrino di marionette, sarà
costruito un allestimento il cui obiettivo sarà di sensibilizzare il pubblico,
con progetti che cambieranno periodicamente, sugli impatti ambientali a carico
della biodiversità. Si partirà con le plastiche nel mare. Emblematico e a
effetto il soffitto pieno di modelli di pesci e organismi mescolati a lattine e
rifiuti. «Nel mare ci sono dei grandi vortici, dove le correnti hanno bassa
intensità, con enormi quantità di plastiche di tutti i tipi: lenze, bottiglie,
sacchetti e quant'altro - spiega Spoto -. Si frammentano anche in particelle, le
"microlitter", confuse ad esempio dai gamberetti con il plancton. Rientrano
quindi nel ciclo alimentare marino, arrivando fino a noi, e contengono varie
sostanze chimiche che hanno effetto sulla salute, come gli ftalati, con cui la
plastica viene mantenuta morbida. Le stesse tartarughe ingeriscono sacchetti,
pensando invece siano meduse, rischiando così di soffocarsi. In questa sala ci
sarà dunque la simulazione del vortice tra organismi e rifiuti».
Benedetta Moro
L'Enpa si prepara a curare anche la fauna goriziana
Alla soglia dei 20 anni di attività lo storico Centro di recupero per la
fauna selvatica di Terranova, in comune di San Canzian d'Isonzo, potrebbe
chiudere. E traslocare all'Enpa di Trieste. Un'eventualità concreta. La
Provincia di Gorizia, che istituì il servizio a San Canzian riconoscendo la
passione e la competenza di Damiano Baradel e della sua famiglia, non c'è più e
il bando del Servizio Caccia e risorse ittiche della Regione ha di fatto puntato
sul massimo ribasso del prezzo - 50mila euro per il territorio isontino - per la
gestione del servizio nel 2018. Il criterio ha messo in difficoltà Baradel, che,
non essendo un'associazione e non potendo contare su altre entrate (dal 5 per
mille o donazioni), non è riuscito a scendere sotto la soglia di quanto
percepito prima dalla Provincia e per il 2017 dalla Regione. C'è quindi la
concreta possibilità che tale servizio venga rilevato dall'Enpa di Trieste,
realtà che già gestisce, anche dal 2000, un suo Centro per il recupero della
fauna selvatica e che ha deciso di presentare un'offerta anche per la provincia
di Gorizia. L'ufficialità ancora non c'è, anche se l'aggiudicazione dovrebbe
essere cosa fatta proprio in questi giorni, in base appunto al criterio del
prezzo più basso. «Trovo davvero difficile comprendere come non si siano
valutati anche altri aspetti, visto che stiamo parlando del benessere di
animali, selvatici e che si trovano in una situazione di fragilità - afferma
Baradel, profondamente scosso -. Non si sono presi in considerazione gli spazi e
le strutture a disposizione, l'attività realizzata, il tasso di liberazione in
natura degli esemplari recuperati, per noi superiore al 70%, la presenza di
collaborazioni scientifiche con università o enti di ricerca». Nei primi nove
mesi del 2017 il Centro di Terranova ha preso in carico oltre duemila animali.
Tanti, pur senza avvicinarsi al record assoluto del 2015: 5.700, tra fauna
selvatica ed esotica, di cui Baradel si occupa dal 2014 su incarico della
Regione, unico in tutto il Friuli Venezia Giulia. «In quel caso il bando ha
invece previsto dei criteri di qualità, ma un sostegno limitato all'acquisto di
cibo e per le strutture», sottolinea Baradel, secondo cui l'eventuale perdita
della cura della fauna selvatica inciderà anche sulla possibilità di occuparsi
di quella esotica o degli animali affidatigli dalle forze dell'ordine in seguito
a sequestri. In totale al momento nel centro è accolto un migliaio di esemplari
di fauna selvatica. Gli animali che non si riusciranno a reintrodurre in natura
entro il 31 dicembre con il primo gennaio potrebbero prendere per l'appunto la
strada di Trieste, dalla cui realtà arriva la conferma della partecipazione alla
procedura negoziata e il fatto che non ci sia ancora un esito ufficiale alla
gara. «Abbiamo deciso di partecipare - spiega la presidente dell'Enpa Trieste,
Patrizia Buffo - perché la Regione dava questa possibilità, le aree delle due ex
Province sono tutto sommato contenute, e poi perché abbiamo alle spalle una
lunga esperienza e un lungo accreditamento come Centro di recupero della fauna
selvatica. Abbiamo inoltre le strutture adeguate: 80mila metri quadrati di
superficie in parte boscata, voliere, recinti, un ambulatorio veterinario.
Crediamo, insomma, di essere qualificati per effettuare questo tipo di
recupero». All'Enpa, come rileva la presidente, si recuperano circa 1.500
animali selvatici all'anno. Compresi quelli d'affezione, si parla di quasi
39mila esemplari tra 2010 e 2017. A lasciare perplessa anche la presidente
triestina dell'Enpa e non solo Baradel è la decisione della Regione di procedere
all'affidamento per un solo anno. «Comprendo che però si tratta di un momento di
transizione, vista la presa di consegna delle competenze dalla Provincia -
afferma Buffo -. Pensando al benessere degli animali, spero si arrivi
all'affidamento per più anni». Interpellato, l'assessore regionale alle
Autonomie locali e caccia Paolo Panontin si riserva dal canto suo un
approfondimento sul tema.
