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RASSEGNA STAMPA  luglio - dicembre 2016

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 31 dicembre 2016

 

 

Circolo Miani «Tempo scaduto - L’area a caldo della Ferriera non sarà chiusa»
«Dipiazza aveva promesso di chiudere l’area a caldo, i mesi che aveva indicato sono ormai trascorsi. I dati disponibili sull’inquinamento della Ferriera, che il Comune possiede, sono quelli forniti dall’Arpa. Quindi il ruolo dei tecnici del Municipio è assolutamente inutile».

Il fulcro della riunione convocata ieri nella sede del Circolo Miani era proprio questo: spiegare i motivi per cui, secondo Maurizio Fogar, presidente dell’associazione, «l’amministrazione Dipiazza non chiuderà mai l’area a caldo della Ferriera». Secondo Fogar le affermazioni del sindaco Roberto Dipiazza non stanno in piedi. A partire dalla richiesta di revisione dell’Aia del primo cittadino. Fogar infatti afferma che «la legge parla da sola: l’attuale domanda è sbagliata, perché Dipiazza l’ha inviata alla presidente della Regione, Debora Serracchiani, che è stata anche gentile e comprensiva nel rispondergli. Doveva invece mandarla all’ufficio regionale o statale che ne ha la responsabilità. Altrimenti è irricevibile. E inoltre avrebbe dovuto specificare i motivi fondanti per cui ha fatto questa richiesta, che al contrario non erano espressi». Ma non basta. «Ho cercato di far capire al sindaco - continua Fogar - che stava sbagliando sia nella forma che nella sostanza. Ma lui si è fidato dei suoi consiglieri, credo che il problema non si risolverà». A entrare nel dettaglio delle motivazioni è stato Romano Pezzetta del circolo “Servola respira”, che in passato aveva lavorato all’altoforno dello stabilimento sotto le proprietà Pittini e Italsider: «Ho visto che lavora gente inesperta - ha detto Pezzetta - mi sorprende che i sindacati non si muovano. Finalmente si è mossa la Procura, credo che dirà ad Arvedi “o fai il lavoro o sequestro l’altoforno”. In ogni caso sarebbe meglio farne un impianto nuovo che risanare l’attuale». Infine gli esponenti del Circolo si sono riuniti per dare il via al coordinamento della lista civica “No Ferriera, Sì Trieste”, «attraverso un primo congresso cittadino dando il via alle iscrizioni».

(be.mo)

 

 

Anatra con il virus dell’aviaria a Grado

L’animale trovato morto nella Valle Artalina data in concessione ai pescatori. Scatta il piano di emergenza del ministero
STARANZANO Torna l’allarme aviaria e colpisce la laguna di Grado fino alla riserva naturale di Staranzano. Due giorni fa l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Padova, sede del Centro di Referenza Nazionale per l’aviaria, ha confermato una positività per virus influenzale tipo A, sottotipo H5N5. Il virus è stato trovato in organi prelevati da un fischione selvatico - una specie di volatile simile alle anatre - trovato morto a Grado, nella Valle Artalina. È una valle di proprietà del Comune di Grado, data in concessione alla Cooperativa pescatori. Le analisi hanno confermato che si tratta di virus ad alta patogenicità. E la paura, adesso, è che torni la sindrome dell’influenza aviaria come a metà degli anni 2000. In questo periodo di grande migrazione, soprattutto dai paesi del Nord Europa, in particolare dalla Siberia, arrivano alla riserva dell’Isola della Cona fino a Grado migliaia di uccelli. Tra questi almeno 2mila fischioni. Il mese scorso, proprio in relazione a queste migrazioni, nella sala conferenze del centro visite dell’Isola della Cona, si era svolto il convegno “Ecologia ed evoluzione dei virus influenzali negli uccelli acquatici: i dati 2015-2016 rilevati all’Isola della Cona”. Erano intervenuti i massimi esponenti nazionali, con la presenza del professor Mauro Delogu, docente al Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università di Bologna. Il messaggio emerso dal meeting era appunto che «l’aviaria è lontana da queste zone, ma occorre sempre monitorare le specie che arrivano da ogni parte del mondo». Nulla era emerso, dunque, su possibili casi di aviaria. Nella nota diramata dal Ministero della Salute, però, viene sottolineato «la grave situazione epidemiologica europea, legata alla circolazione di virus influenzale H5N8 ad alta patogenicità in numerosi Stati membri (Austria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Polonia, Regno Unito, Romania, Serbia, Svizzera, Ungheria e Svezia) per un totale di 498 casi, di cui 214 nel pollame domestico e 247 nell’avifauna selvatica, il 9 novembre e il 7 dicembre». Lo stesso ministero, infatti, aveva già dato delle disposizioni per il rafforzamento delle attività di vigilanza veterinaria permanente, con particolare riferimento alla verifica dell’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti industriali di pollame, raccomandando di mantenere al chiuso il pollame nelle aree densamente popolate. Ecco che per il caso del fischione trovato a Grado, sono state impartite ulteriori misure straordinarie di controllo che prevedono la sospensione immediata della deroga al divieto di utilizzo nell’attività venatoria nazionale dei richiami vivi appartenenti agli ordini degli anseriformi e caradriformi su tutto il territorio nazionale.

Ciro Vitiello

 

L’ornitologo Perco dell’Isola della Cona: «Niente allarmismi, ma evitare i contatti»

«Prudenza, bisogna fare attenzione senza creare allarmismi e comunque evitare di toccare gli animali. C’è da capire se questo virus aviario che hanno trovato sul fischione può essere pericoloso per l’uomo. È ancora presto per dirlo». È l’opinione dell’ornitologo Fabio Perco, direttore della Sbic, la Stazione biologica dell’Isola della Cona, dopo la notizia diramata dal parte del Ministero della Salute.

«Questi virus viaggiano con gli animali - aggiunge Perco - che difficilmente vengono a contatto con l’uomo. È chiaro che adesso, davanti alla presenza di questi soggetti portatori di virus di cui non eravamo a conoscenza, il rischio è maggiore rispetto a prima». Proprio in questo periodo, la Riserva naturale della Cona è impegnata da qualche mese a effettuare una serie di monitoraggi, ma fino a questo momento le analisi sono tutte negative. L’importante, ribadisce Perco, è di evitare il contatto.

(ci. vi.)

 

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 30 dicembre 2016

 

 

L’Albania punta a crescere con il business dei rifiuti

Importazione dall’estero e riciclaggio per lo sviluppo dell’economia. Legge in aula, ambientalisti contrari: «Non diventeremo la discarica della regione»

ZAGABRIA - Importare rifiuti per riciclarli in maniera ecologica e creare business. Si candida a farlo l’Albania, il cui governo ha tutta l'intenzione di puntare proprio sull'immondizia straniera per far crescere l'economia nazionale. Immaginata dall'esecutivo socialdemocratico di Tirana e discussa più volte dai deputati nelle ultime settimane, l'iniziativa potrebbe diventare realtà già nelle prossime settimane, dato che l'approvazione di una normativa che autorizzi l'importazione dei rifiuti è stata rimandata solo a causa delle proteste della popolazione, in gran parte scettica sul progetto. La maggioranza in aula è però determinata e assicura: il Paese può diventare un'efficiente macchina ecologica. Dal punto di vista politico, l'idea di recuperare spazzatura dall'estero non è in realtà nuova in Albania. Nel 2011 il governo conservatore di Sali Berisha aveva già presentato una normativa simile, ma la legge era stata rovesciata dall’allora neoeletto Edi Rama dopo le elezioni del 2013 e prima che il testo potesse entrare in vigore. Ora, paradossalmente, è lo stesso Rama a farsi carico del progetto tra mille polemiche. A fine settembre il parlamento ha dato l’ok al progetto con un primo voto favorevole, ma risicato: 63 sì contro 27 no (4 astenuti) su un totale di 140 seggi. Date le proteste fuori dall'aula e l'approvazione con una maggioranza relativa e non assoluta, il capo di Stato Bujar Nishani ha rimandato il testo alla Camera, che a breve dovrà votarlo nuovamente mentre la società civile si prepara a nuove proteste. Due visioni diametralmente opposte si confrontano. Per il governo si tratta di importare plastica, carta e legno per permettere al settore del riciclo nazionale di sviluppare economie di scala altrimenti impossibili con i soli rifiuti degli albanesi (2,7 milioni di abitanti). Con la nuova legge, solo alcune imprese autorizzate potranno rifornirsi di rifiuti stranieri, mentre inceneritori e discariche saranno esclusi e controlli minuziosi verranno effettuati sulle navi in arrivo (si pensa in particolare ai materiali provenienti dall'Italia, principale mercato di riferimento). «La legge rispetta i parametri europei», sostiene l'esecutivo che fa notare come 130 milioni di euro siano già stati investiti in quattro impianti di riciclaggio e in una dozzina di centri più piccoli. Infine, un accordo siglato a inizio 2016 tra il comune di Tirana e quello di Verona confermerebbe la buona fede delle autorità albanesi: con il know how del comune veneto, diventato partner nella raccolta dei rifiuti a Tirana, si ha l'ambizione di fare della capitale albanese «la città più pulita dei Balcani». Le ragioni degli ambientalisti sono altrettanto numerose, Innanzitutto, sostengono i detrattori del progetto, il fatto che il paese ricicli oggi appena il 17% dei suoi rifiuti la dice lunga sulle possibilità di successo dell'iniziativa (e i rifiuti sono spesso smistati nelle discariche dai cittadini più poveri in cambio di qualche spicciolo). Un altro timore riguarda la trasparenza con cui l'intera operazione dovrebbe essere gestita perché ne sia garantita l'efficacia. Autorizzare le imprese a comprare plastica, carta e legno dall'estero aprirà la strada a qualunque tipo di rifiuti, anche quelli più pericolosi e non riciclabili, sostengono ecologisti e cittadini, che temono che l'Albania diventi così una gigantesca discarica per i paesi della regione. A confermare le paure dei manifestanti, un sondaggio realizzato dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Berd) ha indicato l'Albania come il paese dei Balcani con il più alto tasso di corruzione percepita (e per Transparency International l'Albania è 88.o per trasparenza: fa peggio solo il Kosovo nella regione). Infine, vi è anche il fatto che il governo albanese ha da poco autorizzato la costruzione di un terzo inceneritore nel paese. Sorgerà a Tirana, dopo quelli di Elbasan e Fier.

Giovanni Vale

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 29 dicembre 2016

 

 

Terza corsia, via al lotto fra Gonars e Palmanova - A4, firmati gli atti per progettazione e cantiere di un tratto di 4,7 km
Costo previsto di 65 milioni di euro: lavori da marzo, inaugurazione nel 2020
UDINE Ce l'ha fatta a chiudere con un anno d'anticipo l'ultimo grande cantiere della storica grande incompiuta italiana, la Salerno-Reggio Calabria, perché non dovrebbe ripetersi sulla A4 Trieste-Venezia? Il messaggio di buon auspicio di Debora Serracchiani è rivolto alla Cooperativa muratori e braccianti di Carpi, la capofila dell'Ati che si è vista affidare i lavori del primo stralcio (da 65 milioni) del quarto lotto (da complessivi 222 milioni) della terza corsia, un tratto di 4,7 km da Gonars a Palmanova con due cavalcavia e altrettanti ponti stradali. A fianco della presidente, ieri a Udine nel Palazzo della Regione, c'è il consigliere delegato di Cmb Ruben Saetti, che sa di viaggiare tra il premio di accelerazione («Stimolo più efficace delle pacche sulle spalle») e le penali in caso di ritardo, ma assicura che sì, i 912 giorni previsti dal contratto sono il tempo giusto per consegnare ai cittadini un altro tassello di un'opera diventata spezzatino. La slide che anni fa illustrava i 4 lotti evidenzia infatti ora i tre stralci del secondo lotto (Portogruaro-Alvisopoli, San Donà Noventa-Cessalto, Ponte sul Livenza-Portogruaro) e gli altri tre del quarto (Gonars-Palmanova, battezzato ieri, nodo di Palmanova-svincolo, Palmanova-Villesse). Via d'uscita determinante, quella dei piccoli passi, che ha consentito di sciogliere il nodo di una complessa bancabilità in tempi di crisi. «In cassa abbiamo 230 milioni - fa sapere il presidente e ad di Autovie Maurizio Castagna - e contiamo poi sui 300 milioni finanziati dalla Cassa depositi e prestiti che, grazie all'inserimento del progetto nel piano Juncker, rientrano all'interno di un finanziamento complessivo da 600 milioni che stiamo negoziando con la Banca europea degli investimenti. Ogni anno, inoltre, c'è ulteriore cash da pedaggi per 60-70 milioni». Come dire che si può procedere. La Cmb (assieme a Consorzio Integra, Cgs, Celsa e Consorzio stabile grecale) ha ora 60 giorni per presentare il progetto esecutivo dello stralcio. A marzo si dovrebbe dunque aprire il cantiere (un centinaio di lavoratori coinvolti, spazio alla manodopera locale) e nel 2020, se tutto andrà bene, arriverà il taglio del nastro. Uno snodo importante, annotano Serracchiani e Castagna, anche rispetto al terzo lotto che comprende il tratto dal Ponte sul Tagliamento fino a Gonars, i cui lavori (1.400 i giorni previsti) sono già partiti dopo la posa della prima pietra alla presenza del ministro Delrio. Entro il 2017 verrà inoltre contrattualizzato il secondo stralcio tra il nodo di Palmanova e lo svincolo, mentre a inizio 2018 dovrebbero pure partire i lavori del primo stralcio del secondo lotto. Riassumendo, e riaggiornando il cronoprogramma, l'asse tra Palmanova e Portogruaro, il più critico della rete, si dovrebbe completare per il 2021, anche se, parola di Castagna, «si potranno anche inaugurare tratti funzionali, e quindi a partire dalla fine del 2019, almeno dal nodo di Palmanova al casello di Latisana». «Sta andando avanti la realizzazione di un'opera essenziale per il Paese», aggiunge Serracchiani, nella veste anche di commissario, ringraziando il lavoro del soggetto attuatore Mariagrazia Santoro e sigillando il 2016 come «l'anno delle infrastrutture».

Marco Ballico

 

 

BATTISTA (AUTONOMIE) «Esposto sulla Ferriera ancora senza risposta»

«Attendo di conoscere dalla magistratura l’esito del mio esposto sulle procedure attuate da Siderurgica Triestina per la costruzione del nuovo laminatoio a freddo in area Sin».

Lo afferma il senatore Lorenzo Battista (Gruppo parlamentare per le autonomie) ricordando di aver chiesto se le autorizzazioni siano state rilasciate nei tempi e nei modi corretti.

 

 

Rovigno, niente multe per chi “arrotonda” con i vuoti in plastica
Il Comune interviene dopo le aspre polemiche sulla delibera: spiccioli dal recupero delle bottiglie lasciate nei cassonetti
ROVIGNO - Nessuna sanzione: Rovigno non sarà insomma la prima città in Croazia a proibire - e multare appunto - la raccolta dei vuoti di plastica dai cassonetti della spazzatura. La “interpretazione autentica” della nuova delibera comunale in materia è stata diramata dal Palazzo alla luce delle aspre reazioni giunte dall’opinione pubblica e delle critiche che erano apparse sulla stampa e sui social croati. La delibera entrerà in vigore il primo gennaio, fra pochi giorni dunque. Subito dopo l’approvazione del documento l’assessore alle attività comunali Ando Saina aveva spiegato che con il documento si mira a fare finalmente ordine nel settore della nettezza urbana: «Sarà proibito deporre rifiuti nelle discariche abusive così come rovistare nei cassonetti per recuperare qualsiasi tipo di rifiuti, inclusi i vuoti di plastica». Da qui sono nate appunto le proteste. Perché non sono poche le persone che ogni giorno (non solo a Rovigno) vanno a caccia dei vuoti per i quali, nei punti di raccolta, viene erogato il compenso di mezza kuna. Si tratta di soli 0,07 centesimi di euro, certo una cifra modestissima che però, moltiplicata per il numero di bottiglie che si riescono a recuperare, può servire ad arrotondare di qualche euro gli introiti. E già si erano levate voci che invitavano il Municipio a “risarcire” le 15-20 persone che ogni giorno trascorrono ore e ore a caccia dei vuoti. Ora dunque arriva la “reinterpretazione” della delibera comunale. Il divieto di raccolta dei vuoti di plastica dai cassonetti delle immondizie «entrerà in vigore - è stato spiegato dal Palazzo - solo per chi effettua la raccolta in maniera sistematica e organizzata asportando metalli e altri rifiuti riciclabili, un'attività non in linea con l'immagine civile, culturale e turistica della localita'». Anzi, «i cittadini che hanno difficoltà finanziarie e sociali e per i quali la raccolta» della plastica rappresenta una «importante fonte di guadagno» - è stato ancora precisato - «non sono assolutamente contemplati nelle disposizioni contenute nella delibera». Il documento in vigore a breve non disciplina comunque soltanto questo aspetto. Lo stesso Saina spiega che «sarà proibito anche danneggiare le facciate esterne degli edifici (ad esempio con scritte, o praticando dei fori per fissare oggetti), praticare l'esercizio commerciale senza permesso sul suolo pubblico, usare i fuochi d'artificio ed eseguire musica senza avere avuto la relativa licenza». Oltre ai divieti vengono introdotti degli obblighi; si va dalla potatura di alberi e piante ornamentali che potrebbero mettere a rischio la sicurezza del traffico, alla rimozione del materiale di scarico dal suolo pubblico dopo i lavori edili, alla rimozione dei rifiuti dai cortili delle case, fino all’obbligo di affiggere cartelli e diciture bilingui, dunque anche nella lingua italiana. Sull'applicazione della delibera vigileranno comunque le guardie comunali incaricate di denunciare ogni violazione. E per i trasgressori scatteranno multe di importo pari a 1.300 euro.