Laura Blasich
IL PICCOLO - GIOVEDI', 5 ottobre 2017
Rutenio nell'aria, niente rischi - L'Arpa precisa :
piccole quantità. Nessuna conseguenza per la salute
TRIESTE - Il Centro regionale per la Radioprotezione (Arpa) ha rilevato
negli ultimi giorni anche in Friuli Venezia Giulia, analogamente ad altri Paesi
europei e al Nord Italia, piccoli quantitativi di Rutenio 106 (Ru 106) nei
monitoraggi dell'atmosfera. Si tratta di modeste entità che non stanno
allarmando le istituzioni competenti: «Il valore più alto misurato era di
duecento volte al di sotto della soglia di attenzione - spiega Concettina
Giovani, responsabile del Crr - cioè il tetto entro cui si comincia a parlare di
elementi radioattivi. Siamo quindi veramente molto lontani da qualsiasi
possibile problema». Generalmente il Rutenio 106 è un prodotto di fissione
nucleare; tuttavia, in questo caso, non sono stati ravvisati altri prodotti di
fissione tipici degli incidenti a impianti nucleari. «Questo lo possiamo
escludere perché abbiamo trovato soltanto il Rutenio - aggiunge Giovani - ciò
significa che probabilmente si è verificata una fuoriuscita da uno stabilimento
industriale che produce l'elemento per l'utilizzo in campo medico, come la
radioterapia. Parliamo dell'Est Europa, forse in Russia. Con la circolazione
dell'aria, che nei giorni scorsi veniva da Est, siamo stati investiti anche
noi».«Le quantità rilevate - ribadisce l'Arpa - sono molto modeste e non
rappresentano pericolo alcuno per la popolazione e per l'ambiente. Tuttavia,
l'Arpa ha intensificato i campionamenti e le analisi del particolato
atmosferico, in coordinamento con Ispra e con gli altri laboratori
territoriali». I risultati saranno comunicati non appena disponibili. Il Crr, si
legge ancora nella nota Arpa, aveva riscontrato le tracce di Ru 106 in un
campione di particolato atmosferico del 2 ottobre, riferito a un prelievo
avvenuto a partire dal 29 settembre. La presenza dell'elemento ha reso
necessario intensificare le misurazioni successive. Sono state quindi effettuati
ulteriori rilievi tra il 2 e il 4 ottobre. La presenza di piccole quantità del
radionuclide è stata confermata da vari laboratori in Italia, in Repubblica
Ceca, Austria, Svezia, Polonia e Svizzera.
Gianpaolo Sarti
Incontro sul Radon a San Giovanni - Progetto al via
Iniziano oggi gli incontri su "Radon, misure in mille famiglie" di Arpa e Regione. Il primo incontro si terrà alle 17.30 al Teatro Basaglia di via Weiss 13. Ai partecipanti verrà consegnato gratis un "dosimetro" per misurare il gas.
L'ex Alto Adriatico svela una discarica - Pezzi
d'armadio, sedie e pure una barca nella parte del piazzale finora nascosta dai
carri. Decolle: «Potremmo chiudere l'area»
MUGGIA - Pezzi di armadio, uno stendibiancheria, un divano. Ma anche
mensole, cuscini, valigie, sedie e, dulcis in fundo, una barca. Il contenuto
della minidiscarica a cielo aperto rinvenuta nel piazzale ex Alto Adriatico ha
quasi dell'incredibile. Quasi perché, purtroppo, l'escalation di gesti di
inciviltà sono oramai all'ordine del giorno anche nella cittadina rivierasca. Ma
come è possibile che questa discarica sia stata "scoperta" solamente ora,
essendo collocata in una delle aree che fungono da biglietto da visita di
Muggia? A raccontarlo è Mario Vascotto, presidente dell'Associazione delle
compagnie del Carnevale di Muggia: «Ignoti hanno approfittato del fatto che
durante l'estate parte del materiale dei nostri carri era stato lasciato nel
piazzale durante i lavori di rifacimento dei portoni di accesso del magazzino
comunale che ospita le compagnie». E proprio al momento di spostare gli attrezzi
delle compagnie sono emersi tutti i lasciti operati da persone senza un minimo
di rispetto né per l'ambiente né per il decoro pubblico. «Nella stessa area,
circa un mese fa, dei ladri erano penetrati nella zona recintata del piazzale
rubando il motore, la centralina, la pompa e l'impianto elettrico dell'ascensore
utilizzato dalla compagnia dei Mandrioi per allestire la parte meccanica dei
carri allegorici», ricorda Vascotto. Un furto del valore di circa 1000 euro. Se
l'amarezza da parte del presidente del Carnevale dinanzi a quell'episodio era
stata tanta, ora vige lo stupore nel constatare come l'area sia diventata una
discarica. «Non appena ho saputo della cosa mi sono subito attivato: è ovvio che
i lasciti presenti nell'area non appartengono alle compagnie, ciononostante ho
incaricato una ditta di pulire l'area a nostre spese. Il tutto per il costo di
500 euro», racconta Vascotto. Il caso dell'ex Alto Adriatico è solo l'ultimo di
una lunga serie. Dai vandalismi compiuti nella nuovissima Biblioteca comunale,
al danneggiamento delle sedie sotto i portici del Municipio. Dai furti di piante
da giardini pubblici ed orti privati ai rifiuti ingombranti lasciati ad
Aquilinia ed in altre frazioni. Senza dimenticare il doppio blitz dei ladri ai
danni del palazzetto dello sport di Aquilinia, sino al più clamoroso caso del
parapetto in acciaio "asportato" lo scorso anno dal nuovo tratto della costiera.