(p.r.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 28 dicembre 2016

 

 

La scommessa di Ronchi tandem aereo-ferrovia - Consentirà l’interscambio tra bus, auto e treno e più appeal per i vettori
Cantiere aperto da gennaio fino a inizio 2018 per il primo lotto da sette milioni

Prevista anche una stazione collegata al terminal con una passerella: ascensori, scale mobili e un ponte sulla statale 14
UDINE - Da inizio gennaio 2017 a fine gennaio 2018. Tredici mesi di cantiere aperto per realizzare il primo lotto del polo intermodale di Ronchi dei Legionari, opera strategica per i collegamenti del Friuli Venezia Giulia. Arrivassero entro marzo anche i fondi necessari al secondo lotto, nello stesso arco di tempo la vincitrice del bando, la Ici Coop, completerà i lavori pure del secondo lotto. Il cronoprogramma di un'infrastruttura da complessivi 13,9 milioni di euro (7 milioni per il primo lotto, 6,9 milioni per il secondo) è ora definitivo. Il presidente di Trieste Airport Antonio Marano e il sindaco di Ronchi Livio Vecchiet hanno infatti siglato nei giorni scorsi la convenzione per la concessione in diritto di superficie a favore della società Aeroporto Friuli Venezia Giulia, di fatto l'ultimo step previsto dall'accordo di programma per la realizzazione del polo, il passaggio dunque dalla fase delle carte a quella del cantiere. Con la messa a disposizione delle aree da parte del Comune, già nei primi giorni del prossimo mese la ditta incaricata potrà mettersi al lavoro in vista di una consegna dell'opera entro tredici mesi. Il polo consentirà concretamente l'interscambio tra i vari mezzi di superficie (bus, auto e treno) con conseguenti miglioramenti del sistema di trasporto pubblico e del servizio di mobilità passeggeri in regione: «Il Fvg sarà la prima regione - dice il dg di Trieste Airport Marco Consalvo - che ha in aeroporto lo snodo dei trasporti aria, ferro e trasporto pubblico privato su gomma». In prospettiva - ed è quanto il nuovo corso societario auspica - dovrebbe migliorare pure l'attrattività per i vettori aerei: giusto ieri l’europarlamentare Isabella De Monte ha citato trattative aperte per un prossimo collegamento diretto con Francoforte. «Il nuovo polo - ha commentato ancora Marano - contribuirà a incentivare viaggiatori e pendolari ad adottare una politica "park & ride", come sistema efficace per raggiungere Trieste e gli altri centri importanti del territorio». La parola passa ora a Ici Coop, azienda isontina con sede a poche centinaia di metri dall'aeroporto che nel settembre scorso si è vista assegnare l'appalto dopo aver vinto il ricorso al Tar Fvg contro la rete d'imprese Interbau che era arrivata prima ma ha preferito rinunciare alla battaglia legale. Al lavoro in Ati con la Coop Celsa di Latisana e la Schindler di Milano specializzata negli impianti meccanizzati, Ici Coop (impegnata negli ultimi anni nella ristrutturazione dello stadio Friuli di Udine) garantirà occupazione a una trentina di addetti, ma ne impiegherà qualche altra decina nel momento in cui si arriverà all'impiantistica e alle opere stradali. L'intero polo è stato contrattualizzato. Tra pochi giorni si partirà con il primo lotto da 7 milioni (23% finanziati da fondi propri dell'Aeroporto Fvg, il resto da contributi comunitari Pac, Piano azione e coesione), quello che prevede la costruzione di una stazione passeggeri collegata al terminal aeroportuale con una passerella che attraverserà con un ponte la statale 14 e sarà dotata di ascensori e scale mobili. A fianco è in agenda anche la stazione dei bus per 16 linee con piazzale di manovra asfaltato di 3.800 metri quadrati e una superficie pedonale di 2.800 metri quadrati. Sono inoltre previsti parcheggi per 1.500 posti, uno multipiano da 500, gli altri 1.000 a raso. Una volta completato il primo lotto, conferma Consalvo, il polo sarà già funzionante. Il secondo lotto servirà però a completare la passerella (per complessivi 425 metri), il tassello finale. Le risorse (6,9 milioni) al momento mancano, ma la società e la Regione (la giunta Serracchiani, con l'assessorato alle Infrastrutture, sostiene in toto l'operazione) non disperano che gli ulteriori fondi comunitari, e il successivo via libera del Cipe, possano arrivare entro marzo. Andasse davvero così, Ici Coop è pronta, come da contratto, a consegnare pure la seconda parte dei lavori entro la stessa scadenza di fine gennaio 2018. Questo per il fatto che, a cantiere già aperto, si riuscirebbe a ottimizzare l'impegno delle squadre di operai. Se invece i tempi si allungheranno, informa ancora Consalvo, l'impresa ronchese si è impegnata a realizzare il secondo lotto entro dieci mesi dalla riapertura del cantiere. Come noto il polo rientra nel capitolo di risanamento, promozione e investimenti nel medio-lungo periodo mirato a fare di Ronchi lo snodo regionale dei trasporti su gomma, ferro e aria, anche grazie ai 12 milioni per la pista di volo e gli 8 per la riqualificazione dell'aerostazione. Un "pacchetto" di interventi da complessivi 39 milioni sbloccato a inizio anno dall'approvazione da parte dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) del piano quadriennale presentato dalla società. Tutte iniziative mirate a centrare, nel 2019, un incremento di passeggeri superiore al 30%, dagli attuali 750mila (nel 2015, più precisamente, sono stati 741.776, +0,2% rispetto all'anno precedente, con l'aggiunta di 424 tonnellate di merce) a circa un milione, un "quantum" che Enac ha considerato in linea con le potenzialità dello scalo.

Marco Ballico

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 27 dicembre 2016

 

 

Nessun rincaro sul bus - E a Trieste il ticket cala - Tariffe congelate nel 2017 e gratuità estesa a tutti i bambini fino a 10 anni

Dieci centesimi in meno per il biglietto orario nel capoluogo regionale

La Regione conferma gli sconti per gli studenti e le famiglie Invariati i servizi marittimi e le agevolazioni per i treni
TRIESTE Non solo la conferma di tariffe del Tpl congelate dal 2015, ma anche un ritocco all’ingiù: nel 2017 i triestini pagheranno il biglietto dell’autobus sull’intera rete (60 minuti) non più 1,35 ma 1,25 euro. La novità è legata al processo di unificazione in tutta la regione del costo del titolo di viaggio urbano, effetto del percorso che si dovrebbe concretizzare con la gestione unica Fvg. La delibera In un anno di transizione dal vecchio al nuovo sistema dei servizi di trasporto automobilistico, ferroviario, marittimo e tranviario, la giunta regionale, su proposta di Mariagrazia Santoro, ha costruito nella seduta prenatalizia un “pacchetto” che ribadisce un regime tariffario consolidato (non viene applicata nemmeno l’indicizzazione contrattualmente prevista, nel 2015 dell’1,2%), mantiene le agevolazioni per chi, lavoratori e studenti, i mezzi pubblici li deve prendere quasi tutti i giorni e introduce sperimentazioni propedeutiche alla rivoluzione attesa alla fine della prossima estate. Tra l’altro, dal prossimo 1 gennaio, si chiuderà un’epoca storica, quella dell’accesso gratuito per i minori fino a un metro di altezza, e se ne aprirà un’altra: a viaggiare senza pagare un centesimo saranno tutti gli under 10. Biglietti e abbonamenti Nel 2017 il biglietto dell’autobus orario una tratta continuerà a costare 1,25 euro, stavolta pure a Trieste. Costi fotocopiati anche per le due tratte di una linea (1,55 euro), il giornaliero su tutta la rete (4,35 euro), l’abbonamento mensile su una linea (da 26,40 a 27,75 euro) e sull’intera rete (da 33,55 a 34,45 euro). Quanto ai pullman, tutto dipende dalla distanza. Si parte da una corsa semplice sotto i 4 km da 1,25 euro fino a un massimo di 178,95 euro per viaggi superiori ai 225 km. Invariato il quadro dei servizi marittimi: da Trieste a Muggia 4,25 euro per la corsa singola e 7,90 ritorno compreso; da Grado a Trieste 7 euro (10,65 andata e ritorno), da Trieste a Barcola 2,55 e da Marano a Lignano 3,40. I bonus Estesa la gratuità ai minori fino a 10 anni e disposto lo sconto del 20% a partire da febbraio nelle giornate di sabato e domenica sul biglietto di corsa semplice dei servizi ferroviari in ambito regionale gestiti da Trenitalia, l’assessorato Santoro conferma inoltre i bonus 2016 a favore di studenti, famiglie e viaggiatori abbonati (già beneficiati da una riduzione del 5% in caso di acquisto online). Si replicano dunque gli sconti maggiori a partire dal secondo figlio per l’acquisto di abbonamenti annuali per studenti appartenenti allo stesso nucleo familiare (-20% per il secondo figlio, -30% per il terzo e i successivi), così come l’estensione dell’abbonamento per gli studenti impiegati in percorsi scuola-lavoro, senza ulteriori costi, anche alle tratte necessarie a raggiungere le sedi dell’attività, purché la tariffa della nuova tratta non superi del 20% quella dell’abbonamento originario. Servizi ferroviari Sempre come nel 2016 si rinnovano l’abbonamento annuale studenti per i servizi ferroviari Trenitalia, utilizzabile per 12 mesi a partire da quello di acquisto e con un costo pari a otto abbonamenti mensili, e ulteriori agevolazioni per l’acquisto di titoli di viaggio Mi.Co.Tra., il servizio transfrontaliero Udine-Tarvisio-Villaco delle Ferrovie Udine Cividale. La transizione Nell’attesa che il consorzio Tpl Scarl che vede uniti gli attuali gestori del servizio nelle quattro province Fvg (Trieste Trasporti, Apt di Gorizia, Saf di Udine, Atap di Pordenone) avvii la propria attività, conseguentemente all’aggiudicazione della gara d’appalto regionale, la giunta ha prorogato i servizi su base provinciale fino ad agosto, ma già da inizio anno le aziende, fa sapere Santoro, «hanno dato la loro disponibilità ad avviare, senza oneri aggiuntivi per la Regione, nuovi servizi sperimentali in risposta a quanto ci era stato richiesto dal territorio». A Trieste e nell’Isontino scatterà il potenziamento dei servizi scolastici nel capoluogo e proseguiranno i nuovi collegamenti sperimentali con la Fincantieri di Monfalcone. Sono inoltre in corso di valutazione l’attivazione di un servizio festivo di collegamento con Fernetti e l’intensificazione del festivo Trieste-Muggia. Nell’area udinese sono poi previste ulteriori percorrenze dall’autostazione Tarvisio e verso le frazioni e nuove tratte derivanti dalla messa in esercizio del terminal studenti di Udine. In sostituzione del servizio ferroviario attualmente sospeso, vengono introdotti pure i collegamenti diretti dal polo scolastico di Cervignano direzione Muzzana e Palazzolo dello Stella e nella Destra Tagliamento verranno attivati nuovi collegamenti mattutini, al di fuori delle fasce orarie di punta, sulle direttrici Pordenone, Fiume Veneto, Zoppola, San Vito e Prata, Pasiano, Azzano X. Rimborso Trenitalia La Regione segnala un’ultima novità di Trenitalia. Dal 22 dicembre il biglietto regionale elettronico si è allineato a quello cartaceo, consentendo un cambio data o orario e il rimborso per rinuncia al viaggio, fino alle 23.59 del giorno precedente a quello inizialmente scelto.

Marco Ballico

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 24 dicembre 2016

 

 

RIGASSIFICATORE - Sarà chiesto al ministro Calenda di formalizzare il no a Gas Natural
«Il problema è che la lettera del Comune è stata indirizzata al ministero sbagliato. Quello dell’Ambiente ribadisce quello che ha sempre detto dal 2009 ad oggi basandosi sul parere favorevole dell’allora sindaco di Trieste (Dipiazza, ndr) e dell’allora Regione. E chiaro che è andata avanti la procedura. Purtroppo quella procedura si è conclusa.

Il tema però è che la procedura è in capo al ministero dello Sviluppo Economico. Io questa mattina (ieri, ndr) ho già sentito il ministro Calenda che mi ha ribadito con chiarezza che il rigassificatore non è all’ordine del giorno e non è strategico . Cosa che aveva già detto tempo fa. Ora chiederemo al ministro una formalizzazione di questa scelta». Così Serracchiani in un’intervista rilasciata ieri a Telequattro. Per Adele Pino, segretaria provinciale Pd, «siamo davanti a un problema che non c’è: inutile crearlo». Paolo Menis, candidato sindaco grillino a giugno, vede i «partiti in piena confusione. Solo il M5S ha contrastato il progetto fin dall’inizio». Per il senatore Lorenzo Battista «associare l’esito del Referendum all’autorizzazione o meno del rigassificatore dimostra la poca conoscenza di tante forze politiche triestine». Il deputato Aris Prodani infine si «stupisce» per «come ci si scandalizzi solo oggi davanti alla risposta del ministero dell’Ambiente».

 

 

Via libera al Piano rifiuti speciali - Disciplinerà gestione e recupero il provvedimento
La giunta su proposta dell’assessore all’Ambiente Sara Vito ha approvato il “Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali” comprensivo del rapporto ambientale e della sintesi non tecnica che sarà ora oggetto di decreto del presidente della Regione, per l’effettiva vigenza. La delibera in questione ha approvato anche la dichiarazione di sintesi che ripercorre la procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas) e riporta le indicazioni recepite relative alle osservazioni emerse durante la fase di consultazione pubblica. «Il Piano, che ha come primo obiettivo la riduzione del quantitativo degli scarti prodotti e il loro recupero, offre una gestione dei rifiuti speciali rispettosa dell’ambiente - ha chiarito Vito - e permetterà di rendere ancora più concreto l’effettivo avvio dell’economia circolare nella nostra regione». L’assessore ha espresso soddisfazione anche per aver completato l’iter nei termini stabiliti: «Siamo riusciti a concludere il percorso entro l’anno come avevamo previsto. Il Piano suggerisce, in primo luogo, la riduzione dei quantitativi e della nocività dei rifiuti prodotti e propone, partendo dall’analisi della produzione, della destinazione e della gestione dei rifiuti speciali in regione, modalità di trattamento in grado di favorire il recupero degli stessi.

 

 

Inchiesta sui fumi in Ferriera «Sotto tiro le gestioni passate»
Riflettori della Procura puntati sulle cause dei problemi ambientali “ereditati” da Siderurgica Triestina. Serracchiani: «Verrà dimostrata la trasparenza dell’iter»
Un intervento giusto e opportuno per fare chiarezza sulla situazione, tranquillizzare la città e richiamare tutti a una maggiore responsabilità. Convergono in questo senso molti dei giudizi espressi dalla varie parti politiche all’indomani della diffusione della notizia dell’apertura, da parte della Procura, di un’altra inchiesta sull’inquinamento a Servola. Un fascicolo bis che stavolta coinvolge lo stesso proprietario dello stabilimento siderurgico Giovanni Arvedi oltre all’ex presidente Andrea Landini. Per la governatrice Debora Serracchiani, che è anche commissario straordinario per la Ferriera di Servola, l’apertura dell’inchiesta dimostra «la trasparenza e la chiarezza che è stata messa in campo. Tutte le volte - ha affermato la presidente Serracchiani - abbiamo consegnato gli atti alla Procura perché ogni parte in causa deve poter avere tutte le informazioni necessarie nell’interesse della salute dei cittadini e dell’attività industriale che deve venir svolta senza inquinare. Come commissario, mi sono presa l’impegno di far avanzare i lavori, ma bisogna certamente verificare che rispondano a tutti i requisiti di legge». Il riferimento è all’attuazione del piano di risanamento ambientale - come noto complesso e articolato - avviato dall’attuale proprietà dello stabilimento, a cui non può certo essere attribuita la responsabilità della situazione di inquinamento nel rione. Non a caso i riflettori della Procura si sono accesi sulle gestioni passate della Ferriera, quelle che hanno prodotto i pesanti risultati che Siderurgica Triestina, negli ultimi due anni, si è presa l’impegno di contrastare, attuando interventi anche costosi e drastici per ridurre l’impatto ambientale, puntando al contempo a salvaguardare l’occupazione, che non a caso sta crescendo di mese in mese. «La magistratura deve fare il proprio lavoro - afferma l’ex sindaco Roberto Cosolini -. Va comunque rilevato in quali gravi condizioni lo stabilimento sia stato lasciato dalla proprietà precedente, mentre gli investimenti ingenti e importanti compiuti da Arvedi sono innegabili e certificati dai fatti. Ciò che mi auguro è che l’inchiesta si risolva in modo da tutelare l’interesse della salute e del lavoro». «Per quanto riguarda le indagini della Procura - sostiene Adele Pino, segretario provinciale Pd - credo sia necessario e doveroso attendere l'esito del confronto tra le denunce dei cittadini e le verifiche oggettive dei report dell'Arpa. Ritengo però al contempo opportuno porre un distinguo tra la fase di transizione e quella attuale, atta a verificare se l’azienda sta veramente utilizzando delle tecnologie adatte alla riduzione delle emissioni di inquinanti e del rumore». Roberto Decarli, ex operaio in Ferriera e fino a sei mesi fa strenuo sostenitore di Arvedi dai banchi del Consiglio comunale, non è sorpreso dell’inchiesta: «Dai tempi dell’Italsider - sostiene - è la prima volta che un imprenditore punta a risanare gli impianti della Ferriera. Ora, anche per averlo visto, posso dire che tutto ciò che viene prescritto dall’Aia si sta applicando. Che si sia mossa la magistratura, è un fatto positivo anche ai fini di tranquillizzare i cittadini perché sono convinto che il lavoro di Arvedi verrà riconosciuto». Un fatto «molto significativo» l’apertura della nuova inchiesta per Piero Camber, capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale. «Rivela che c’è l’interesse della magistratura - afferma -. È rassicurante per i servolani e tutti i triestini e forse alla fine dimostrerà se la Ferriera può continuare a esistere oppure no. E magari spingerà Arvedi a rafforzare il proprio impegno sul versante ambientale». Più categoriche le conclusioni del grillino Paolo Menis: «La Procura ha compiuto un atto doveroso- Sono innumerevoli le denunce e le segnalazioni fatte dai cittadini, relative a quelli che l'azienda ha sempre definito “episodi anomali” nell'attività dello stabilimento. Mi auguro che questo sia il primo passo per accertare se ci sono responsabilità e per rendere giustizia a tutti i triestini». Il sindaco Roberto Dipiazza in un video ha affermato: «La Procura sta facendo il suo lavoro, noi stiamo facendo il nostro per difendere i cittadini: a questo punto mi sembra che l’aria sia cambiata da tutti i punti di vista».

(red.cr.)