Da anni buona fetta dell'opposizione chiede a gran voce l'installazione di un
maggior numero di videocamere di sorveglianza da dislocare in diverse aree della
cittadina. La capogruppo di Meio Muja Roberta Tarlao avanza ancora un'altra
proposta: «Per me il piazzale dovrebbe essere aperto e chiuso dagli agenti della
polizia locale per evitare che le persone si intrufolino di notte». L'assessore
Stefano Decolle non nasconde il proprio disappunto: «Come sempre accade assieme
al presidente Vascotto è stata trovata una soluzione ad un problema che peraltro
era stato provocato solo in minima parte dalle compagnie. Detto ciò posso dire
che il piazzale ex Alto Adriatico è un'area che da troppo tempo sta dando dei
problemi. Sarà mia cura dunque affrontare al più presto la questione con la
Giunta e non escludo che parte dell'area possa essere chiusa al pubblico».
Riccardo Tosques
SEGNALAZIONI - Trenovia - Il futuroè una linea lunga
Sulle tormentate vicende relative al tram di Opicina, Coped-Camminatrieste ritiene opportuno proporre alcune considerazioni. Dopo il grave incidente verificatosi oltre un anno fa, e dopo che le venture sinistrate sono state rimesse in ordine, giunge notizia che il tram non potrà riprendere il suo percorso in conseguenza di altri inconvenienti, anche gravi, presenti sul tracciato (binari, impianti, componenti elettriche, ecc.).Viene quindi da porsi la domanda se i precedenti lavori siano stati condotti in modo adeguato e completo o no.È inutile nascondere che il danno, per la cittadinanza e in termini di visibilità turistica sia molto grave, anche in presenza della concomitante regata Barcolana. Il tram di Opicina è una delle principali attrattive turistiche della città, tant'è vero che era stato proposto di inserirlo tra i beni riconosciuti dall'Unesco. Semmai la linea dovrebbe essere prolungata fino alle Rive dal Porto vecchio (e Barcola) fino a Campo Marzio (Museo ferroviario), come più volte ribadito da Camminatrieste, nel corso della sua ultraventicinquennale attività.
Carlo Genzo, direttivo Coped-CamminaTrieste
MilanoFinanza - MERCOLEDI', 4 ottobre 2017
Gas Natural, ok a offerte Edison e 2i Rete Gas
Ieri a Madrid si è tenuto un cda del gruppo iberico che avrebbe
deliberato di chiudere le trattative per la vendita dei suoi asset italiani con
Edison (rileverà i clienti italiani di Gas Natural) e 2i Rete Gas (acquisirà il
trasporto gas e la holding che si occupa di servizi). Sarebbe rimasta a mani
vuote Italgas
Gli asset italiani di Gas Natural sono stati venduti.
Ieri, secondo quanto risulta a Radiocor, a Madrid si è tenuto un consiglio di
amministrazione del gruppo iberico che avrebbe deliberato di chiudere le
trattative con Edison e 2i Rete Gas. Sarebbe rimasta a mani vuote Italgas ,
mentre il fondo cinese Shanghai DaZhong che puntava all'intera azienda si era
già ritirato dalla gara. L'obiettivo è arrivare alla firma già settimana
prossima. Infatti nei prossimi giorni andranno limati alcuni dettagli per poi
chiudere la cessione definitivamente entro fine anno.
L'operazione farà arrivare nelle casse di Gas Natural quasi 1 miliardo di euro
con una plusvalenza superiore a 400 milioni di euro. Nello specifico, Edison
dovrebbe rilevare i clienti italiani di Gas Natural, 20.000 imprese e 460.000
clienti residenziali localizzati soprattutto nel Sud Italia, dopo avere superato
la concorrenza di Engie Italia, e il contratto gas a lungo termine che
transiterà sul Tap proveniente dall'Azerbaijan.
Per quanto riguarda, invece, il trasporto gas (7300 km per 4600 punti di
riconsegna e una Rab fra 500 e 600 milioni di euro) 2i Rete Gas l'avrebbe
spuntata su Italgas . La controllata di F2i e partecipata da Ardian rileverà
anche la holding italiana di Gas Natural che si occupa di servizi. In questo
modo il riassetto delle attività italiane del gruppo spagnolo non avrà alcuna
ricaduta occupazionale. Invece, a quanto pare è rimasto invenduto il progetto di
Gas Natural per il rigassificatore di Trieste, un'infrastruttura ancora sulla
carta.