 

 

L’inarrestabile invasione di piante e arbusti “killer” - Tutta la provincia è vittima della colonizzazione da parte delle specie allogene
Dalla Val Rosandra al Giardino pubblico fino agli angoli più nascosti del Carso

A Trieste, come nel resto d’Italia, se ne parla raramente, ma la questione “scotta” ed è ormai un problema molto diffuso. Dal centralissimo Giardino pubblico alla più isolata Val Rosandra, dal parco Globojner ai boschi del Carso: siamo invasi dalle piante aliene, un processo di colonizzazione silenzioso e purtroppo rapido, che rischia di compromettere ecosistemi e biodiversità locali. Non sono certamente arbusti e alberi dalle ventose appiccicose e dai bulbi che ti osservano con sguardo vorace, frutto della fantasia dei fumettisti o dei registi specializzati in b-movies. Sono invece essenze terribilmente reali, spesso velenose, che si muovono di continente in continente, appollaiate su paltò e giacche, infiltrate tra fodere e suole, incastonate tra semiassi e carlinghe, stive e scialuppe. Milioni di semi di piante diverse si spostano in tutte le parti del pianeta approfittando di inconsapevoli vettori. Ricordate quel papavero da oppio cresciuto, qualche anno fa, in una aiuola incolta del Porto vecchio, che tanta apprensione aveva suscitato nell'opinione pubblica? Non era certamente frutto di una semina intenzionale, piuttosto una spontanea germinazione verificatasi a migliaia di chilometri di distanza dalle terre di Afghanistan o Pakistan da cui il seme proveniva. In questo piccolo episodio la chiave delle preoccupazioni odierne di diversi scienziati e studiosi dell'ambiente. Tra questi Livio Poldini, professore emerito del Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Trieste, che sull'invasione delle piante allogene possiede una mole impressionante di informazioni: «Siamo di fronte a un fenomeno mondiale, l'interscambio di materiali biologici sia di origine vegetale che animale. Un processo inarrestabile dovuto al fenomeno della globalizzazione. Specie diverse viaggiano lungo tutto le rotte del pianeta grazie alla caduta dei confini, il massiccio trasferimento di merci, la crescita esponenziale del turismo. Dovete sapere - continua Poldini - che nell'area portuale di New York trovate oggi più flora europea che quella americana. Da noi succede l'inverso. Veniamo colonizzati da specie esotiche originarie dell'America Centrale e meridionale e da quelle asiatiche». Sono arrivate non solo attraverso camion, navi e aerei. Rimboschimenti effettuati con alberi “forestieri”, l'importazione da parte dei vivai di piante ornamentali esotiche, il cambiamento climatico favoriscono la crescita di alberi, erbe e arbusti alieni a detrimento delle specie locali. L'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura colloca questa diaspora vegetale al terzo posto nella classifica degli indici di pericolosità per le biodiversità locali. Logica vorrebbe che le piante allogene trovassero difficoltà a ambientarsi in aree diverse dalla propria; i fatti invece dicono il contrario. «Abbiamo da tempo identificato le ragioni della loro crescita esponenziale - riprende Livio Poldini. Sappiamo che le ferite inferte al territorio dovute agli interventi edilizi, alla realizzazione di infrastrutture, a un pascolo e a una agricoltura mal condotti hanno favorito l’insediamento delle aliene. Anche la creazione di piste forestali soleggiate hanno determinato questa invasione. Si deve pensare che i nostri boschi erano delle ottime barriere naturali contro gli invasori. Ailanti e altri esemplari esotici che ormai colonizzano parte dei nostri boschi sono stati favoriti proprio dai mancati rinverdimenti e dalle aree soleggiate che queste aliene prediligono». Accanto alla competizione con le specie locali, le piante esotiche iniettano nel terreno sostanze tossiche che, con modalità diverse, possono entrare nella catena alimentare di uomini e animali. Vi sono poi tutte le tematiche relative agli allergeni. Le piante straniere, vedi ancora l'ailanto, riescono a destabilizzare versanti e edifici a causa delle loro instancabili radici che si infiltrano ove possibile. In modo indiretto, poi, la lotta prodotta dall'uomo con prodotti di sintesi inquina ulteriormente il territorio. Atrazine e altri erbicidi, classificati ormai come cancerogeni, sono stati riscontrati in tanti terreni agricoli dove si è cercato di combattere l'invasione delle specie aliene. Ma quali rimedi sono utilizzabili per fermare questa calamità? «Prima di tutto serve un’informazione puntuale - spiega l’esperto -. Poi la proliferazione delle piante aliene va combattuta riparando prontamente le “ferite” che quotidianamente provochiamo ai nostri suoli». Attenzione nell'uso dei prodotti chimici; piuttosto è necessario ripetere frequentemente i tagli per le piante invasive. Vanno utilizzati con oculatezza un mirato pirodiserbo (utilizzo del fuoco), le emissioni di aria calda per seccare le indesiderate, la carcinatura parziale, consigliata dai forestali tedeschi, che prevede, attraverso un sistema di incisione nella corteccia e nello strato sottostante, di limitare la circolazione della linfa, portando la pianta alla morte.

Maurizio Lozei

 

E la Forestale pubblica una brochure ad hoc
Per chi intendesse approfondire la conoscenza sul tema della piante aliene, imparando così a riconoscerle e mettendo a fuoco le tecniche migliore per poi magari estirparle, c’è la possibilità di richiedere al Centro didattico naturalistico di Basovizza e al Corpo forestale regionale-Unità periferica di via Cantù 10 una nuovissima pubblicazione intitolata “Specie vegetali esotiche invasive in Friuli Venezia Giulia - riconoscimento e possibili misure di contenimento”. Si tratta di un’agile brochure ricca di immagini e di informazioni sulle piante che vengono da lontano e che ormai, come purtroppo sanno bene gli esperti, fanno concorrenza a quelle locali. Le diverse schede monografiche consentiranno al lettore di riconoscere eventualmente quell’arbusto o alberello che, di punto in bianco, ha fatto capolino nel suo cortile. Completano il volumetto un utile glossario e una corposa bibliografia.

(m.l.)

 

Ailanto - L’astuta macchina da guerra
È stato definito “la macchina bellica della natura” perché pressoché inarrestabile nella sua invadenza. Introdotto in Europa dalla Cina per l’allevamento del baco da seta (pratica quasi immediatamente abbandonata), l’Ailanto sta conquistando larghe fette di territorio periferico e carsico. Capace di adattarsi alle condizioni più difficili, è re incontrastato della periferia degradata perché riesce a crescere anche tra le macerie. Con le sue forti radici si insinua ovunque e immette nel suolo sostanze fito tossiche. Il suo legno trova scarso impiego, così il suo miele scadente. Anche i suoi fiori emanano odori sgradevoli, tanto da risultare odiosi pure agli uccelli. Infatti le macchie o i boschetti che l'Ailanto forma in tanti angoli del capoluogo sono disertati da animaletti e uccelli: una testimonianza di come la sua presenza venefica influisca pesantemente sull'ecosistema.

(m.l.)

 

Senecione sudafricano - Il nemico travestito da fiore
Sembrano timide e graziose margheritine che spuntano da un folto cespuglio. E invece si tratta dell’infido Senecione, ormai presente in numerose aree del Carso triestino e isontino. Pianta esotica di origine sudafricana, il Senecione cresce facilmente ovunque, impedendo lo sviluppo della flora locale. Dalla fioritura protratta anche durante il tardo autunno e l'inizio dell'inverno, è facile scorgerlo nel parco Globojner, nella Val Rosandra, lungo la costa e le grise carsiche. È presente pure in alcune parti degradate della landa carsica e nei pascoli mal condotti. Scarica nel terreno degli alcaloidi fortemente tossici, e può entrare nella catena alimentare per avvelenamento del bestiame. Da verificare una sua eventuale presenza nei mieli. Per estirparlo dalla vigna si può utilizzare il fuoco, oppure semplicemente strapparlo con tutto l'apparato radicale.

(m.l.)

 

Amorfa o indaco bastardo - Il pericoloso sosia dalla robinia
Si tratta di un cespuglio fortemente invasivo che, per il fogliame, può assomigliare a un altro infestante, quella robinia che la maggior parte della gente scambia per l’acacia. Rispetto alla robinia, però, l’Amorfa o Indaco bastardo non ha le spine. È facile trovarla negli ambienti umidi, alvei fluviali o lacustri con le relative sponde. Fissando l'azoto, questa pianta altera la composizione chimica del terreno a tutto svantaggio delle specie autoctone come salici e olmi. È facile individuarla lungo alcune parti del Tagliamento dove, sotto ai salici, assicura una diffusa copertura. È diffuso nell'isola della Cona, persino lungo e piccole cavità create per lo scavo dell'oleodotto che attraversa l'Altopiano. Ma è soprattutto nel comprensorio del lago di Doberdò che l’amorfa sta dettando legge. Una vera e propria invasione da tempo denunciata dagli studiosi dell'ambiente carsico.

(m.l.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 23 dicembre 2016

 

 

Ripiomba sopra Trieste lo spettro rigassificatore

Il ministero dell’Ambiente ribadisce al Comune il nulla osta all’opera e conferma in parallelo l’iter in corso per l’ok al metanodotto Snam

La Lega chiede un aggiornamento all’assessore Polli e da Roma arriva una lettera che fa tornare d’attualità un’ipotesi mai tramontata del tutto
TRIESTE Tra le tante cose che a Trieste han l’usanza di tornare a galla, primeggia senza dubbio il rigassificatore di Zaule. Il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, infatti, ha appena ribadito al Comune il suo «giudizio favorevole di compatibilità ambientale» sul progetto, aggiungendo che la procedura di Via per l’annesso gasdotto è tuttora in corso. La risposta ha sconcertato la maggioranza cittadina, che sperava nella possibilità di una revisione del via libera dato all’impianto nel 2009. Ha trovato invece abbastanza tranquilla la Regione, che replica: «La palla ora è in mano al ministero dello Sviluppo economico, che dovrebbe convocare la Conferenza dei servizi ma non lo fa proprio a causa dei numerosi “no” arrivati dal territorio». La notizia è emersa mercoledì sera in Consiglio comunale, quando l’assessore alla Pianificazione urbana Luisa Polli ha letto la lettera inviatale dal ministero dell’Ambiente. Ma cominciamo all’inizio. In ottobre il Consiglio comunale aveva approvato una mozione che ribadiva la contrarietà di Trieste al progetto di rigassificatore di Gas Natural. Nei giorni scorsi il capogruppo leghista Paolo Polidori aveva presentato una domanda di attualità a Polli, in cui scriveva: «Chiedo all’assessore competente se esistono ad oggi riscontri da parte della Direzione generale per le valutazioni ed autorizzazioni ambientali in merito alla compatibilità ambientale e ad una possibile riapertura del procedimento di Via» del rigassificatore. L’assessore ha contattato il ministero e poi ha risposto in aula a Polidori, premettendo che dal responso avuto dal ministero «allo stato attuale non vi sono presupposti per fermare la procedura del rigassificatore». Questi i passaggi salienti della lettera, firmata dal vicecapo di gabinetto del ministero Elena Lorenzini: «La Direzione generale riferisce che in merito al progetto di cui si tratta è stato espresso giudizio favorevole di compatibilità ambientale con decreto» del 17 luglio 2009 «e che gli esiti di tale valutazione sono stati successivamente confermati a seguito di un supplemento istruttorio svolto in ragione di presunte incompatibilità del progetto con i nuovi scenari di traffico navale derivanti dal nuovo Piano regolatore portuale». Per il ministero tali inconciliabilità non esistono: «Il supplemento istruttorio ha accertato l’assenza di incompatibilità tra il Piano e il terminale di rigassificazione». Aggiunge poi: «La Direzione generale rappresenta, infine, che non sussistono presupposti di natura tecnica, giuridica ed amministrativa per poter ipotizzare la riapertura del procedimento di Via per il terminale di rigassificazione». Il ministero precisa poi che sta proseguendo l’iter per la Via del metanodotto Trieste-Grado-Villesse progettato da Snam: «Risultano acquisiti tutti i pareri degli enti e delle amministrazioni coinvolte e si è in attesa di acquisire le valutazioni richieste alla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale». La posizione del ministero ha indignato Polidori: «Una risposta devastante. Siamo arrivati al punto in cui tutte le istituzioni sono contrarie, poi spunta il ministero e dice che la Via del 2009 è approvata e così resta». Il leghista sottolinea «un vizio»: «Stanno acquisendo la Via per il metanodotto ma le norme Ue dicono chiaramente che non si possono fare due procedure separate per impianto e infrastruttura». In conclusione per il Carroccio «è una fortuna che non sia passato il referendum costituzionale: in base alla clausola di supremazia nazionale il governo avrebbe avuto il potere di dire che il rigassificatore si fa e basta». Per la Regione replicano il triestinissimo assessore Gianni Torrenti anche a nome dell’assessore all’Ambiente Sara Vito. Afferma Torrenti: «Di fatto non è una novità. Il ministero dell’Ambiente aveva già ultimato il suo ruolo e la palla del rigassificatore è passata al ministero per lo Sviluppo economico». Quest’ultimo, aggiunge l’esponente della giunta Serracchiani, «deve da tempo convocare la Conferenza dei servizi»: «Se non l’ha mai fatto - prosegue Torrenti - è proprio per i “no” molto pesanti piovuti da Regione, Comune e Porto. Per cui è al Mise che bisognerebbe rivolgersi, perché è lì che la cosa è impantanata». Dal canto suo la Regione ha «escluso dal Piano energetico il rigassificatore»: «Perché non solo non serve, ma confligge con i nostri bisogni e con le politiche del Porto». Se mai la Conferenza dovesse venire convocata, conclude l’assessore, «vi porteremo l’assoluta contrarietà espressa ormai da tutte le forze politiche». E Gas Natural che ne pensa? Ieri il suo ufficio stampa non era raggiungibile, ma il sito illustrativo sul progetto parla chiaro: è fermo al 2012.

Giovanni Tomasin

 

LA SITUAZIONE - Progetto in bilico al dicastero dello Sviluppo economico
L’iter del rigassificatore nel ventre burocratico della capitale è questione complessa. Se oggi la Regione afferma che il ruolo del ministero dell’Ambiente è concluso, resta il fatto che nel giugno scorso proprio l’ente regionale ha avviato un ricorso al Tar contro quello stesso dicastero. All’origine dell’azione regionale c’era proprio una presa di posizione a favore dell’impianto affine a quella odierna.

Oltre a ciò, è ancora nelle mani del ministero dell’Ambiente anche la procedura di Via per il gasdotto Snam da Trieste a Villesse, per il quale sono già stati raccolti i pareri degli enti locali e si è in attesa del verdetto della Commissione tecnica. Quanto al ministero dello Sviluppo economico, nell’estate scorsa il ministro dell’allora governo Renzi Carlo Calenda aveva rassicurato tutti dicendo che «non è un’opera strategica e la sua realizzazione esce dall’agenda del governo». Il progetto sonnecchia in qualche cassetto del Mise, forte di un iter ambientale arrivato a buon fine, e a seconda di questo o quel cambiamento degli equilibri politici potrebbe svegliarsi, evocando una Conferenza dei servizi a dar un nuovo via alle danze o a chiudere una volta per tutte il capitolo.

(g.tom.)

 

A Monfalcone è già guerra legale - Vescovini si prepara a una raffica di cause contro il no all’impianto SmartGas
MONFALCONE «Mi hanno fatto spendere due milioni di euro per il progetto, 600mila soltanto per le caratterizzazioni. Un progetto buttato via per il gioco truccato delle commissioni tecniche pilotate dai politici. Prima mi hanno detto di sì, poi mi hanno boicottato. Quanti posti di lavoro potevo creare con tutti quei soldi? Fino ad ora hanno ballato loro, ma adesso le danze le menerò io». Non è finita male, è finita malissimo la storia del minirigassificatore lanciato da Alessandro Vescovini, project leader della società SmartGas e a capo della Sbe, a Monfalcone. Ed ora rischia di concludersi peggio. Parola appunto di Alessandro Vescovini, imprenditore che alla Sbe, realtà innovativa e leader che a Monfalcone realizza bulloni per le maggiori realtà industriali e automobilistiche, dà lavoro a quasi 500 persone e ogni anno innova e investe sul territorio a colpi di 25milioni di euro. Un’azienda che sta crescendo con fondamentali solidi sul mercato come solida è la situazione finanziaria del gruppo pronto a sferrare le sue rappresaglie. «SmartGas ha avuto il via libera dall’organo di controllo della Capitaneria di Porto e da quello di sicurezza dei vigili del fuoco - aggiunge - mentre dalla Regione soltanto non pareri e richieste da parte dei tecnici, contro ogni regola, di continue integrazioni con la scusa che mancano documenti e ci sono lacune». Dopo anni non è nemmeno arrivata la Via del ministero dell’Ambiente e l’imprenditore ha già iniziato a sferrare la sua battaglia legale. «Siamo in Tribunale, davanti al Tar del Lazio con due ricorsi contro tutti - conferma -. Ministero e Regione. E poi andremo avanti con la giustizia penale, quella civile, la richiesta di danni e le denunce alla Corte dei conti regionale e nazionale». Richieste di risarcimento milionarie. «Questi burocrati hanno affossato uno dei pochissimi progetti di investimento privato in regione» insiste Vescovini. E aggiunge: «Con il minirigassificatore volevamo fare noi l’escavo con soldi privati e assieme a un operatore portuale investire su piazzali e banchine in porto a Monfalcone. Ma ci hanno bloccato perchè in Porto non si può investire». Una denuncia fatta anche durante l’ultima assemblea del Consorzio industriale di Monfalcone dove Vescovini era rappresentante delle imprese insediate. L’imprenditore non si tira indietro, è noto per la sua franchezza e le sue frasi taglienti, e anche adesso punta il dito e fa nomi e cognomi. «Il nostro progetto è stato letteralmente disintegrato dalla presidente della Regione Debora Serracchiani - accusa -. Quando mi ero incontrato con il suo vice e assessore allo Sviluppo economico e all’industria Sergio Bolzonello, assieme agli industriali, avevo ricevuto un via libera ed ero partito con il progetto. La governatrice invece non ha mai detto di no, ma da dietro ha bloccato e boicottato il progetto. Ne ho le prove. Anche la Regione non si è mai pronunciata con un no, ha sempre dato “non pareri”, non si è mai sbilanciata accampando sempre come ragioni le “lacunosità” del progetto. E intanto mi hanno fatto spendere due milioni». Nel mirino anche i «burocrati della ex Camera di commercio di Gorizia presieduta da Gianluca Madriz e l’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito». Il project leader di SmartGas aveva formato una cordata con una decina di imprese per investire sul carburante “pulito”. Un progetto bloccato. E Vescovini promette tempesta. «Pagherà chi ha fatto spendere denaro privato inutilmente per questo progetto. Avremmo potuto creare almeno 50 nuovi posti di lavoro - conclude - potevano dire di no sin dall’inizio. Ed ora pagheranno, mi ci volesse tutta la vita per riuscirci».

Giulio Garau

 

«La giunta Dipiazza ha interpellato il soggetto sbagliato»
TRIESTE «Dal ministero dell’Ambiente non poteva uscire altro che quella informazione». Non si stupisce Serena Pellegrino in merito alla risposta romana all’amministrazione Dipiazza, lì dove si esclude qualsiasi dietrofront rispetto al giudizio favorevole di compatibilità ambientale del 2009. Tutto noto, secondo la deputata di Sinistra italiana - Sel «senza bisogno che la giunta triestina lo evidenziasse in pompa magna». Il ministero Galletti informa Trieste che la Via di sette anni fa non si tocca. Cambia qualcosa nella vicenda rigassificatore? Mi pare proprio di no. Stupisce anzi che il Comune interpelli l’Ambiente su un tema ormai chiuso. La palla è passata al ministero dello Sviluppo economico. Lo sottolinea anche l’assessore regionale Gianni Torrenti ricordando che la mancata convocazione della Conferenza dei servizi dipende dai ripetuti “no” della Regione, del Comune e del Porto. La Regione ha il boccino in mano in virtù dell’immutato Titolo V della Costituzione e il Mise non ha alcuna intenzione di fare passi indietro. Quanto al Porto, andrebbe chiesto a Ettore Rosato del Pd, ma anche a Massimiliano Fedriga della Lega, perché alla Camera non si è mai discussa la mozione di quasi due anni fa, dove si esplicitava come il rigassificatore andasse in totale conflitto con le attività portuali. Sel è sempre stata contraria ai lavori. La situazione attuale vi rassicura? L’infrastruttura è stata esplicitamente esclusa dal ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda dall’agenda di governo. La motivazione, espressa a giugno scorso, è stata chiarissima: un impianto di questo genere non è strategico. A ciò si aggiunge il dissenso fermissimo della Regione Fvg, ulteriormente confermato anche dal ricorso al Tar del Lazio contro il parere favorevole espresso dalla Commissione tecnica per la Via. Che dire a chi invece ritiene utile un’opera del genere? L’attenzione deve concentrarsi nella direzione indicata a livello internazionale alla Cop 21 di Parigi, ribadita lo scorso autunno pure a Marrakesch. Dobbiamo realizzare produzioni energetiche compatibili con l’ambiente, definire piani energetici inseriti in una economia circolare e completamente svincolati dall’impiego delle risorse fossili.