Mentre alla borsa di Madrid Gas Natural segna un -2,06% a 18,04 euro, a Piazza Affari l'azione Edison nella versione risparmio scende dello 0,43% a 0,926 euro e Italgas dell'1,36% a quota 4,656 euro.
IL PICCOLO - MERCOLEDI', 4 ottobre 2017
«Comune attento alle criticità del pedibus»
«L'amministrazione comunale è particolarmente attenta alla sicurezza dei
percorsi pedonali e ai possibili interventi per favorire la mobilità pedonale»,
scrive in una nota l'assessore all'Urbanistica Luisa Polli, in risposta ai
genitori che protestano in questi giorni per la mancata presa in carico delle
criticità del progetto Pedibus di Rozzol. «È stata fatta la proposta di
intervenire lungo il "pedibus" di Rozzol con particolare riferimento ad alcuni
tratti particolarmente delicati». «In questo contesto - aggiunge - tuttavia, per
tener conto delle esigenze di viabilità anche di chi è costretto a utilizzare
l'autovettura per recarsi al lavoro al mattino, le possibilità sono parzialmente
diverse da quanto richiesto dalla scuola nel corso di un sopralluogo e, in
particolare, risulta perseguibile solo la chiusura della via Lucano». «Tale
soluzione - conclude - è stata criticata da parte di alcuni soggetti coinvolti.
Ritenendo la scuola il primo interlocutore, in quanto quotidianamente coinvolta
nel progetto del "pedibus", cercheremo un incontro per avere un avallo dalla
scuola circa la soluzione proposta, prima di intervenire».
Un cervo adulto avvistato di notte tra le case a
Barcola - Due casi nelle zone verdi sotto strada del Friuli - «Non è pericoloso
ma meglio non avvicinarsi» -
vedi foto
Cervi a Barcola. Due incredibili avvistamenti sono stati fatti in questo
ultimo periodo nella parte alta del rione, al confine con strada del Friuli. In
entrambi i casi (è stato pure immortalato con una "fototrappola" notturna) si è
trattato quasi sicuramente dello stesso esemplare, ossia di un maschio di oltre
100 chilogrammi, alto poco meno di due metri. «Confermo che gravitano nelle aree
verdi adiacenti a Barcola, ma recentemente sono stati visti anche affacciarsi
sul golfo nella zona del costone carsico di Santa Croce: può sembrare strano, ma
in realtà il cervo non è un animale esclusivamente di montagna come tutti sono
soliti pensare», racconta il naturalista triestino Nicola Bressi. I cervidi
triestini provengono dai vicini boschi della Slovenia. Negli ultimi vent'anni,
gradualmente, alcuni di loro - circa una cinquantina di esemplari - hanno deciso
di rimanere in modo stanziale in alcune aree del Carso triestino. Tre sono i
nuclei riproduttivi registrati ufficialmente. Il gruppo più numeroso risiede
nella riserva naturale del monte Lanaro, a Sgonico, al confine con il Comune di
Monrupino, in una dorsale molto ampia che sostanzialmente va dall'ex valico di
confine di Comeno (Duino Aurisina) sino appunto alla zona del Lanaro. Una
ventina di capi circa si trova invece nell'area più a nord-ovest di Duino
Aurisina, ossia vicino al monte Ermada, in una fascia che copre anche il
Goriziano andando dalla frazione di Ceroglie (Duino Aurisina) sino a Doberdò del
Lago (Gorizia). Un nucleo minore che conta meno di dieci esemplari staziona
invece a nord-est della nostra provincia, ossia attorno al monte Cocusso, in
un'area tra Basovizza, Grozzana e Pese, a ridosso dunque dell'ex valico di Stato
di Kosina. «Ma dobbiamo entrare nell'ordine delle idee che i cervi si spostano,
soprattutto di notte. E pure di molto. Per questo si possono trovare in diverse
zone del Carso e della periferia, come Barcola, Contovello, Prosecco, ma anche
Muggia», racconta Bressi. Nei territori della cittadina rivierasca alcuni cervi
sono stati avvistati in zona Noghere e Vignano. Soprattutto i maschi possono
essere individui "erratici", che quindi sono soliti a girovagare ovunque ci sia
un bosco tranquillo. I cervi, per la loro imponente mole, possono costituire un
problema in caso di investimento stradale. Oltre al clamoroso incidente di 19
anni or sono, quando sulla strada statale tra Opicina e l'ex valico di Fernetti
un frontale tra uno sfortunato automobilista e un cervo provocò gravi
conseguenze al conducente - e al mammifero, il cui palco di corna è custodito al
Museo civico di Storia naturale di via dei Tominz - si hanno notizie di
investimenti a Monrupino, Opicina e Trebiciano. Anche a Gabrovizza,
quest'estate, un esemplare adulto di femmina per poco non è stato investito da
un'automobilista. «Per loro natura i cervi sono animali timidi e quindi per
niente pericolosi per l'uomo: al di là dei possibili incontri sulle strade
mentre si è al volante, sicuramente un maschio in amore può essere "intontito" e
mentre bramisce può essere imprevedibile, quindi meglio non avvicinarsi troppo»,
spiega Bressi. Un'ultima analisi sulla presenza di questi grandi artiodattili:
vista la loro mole, il possibile aumento dei cervi significherebbe di contrasto
sempre meno spazio per i caprioli e per i cinghiali. Dato che potrebbe essere
d'interesse soprattutto per gli agricoltori anche se anche i cervi, come
caprioli e cinghiali, non disdegnano di far visita ai campi coltivati.