Marco Ballico

 

«Serracchiani pretenda chiarezza dal governo»
TRIESTE Sandra Savino non si fida. Un conto è la politica, un altro invece è l’amministrazione: «Stiamo attenti agli scherzetti della burocrazia». La deputata forzista, segretaria regionale del partito azzurro, è intervenuta più volte in passato sul tema del rigassificatore in Golfo con l’obiettivo di stoppare l’iter e, di fronte alla denuncia del Comune di Trieste sul perdurante parere favorevole all’opera del ministero dell'Ambiente, fa appello a Debora Serracchiani: «La presidente della Regione vada a Roma e pretenda chiarezza». Dov’eravamo rimasti? Alla battaglia del centrodestra che ha portato finalmente all’annuncio dello stop all’impianto del rigassificatore di Zaule. Dopo che a inizio anno il governo Renzi aveva risposto che non erano arrivati atti ufficiali da parte della Regione per bloccare l'impianto, la buona notizia della scorsa estate è stata che il ministro Calenda si è impegnato a togliere il progetto dall'agenda. Non le basta? Ci fidiamo poco alla luce anche delle esperienze pregresse. Il problema sono le tante autorizzazioni date in passato. Il rigassificatore è stato definito non strategico dal governo, ma un vero e proprio piano per bloccarlo non c’è mai stato. Altra cosa, ovviamente, è il metanodotto, opera collegata ma, al contrario, indispensabile. Ha fatto bene il Comune di Trieste a svelare la risposta dell'Ambiente? Se pure è vero che a gestire il tutto è ora il Mise, è più che utile esporre qualsiasi cosa possa evidenziare una situazione ancora da risolvere. Siamo al nebuloso, se non allo scandalo. Dopo anni, mentre Roma offre risposte sempre lacunose, i cittadini di Trieste continuano a ritrovarsi con la spada di Damocle del progetto del rigassificatore. Teme che l'opera si possa fare ancora? Tutta la politica si è espressa in modo contrario, eppure le procedure amministrative restano in piedi. Sarebbe opportuno che, con la competenza rimasta in capo alla Regione, si facesse finalmente definitiva chiarezza. Chi la deve fare? Serracchiani prenda in mano la vicenda. A noi danno informazioni sempre pressapochiste. Forse con lei possono essere più precisi sullo stato dell’arte della procedura amministrativa.

(m.b.)
 

 

Inquinamento a Servola, indagato Arvedi - Inchiesta della Procura per accertare la natura degli sforamenti nei livelli di fumi e polveri. Avviso di garanzia anche per Landini
La Procura di Trieste ha aperto un fascicolo a carico di Giovanni Arvedi. Il presidente del gruppo industriale, alla guida di Siderurgica Triestina prima dell’arrivo di Andrea Landini, risulta tra gli indagati per le emissioni prodotte dalla Ferriera. Anche lo stesso Landini, ex presidente della società, è ora nel mirino della magistratura. Entrambi sono stati raggiunti da un atto equipollente a un avviso di garanzia.

La Procura si è mossa sulla base delle segnalazioni dei cittadini: esposti, fotografie e video su fumi e polveri. Ma non solo. Da quanto si è appreso, stavolta i pm hanno acquisito anche i report dell'Arpa sugli sforamenti registrati dalle centraline. Forse solo sporadici, ma evidentemente sufficienti per far alzare le antenne e non lasciare nulla di intentato. D'altronde proprio il procuratore capo Carlo Mastelloni, recentemente, aveva affermato che lo stabilimento «è sempre all’attenzione di questa Procura». Adesso si tratta di incrociare le informazioni fornite dalla popolazione con il materiale dell’Arpa. Bisogna capire, ad esempio, se una fumata nera, documentata dai cittadini in una determinata giornata, corrisponde a un picco effettivo dei livelli di inquinamento che pure l'Arpa può aver intercettato. E se tale circostanza costituisce reato in base ai dettati dell'articolo 674 del codice penale: è il “getto” in un luogo pubblico o “l'emissione di gas, vapori e fumo”, punibili con un’ammenda fino a 206 euro o con l’arresto fino a un mese. Un filone investigativo, del tutto inedito per l’industriale, che comincia con l’entrata in campo della nuova gestione: perché le emissioni inquinanti, secondo le segnalazioni, sarebbero proseguite anche con il subentro di Arvedi. E le lamentele della cittadinanza, con altrettanti filmati e fotografie, non si sono mai arrestate. L’inquinamento, se appurato, era a “spot” o costante? C'è rilevanza penale? Ed è la vecchia Aia lo strumento normativo di riferimento, visto che l'inchiesta si riferisce al periodo antecedente alla pubblicazione della nuova Autorizzazione integrata ambientale. È su queste coordinate che sta lavorando la Procura, che ha quindi avviato una sorta di secondo round dopo l'indagine su Francesco Rosato e sui 33 sforamenti accertati dalla magistratura tra ottobre 2014 e giugno 2015, vale a dire il periodo di “transizione” successivo all’ingresso di Arvedi. Quando, cioè, a ricoprire il ruolo di amministratore delegato è stato (fino a giugno 2015) ancora Rosato. L'ex amministratore unico di Siderurgica Triestina e gestore dello stabilimento, di cui per anni è stato direttore in epoca Lucchini, si era visto contestare vari reati: il mancato controllo, la mancata manutenzione degli impianti e il mancato rispetto della precedente Aia, in particolare per quanto riguarda le disposizioni relative all'altoforno e alla cokeria. Il dirigente, stando ai rilievi mossi dai pm, non aveva impedito le emissioni di fumi, gas e polveri. Ma ora si apprende che altri manager sono finiti sotto accusa: l'ex commissario straordinario della Lucchini, Piero Nardi, e l'ex direttore della fabbrica Giuseppe Bonacina. Tanto Rosato, quanto Nardi e Bonacina hanno ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini. Il vecchio procedimento si è chiuso con la richiesta di oblazione, cioè il pagamento di un’ammenda di qualche centinaia di euro a testa. Ma sono chiamati a sborsare pure le spese processuali, di certo non spiccioli: 300mila euro in totale tra attività investigativa e consulenze.

Gianpaolo Sarti

 

Lo stupore di residenti e sindacati di fronte all’ultima mossa dei pm - i commenti
I riflettori della Procura sul “nuovo corso” Arvedi-Landini, quello post Lucchini, sono certamente qualcosa di inatteso per la città. Sia per il fronte ambientale sia per quello sindacale. Per le associazioni dei cittadini, da sempre in trincea contro l’inquinamento dello stabilimento di Servola, è quasi una mezza vittoria, per quanto l’inchiesta abbia appena mosso i primi passi.

«Gli esposti e le segnalazioni alla Procura sono innumerevoli - ricorda la presidente di “No smog” Alda Sancin - e troppo spesso, in passato, sono rimaste inascoltati. Quindi sapere che ora la magistratura si è concentrata su quanto lamentano le persone che vivono nelle vicinanze della fabbrica, è molto importante. Infatti - annota Sancin - i problemi non sono mai stati risolti, anche con l’attuale proprietà. La nostra attenzione - ribadisce - resta quindi molto alta proprio perché a nostro avviso lo stabilimento in realtà non ha mai smesso di inquinare. Non ci siamo mai stancati di dirlo alla città e di comunicarlo alla Procura. Ripeto, non possiamo che essere contenti che la magistratura si stia muovendo». Così Giorgio Cecco, coordinatore regionale di Fareambiente: «Le anomalie sono sempre state denunciate - rileva - la Procura ha fatto bene ad attivarsi perché in ballo c’è la tutela della salute pubblica dei cittadini. Non nascondo che nutriamo forti dubbi anche su quanto sta facendo Siderurgica Triestina perché le emissioni non si sono mai fermate». La tensione nei confronti della società, che si è trasferita anche sul piano politico quando l'amministrazione comunale è passata nelle mani di Roberto Dipiazza, resta alta. Ma la notizia dell'indagine su Arvedi e Landini è un fulmine a ciel sereno pure per i sindacati. «È un fatto che preoccupa molto - osserva Franco Palman (Rsu) - ora serve un confronto con l’azienda per accertare, adesso, come sta andando il percorso iniziato sullo stabilimento». Più cauto Sasha Colautti, segretario provinciale Cgil-Fiom: «Riteniamo che la legge vada rispettata, ma va detto che gli interventi impiantistici posti dell'azienda sono visibili. L'Arpa stessa - precisa - ha evidenziato valori positivi. Non possiamo però entrare nel merito di un procedimento della Procura, ricordiamo solo che ogni fatto può mettere in discussione i posti di lavoro». Cristian Prella, segretario provinciale Failms e rappresentante Rsu, annuisce. «Non entriamo in merito alla questione giudiziaria, aspettiamo in modo rispettoso che si valuti in sede scientifica le emissioni. Non diamo giudizi di merito perché non sono di competenza sindacale». Ma in realtà la questione non si ferma qui. Oltre al fascicolo su Arvedi e Landini - rispetto al quale la proprietà della Ferriera ha preferito non rilasciare commenti -, la Procura ha annunciato per i prossimi mesi ulteriori accertamenti a Servola con nuove centraline per l’analisi degli inquinanti e “nasi elettronici” per sondare l'impatto degli odori nel centro abitato. In sostanza, una doppia operazione di monitoraggio nel rione e nelle vicinanze della fabbrica, come emerso nelle scorse settimane. «Dobbiamo parametrare il nostro intervento preventivo e repressivo, oltre che sulla base del decreto legislativo 152 del 2006 (norme in materia ambientale, ndr) - spiegava a inizio dicembre il Procuratore capo a Trieste Carlo Mastelloni - anche sulla nuova Aia».

(g.s.)

 

 

Ciclabile “aggiustata” con 370mila euro - La gran parte delle risorse sulla bretella che consentirà di aggirare il pericoloso attraversamento della Grande Viabilità
Sulla pista della discordia si fumerà dal prossimo anno il calumet della pace. Quella “ciclabile”, che attraversava l’imbocco della Grande Viabilità (Gvt) davanti alla piscina Bianchi, si era rivelata una opinabile trovata che molto aveva fatto discutere nelle sedi istituzionali.

Dal Consiglio comunale a quello della IV Circoscrizione fino al coinvolgimento delle strutture tecniche della Regione, co-equiper del Comune nel finanziamento della ciclovia che a fine lavori collegherà Trieste Centrale al percorso intitolato a Giordano Cottur. Nel 2017 le modifiche, pensate a settembre per ovviare ai vari problemi emersi e discussi in estate, avranno pratica attuazione nella programmazione delle opere comunali: lo preannuncia l’assessore Elisa Lodi, che espone un doppio registro di interventi. Quello più importante, d’intesa con la Regione, richiederà un investimento di 340 mila euro, mentre altri 32 mila euro andranno a migliorare alcune sofferenze segnalate dai residenti e dai commercianti di zona. Restiamo sull’intervento più atteso e significativo: si tratta della “bretella” che alla fine di passeggio Sant’Andrea, di fronte all’area direzionale sportiva (palazzo Marineria, palazzo Allianz, piscina Bianchi), consentirà di aggirare il contestato attraversamento che finora avveniva davanti alle “fauci” della Gvt. In sostanza, verrà realizzato un passaggio in territorio ferroviario, dietro la fermata del bus, che accompagnerà la “ciclabile” sotto la rampa della Gvt e contribuirà ad alleviare i problemi di sicurezza per i ciclisti in uno snodo viario (Passeggio Sant’Andrea, Campi Elisi, Gvt, porto nuovo) non certo di gradevole pedalata. L’incarico progettuale sarà affidato a un tecnico esterno e l’opera - presume l’assessore Lodi - dovrebbe essere conclusa con ampio anticipo sulla fine del ’17. L’operazione è condotta in collaborazione con l’assessore all’Urbanistica Luisa Polli e dovrà essere definita con la Regione per gli aspetti contributivi. Come si diceva, altri 32 mila euro, “reduci” dal ribasso d’asta, saranno smazzati per migliorare la “ciclabile” in coerenza con le mozioni consiliari presentate dai forzisti (Camber-Babuder-Polacco e Bertoli), recepite dalla giunta in settembre. Così la delibera 656, portata dalla Lodi nella giunta del 5 dicembre scorso, prevede segnaletiche verticali e orizzontali in corrispondenza dell’incrocio di Largo Irneri, lungo viale Campi Elisi alle intersezioni con le vie de Coletti e del Lloyd. Ci sono marciapiedi sconnessi in Passeggio Sant’Andrea e e in via d’Alviano che andranno rifatti. Persiste all’altezza della curva di via d’Alviano un problema relativo all’eliminazione delle “bocche di lupo” che - a giudizio di AcegasApsAmga - potrebbe addirittura causare l’allagamento della carreggiata. Lo spostamento degli stalli di sosta in via d’Alviano, secondo i Vigili del fuoco, crea problemi di manovra ai mezzi eccezionali. A completare questo “range” di opere è programmata la messa in sicurezza del marciapiede di via Orlandini laddove “tange” la ciclabile. Si cercherà di recuperare, ove possibile, parcheggi e zone di carico/scarico. In estate il dossier “ciclabile” era passato al vaglio del Consiglio comunale a più riprese, prima in commissione poi in aula. I tecnici comunali avevano sottolineato come le maggiori criticità fossero addebitabili a errori esecutivi del progetto da parte dell’impresa appaltatrice. La “ciclabile” corre per quasi 4,5 chilometri dalle Rive verso Passeggio Sant’Andrea, Campi Elisi, via d’Alviano, via Orlandini

Massimo Greco

 

Sosta “selvaggia”, 53mila multe nel 2016 - Bilancio della Polizia locale. Sanzionati 107 gestori di locali, 171 le denunce per reati ambientali
Un bilancio dell’attività della Polizia locale nel 2016 è stato tracciato dal vicesindaco Pierpaolo Roberti nella sua prima apparizione sulla nuova pagina facebook denominata “Agente Gianna”.

Questi i dati principali: 276 violazioni per abusi di edilizia e inosservanza a regolamenti comunali accertati. Per quanto riguarda i controlli ambientali, 162 aree in stato di degrado identificate. I controlli della Polizia commerciale su pubblici esercizi sono stati 2140, con 107 sanzioni elevate. La Polizia locale ha operato in occasione di 16 partite di calcio, 134 tra manifestazioni sportive, gare ciclistiche e podistiche; 286 manifestazioni pubbliche. Per quanto concerne gli stranieri: 854 persone identificate e 26 persone denunciate. Per l'opera di prevenzione per la sicurezza sulle strade, accertati 616 illeciti con autovelox o telelaser per eccessiva velocità; 92 persone fermate con tasso alcolico superiore a quello consentito; 53.784 sanzioni elevate. L'educazione stradale ha visto impegnato il personale con 2533 bambini e ragazzi, nell'ambito di un primo approccio al corretto apprendimento delle norme del Codice della Strada, con 362 ore di formazione. Inoltre, 171 persone sono state denunciate per reati ambientali e per abusi edilizi e 194 denunciate per altre violazioni penali, tra cui 16 sono state arrestate dalla Polizia Giudiziaria; 139 persone sono state denunciate per infrazioni stradali: 92 per stato di ebbrezza e 38 per fuga o omissione di soccorso. Sono state svolte 8640 ore di formazione del personale sull'applicazione del Codice Stradale, corsi di difesa personale, fino agli aggiornamenti di Polizia Giudiziaria o Stradale. Roberti ha rivolto un particolare ringraziamento alla Polizia locale per il grande impegno e il lavoro svolto nell'ultimo anno. «Un servizio ottimale per tutta la cittadinanza - ha affermato - come dimostrano i dati e i numeri, costantemente aggiornati». Infine il vicesindaco Roberti, sottolineando l'importante lavoro e l'impegno quotidiano portato avanti dagli agenti della Polizia locale al servizio della comunità ha affermato: «Dietro a questi numeri ci sono persone, uomini e donne che si danno da fare giorno e notte per garantire la sicurezza, il decoro e il quieto vivere per tutti i triestini. A loro va perciò il più grande ringraziamento dell'Amministrazione e mio personale».

 

 

Allarme ambientalista per il monte Kohisce
Nel mirino dell’esperto Franco Perco la nuova variante al Prg di Duino Aurisina - «Il documento permetterebbe nuove costruzioni nell’area del polmone verde»
DUINO AURISINA Esplode violenta la polemica sulla variante al Piano regolatore recentemente approvata dal Consiglio comunale di Duino Aurisina, in particolare sulla parte che riguarda il futuro del monte Kohisce, un polmone verde che, a detta di tanti, «adesso potrebbe essere invaso da nuove costruzioni». A criticare aspramente il documento, presentato in aula dal vicesindaco Massimo Veronese, in veste di assessore per l’Urbanistica e la pianificazione territoriale, è uno dei massimi esperti locali in tema di ambiente, Franco Perco. Ricercatore del Parco nazionale d’Abruzzo, membro fondatore del Wwf, già nel Coordinamento nazionale delle Riserve e Parchi naturali, nel consiglio direttivo del Parco naturale delle Prealpi Giulie, nel Comitato tecnico scientifico per i Parchi e le Riserve naturali della Regione Friuli Venezia Giulia, per 14 anni direttore dell’Osservatorio faunistico di Pordenone e per sei del Parco nazionale dei Monti Sibillini, Perco è considerato un’autorità in materia. Il suo commento, «dunque questa è la fine del monte Kohisce», espresso all’indomani dell’approvazione della variante, fa perciò molto rumore, portando scompiglio nel territorio comunale di Duino Aurisina e non solo. «La sorte del monte che sorge ai piedi dell’Ermada - spiega Perco - pare segnata. In quella zona - precisa - sorge un piccolo edificio, vicino al quale ci sono i resti della stalla. Adesso sembra ci sarà la possibilità che siano rifatti per realizzare un centro residenziale. Il Comune - precisa l’esperto - ha approvato una variante che permette di ristrutturare i ruderi esistenti, ma anche di costruire nuovi edifici. La struttura - ricorda - era stata abbandonata più di cinquant’anni fa e l’ambito si era lentamente rinaturalizzato, tanto da costituire un polmone verde, affascinante proprio perché fuori dalla confusione e dagli oramai normali inquinamenti cittadini. Non a caso - rammenta Perco - la zona fa parte di un ambito tutelato dalla Comunità europea, che ha definito il Carso triestino e goriziano “Sito di importanza comunitaria” e le Aree carsiche della Venezia Giulia “Zona di protezione speciale”. Questo preziosissimo ambito - sottolinea - è stato assalito più volte. Un progetto pioniere prevedeva, negli anni ’60, una chiesetta e un altro un polo universitario. Successivamente fu interessato dall’ipotesi del Sincrotrone. Fu poi la Provincia a tentare di costruirvi campi da golf. Un pubblico amministratore - rammenta Perco - ebbe addirittura l’infelice idea di fare, nella vicinissima Dolina del Principe, che i locali chiamano Dolinone, un anfiteatro all’aperto per uno spettacolo permanente di “Luci e Suoni”, cui seguì una prima realizzazione, fortunatamente fallita. Con l’adozione delle prescrizioni comunitarie recepite dall’Italia e dalla Regione - aggiunge l’esperto - la guerra contro la distruzione di questo ambito naturale sembrava vinta, ma non è così. In tempi recenti, un altro progetto vi prevedeva un agriturismo e una sorta di alberghetto, suggerendo la possibilità di accedervi con navette. Anche questa ipotesi sembrava battuta, grazie alla normativa comunitaria. Invece - dice preoccupato Perco - oggi abbiamo l’ultimo affondo destinato ad affossare definitivamente questo splendido ambito, la variante del Comune. In virtù della mia esperienza - conclude - sono convinto che i punti di attrazione di un’area naturale vadano collocati non dentro, ma fuori dall’area medesima e che gli approcci debbano essere regolamentati e monitorati per escogitare eventuali correttivi. Confido in un blocco dell’iniziativa da parte della Regione».

Ugo Salvini

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - GIOVEDI', 22 dicembre 2016

 

 

TAV: Camera dà via libera definitivo al progetto, M5S protesta in aula

Arriva con 285 sì il via libera definitivo della Camera al progetto TAV. L’Alta Velocità Torino-Lione è stata approvata con la sola opposizione di Movimento 5 Stelle, SEL e Alternativa Libera: 285 a favore, 103 contrari e 3 astenuti. Proteste pentastellate in aula, con bandane e striscioni riportanti la scritta “No TAV”.

I costi di realizzazione per la TAV sono quantificati in 8,3 miliardi di euro, da dividere con la Francia. L’entità della ripartizione economica andrà “valutata di anno in anno fino al completamento dei lavori”. Positivi i commenti del senatore PD Stefano Esposito, secondo il quale “si scrive una pagina importante della storia infrastrutturale del nostro Paese”, e del presidente della Regione Piemonte Chiamparino:
La morale è che bisogna sentire le comunità coinvolte. Ascoltare è servito. Il progetto è cambiato, e coinvolgerà pienamente Torino, che prima era tagliata fuori. Quando vedo manifestazioni No TAV con più bandiere che persone mi è difficile non dire che si tratta di iniziative pretestuose. I parlamentari del Movimento Cinque Stelle parlano al contrario di “stupro del territorio” e di “costi imprecisati”. Come ha affermato il vice presidente della Camera Luigi Di Maio in un post apparso sul suo account Facebook: 57 km di tunnel che sventra inutilmente un intero territorio, con costi stimati, secondo gli ultimi preventivi, in 26 miliardi.

Un parere condiviso anche dalla deputata pentastellata Maria Edera Spadoni, molto critica nei confronti dell’approvazione ottenuta dal progetto TAV: Un voto che sventra una valle, prosciuga i corsi d’acqua, sparge polvere di amianto su tutto il territorio. Ecco cos’è l’accordo Italia-Francia sulla TAV. Hanno ignorato completamente il popolo valsusino, hanno presentato calcoli inattendibili del costo dell’opera, mentre la corte dei conti francese si è espressa apertamente contro questo progetto.

Claudio Schirru

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 22 dicembre 2016

 

 

Arriva la rivoluzione trasparenza - Stop ai documenti inaccessibili pubblica amministrazione»la svolta

TRIESTE Da domani i triestini, gli abitanti della regione e in generale tutti gli italiani avranno un nuovo diritto. Dal 23 dicembre 2016 potranno avere libero accesso ai documenti pubblici. Non parliamo di quelli già disponibili nella sezione “Trasparenza” dei siti Internet delle Pubbliche amministrazioni. No. Parliamo di informazioni che ci riguardano in prima persona, e che sono state finora chiuse in un cassetto. A che punto è la mia richiesta di visita specialistica in ospedale? E i piani per il nuovo asilo nido? Perché il permesso di soggiorno tarda ad essere rinnovato? Quanto è sicura la mia scuola? Quanto è inquinata l’aria del mio quartiere? Quanto ha speso quel politico in cene e viaggi? Come sono state stilate le graduatorie del concorso pubblico? Sarà possibile sapere tutto questo grazie all’entrata in vigore del decreto 97/2016 (detto Foia, ovvero il Freedom of Information Act italiano), approvato a maggio e pienamente in vigore dal prossimo 23 dicembre, domani. La legge estende l’istituto dell’accesso civico a tutti i documenti delle pubbliche amministrazioni e dà a chiunque il diritto di richiedere, gratuitamente e senza necessità di motivazione, documenti, informazioni o dati di cui è stata omessa la pubblicazione. Il Comune o la Regione, per fare due esempi, avranno l’obbligo di rispondere entro 30 giorni. Questo diritto è stato conquistato da una rete di attivisti, riuniti nella campagna Foia4Italy, in due anni di lotte e petizioni. La riforma ha permesso al nostro Paese di scavalcare persino gli Stati Uniti nella classifica mondiale che misura l’accessibilità di documenti, dati e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni (dal 97° al 54° posto del Right of Information Rating). Ernesto Belisario, avvocato, è l’esperto di diritto delle tecnologie che un giorno ha convocato tutti a raccolta con una mail dall’oggetto inequivocabile: “Scriviamo insieme il Foia italiano e consegniamolo a Matteo Renzi”. Poco più di due anni dopo, il sogno si è fatto realtà. «Questo diritto, che prima non avevamo, può essere esercitato anche su quei documenti per i quali non abbiamo un interesse diretto, come una gara d’appalto. Dobbiamo semplicemente farci capire e non c’è bisogno di nessun avvocato. Si applica anche alle società partecipate e il tutto avviene in maniera gratuita, salvo i costi di stampa dei documenti. L’amministrazione ha 30 giorni di tempo per risponderci», conferma l’avvocato Belisario. Si tratta quindi di una vera e propria rivoluzione. Prima il cittadino comune doveva avere un interesse “specifico, concreto e attuale” (legge n. 241 del 1990) per richiedere un qualsiasi documento. Per esempio, poteva consultare tutte le carte di un concorso pubblico, per accertarsi della regolarità dei titoli dei candidati, solamente se parte di una graduatoria. Non sarà più così, da domani. Niente timori che la richiesta cada nel vuoto: salvo casi eccezionali, il silenzio-diniego non varrà più. Nel libro “Silenzi di Stato”, scritto con il giornalista Guido Romeo, Belisario racconta storie di trasparenza negata su informazioni non coperte da segreto di Stato il cui accesso, fino ad oggi, è stato negato. «Tutti almeno una volta nella vita abbiamo avuto una curiosità: capire quanto sono costati i lavori in piazza o conoscere il curriculum di chi occupa un ruolo pubblico. A volte però si ha paura dei “codicilli”, o che l’amministrazione reagisca male ad una nostra richiesta. Da domani non bisognerà neanche spiegare il perché, e si avrà diritto ad una risposta veloce e telematica. Se questo diritto però non viene utilizzato, non funziona», continua Belisario, esperto di digitalizzazione e trasparenza. Se la pubblica amministrazione ignorasse la richiesta, ci sono due rimedi extra-giudiziari facili e gratuiti: il cittadino potrà rivolgersi al difensore civico o al responsabile della trasparenza. Secondo Belisario «la trasparenza è corpo con due gambe: ne esiste una proattiva e una reattiva. Quando gli obblighi proattivi, come la pubblicazione di alcune informazioni sul sito Internet, non saturano i bisogni, allora abbiamo diritto a richiedere tutto il resto». E l’amministrazione avrà ora il dovere di reagire positivamente. «I cittadini sono interessati ad informazioni semplici e scritte in maniera non burocratica. I comunicati stampa sono quello che l’amministrazione vuole dirci. Con il Foia scopriamo invece ciò che non vuole dirci». Anche se non è perfetta, la legge esiste ed il contesto sociale è favorevole. Associazioni come Libera organizzano perfino scuole di “cittadinanza monitorante”. «Le norme possono essere migliorate, ma ora la palla passa davvero alle persone», conclude Belisario. Come ha detto una volta il regista statunitense Michael Moore, «la democrazia non è uno sport da spettatori. Se tutti stanno a guardare e nessuno partecipa, non funziona più».

Lillo Montalto Monella

 

Diritto di sapere - Istruzioni per l’uso
TRIESTE - Se vi serve un documento o un’informazione in possesso del Comune, della Regione o dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, per esempio, da domani non dovrete fare altro che chiedere. Nei siti Internet di ciascun ente, alla voce Altri Contenuti/Accesso Civico (l’alberatura dei portali è decisa dall’Anac), si trovano tutti i riferimenti per inviare una richiesta tramite posta elettronica. In caso non vi sentiate sicuri, esiste comunque una piattaforma totalmente gratuita che serve proprio ad inviare le richieste di accesso ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, mantenendo questo processo di richiesta pubblico e trasparente. La si trova all’indirizzo http://chiedi.dirittodisapere.it/e in tre semplici passi permette di vedere soddisfatto il proprio bisogno di trasparenza. L’associazione senza scopo di lucro si occuperà di spedire la domanda all’amministrazione indicata e notificare il cittadino dell’avvenuta risposta. Tutto viene pubblicato sul portale in maniera cristallina: gli utenti sono informati dello “stato della richiesta”, affinché sappiano se tutto è andato a buon fine o, al contrario, la pubblica amministrazione nega gli accessi ai documenti che si vuole consultare. Per iscriversi bastano nome, cognome e indirizzo email. Una procedura guidata facilita il processo, e un manualetto disponibile sul portale risponde alle domande più immediate dei non addetti ai lavori, con tanto di riferimenti alla legislazione vigente. Scorrendo l’elenco di richieste già presentate in tutta Italia, si trovano: “accesso civico alle retribuzioni di Salvatore Romeo e Raffaele Marra”; “informazioni in merito alla gestione dei rifiuti urbani a Salerno”; “informazioni circa scorrimento graduatoria mobilità CPS infermieri”; “immissione VFP4 2010 esercito”; “richiesta pubblicazione dei dati sulla dotazione organica per gli anni 2015 e 2016” e così via.

 

Trieste è pronta a dare risposte - E da piazza Unità assicurano: «Entro metà mandato un portale open data»

TRIESTE «Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un segreto momentaneo, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro». La celebre frase di Filippo Turati ispira il primo punto del programma elettorale del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che ha posto la questione trasparenza come priorità numero uno del suo mandato. Intesa «sia come il modo in cui il Comune si rende disponibile a essere osservato dai suoi cittadini», sia «l’utilizzo dei dati aperti (open data), attualmente assenti nelle pagine web del Comune di Trieste». Se in fatto di dati aperti il capoluogo giuliano manca ancora di un portale ad hoc ed è al 25° posto nella classifica stilata da Italia Open Data Census - guida la graduatoria Lecce - dal Municipio fanno sapere che ci si sta attrezzando adeguatamente per evadere positivamente le future richieste di accesso. Sul portale Retecivica esiste già un semplice modulo da compilare e spedire via email a accesso.civico.trasparenza@comune.trieste.it, anche se poche finora sono state le richieste in tal senso. Meno di dieci lo scorso anno, fanno sapere fonti dell’amministrazione, constatando che ancora i cittadini non colgono fino in fondo le potenzialità di questo strumento, preferendo anche per le questioni più semplici il contatto diretto con il politico di cui si ha conoscenza. I numeri ridotti al momento consentono una gestione centralizzata delle richieste, ma si prevede un sempre maggiore ricorso a questo nuovo diritto. A tale proposito, i dirigenti del Comune auspicano che i triestini lo esercitino «senza alcuna sudditanza verso il potere» e con coscienza perché, a volte, «è più importante capire le motivazioni che stanno dietro ai provvedimenti». Da piazza Unità arriva anche l’impegno a realizzare un portale open data «entro metà mandato», specificare le date di aggiornamento dei documenti pubblicati online e a colmare eventuali gap tecnologici e burocratici nella direzione di una sempre maggiore trasparenza.

(l.m.m.)
 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 21 dicembre 2016

 

 

Lo smog soffoca i paesi dell’Est - Parte la protesta - L’inquinamento provoca più morti che in Cina - Abitanti in piazza dalla Croazia al Kosovo - le morti per smog
BELGRADO - Vecchie auto ancora circolanti, che sbuffano fumi neri. Stufe a legna e carbone per riscaldarsi e centrali a lignite a produrre elettricità. E industrie obsolete, almeno quelle che ancora funzionano e che non sono state distrutte da guerre, crisi e privatizzazioni selvagge. Sono questi i principali ingredienti del grande smog balcanico, forse non paragonabile a quello della Londra Anni Cinquanta. Ma non meno letale. Smog che, come ogni inverno, sta soffocando gran parte dei Balcani, da Belgrado a Skopje, da Sarajevo a Tirana. Lo confermano i dati disponibili su Internet, come quelli del World Air Quality Index, che include 70 Paesi e 9.000 stazioni di rilevamento. Indice che, basandosi sulle classificazioni dell’inquinamento dell’Epa, l’agenzia ambientale Usa, rivela che i Balcani sono sempre più avvelenati da fumi e gas. Qualche esempio, utilizzando i dati del 19 dicembre e la scala Epa da 0, aria purissima, a 500, fetida. Belgrado ha registrato un indice 123, cioè aria «malsana per gruppi sensibili». Nis, 174, livello «nocivo». E poi la Bosnia, con Sarajevo a 184, Novi Travnik con 308, ma soprattutto Zenica, città industriale insediata in una stretta vallata, 537 e inquinamento «pericoloso» con «condizioni di emergenza per l’intera popolazione». Più a sud, Pristina, a un tiro di schioppo dalle vecchie centrali a carbone erette ai tempi di Tito, che ancora forniscono energia al Kosovo: 292, livello «assai malsano». E la triste lista potrebbe continuare, come ogni inverno, come ogni anno, anche per altre località in Albania, Romania, Bulgaria. Non sorprende allora che in più aree dei Balcani la gente si sia stancata di respirare fumi tossici. Lo sono gli abitanti di Slavonski Brod, Croazia, che sono scesi in piazza domenica per protestare contro i fumi che provengono dall’altra parte del confine segnato dal fiume Sava, dalla raffineria di Bosanski Brod, in Bosnia. «Vogliamo aria pulita», «difendiamo i bambini», si poteva leggere sui cartelli innalzati da qualche centinaio di “brodjani” arrabbiati. Talmente arrabbiati da aver minacciato di bloccare la frontiera tra Croazia e Bosnia, per denunciare l’inazione delle autorità di entrambi i Paesi. «Con questa manifestazione vogliamo dire alle autorità bosniache, croate e al management della raffineria che tutte le possibilità di discussione si sono esaurite, servono fatti», ha urlato uno dei rappresentanti del gruppo «Kad ako ne sad?», se non ora quando, fra gli organizzatori delle proteste. Proteste che non sono circoscritte a Slavonski Brod. Anche a Pristina, nei giorni scorsi, attivisti hanno piazzato manichini con maschere sulla bocca nel centro della capitale kosovara. «Il killer invisibile» è tra di voi e «avete distrutto i miei polmoni», i cartelli appesi sul petto dei fantocci dal gruppo di attivisti “Scienza per il cambiamento” e “Peer Educator Network”, che stanno raccogliendo firme per imporre al governo regole severe per ridurre l’inquinamento. Stesso discorso nella non distante Skopje, incuneata in un’ampia vallata, dove nelle scorse settimane militanti sono scesi in piazza al grido di «aria pulita», indossando maschere antigas: «Quattro macedoni ogni giorno muoiono d’inquinamento». Ma non solo Skopje respira male. Secondo i dati delle autorità locali, da giorni lo smog la fa da padrone anche a Veles, Tetovo, Kicevo, Bitola. Dati e allarmi che non sorprendono. Secondo i più recenti studi dell’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, sono quasi tutti nei Balcani e nel vicino Est i Paesi dove si muore di più per smog. Nella triste classifica primeggia l’Ucraina, con 120 morti per inquinamento ogni 100.000 abitanti, seguita dalla Bulgaria (118), da Bielorussia (100) e Russia (98). Arriva poi la Bosnia, con 92. Si respira male e si muore anche in Ungheria (82), Romania (73), Polonia (69), Macedonia e Croazia (66), Albania (64), Serbia e Montenegro (61). Un termine di paragone? In Italia le morti sono 35 ogni 100.000 persone, 33 in Germania, 76 nell’inquinatissima Cina. Ma i Balcani, almeno in questo, hanno poco da invidiare a Pechino.

Stefano Giantin

 

Le centrali a carbone vecchie e nuove si ritrovano sul banco degli imputati
Tra i maggiori fattori d’inquinamento nei Balcani, le vecchie centrali elettriche a carbone e quelle nuove, che dovrebbero essere costruite nella regione negli anni a venire, malgrado le aspre critiche degli ambientalisti. Portano lavoro, rispondono gli investitori. Non proprio, almeno secondo un recente rapporto-denuncia del think tank “Bankwatch”, che ha svelato come gran parte dei progetti energetici nei Balcani non manterranno le promesse in termini di occupazione, come invece assicurato dalle autorità. Per essere produttivei, infatti, dovranno tagliare gli addetti, ha svelato Bankwatch. Fra gli esempi citati, il mega-progetto della centrale Kosova e Re (500MW), che dovrebbe impiegare fino a 10mila persone nella fase di costruzione e 500 quando sarà a regime. Secondo Bankwatch, menzogne. Per erigere la centrale serviranno solo 1.600 operai e 200 addetti per farla funzionare. Stesso discorso per progetti simili in cantiere in Bosnia (Tuzla e Kakanj) e Montenegro.

(s.g.)