Riccardo Tosques
Legambiente - Un ebook sui giardini inquinati
Dalle 15 alle 17 in piazzale Rosmini Legambiente distribuisce ai cittadini l'ebook "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere", gratis scaricandolo dal sito dell'associazione.
IL PICCOLO - MARTEDI', 3 ottobre 2017
LA POLEMICA - «Soldi per le bonifiche solo alle grandi
aziende»
La piccola impresa non ci sta e oggi alle 15, in occasione della riunione
organizzata dalla Regione in sala Predonzani per spiegare come adire ai 15
milioni di Invitalia (ministero dello Sviluppo Economico) per le bonifiche
nell'area di "crisi complessa", è intenzionata a far sentire la propria voce. La
ragione è semplice: per candidarsi al riparto dei 15 milioni bisogna presentare
programmi di investimento con spese ammissibili non inferiori a 1,5 milioni. Lo
prevede al punto C la circolare 127402 data 28 settembre e firmata dal direttore
ministeriale per gli incentivi alle imprese Carlo Sappino. Allora Dario Bruni,
presidente di Confartigianato Trieste, solleva la questione: perchè con un
barrage così elevato, nessuna azienda artigianale o "pmi" potrà permettersi di
concorrere alla contribuzione Invitalia che finanzia interventi di carattere
produttivo/ambientali. D'altronde la stessa griglia di valutazione, riportata
all'allegato 3 della circolare-Sappino, riporta criteri e punteggi basati
sull'incremento occupazionale, in termini impensabili per un'impresa di piccole
dimensioni: fino a un massimo di 100 punti per chi genera oltre 89 posti di
lavoro. Chiaro che non c'è biada per imprese il cui fatturato medio annuo non
arriva a un milione di euro. Per attenuare il gap delle chance, Bruni propone
due «canali contributivi», per cui 10 milioni su 15 verrebbero attribuiti a
progetti con importi non inferiori a 1,5 milioni. Mentre 5 milioni - un terzo di
quanto messo in palio da Invitalia - andrebbero a finanziare iniziative con un
budget non inferiore a 300 mila euro, meglio abbordabili dalla piccola impresa.
«Le pmi - scrive Bruni in un a nota - sono il volano per la riqualificazione
industriale dell'area di crisi triestina e avrebbero così la possibilità di
partecipare al bando». Confartigianato, cui sono iscritti la maggioranza degli
operatori nel Sito di interesse nazionale (Sin), è sicura di rappresentare
umori/malumori molto diffusi tra le imprese. L'area di "crisi complessa" -
rammenta il punto B della circolare ministeriale - comprende l'ex Ezit in
liquidazione, insieme alle aree demaniali in concessione a Siderurgica Triestina
(Ferriera) con esclusione della piattaforma logistica, cui s'aggiunge l'area "ex
Arsenale". Le domande debbono pervenire a Invitalia dalle ore12 del 31 ottobre
alle ore 12 del 30 novembre. Entro 30 giorni dal termine di presentazione
Invitalia formulerà la graduatoria di ammissione alla valutazione istruttoria. I
15 milioni partecipano al cosiddetto Prri (Piano di riconversione e
riqualificazione industriale) dell'area di crisi industriale complessa
triestina. Il provvedimento venne varato con il decreto legge 83 del giugno 2012
ma è divenuto realtà finanziariamente tangibile con l'Accordo di programma
firmato lo scorso 27 luglio tra i ministeri dello Sviluppo Economico, del
Lavoro, dell'Ambiente, dei Trasporti insieme alla Regione Fvg, al Comune
triestino, all'Autorità portuale, a Invitalia. Le finalità, ricordate nella
parte iniziale della circolare firmata dal direttore generale Sappino,
riguardano il rilancio delle attività industriali, la salvaguardia dei livelli
occupazionali, il sostegno dei programmi di investimento e sviluppo
imprenditoriale nell'area di crisi. Per le 15 di oggi, in piazza Unità, la
Regione ha convocato un'ampia platea di soggetti associativi e creditizi per la
gestione della risorsa. Si vedrà se ci saranno i margini per la mediazione
auspicata nella proposta-Bruni.
magr
Legambiente - Opuscolo sui giardini inquinati
Oggi dalle 15 alle 17 in piazzale Rosmini i volontari di Legambiente distribuiranno l'opuscolo "Inquinamento dei giardini pubblici: cosa c'è da sapere". Il martedi' successivo i volontari saranno al Giardino Pubblico.