 

 

Taglio delle catene per le bici “abusive” - Lo prevede l’articolo 6 del nuovo contestato regolamento della Polizia locale
Alle due ruote fuori dalle rastrelliere i vigili rimuoveranno lucchetti e protezioni

Il bello della bicicletta è che uno la parcheggia dove gli pare. Dappertutto tranne che a Trieste. Se la bozza di regolamento della Polizia locale stilata dalla giunta verrà approvata, infatti, i vigili potranno tagliare le catene e aprire i lucchetti di tutte le biciclette che siano agganciate a un palo, un semaforo o una ringhiera. Insomma, qualsiasi appiglio che non sia una rastrelliera “ufficiale” per biciclette. Con il risultato di lasciar il mezzo lì incustodito. È un po’ come se per una sosta vietata la municipale forzasse la portiera dell’auto parcheggiata lasciandola alla mercé dei passanti. È una decisione singolare e sta suscitando più di qualche critica e ironia in rete. Tanto più che non è facile trovare altre città italiane che abbiano adottato un sistema tanto draconiano per “punire” cotanto “crimine”. È vero, un vigile zelante può multare una bicicletta parcheggiata in modo incivile, ed è capitato qua e là che la municipale sia intervenuta sequestrando aggregati ormai archeologici di bici agganciate l’una all’altra. Ma il “dispetto” istituzionalizzato del taglio della catena è davvero difficile da riscontrare altrove. Eppure l’articolo 6 della bozza di regolamento parla chiarissimo. Il testo regola la possibilità da parte dei vigili urbani di portar via le biciclette abbandonate. Al comma 3, però, si precisa che quelle abbandonate non sono gli unici obiettivi: «È in ogni caso vietato l'aggancio dei velocipedi e degli acceleratori di andatura ai pali di sostegno della segnaletica stradale e ai semafori, ai manufatti pubblici, agli arredi urbani, ai monumenti, al verde pubblico, a saracinesche, a cancelli, a ringhiere o a qualsiasi altro supporto esistente». La specificazione finale è pleonastica. La lettura della lista chiarisce in modo cristallino che le bici non si possono legare proprio da nessuna parte, a meno che uno non voglia provare ad agganciarla a un pedone. Ed è subito dopo, comunque, che si dispiega la “Strafexpedition” del vicesindaco Pierpaolo Roberti, padre della bozza: «È consentita da parte degli operatori - si legge -, l'apertura di lucchetti, catene ed ogni altro sistema di fissaggio dei velocipedi e degli acceleratori di andatura». La cosa fa sghignazzare più di qualcuno. L’ex consigliere comunale di Trieste popolare Paolo Rovis commenta: «Ho letto che è come se slacciassero le scarpe al pedone che attraversa col rosso. Non penso nemmeno sia legale, una roba del genere. Son quelle cose che si scrivono senza pensare alle conseguenze». E secondo Rovis non è l’unica nella bozza: «Basti dire che c’è il divieto di stendersi a terra, che potenzialmente potrebbe far piovere una scarica di multe sul lungomare di Barcola la prossima estate». Sul web molti protestano per la carenza di rastrelliere. La consigliera leghista della IV circoscrizione Monica Canciani difende la norma, pubblicando sul suo profilo Fb le immagini di due infidi velocipedi legati a dei pali in piazza Hortis, dove ci sono anche le rastrelliere. A chi le chiede di far multare semmai le auto parcheggiate a casaccio, Canciani replica: «Le macchine in sosta vietata vengono già multate. Qui invece si parla di altra cosa, che fino ad adesso non era regolamentata». Regolamentare caro, regolamentare tutto. Come detto sopra, il resto dell’articolo ha un contenuto meno immaginifico. Determina i modi in cui i vigili possono procedere allo spostamento delle bici-rudere: «Ai fini di tutelare la fruibilità dello spazio urbano - recita il comma 1 -, è vietato lasciare in sosta sulle aree pubbliche o destinate all'uso pubblico, tranne che negli spazi all'uopo predisposti, velocipedi ed acceleratori di andatura, che, per il loro stato in mancanza di uno o più elementi atti alla circolazione si possano ritenere abbandonati». Punteggiatura a parte, nulla di eccentrico. La parte migliore resta quella che consente al povero vigile di venir lì e tagliarti la catena della bici. Verrebbe quasi da insinuare che, se uno volesse dedicarsi al furto di due ruote senza sporcarsi le mani, non gli resterebbe che rivolgersi alla municipale. In fondo è pur sempre un furto di bicicletta a dare l’avvio a uno dei capolavori del cinema neorealista italiano. Forse il Comune di Trieste voleva dare ispirazione agli sceneggiatori in erba.

di Giovanni Tomasin

 

«Una scelta idiota di violenza gratuita» - Il cicloviaggiatore Emilio Rigatti all’attacco: «Un provvedimento incivile. Più stupido che fascista»
«Mi sembra un provvedimento più idiota che fascista. Di bassa lega». Emilio Rigatti, insegnante e scrittore, ma soprattutto cicloviaggiatore, non le manda a dire.

Nel provvedimento di “bassa lega” è facile leggere un riferimento al Carroccio che, con il vicesindaco Pierpaolo Roberti, governa Trieste ed l’ispiratore prima del contestato regolamento di polizia urbana. “Spezzeremo le reni (o le catene) delle vostre bici!” è la battuta che circola in rete. Rigatti, protagonista del viaggio a pedali da Trieste a Istanbul nel 2001 assieme a Rumiz e ad Altan, ha raccontato il piacere e la filosofia del viaggiare quotidiano in bicicletta in “Minima Pedalia. Viaggi quotidiani in bicicletta e manuale di diserzione automobilistica”, (2004) libro cult, promosso persino da Beppe Grillo e Jovanotti. Che dire di questo regolamento in arrivo dalla nuova giunta del Comune di Trieste? Mi pare che se la fumino verde. È una scelta che va contro l’uso della bicicletta in città e che va contro un alleggerimento dell’inquinamento. A qualcuno però è venuta in mente... É una scelta incivile fondamentalmente. Un amministratore dovrebbe favorire l’uso delle biciclette e dei mezzi non inquinante. Non complicare il tutto. Mi sembra deleteria una decisone del genere. Contro l’elementare buon senso. Un caso unico quello di Trieste? Più unico che raro. Basta guardare un video di come si comportano all’estero. Tipo in Danimarca o in Svezia. Qua siamo ancora all’età della pietra. Almeno come amministrazione. E anche vero che non tutti ci ciclisti adottano comportamenti corretti? Io sono il primo a dire che se un ciclista sbaglia deve essere stangato. Chi va in giro senza luci, per esempio. Fai parte del traffico e quindi devi rispettare le regole. Di un traffico però più nobile, che non fa uso di benzina e non ingombra di metallo la strada. Come giudica l’ipotesi di tagliare la catena e di lasciare incustodita la catena... Mi verrebbe da dire una cosa fascista. Ma il fascismo è un’altra cosa. Mi sembra un’espressione di violenza gratuita. Idiota. Non finalizzata al bene della comunità. Una minaccia senza senso per quelli che cercano di muoversi in maniera più sostenibile. Non le sembra un buon deterrente quello di lasciare il mezzo in balia ai ladri di biciclette? Mi sembra un po’ mafioso come sistema. Ricattatorio. Tutto il mio sostegno alla battaglia in corso. Anni fa ho già avuto a che ridire con la sindaca di Monfalcone per il sequestro delle biciclette lasciate fuori dagli stalli. In questo caso non vengono sequestrate... Infatti. Peggio ancora. Mi pare un ricatto. Una cosa di bassa lega. Volgare. Proprio volgare.

(fa.do.)

 

«Iniziativa illegale - Pronti a fare causa» La rivolta dell’associazione Fiab Ulisse. «Assurdo incentivare l’uso di mezzi alternativi alle auto e poi punire così i ciclisti»
«A Trieste ci sono 194 stalli bici e 3.500 persone che usano regolarmente la due ruote negli spostamenti urbani, alle quali si sommano i sempre più numerosi cicloturisti che attraversano la nostra città nel periodo estivo». Federico Zadnich, coordinatore di Fiab Ulisse (cicloturisti e ciclisti urbani), ne fa una questione di numeri. Quelli che il nuovo regolamento di polizia urbana sembra dare a 360 gradi.

«In considerazione di questi numeri la regola prevista nella bozza del nuovo regolamento della Polizia municipale di Trieste che “vieta di lasciare in sosta sulle aree di uso pubblico, tranne negli spazi predisposti, i velocipedi” appare un deterrente all'uso della bicicletta salvo incorrere in una sicura sanzione», spiega Zadnich contestando il previsto taglio delle catene con l’obiettivo di favorire il “lavoro” ai ladri di biciclette. Una contraddizione in termini. A sollevare per primo la questione è stato il biologo, scrittore e ciclista viaggiatore Diego Manna sul sito “Bora.la”: «Una punizione di questo tipo mi sembra così inverosimile che onestamente non credo che vedremo mai un vigile applicarla, tagliando una catena e lasciando la bicicletta lì come se nulla fosse, facilitando di fatto il “lavoro” di chi invece dovrebbe essere perseguito. Visto che il numero di stalli in città è sicuramente di gran lunga inferiore alla richiesta, tuttavia, la principale conseguenza di questo regolamento sarà che per evitare il furto della propria bicicletta molti saranno spinti a lasciarla a casa, scegliendo un altro mezzo per spostarsi, andando a contribuire al già poco sostenibile traffico cittadino». Ovvio. «E questo - aggiunge Manna - va in chiaro contrasto con il programma di Dipiazza, forse il sindaco con il più ambizioso progetto di sviluppo della ciclabilità di Trieste, tanto da voler ben 1 bicicletta ogni 9 auto». E così mentre a Trieste la bozza del nuovo regolamento della Polizia municipale prevede di multare con 50 euro chi lega la bici sugli alberi a Barcola, nel 2015 oltre 400 mila belgi hanno ricevuto 93mila euro per andare a lavoro in bici, spiega l’associazione di ciclisti urbani. E quindi? «Fiab Trieste Ulisse ritiene che le regole vadano riviste usando buon senso e concretezza. Crede che sia giusto sanzionare le biciclette parcheggiate sui marciapiedi come già previsto dal Codice della strada». La cosa più assurda è il taglio dei lucchetti. «Oltre a ciò il nuovo regolamento pare preveda che i vigili possano tagliare i lucchetti delle bici non regolarmente parcheggiate per poi lasciarle incustodite. Su questo aspetto, Fiab attiverà il proprio ufficio legale per verificare se tale misura non violi diritti esistenti», conclude Zadnich. I dubbi rimangono. In rete il dibattito è aperto. «Secondo me, il taglio della catena è danneggiamento di proprietà privata e quindi un reato», commenta qualcuno. «Ho come il presentimento di una serie di cause verso il Comune», aggiunge un altro. E c’è poi chi lancia un’ulteriore proposta. «Se uno posteggia in divieto ma senza assicurare la bici con la catena, non può mica passarla liscia, sarebbe discriminante. Suggerisco, in tal caso, il taglio del cavo dei freni».

Fabio Dorigo

 

PD - «Bus gratuiti, mozione stoppata»

«L’ennesima dimostrazione di mancanza di disponibilità a dialogare su questioni concrete». Così il consigliere comunale Pd, Giovanni Barbo, bolla la scelta della maggioranza di interrompere lunedì sera i lavori dell’aula prima ancora di discutere la mozione, presentata dal gruppo dem, «per chiedere alla giunta di adoperarsi con Trieste Trasporti per dare la possibilità ai cittadini di utilizzare gratuitamente i mezzi pubblici nelle giornate del 23 e 24 dicembre» . «Purtroppo però - conclude Barbo - la destra ha impedito alla mozione di essere affrontata in aula».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 20 dicembre 2016

 

 

Auto in divieto e inciviltà - Strade invase dai rifiuti

Le macchine in sosta proprio davanti ai cassonetti sono la causa principale insieme al non corretto “conferimento” delle immondizie da parte di alcuni
Da una parte le auto in sosta davanti ai cassonetti, che ne impediscono lo svuotamento, dall’altra il mancato conferimento corretto dei rifiuti da parte dei residenti, con la conseguenza che le vie attorno a piazza Perugino, negli ultimi mesi, sono caratterizzate da episodi di degrado e sporcizia. A segnalarlo sul web molti cittadini, a confermarlo anche AcegasApsAmga, che ricorda come la zona sia tra le più problematiche in particolare per l’abbandono dei rifiuti ingombranti. Immondizie traboccanti o lasciate sul marciapiede vengono segnalate nelle vie Donadoni, della Tesa, Settefontane, Conti, Limitanea, Ghirlandaio e Gambini. Molti hanno pubblicato le foto su Facebook, scatenando spesso l’indignazione generale. Peccato che nella maggior parte dei casi il motivo del disagio sia legato alla maleducazione dei cittadini stessi. Tra le situazioni più allarmanti i cassonetti davanti alla scuola Gaspardis di via Donadoni dove diverse persone hanno fotografato decine di borse, alcune rotte con i rifiuti riversati sul marciapiede, avanzi di cibo, sacchi neri aperti; sulla stessa strada c’è chi, qualche giorno fa, ha scaricato anche vari mobili, un fenomeno che accade molto spesso anche nella vicina via Gambini. Cumuli di sacchetti maleodoranti, bottiglie, indumenti e altri scarti casalinghi anche in via della Tesa, strada particolarmente colpita da episodi di inciviltà. Su viale D’Annunzio due le foto eloquenti sui social, datate 15 dicembre, che mostrano montagne di spazzatura, compresa una valigia aperta e un mucchio di libri, che forse qualcuno avrebbe ritirato volentieri o che comunque sarebbero dovuti finire nel bidone della carta e non gettati a terra. Qualcuno minimizza, definendoli casi sporadici, ma chi abita in zona parla di una situazione peggiorata sensibilmente negli ultimi mesi. Foto e segnalazioni sono finite nei gruppi Facebook “Te son de Trieste se...”, “Scovazoni de Trieste” e “Trieste (in)civile”, oltre a vari profili privati. Alcuni raccontano di aver chiamato il numero verde dell’AcegasApsAmga per protestare, altri invece scrivono che inoltreranno le lamentele direttamente al sindaco Roberto Dipiazza, che sempre su Facebook giorni fa aveva invitato i cittadini a contattarlo in caso di emergenza rifiuti. Qualcuno si giustifica dicendo che nella zona di piazza Perugino trovare parcheggio nelle ore serali è impossibile, quindi per disperazione l’auto talvolta viene lasciata dove capita, a rischio sanzione e rimozione, pure davanti al cassonetto; altri invece se la prendono non tanto con gli automobilisti indisciplinati quanto con la gente che, trovato il bidone pieno, non cerca quello successivo, che magari risulta vuoto. Altri ancora pensano che i disagi siano dovuti in parte all’eliminazione di molti cassonetti un tempo destinati all’indifferenziata. «Sono stati rimossi, è vero - precisa il direttore generale Roberto Gasparetto - ma la volumetria complessiva è aumentata. Il problema con cui la gente si scontra è l’errato utilizzo del servizio. La raccolta differenziata è un obbligo di legge e un segno di civiltà. Non è possibile gettare come una volta tutto in un unico cassonetto e stiamo lavorando con grande attenzione per trasmettere sempre più questo messaggio. Per esempio: in via Donadoni i cassonetti sono stati riempiti di ingombranti, che hanno occupato tutto il posto previsto per le altre immondizie. Siamo intervenuti tempestivamente, ma i comportamenti devono cambiare. Anche sul fronte delle soste. Basta considerare - aggiunge - che ogni notte dai 10 ai 15 cassonetti in città non si possono svuotare perché bloccati da mezzi privati. Tra l’altro su via Donadoni aumenteremo la volumetria, vista la situazione di sofferenza, sperando però che i rifiuiti vengano conferiti correttamente». A parlare di un degrado anche alcuni esercenti della zona, tra questi Marco Tonsi, titolare per cinque anni di alcune attività proprio sulla via. «La zona negli ultimi anni è costantemente peggiorata, tra i punti più critici proprio il marciapiede davanti alla scuola di via Donadoni, spesso pieno di immondizie, ma più in generale c’è la gente si libera di qualsiasi cosa, ovunque, ormai da tempo». E sta per partire anche una nuova campagna di sensibilizzazione AcegasApsAmga proprio sui rifiuti ingombranti: servirà a catturare l’attenzione dei più indisciplinati?

Micol Brusaferro

 

Indagine AEA - Trasporti pubblici nell’Ue poco “puliti” - Troppi gas serra
ROMA - È ancora lontano il tempo di trasporti puliti e intelligenti in Europa. Smog, traffico e rumore continueranno a mettere sotto pressione l'ambiente e gli ecosistemi oltre ad essere una conclamata minaccia per la salute delle persone (nell'ultimo decennio più di 400mila morti premature all'anno sono ascrivibili all'inquinamento dei trasporti). Ci vorranno ancora sforzi notevoli per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità a lungo termine. Ma non è un'impresa titanica. Ciò su cui si deve spingere l'acceleratore sono l'innovazione e un cambiamento degli stili di vita. A dirlo è l'Agenzia europea dell'Ambiente (Aea) nel rapporto annuale «Segnali 2016 - Verso una mobilità pulita e intelligente» che si focalizza sui trasporti e l'ambiente in Europa. Ricordando che il settore in Europa dipende per il 94% dal petrolio (l'Ue punta a una riduzione del 70% entro il 2050 rispetto al 2008), genera un quarto delle emissioni di gas serra dell'Unione europea (in primis il trasporto su strada) ed è l'unico settore economico principale in cui questi inquinanti sono aumentati dal 1990, l'Aea rileva che la domanda di trasporto continuerà a crescere: la Commissione europea stima che entro il 2050 il trasporto passeggeri aumenterà di oltre il 50%, con l'aviazione in più rapida crescita, mentre per il trasporto merci è previsto un +80% rispetto al 2013. Di conseguenza, le emissioni di gas a effetto serra dovrebbero aumentare tra il 2030 e il 2050 del 15% rispetto ai livelli del 1990. Ora tocca spingere sulla tecnologia. Tutti gli attori - dagli urbanisti ai produttori di veicoli, ai passeggeri - devono essere coinvolti e riconsiderare modelli di consumo e stile di vita. A seconda delle distanze, incoraggiare spostamenti con treni ad alta velocità, trasporto pubblico, elettrico, condiviso, in bicicletta o a piedi favorirà la mobilità green.