IL PICCOLO - LUNEDI', 2 ottobre 2017
In arrivo 15 milioni per le bonifiche nei terreni ex
Ezit - Pubblicato il bando per accedere ai fondi stanziati dal Mise
Serracchiani: «Area di crisi industriale verso il rilancio»
Con un anno di ritardo, che non è certo poco, ma alla fine sono arrivati.
Quindici milioni per le bonifiche: Invitalia, braccio operativo del ministero
dello Sviluppo Economico Mise), li mette finalmente a disposizione per gli
imprenditori che intendano operare sul recupero ambientale nell'area di crisi
industriale "complessa" triestina. Si chiude, con fatica, il cerchio tracciato
dall'Accordo di programma firmato a Roma alla fine del gennaio 2014. Una nota
del Mise, diffusa l'altro giorno, informa che si è attivata la procedura di
finanziamento che permetterà agli interessati di inoltrare le domande nel
periodo compreso tra il 31 ottobre e il 30 novembre. Il comunicato ministeriale
fornisce ulteriori indicazioni: le domande saranno ammissibili se riguarderanno
progetti produttivo-ambientali con impegni non inferiori a 1,5 milioni di euro;
debbono comportare un incremento degli addetti che lavorano nell'unità aziendale
oggetto dell'investimento. Le agevolazioni - qui il testo si fa un po' confuso -
si concretizzano nel contributo in conto impianti, nell'eventuale contributo
diretto alla spesa, nel finanziamento agevolato. Invitalia imposterà poi un iter
istruttorio che implicherà la verifica dei requisiti, la definizione di una
graduatoria, la valutazione delle domande «sulla base di specifici criteri di
merito».La Regione, ente partner nell'area di crisi "complessa" di cui è
commissario la stessa presidente Debora Serracchiani, ha prontamente convocato
un amplissimo tavolo tecnico-informativo per domani alle 15 in sala Predonzani,
al pianterreno della sede in piazza Unità. Confindustria, Confartigianato,
Confcommercio, Ezit, Confidi, Friulia, Mediocredito, istituti bancari: un vasto
abbraccio associativo e creditizio per gestire al meglio una delle più ricche
operazioni di supporto al territorio condotto con risorse pubbliche. «Con la
pubblicazione dell'avviso pubblico del Mise entra nel vivo il progetto di
riconversione e riqualificazione industriale dell'area di crisi industriale
complessa di Trieste avviato grazie all'Accordo di programma del 2014 e all'atto
aggiuntivo del 2017 - ha commentato Serracchiani -: questi 15 milioni di euro,
che si aggiungono alle risorse messe in campo grazie alla legge regionale
Rilancimpresa, permetteranno di rafforzare il tessuto produttivo locale
attraverso la realizzazione di iniziative imprenditoriali e l'attrazione di
nuovi investimenti».Si accennava alla chiusura del cerchio e al ritardo con cui
i 15 milioni stanno entrando in circolazione. In realtà l'operazione avrebbe
dovuto decollare in rapida sintonia con i 10,7 milioni di euro (poi cresciuti di
altri 2 milioni) stanziati nella primavera di un anno fa dalla Regione Fvg e
gestiti dalla Camera di commercio triestina. Invitalia e Regione si erano divise
il compito: i quattrini regionali avrebbero privilegiato gli investimenti
industriali, mentre la risorsa governativa avrebbe sostenuto le attività di
carattere ambientale. Sembrava addirittura che si riuscisse a organizzare uno
"sportello" unico per sveltire le procedure e agevolare le domande delle
imprese. Quindi, il volume finanziario complessivo dell'aiuto pubblico destinato
all'area critica triestina, tra centro & periferia, sfiora i 28 milioni. Poi le
cose si sono allungate. Affinchè il dispositivo Invitalia decollasse, è stato
necessario redigere, come abbiamo visto, un accordo di programma. Pareva che si
riuscisse a definirlo già nell'estate del 2016 (come ricordava un articolo del
luglio 2016), invece i tempi sono slittati considerevolmente. Comunque, adesso i
soldi ci sono. La riunione, chiamata martedì prossimo dalla Regione, servirà per
chiarire i meccanismi di richiesta e di erogazione. Nella primavera 2016 le
domande, pervenute alla Camera di commercio, furono molto numerose, tanto da
raggiungere i 60 milioni, sei volte in più dello stanziamento. Le piccole
aziende, insediate a Trieste, fecero la parte del leone.