 

 

 

 

E-HABITAT.it - LUNEDI', 19 dicembre 2016

 

 

In città la lotta ai rifiuti abbandonati passa attraverso idee divertenti e smart

Il termine inglese littering indica l’abbandono di rifiuti nelle aree pubbliche, invece che negli appositi cestini. Secondo dati recenti, i rifiuti abbandonati sono per lo più contenitori di cibi e bevande: bottiglie di vetro e plastica, lattine e confezioni di alimenti da passeggio, come ad esempio le coppette del gelato. A questi si aggiungono fazzoletti di carta, gomme da masticare e soprattutto i mozziconi di sigaretta, la cui percentuale di abbandono risulta elevata in tutto il mondo. La piccola dimensione dei mozziconi sembrerebbe infatti abbattere negli individui la percezione del danno. Conseguentemente, fra i fumatori permarrebbe alta la propensione ad abbandonarli impropriamente, anche nei casi in cui essi siano sensibili a tematiche quali la protezione ambientale e il corretto smaltimento di altri tipi di rifiuti.
Il fenomeno del littering causa numerosi problemi. Innanzitutto, i rifiuti abbandonati in modo improprio si degradano naturalmente in tempi solitamente molto lunghi, con un grave danno per l’ambiente. In secondo luogo, la loro gestione è molto costosa per le amministrazioni comunali, ricadendo quindi, indirettamente, sulle spalle dei cittadini che devono pagare tasse più salate. Infine, oltre allo spreco di risorse economiche, secondo alcuni studi il littering determinerebbe anche un peggioramento del livello di qualità della vita e il danneggiamento dell’immagine della città, con ricadute sulla sua capacità attrattiva.
Per contrastare il fenomeno, spesso le amministrazioni e i governi statali hanno fatto ricorso all’utilizzo di multe e ammende. Tuttavia queste possono essere comminate solamente quando la persona viene colta in flagrante, e ciò accade soltanto in una piccolissima percentuale dei casi. Inoltre, tale approccio fa sì che la motivazione per non abbandonare i propri rifiuti nelle aree pubbliche diventi quella di evitare la multa, invece che fare la cosa giusta per l’ambiente e la società.
In alternativa, è possibile utilizzare il gioco per cambiare in meglio il comportamento delle persone. Il meccanismo è semplice: si prende un’attività magari noiosa o ripetitiva come quella di smaltire correttamente i rifiuti, e si mette a punto una strategia per renderla maggiormente divertente attraverso l’aggiunta di elementi tipici del gioco come punteggi, classifiche, luci e suoni, allo scopo di aumentare il coinvolgimento delle persone e favorire quindi l’adozione da parte loro di del comportamento desiderato.
Bidoni smart - Bottle bank arcadeQuesta tecnica, che mira a far sì che le persone facciano la cosa giusta divertendosi, viene chiamata gamification e viene applicata sempre più spesso, con successo, in relazione a comportamenti che spaziano dal riciclo, alla riduzione del consumo elettrico ed idrico, all’utilizzo delle cinture di sicurezza fino al rispetto dei limiti di velocità stradali. Di seguito vi riportiamo i migliori esempi di gamification, provenienti da tutto il mondo, aventi l’obiettivo di rendere divertente l’attività di conferire i rifiuti nell’apposito bidone pubblico, e ridurre così il fenomeno del littering.
1) Bidoni come canestri da basket. È quello che accade nelle Filippine, dove i bidoni pubblici sono stati trasformati in canestri per giocare a basket coi propri rifiuti. In questo caso, per segnare un punto è necessario combinare abilità di tiro e conoscenze sul riciclo.
bidoni smart - basket2) Ronaldo o Messi? A Londra, Hubbub ha installato dei pannelli che fungono da enormi posacenere, con la possibilità per i fumatori di decidere dove conferire il proprio mozzicone, votando per la loro squadra o atleta del cuore. Le domande cambiano settimanalmente.
Smart bins - Hubbub3) Connettere i puntini. Sempre a Londra, altri pannelli installati da Hubbub riportano alcune notizie fattuali concernenti le gomme da masticare gettate per strada e i danni derivanti da queste. Tali pannelli presentano degli appositi slot in cui inserire le gomme usate invece che gettarle per terra, rivelando così le informazioni mancanti similmente a quanto succede nel gioco che permette di rivelare immagini nascoste unendo i puntini.
bidoni smart - gomme da masticare4) TetraBIN. Nato da un’idea di Sam Johnson e Steven Bai, TetraBIN utilizza un sistema elettronico a led per imitare il celebre videogioco degli anni ’80. Installato a Sydney, TetraBIN permette agli utenti di controllare in modo collaborativo, sulla sua superficie esterna, dei blocchi del tutto simili a quelli del Tetris. Il tipo di blocco varia in base alla dimensione e alla forma del rifiuto inserito nel bidone.
bidoni smart - tetrabin5) Attenzione al cestino! È questo l’obiettivo della città di Lucerna, in Svizzera, dove si intende scoraggiare il littering richiamando l’attenzione dei passanti sulla presenza dei bidoni pubblici. Per farlo sono state disegnate a terra, attorno ai cestini, diverse tipologie di gioco, come labirinti e campana, in cui i passanti possono cimentarsi prima di gettare i propri rifiuti. Similmente, a Copenaghen i cestini pubblici sono stati dipinti di verde, ed una serie di impronte dello stesso colore è stata disegnata al suolo per rendere la loro presenza maggiormente visibile. Ciò ha condotto ad una diminuzione dei rifiuti abbandonati al suolo del 46% (
6) Cestino portatile e di design. Garbage Pin, della designer portoghese Ana Cardim, trasforma i nostri rifiuti in – strano ma vero – veri e propri gioielli. Una piccola struttura in argento sostiene un piccolo sacchetto trasparente di plastica volto a contenere piccoli rifiuti quotidiani. Una volta pieno, il sacchetto può essere rimosso, chiuso con un filo e conservato come ricordo dell’esperienza.
Tutte queste esperienze hanno generato un grande coinvolgimento di pubblico, e una immediata e sensibile riduzione del fenomeno del littering nelle aree coinvolte. Purtroppo non siamo riusciti a scovare iniziative simili in Italia. Ce ne volete segnalare qualcuna?

Alessandra Varotto

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 19 dicembre 2016

 

 

A Muggia un orto sociale da condividere

Il Comune lancia un ciclo di incontri per progettare spazi coltivati nell’area di Pianezzi con la partecipazione dei cittadini
MUGGIA «Gli orti urbani sono una risposta concreta alle esigenze della comunità: permettono di investire positivamente il proprio tempo libero ed entrare in relazione con le persone che abitano il quartiere, favoriscono lo scambio di conoscenze e mettono nel proprio piatto cibi sani». L'assessore muggesano Laura Litteri non ha dubbi: gli orti urbani rappresentano il futuro. Da tempo sono stati avviati (e fioriscono) nei grandi centri urbani, nelle megalopoli di tutto il mondo perfino sui tetti dei grattacieli e dei complessi residenziali. Ora possono diventare realtà anche a Muggia. Con questo spirito l'esponente della giunta Marzi ha annunciato il progetto "Pian(ezz)i condivisi", il titolo di un ciclo di quattro incontri finalizzato alla progettazione partecipata di un orto sociale nell'area di Pianezzi. Il progetto, organizzato dal Comune di Muggia in collaborazione con l'Università degli studi di Trieste - Dipartimento di Ingegneria e Architettura, mira a individuare assieme alla popolazione e ai portatori d'interesse quale sia la funzione e la configurazione più opportuna da dare a quest'area. Il percorso partecipativo sarà organizzato come parte di ricerca e progetto operativi "sul campo" di una tesi di laurea magistrale in Architettura dell'Università di Trieste, e cercherà di verificare, in particolare, se la popolazione sia interessata ad avere a disposizione spazi verdi in prossimità del centro urbano, in cui realizzare e curare orti e giardini condivisi o se possa invece maggiormente interessare la realizzazione di uno spazio dedicato al sostegno sociale mirato e al reinserimento di soggetti deboli. Il primo appuntamento si vivrà oggi, alle 17, all'interno della sala "Millo" in piazza della Repubblica. In questo primo incontro, aperto dall'intervento dell'assessore agli Orti Urbani Laura Litteri, verranno presentate le finalità, i contenuti operativi e le modalità di partecipazione al progetto, oltre che il progetto Interreg Ita-Slo "Gates-Agricoltura e Turismo per Economie Sostenibili" che si sviluppa anche sull'area oggetto di studio e che vede coinvolti, per l'Italia, Interland Consorzio per l'integrazione e il lavoro-Società Cooperativa Sociale e il Consorzio Ausonia cooperativa sociale onlus, oltre a Comune di Muggia e Università. Alla prima riunione interverranno Alessandra Marin, coordinatrice del Corso di laurea magistrale a ciclo unico in Architettura dell'Università di Trieste, Elena Marchigiani, referente del progetto Gates per conto dell'Università di Trieste, Dario Parisini, presidente di Interland Consorzio e Leader Partner del progetto Gates ed Elisa Cacaci, laureanda magistrale nel Corso di studi di Architettura, che ha sede a Gorizia. L'incontro terminerà con la presentazione di alcuni esempi di buone pratiche per la gestione degli spazi verdi urbani e periurbani e il coinvolgimento attivo dei cittadini nella loro cura. «L'amministrazione punta molto su questo progetto perché crediamo sia importante che i cittadini partecipino attivamente alla gestione del territorio», ha aggiunto Litteri. Per favorire una maggiore partecipazione e condivisione di informazioni, è stata aperta anche la pagina Facebook "Pianezzi condivisi", dove verranno caricati materiali preparatori e report degli incontri, e per i cittadini sarà possibile interagire con i promotori del progetto, anche al di fuori degli incontri stessi.

Riccardo Tosques

 

 

Muggia - Sei alberi prendono vita grazie al Natale ecologico
Stelle filanti derivanti fatte con bottiglie di plastica, vasetti di yogurt per ricreare angioletti, bicchieri di plastica incollati l’un l’altro sino a comporre giganti palle natalizie a forma di pigna, tappi di sughero come alberelli di Natale. L’originalità non è certo mancata ai muggesani che hanno deciso aderire ad “Addobba un albero”, l’iniziativa promossa dal Comune per coinvolgere in modo etico ed ecologico i cittadini negli addobbi degli alberi di natale posti sul territorio. Complessivamente il municipio ha accolto oltre venti grandi scatoloni pieni di materiale di riciclo reinventato ad arte in evidente salsa natalizia. Nello specifico i grande artefici della riuscita dell’iniziativa sono stati gli studenti delle scuole “Zamola”, “de Amicis” e “Bubnic”, i bimbi degli asili “Biancospino”, “Giardino dei Mestieri”, “Mavrica” e “Iacchia”, ma anche i bambini della Ludoteca Fantamondo, i giovani del Progetto Giovani e gli anziani della Casa di Riposo e del Centro di aggregazione di via Dante insieme ad i ragazzi di Casa Benussi oltre a diversi privati cittadini. Oltre che con le luci, sono stati quindi addobbati con le creazioni pervenute ben sei alberi, ciascuno dei quali sito in una area specifica della città. Per ciascuno era stato estratto un proprio colore distintivo e in base a questo, nei giorni scorsi, erano stati redistribuiti gli addobbi: oro per l’albero della Biblioteca, rosso per Zindis, bianco ad Aquilinia, argento a Santa Barbara, blu a Fonderia e bronzo a Chiampore. «Tutte le novità portano inevitabilmente con sé grandi incognite e non sapevamo come potuto reagito la città, ma direi che i cittadini hanno risposto benissimo: l’iniziativa è stata molto apprezzata e fa ben sperare che cresca sempre più nei prossimi anni», il commento del raggiante assessore alle Attività produttive di Muggia Francesco Bussani. L’assessore alle Politiche giovanili Luca Gandini ha evidenziato il carattere ecologico dell’iniziativa: «Abbiamo voluto promuovere un Natale più sostenibile e creativo attraverso l’utilizzo di rifiuti di uso quotidiano con un progetto volto a incentivare la fantasia e la partecipazione attiva dei cittadini per sensibilizzare anche i più giovani sulle tematiche legate alla tutela dell'ambiente, del riuso e del riciclo». Ma cosa ne sarà ora di tutti gli addobbi una volta terminato il periodo delle feste natalizie? L’idea partorita dal Comune è di dare la possibilità di acquistare con un’offerta libera le decorazioni in un appuntamento gestito grazie alla collaborazione con l’associazione Cuore Amico di Muggia. Il ricavato sarà poi devoluto alle popolazioni colpite dal terremoto e la decorazione più degna di nota di ciascun albero riceverà un attestato di merito a memoria dell’ impegno profuso. Insomma, un Natale ecologico ma anche solidale.

(r.t.)

 

 

FAREAMBIENTE «Sulla Ferriera il Tar ci dà ragione»

Il coordinatore regionale di FareAmbiente, Giorgio Cecco, sottolinea come la risposta del Tar sul ricorso della Siderurgica Triestina, intimi alla Regione di emettere l’atto di verifica dell’adempimento delle disposizioni dell’Aia. «Sono quindi più che legittime - rileva Cecco - le azioni avviate. E si dà ragione al sindaco e alle associazioni come FareAmbiente che stanno lavorando per la tutela della salute pubblica, per la prima volta in sinergia e insieme al Comune. È un segnale importante che sottolinea il fatto che la Siderurgica Triestina non può fare quello che vuole, tutto ciò nonostante un'Aia discutibile e un sistema di controllo probabilmente inadeguato, così come quello normativo-burocratico che non tutela i cittadini».

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 18 dicembre 2016

 

 

Alla Regione 10 giorni per dire se in Ferriera l’Aia viene rispettata

L’intimazione del Tar che aggiorna l’udienza all’11 gennaio - In ballo la possibilità di aumentare la produzione di ghisa
il ricorso aziendale - La società ritiene di aver osservato tutte le prescrizioni
Entro dieci giorni la Regione deve emanare l’atto conclusivo della verifica del rispetto da parte di Siderurgica Triestina delle prescrizioni previste per lo stabilimento siderurgico di Servola dall’Autorizzazione integrata ambientale. L’intimazione è partita dai giudici del Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia che senza questo atto hanno dichiarato di non poter decidere in merito all’ordinanza di Roberto Dipiazza. Il sindaco ha ordinato all’azienda di contenere la produzione mensile di ghisa entro le 34mila tonnellate «ai fini della tutela della salute pubblica». Siderurgica Triestina però è ricorsa al Tar e i giudici riunitisi sabato hanno rimandato la decisione a una nuova seduta fissata per l’11 gennaio 2017. «Il rispetto di eventuali limiti - si fa notare in ambienti aziendali - va controllato su base annuale. Non è necessario quindi che la riduzione sia drastica o immediata». Vero è, come fatto rilevare anche da fronte sindacale, che se l’obbligo di mantenere la produzione a livelli bassi fosse definitivo, dopo un certo periodo di tempo nello stabilimento siderurgico triestino il conto economico non tornerebbe più. Giovanni Arvedi ha sempre affermato che per farlo stare in piedi servono tre gambe: l’area a caldo, oltre al laminatoio e alla logistica. Nella propria ordinanza Dipiazza, oltre a intimare il mantenimento delle produzione sotto le 34mila tonnellate mensili, chiedeva a Siderurgica Triestina di comunicare settimanalmente al Comune, alla Regione, all’Arpa, alla Provincia e all’Azienda sanitaria un report riepilogativo della produzione giornaliera di ghisa in modo da permettere una verifica dell’andamento temporale produttivo dello stabilimento. Il sindaco inoltre ha diffidato la Regione a concludere il procedimento relativo agli interventi strutturali per l’altoforno. È la stessa Aia infatti a stabilire che la ghisa debba restare sotto le 34mila tonnellate mensili finché non siano stati conclusi tutta una serie di interventi strutturali sull’altoforno. Un sopralluogo congiunto si è svolto in Ferriera il 13 settembre e avrebbe verificato il rispetto delle prescrizioni. Fatto questo, Siderurgica Triestina ha ritenuto che non ci fosse bisogno di ulteriori adempimenti per poter aumentare la produzione. Il Tar però sottolinea che l’Aia stabilisce che «l’accertamento del completamento degli interventi verrà effettuato da Regione previo sopralluogo congiunto degli Enti che partecipano alla Conferenza di servizi». Ma anche che «impone di concludere detto segmento procedimentale con un atto formale della Regione la quale, se del caso, può anche a limitarsi a fare proprie le risultanze del sopralluogo congiunto effettuato in data 13 settembre 2016». Quel giorno Siderurgica Triestina in una nota aveva riferito che in mattinata si era svolto nello stabilimento un sopralluogo congiunto che, veniva sostenuto, «ha permesso la verifica degli interventi strutturali di risanamento previsti sull’altoforno. Gli enti preposti - aveva concluso St - hanno potuto così verificare direttamente l’effettuazione dei lavori previsti già accertata dall’Arpa nel corso di quattro sopralluoghi ispettivi fatti dopo la comunicazione di fine lavori». La Regione attraverso l’assessore all’Ambiente Sara Vito aveva ribadito «la massima attenzione sull’iter procedurale e sui controlli attraverso l’Arpa» e aveva riconosciuto all’azienda «gli interventi fatti finora che - chiudeva la nota - hanno portato significativi effetti per quanto riguarda le emissioni in atmosfera». I giudici però hanno ora affermato che «il verbale del precitato sopralluogo non può sostituire il necessario atto regionale, anche di natura meramente accertativa, atteso che il primo costituisce adempimento istruttorio prodromico e distinto dal secondo». E l’atto conclusivo non risulta ancora emanato: da qui l’intimazione del Tar alla Regione a farlo entro dieci giorni e la necessità di aggiornare la Camera di consiglio all’11 gennaio per poter decidere sul ricorso contro l’ordinanza del sindaco.

Silvio Maranzana

 

Piante infestanti nel Giardino pubblico - Altro problema dopo l’inquinamento: ailanto avvistato nella parte Nord. Minaccia per gli alberi vicini e anche per il terreno
In attesa di capire il reale stato di salute dei giardini pubblici della città e quali provvedimenti saranno varati per ridurre le accertate condizioni di inquinamento dei loro suoli, spunta un nuova anomalia nel più grande degli spazi verdi del centro, il Giardino pubblico “Muzio De Tommasini”.

A ridosso del muraglione di contenimento a nord del comprensorio, a pochi metri dalla palazzina del Dopolavoro comunale, c'è una area degradata dove vegetano, indisturbati, diversi ailanti, alberi superinfestanti, capaci di avvelenare ciò che li circonda e di fare il vuoto attorno a se. Una mini macchia di ailanti, già ben alti, fa capolino sulla soprastante via Volta. Al di la del disordine, con i tronchi che sorgono da un ammasso di blocchi di cemento abbandonati tra le erbacce, l'ailanto fa davvero paura, da tempo annoverato tra le piante che minacciano seriamente boschi e spazi verdi. Sulla questione sono stati organizzati convegni e seminari per far conoscere quali danni quest’albero esotico possa provocare ai nostri giardini. Introdotto in Europa nel 18° secolo per creare nuovi allevamenti di baco da seta, l'ailanto si è dimostrato scarsamente redditizio in tale senso, e pertanto non è stato più utilizzato a scopo industriale. Tuttavia la pianta ha continuato a riprodursi quasi ovunque, perché riesce a proliferare negli spazi più degradati o accidentati. A tanta vitalità, purtroppo, non corrisponde altrettanta qualità. Legno e fiori emanano cattivi sentori, tanto da essere evitati da uccelli e altri animaletti. Se ne può ricavare solo un miele scadente. Con l'ailanto il bosco diventa silente: una condizione sinistra, che fa il paio con la forte invadenza della pianta nei confronti dei suoi simili. «È un problema che enti e amministrazioni minimizzano, se non addirittura misconoscono per mancanza di cultura ambientale - rileva Livio Poldini, professore emerito del Dipartimento di Scienze della vita dell'ateneo triestino -. L’ailanto è ormai un’emergenza a livello mondiale. Siamo di fronte a un’essenza altamente pericolosa perché capace, con il suo apparato radicale, di iniettare nel sottosuolo sostanze fitotossiche che, diluite dalle precipitazioni, inquinano il terreno e avvelenano le altre piante. In città - prosegue Poldini - lo troviamo un po' dovunque, dominatore delle aree marginali e degradate ma ben insediato pure lungo la Napoleonica e il costone carsico, la Val Rosandra e i boschi dell'Altipiano. Infesta terreni e pascoli, sottraendo superfici all'agricoltura e all'allevamento. Negli altri paesi la questione ailanto viene affrontata e valutata con attenzione; in Italia, purtroppo, se ne sa poco o niente. L'ignoranza è tale che alcune persone lo piantano a scopo ornamentale. Non sanno proprio quale "killer" si mettono in casa!». Succede così che nel Giardino pubblico, a poche decine di metri da alcune maestose querce e dal platano più alto del comprensorio, il mini bosco di ailanti scarichi silenziosamente il proprio veleno a danno degli alberi vicini. Ricette per combatterlo? Non è sufficiente abbatterlo: è necessario utilizzando erbicidi come il glifosate, per esempio, da iniettare nel tronco delle piante più mature e da spargere sul fogliame degli esemplari più giovani. Sempre in tema di piante invasive, occhio anche a quei fiorellini gialli che potete osservare in aperta campagna. È il micidiale “Senecione”, erba che proviene dal Sudafrica, talmente tossica da inquinare mieli e foraggi. La si può rintracciare senza difficoltà anche in Val Rosandra, e continua a fiorire ininterrottamente da maggio a dicembre inoltrato. «Sembrano tenere margheritine - chiude Poldini - ma siamo di fronte a un altro silenzioso assassino vegetale. Che va estirpato senza remore».