Massimo Greco
Al via la petizione per il Parco navale sommerso nel
nostro golfo
Il varo di una campagna popolare, l'appoggio della giunta comunale e di
alcuni "testimonial" di peso, ma soprattutto l'aspirazione di un supporto anche
da parte del ministero dell'Ambiente. Parte da qui la nuova mobilitazione a
sostegno del l "Parco Navale di Trieste", il progetto ideato e lanciato
dall'Associazione Sommersa Diving a metà del 2010 che punta a trasformare il
golfo di Trieste nella prima area in Italia in grado di ospitare operazioni di
Scuttling, ovvero l'affondamento "controllato" di navi in disarmo ai fini del
ripopolamento della flora e fauna marittima. Benefici per l'ambiente naturale,
incentivo dei canali turistici e conseguenti nuove fonti di occupazione. Queste
le "credenziali" che la Sommersa Diving fa mette sul piatto da anni per
strutturare il progetto, tanto in eventi fuori dalla provincia come la fiera
Eudi di Bologna, quanto in appuntamenti triestini di peso come MareNordest, la
manifestazione specialistica di primavera giunta al suo sesto anno di vita. A
schierarsi a sostegno del progetto anche politici come il parlamentare leghista
Massimiliano Fedriga, a cui si deve un'interrogazione alla Camera
sull'argomento, presentata a maggio.Il piano di promozione per il Parco Navale
intanto prosegue. Dopo la mozione comunale presentata lo scorso agosto dal
gruppo consiliare della Lega, si accende in questi giorni anche una campagna
popolare a suon di firme (Bignami Sub in Piazza Libertà 6). Lo scopo?
Coinvolgere la cittadinanza, perfezionare l'informazione tecnica e approdare poi
alla corte del Ministero dell'Ambiente: «Questa raccolta firme è nata per
rafforzare il progetto su vari fronti - ha ribadito Roberto Bolelli, tra gli
ideatori del Parco Navale a Trieste - crediamo sia una idea da spiegare intanto
al meglio alla cittadinanza, illustrandone i molti benefici e le importanti
possibili ricadute sul territorio. Il vice sindaco Roberti ci crede ed ha
abbracciato la causa - ha aggiunto - e con questo ulteriore passo delle firme
intendiamo tornare a farci sentire in campo nazionale, auspicando proprio un
incontro con il ministro dell'Ambiente, da fare possibilmente al più presto».
(fr.ca)
Roma boccia il ricorso "pro bici" - Respinto dal
ministero il reclamo del dem Finocchiaro contro il divieto di pedalare in centro
a Muggia
MUGGIA - Il ministero ha bocciato il ricorso proposto dal consigliere Pd
Marco Finocchiaro contro l'ordinanza antibici del Comune di Muggia. Il verdetto
è arrivato attraverso una lettera spedita dallo stesso ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti al Municipio rivierasco. L'ordinanza dirigenziale
del 18 luglio scorso, con cui la Giunta Marzi ha decretato le nuove regole per
la viabilità all'interno del centro storico, era stata impugnata dal consigliere
comunale di maggioranza Finocchiaro, ex assessore ai Lavori pubblici. Il nodo
della discordia, per l'esponente dem, era la limitazione alle bici, o meglio
l'obbligo di spingere a mano i velocipedi, anche se solo in alcuni periodi
dell'anno e in alcune zone del centro (corso Puccini, via Dante e piazza
Marconi). Il ricorso di Finocchiaro è stato giudicato «inammissibile» da Roma.
Il dirigente tecnico del ministero Francesco Mazziotta ha evidenziato come il
consigliere Pd «non presenta una posizione giuridica qualificata tale da
legittimarla ad esperire il gravame di cui trattasi». Inoltre il provvedimento
impugnato - cioè l'ordinanza sindacale - «non è immediatamente lesivo della
propria sfera giuridica». Per il ministero «la legittimazione ad agire per la
tutela dello "ius ad officium" presuppone che vi sia una lesione diretta,
concreta ed attuale delle proprie prerogative, che non sembra ricorrere nella
fattispecie in questione». Insomma: il consigliere Pd non può ricorrere contro
un atto generico dell'amministrazione a meno che questo non abbia dei risvolti
personali. Curiosità. Il ricorso proposto da Finocchiaro è stato giudicato
«peraltro irregolare sotto il profilo fiscale, non essendo stata assolta
l'imposta di bollo, così come previsto dal Decreto ministeriale del 20 agosto
1982». Per quanto riguarda invece il braccio di ferro con il ministero in
seguito al ricorso presentato da tre cittadini muggesani - Christian Bacci,
Gaetano Maggiore e Carlo Canciani - e parzialmente accolto dal ministero, il
Comune ha fornito a Roma i documenti necessari per avvalorare la necessità di
una regolamentazione della presenza delle biciclette in alcune zone del centro
storico. Rimane comunque un dato di fatto: che l'ordinanza non è più in vigore
dal 30 settembre, essendo terminata la stagione estiva, e che i divieti
scatteranno nuovamente a partire dal primo giugno del 2018. Ma il tema delle
biciclette è di forte attualità a Muggia anche in un altro contesto. Sono
infatti ben diciassette i velocipedi che giacciono nei magazzini comunali dallo
scorso anno. Nove di questi sono stati rimossi dagli appositi portabiciclette lo
scorso 24 febbraio trovandosi in divieto di sosta in seguito alla cosiddetta
"ordinanza Carnevale". Le biciclette sono state rimosse da largo Amulia, piazza
Repubblica, calle Bacchiocco e piazza Galilei. Per i proprietari si prospetta,
come previsto dal Codice della strada, una sanzione pari a 41 euro (riducibile
del 30% soltanto se pagata entro cinque giorni). Per ora una sola persona si è
presentata all'ufficio del Comando della Polizia locale muggesana per pagare la
sanzione e riavere indietro la propria bicicletta. Gli altri velocipedi
rimangono in attesa.
Riccardo Tosques
IL PICCOLO - DOMENICA, 1 ottobre 2017
La delibera - Fondi regionali per il controllo la
competitività della mitilicoltura
TRIESTE - Seicentomila euro per migliorare il controllo e aumentare di
conseguenza anche la competitività della mitilicoltura di concerto, come già si
è iniziato a fare qui, con gli stessi addetti ai lavori. Li stanzia la Regione
per l'acquacoltura del Fvg e l'intervento interessa di riflesso anche il mare
triestino. La giunta regionale ha infatti deliberato di dare attuazione alla
misura "Sicurezza alimentare molluschi bivalvi" nell'ambito del Gac, il Gruppo
di azione costiera. Le risorse finanziarie ammontano come detto a circa 600 mila
euro. È prevista, così una nota della Regione, «l'adozione di un avviso pubblico
per la selezione di un soggetto attuatore di un progetto pluriennale delle
attività di autotutela degli operatori, relative alla sorveglianza periodica
delle zone di raccolta, produzione e stabulazione dei molluschi bivalvi vivi,
sull'arco costiero del Fvg». L'obiettivo è «garantire il maggior livello di
sicurezza dei prodotti, mediante misure costanti di controllo e prevenzione
unitamente ad azioni coordinate e condivise dagli operatori per la promozione
dei prodotti, e per rafforzare la competitività delle imprese».
Dolina - San Dorligo - "Draga in festa" ci riprova
Sarà riproposta oggi la terza edizione di "Draga in festa", evento a
ingresso libero dedicato all'agricoltura sostenibile, all'alimentazione,
all'ambiente, in programma a Draga Sant'Elia e allestito in collaborazione con
il Comune di San Dorligo. Promossa da Bioest e da Arci Servizio civile, la
manifestazione si sarebbe dovuta svolgere domenica scorsa, ma il maltempo ne ha
causato il rinvio a oggi. Dalle 10 alle 18 si apriranno le porte delle fattorie
e delle case private, coinvolgendo gli ospiti in attività ed escursioni
finalizzate alla conoscenza della fauna e della flora. Per i bambini sono
previste attività ludiche.
IL PICCOLO - SABATO, 30 settembre 2017
Aria d’Italia la più sporca d’Europa - Ogni anno 91mila morti premature sono dovute all’inquinamento atmosferico
ROMA - Fra i grandi Paesi europei l'Italia è quello con l'aria più inquinata, quello che vanta il record delle morti per inquinamento atmosferico. È il quadro sconfortante tracciato dal rapporto «La sfida della qualità dell'aria nelle città italiane», presentato ieri a Roma al Senato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, think tank presieduto dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi. L'Italia, si legge nel rapporto, ha circa 91mila morti premature all'anno per inquinamento atmosferico (dati 2013), contro 86mila della Germania, 54mila della Francia, 50mila del Regno Unito, 30mila della Spagna. Il nostro Paese ha una media di 1.500 morti premature all'anno per inquinamento per milione di abitanti, contro una media europea di 1.000. La Germania è a 1.100, Francia e Regno Unito a 800, la Spagna a 600. Dei 91mila morti in Italia, 66.630 sono per le polveri sottili PM2, 5, 21.040 per il disossido di azoto, 3.380 per l'ozono, le tre sostanze più pericolose. Per le PM2, 5 si contano nel nostro Paese 1.116 morti all'anno per milione di abitanti, contro una media europea di 860. Le zone più inquinate sono la Pianura Padana (in particolare intorno a Milano e fra Venezia e Padova), poi Napoli, Taranto, l'area industriale di Priolo in Sicilia, il Frusinate, Roma. Il rapporto elenca le cause di questo record poco lusinghiero: troppe auto private in circolazione e troppo vecchie, trasporti pubblici insufficienti, scarsa diffusione di veicoli elettrici e ibridi, caldaie condominiali obsolete, uso eccessivo di legna e pellet (che producono polveri sottili e benzopirene). Il rapporto punta il dito anche contro un'agricoltura che produce troppa ammoniaca da concime e deiezioni animali (ammoniaca), e contro un'industria che ha ancora limiti di emissioni troppo bassi. In particolare, rileva il rapporto, il 35% delle PM10 di Milano viene proprio dalle coltivazioni. La ricerca della Fondazione offre un decalogo di cose da fare. In primo luogo una strategia nazionale che sostenga i Comuni, che devono farsi carico della qualità dell'aria, ma possono intervenire solo sul 40% delle fonti di inquinamento. Puntare sulla prevenzione e non sull'emergenza e considerare tutti gli inquinanti, non solo la Co2. Poi riduzione delle auto private, investimenti sul trasporto pubblico urbano, incentivi ai mezzi elettrici e ibridi, una vasta campagna di rinnovo degli impianti di riscaldamento, una riduzione dell'uso delle biomasse. Infine, introduzione in agricoltura delle tecniche già esistenti per ridurre le emissioni di ammoniaca e limiti più stringenti alle industrie.
Dosimetro in casa per misurare il rado