Maurizio Lozei

 

 

Nuova piazza di Roiano - Entro maggio il cantiere - L’ex caserma della Stradale al Comune: ok della giunta al contratto con il Demanio
A breve la procedura negoziata per la demolizione della palazzina-comando
È rimasto in piedi molto più a lungo del Muro di Berlino, ma ora anche per il “Muro di Roiano” si avvicina il momento della demolizione. Nei prossimi giorni, infatti, il Comune firmerà con l’Agenzia del Demanio il contratto di permuta, in virtù del quale l’ex complesso della Polizia stradale al centro di Roiano diventerà parte del patrimonio del Comune. Qualche giorno fa l’assessore comunale al Patrimonio Lorenzo Giorgi ha portato in giunta (che l’ha approvata) la delibera relativa all’attuazione dell’accordo di programma con l’Agenzia del Demanio e allo schema del contratto di permuta. Di permuta si tratta, infatti, in quanto, proprio in base all’accordo di programma, qualche anno fa il Comune ha realizzato (a sue spese) la nuova sede del Compartimento della Polizia stradale a San Sabba, nel complesso statale della caserma “Duca d’Aosta”. Nel momento del passaggio di proprietà il Comune dovrà inoltre versare al Demanio l’importo di 50mila euro, risultante dalla differenza tra il valore di stima del complesso di Roiano (7 milioni 440mila euro) e la spesa sostenuta dal Comune per l’intervento a San Sabba. Il passaggio di proprietà dell’area di Roiano avrebbe dovuto essere cosa fatta già da tempo, ma la bonifica del terreno a cura della Polizia, necessaria per eliminare vecchi spandimenti di carburante dai serbatoi interrati (rimossi in precedenza) si è conclusa solo agli inizi di ottobre. Parallelamente alle procedure contrattuali catastali, il Comune sta predisponendo il bando di gara per la demolizione della palazzina-comando, che sarà pubblicato nei primi mesi del nuovo anno. «Trattandosi di un appalto inferiore al milione - spiega il direttore dell’Area Lavori pubblici, Enrico Conte - potremo usare la procedura negoziata con lettera-invito, che ci consentirà di accorciare i tempi e aprire il cantiere entro maggio, rispettando il programma Prusst». La riqualificazione del complesso al centro di Roiano, attesa da oltre una ventina d’anni (il primo progetto era stato varato dalla giunta Illy, negli anni ’90), si inserisce infatti nel Prusst (programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio) messo a punto nel 2002 dall’allora giunta Dipiazza. «Questa è l’ultima opera inserita in quel Prusst - spiega l’assessore al Patrimonio, Lorenzo Giorgi - che ha la durata di 15 anni. Quindi dobbiamo avviare i lavori entro il maggio 2017 per non perdere il finanziamento di 7,8 milioni, cifra risultante da fondi statali, regionali e comunali». La demolizione della palazzina-comando, che a suo tempo si pensava di conservare, è stata decisa per diverse ragioni: «È un’architettura non di pregio, degli anni ’60-’70 - spiega Giorgi -. La ristrutturazione sarebbe stata troppo costosa, oltre a poter riservare sorprese nella revisione degli impianti o nella sostituzione di materiali oggi classificati come pericolosi». La demolizione sarà un punto di svolta per il prosieguo dell’intero progetto. «Sulla base di quanto risulterà dalle demolizioni (anche di alcuni edifici minori, ndr) - osserva Enrico Conte - potremo rivedere il progetto preliminare, approvato lo scorso maggio, e redigere quello definitivo-esecutivo dell’intera area, che potrebbe essere varato in primavera». A quel punto l’Area Lavori pubblici potrà bandire la gara per la costruzione delle nuove opere che, precisa sempre Conte, considerando anche il valore dell’intervento, richiederà non meno di due anni. Entro il 2019, insomma, gli abitanti di Roiano vedranno rivoluzionato il cuore del rione. Le vecchie strutture - e il muro che le circonda - spariranno per lasciare il posto a un asilo nido per 60 bimbi, a spazi ricreativi, a un parchggio semi-interrato con 70 posti auto, ad aree verdi importanti, fra cui un “bosco urbano” con alberi di diverse specie, e a una nuova piazza, di circa 800 metri quadri, che potrà ospitare eventi e spettacoli, oltre al mercato che ora si tiene in piazza tra i Rivi. Inoltre, grazie all’abbattimento del muro, le strade che circondano l’area potranno essere allargate, con la realizzazione di nuovi posti auto.

Giuseppe Palladini

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 17 dicembre 2016

 

 

Sindacati da Dipiazza - ma sul nodo Ferriera la distanza rimane

Impegno del sindaco ad attivare entro il 20 gennaio un tavolo con Arpa e Asuits. Dalle rsu la richiesta di dialogare con Arvedi
Alla fine resta un dialogo tra sordi. Il sindaco Roberto Dipiazza insiste sul fatto che nel futuro della Ferriera debba essere cancellata la cosiddetta area a caldo. Le organizzazioni sindacali replicano che la stessa area a caldo è ritenuta indispensabile dal cavalier Giovanni Arvedi nella strategia produttiva non solo dello stabilimento triestino, ma dell’intero gruppo siderurgico, quindi non può essere “svitata” dall’impianto complessivo del progetto industriale. Risultato finale dell’incontro di ieri tra il primo cittadino e le “rsu” della Ferriera, che avevano sollecitato il chiarimento: un prevedibile nulla di fatto, che tallona le polemiche tra Dipiazza e azienda scoppiate giovedì scorso. Fonti sindacali riportano due tentativi per cercare di “sparigliare” un gioco altrimenti piuttosto reiterativo: Dipiazza si è impegnato a convocare una riunione “a quattro” entro il 20 gennaio dell’ormai imminente 2017, riunione aperta alla partecipazione del Comune medesimo assistito dal consulente Pierluigi Barbieri, dell’Arpa, dell’Azienda sanitaria, dei rappresentanti sindacali all’interno della Ferriera. Dal canto suo Franco Palman, storico esponente della Uilm (prima sigla nella fabbrica servolana), ha chiesto che il sindaco si veda con Arvedi, per riprendere anche dal punto di vista personale un rapporto ormai scivolato nelle sedi giudiziarie. Nella residenza municipale i capi-delegazione sindacali erano Umberto Salvaneschi (Fim Cisl), Thomas Trost (Fiom Cgil), Cristian Prella (Failms), oltre al già menzionato Palman. Le singole sigle sindacali variano i toni: per esempio Salvaneschi, che è segretario della Fim triestina, sottolinea a più riprese che se Dipiazza non cambierà idea sull’area a caldo, la sua organizzazione diserterà il confronto con il Comune e con le altre pubbliche strutture. «C’è un piano industriale serio - insiste Salvaneschi - con ampie tutele di carattere ambientale e occupazionale, le misurazioni relative ai fattori di inquinamento stanno migliorando, ma allora di cosa stiamo parlando?». Poi c’è la questione-comitati, che ha un po’ infastidito le “rsu”, che alla riunione si sono ritrovate, a fianco di Dipiazza, Andrea Rodriguez, esponente di “5 Dicembre”. «Non abbiamo pregiudizi nei confronti di alcuno - precisa Palman - ma non abbiamo capito perché, a fronte di una richiesta di incontro avanzata dai sindacati, troviamo il sindaco accompagnato da un rappresentante dei comitati». C’è un punto che accomuna la posizione dei sindacati e riguarda l’effettiva praticabilità di scelte occupazionali alternative alla Ferriera. «Non accettiamo - all’unisono Palman e Salvaneschi - che si parli in modo demagogico di duecento assunzioni in Comune o da Brico. Quello di Arvedi è un piano strutturato, che coordina le attività industriali di due realtà produttive (Cremona e Trieste, ndr) che potrebbero diventare addirittura tre (con Taranto, ndr). Deve essere discusso in termini responsabili». Sull’ennesima giornata di tensione circa l’interminabile dossier Ferriera, ieri aleggiava la decisione del Tar riguardo la sospensiva dell’ordinanza del sindaco, emessa in novembre, che imponeva a Siderurgica Triestina di non superare le 34mila tonnellate mensili di ghisa, a tutela della salute pubblica. L’azienda aveva impugnato il provvedimento e aveva chiesto, in attesa della pronuncia di merito, la sospensiva dell’ordinanza. L’udienza si è tenuta nella mattinata ma a ieri sera il responso dei giudici amministrativi non era stato ancora reso noto.

Massimo Greco

 

 

Duino dichiara guerra a cemento e smog

Approvata la variante al Piano regolatore. No all’edificazione di nuovi complessi residenziali. In arrivo rotonde e ciclabili
Vicesindaco soddisfatto - Con questo documento puntiamo alla riconversione di vecchie stalle e costruzioni ma anche alla semplificazione burocratica
Si riunisce a ridosso delle festività natalizie, precisamente martedì 20 dicembre alle dieci del mattino, il Consiglio comunale di San Dorligo della valle. All’ordine del giorno, dopo la relazione del sindaco e l’approvazione dei verbali delle sedute precedenti, si discuterà della ratifica della deliberazione di giunta con oggetto la variazione urgente al bilancio di previsione 2016 e dei lavori di costruzione delle opere fognarie a servizio delle frazioni di Caresana e Crociata (in questo caso, ci si concentrerà sull’acquisizione del diritto di servitù necessario al passaggio del collettore fognario). L’aula sarà impegnata anche su un altro fronte, ovvero l’approvazione del nuovo regolamento per il funzionamento del Consiglio comunale e la contestuale abrogazione di quello vigente. Ma si parlerà anche delle modifiche dello statuto dell’Unione territoriale intercomunale giuliana e delle norme per il benessere e la tutela degli animali di affezione. Infine, un punto sarà dedicato anche all’alienazione di un terreno. Si conclude la seduta del consiglio comunale con le varie ed eventuali, le comunicazione e raccomandazioni al sindaco e alla giunta.di Ugo Salvini wDUINO AURISINA Evitare di occupare suolo oggi libero con nuove aree residenziali, restituendo alla natura quanto più possibile dell’esistente non costruito. Ripristinare le aree agricole. E ancora, contenere il consumo di suolo considerandolo un bene comune e risorsa non rinnovabile. Queste le linee direttrici che caratterizzano la variante al Piano regolatore di Duino Aurisina, approvata dal consiglio comunale con otto voti favorevoli, quelli di parte della maggioranza del centrosinistra, uno contrario, espresso da Maurizio Rozza (Gruppo misto) e cinque astensioni, tre dell’opposizione di centrodestra e due, meno prevedibili, del capogruppo del Pd, Roberto Gotter, e del consigliere della lista Possibile, Francesco Foti. Il vicesindaco Massimo Veronese, autore della stesura del Piano, in qualità di assessore all’Urbanistica e alla Pianificazione territoriale, ha precisato che «con questo documento puntiamo alla riconversione di vecchie stalle e costruzioni, alla semplificazione burocratica, a ritornare al verde e allo sport attrezzato». La maggioranza ha accolto alcuni emendamenti proposti da Massimo Romita e Andrea Humar, rispettivamente capogruppo e consigliere del PdL, in particolare quello che prevede «la conferma della previsione della realizzazione di rotonde alla francese nei punti nevralgici del traffico urbano, di una pluralità di parcheggi pubblici di relazione e di piste ciclabili collegabili a quelle della Slovenia e dei circuiti europei». Significativo anche l’accoglimento dell’emendamento del centrodestra che parla della «necessità di dotare l’ufficio della Pianificazione territoriale delle risorse umane ed economico-finanziarie atte a intraprendere e a provvedere a ogni atto conseguente al Piano» e di «dare atto che l’adozione del Piano stesso non comporta riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio del Comune». Il cammino del Piano non è stato semplice. Il capogruppo del Pd, Roberto Gotter, ha spiegato così la sua astensione: «Il tempo di transito di questo documento in consiglio - ha sottolineato - è stato singolarmente breve. In quanto principale promotore del Piano di azione per l’energia sostenibile (Paes) - ha aggiunto - avrei preferito maggiore armonia fra lo stesso e quello di Veronese». Foti, pur riconoscendo «molti aspetti positivi nella variante», ha detto di essere «perplesso sulla semplificazione normativa, soprattutto in relazione alle zone protette. Non sono tutele eccessive, anzi». Humar ha definito il Piano «un documento approvato a fine mandato e senza soldi. Si tratta di una variante di poco interesse, sulla quale non ci è stato permesso di discutere in commissione. Toccherà alla prossima amministrazione realizzarla». Severa la critica di Rozza: «La variante si propone di contenere il consumo del suolo - ha premesso - ma è difficile fare rientrare in questo nobile intento quanto Veronese decide di fare nei successivi passaggi. L’esempio più grave è la soluzione proposta per Case Kohisce, località fantasma nel mezzo di una delle aree più naturali del Carso. Qui - ha proseguito l’esponente del Gruppo misto - non solo si tenta di dare la possibilità di ristrutturare i ruderi esistenti, ma con la variante si potranno anche realizzare nuovi edifici. Da un lato Veronese disegna un’area per utilizzi agricoli nel cuore del comprensorio naturalistico, comprendente Case Kohisce, classificato finora come Area di tutela degli ecosistemi naturalistici. Dall’altro - ha continuato Rozza - si prevede di cancellare ogni ostacolo alle speculazioni edilizie nelle zone agricole ricadenti nelle aree protette dall’Europa». Rozza ha infine criticato Veronese per avere «rullato il consiglio comunale, esautorandolo da ogni possibilità di essere attore della pianificazione» e il centrodestra «che - ha concluso - frastornato per aver subito da Veronese e dal sindaco Kukanja un sorpasso a destra, non può fare altro che astenersi».

 

 

Rapporto Ambiente - città più vivibili ma a rischio alluvioni
Nell’ultimo studio Ispra analizzati 116 centri urbani: dal caos del traffico all’inquinamento dei ripetitori
MILANO Nelle città italiane la qualità dell'aria è migliorata nel 2016, e in quelle che si affacciano sul mare si può fare il bagno quasi dappertutto. Aumentano i ripetitori di cellulari e tv, e sono questi ultimi i più inquinanti. Due milioni di italiani che vivono in città sono a rischio alluvioni. Il trasporto pubblico cresce solo leggermente, il numero di auto resta costante, e Napoli detiene il primato dei veicoli più inquinanti. Calano gli incidenti stradali, ma aumentano quelli mortali. Il quadro della vivibilità delle città italiane è tracciato nel 12mo Rapporto sull'ambiente urbano, presentato ieri da Ispra (l'Istituto di ricerca del ministero dell'Ambiente) e dal Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente. Lo studio prende in considerazione 116 aree urbane. Al 13 dicembre 2016, almeno 18 capoluoghi di provincia hanno già superato il limite giornaliero per le polveri sottili Pm10. Frosinone, Venezia e le altre città della pianura padana sono state le peggiori, ma anche Napoli e Terni. Nel 2015, 45 aree urbane su 95 non avevano rispettato il valore limite giornaliero del Pm10. Sempre nel 2015, il 90% della popolazione nei comuni considerati risultava esposto a livelli medi annuali superiori al valore guida Oms per le Pm10 (20 g/m), l'82% a quello delle PM2,5 (10 g/m), il 27% a quello dell'NO2 (biossido di azoto). Gli acquedotti delle città italiane si confermano dei colabrodo, con il 35,4% dell'acqua dispersa. I pesticidi contaminano le acque superficiali di 18 città su 79 rilevate (16,2%) e quelle sotterranee di 9. Gli italiani si possono consolare andando al mare, visto che si può fare il bagno nella quasi totalità delle coste dei 9 capoluoghi che si affacciano sul Mediterraneo. La popolazione a rischio alluvioni è stimata in 1.950.954 abitanti, pari all'11,1% della popolazione residente totale nei 116 comuni. Dal 2013 al 2015 sono aumentati del 10% i ripetitori dei cellulari. Sono però i ripetitori delle tv quelli che sforano più di frequente i limiti di legge sulle emissioni. Il rapporto registra una lieve ripresa dell'utilizzo del trasporto pubblico locale: l'incremento si concentra nei grandi comuni e in particolare a Napoli, Torino, Venezia, Bologna e Palermo. Si rimane distante però dai valori del periodo 2008-2011 (circa 8% in meno). Il numero di auto private rimane stabile.

 

 

SEGNALAZIONI - ACEGASPASAMGA - Ecco la verità sulla “differenziata”

In relazione all’intervento "Rifiuti, altro che De Magistris Dipiazza combatta il sistema", AcegasApsAmga esprime innanzitutto stupore per le affermazioni forvianti, strumentali e, talvolta, completamente false, riportate. Rispetto alla supposta mancata volontà di AcegasApsAmga e del Gruppo Hera di non incrementare la raccolta differenziata per "alimentare" il termovalorizzatore, oltre ogni considerazione valgono i numeri. Dall’ingresso dell’allora AcegasAps nel Gruppo Hera, la città ha avviato un percorso virtuoso nella raccolta differenziata, che l’ha vista passare da percentuali di poco superiori al 20% all’oltre 40% di oggi. Certo molta strada rimane da fare, ma un sostanziale raddoppio nel giro di circa 4 anni, ben evidenzia l’attitudine e la volontà del Gruppo Hera di portare rapidamente Trieste al livello di raccolta differenziata delle altre città gestite. L’affermazione poi che al termovalorizzatore "si bruci quello che i cittadini differenziano", oltre che destituito di ogni fondamento è addirittura lesivo dell’immagine aziendale. A questo proposito si ricorda che ogni anno Gruppo Hera e AcegasApsAmga, unici in Italia, pubblicano il rapporto "Sulle tracce dei rifiuti", certificato dall’ente internazionale indipendente DNV-GL. Nel documento, disponibile da anni sul sito dell’azienda e del gruppo, sono chiaramente riportate, per ogni materiale, le percentuali di effettivo avvio a recupero della raccolta differenziata, oltre che il dettaglio degli impianti di recupero in cui confluiscono tutti i rifiuti. In particolare a Trieste, viene avviato mediamente a recupero circa il 97% della raccolta differenziata. Dunque solo il 3% di quanto differenziato finisce termovalorizzato e solo perché non idoneo a confluire nelle filiere del riciclo. Per quanto attiene poi alle sponsorizzazioni, con l’ingresso nel Gruppo Hera, AcegasApsAmga si è dotata di una rigida policy nell’erogazione dei contributi, approvata dal Consiglio d’Amministrazione, che prevede di destinare la quota prevalente delle risorse a iniziative legate alla sostenibilità, alla cultura e, in via residuale, al sostegno allo sport giovanile e non professionistico. Proprio in ossequio a tale policy, AcegasApsAmga si è progressivamente ritirata dal sostegno alla Pallacanestro Trieste 2004 che, seppur realtà di primaria importanza, non rientrava fra le priorità d’intervento stabilite dall’azienda.

Riccardo Finelli Responsabile comunicazione AcegasApsAmga

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 16 dicembre 2016

 

 

Muggia lancia il registro che “monitora” la Ferriera - Approvazione bipartisan in Consiglio per il documento firmato Obiettivo comune
Si potranno segnalare i casi di imbrattamento da polveri o disagi da rumori forti

Roberta Vlahov (Obiettivo comune) osserva: «Manca un monitoraggio dei dati prodotti dalle centraline insistenti sul nostro territorio, cui i residenti possano accedere».

Litteri aggiunge: «Attiverò con Azienda sanitaria e Arpa un tavolo» per migliorare il controllo sul territorio.

L’assessore Laura Litteri annuncia l’impegno «a implementare il sito delle Geosegnalazioni inserendo una voce su “rumori e odori molesti” segnalati dai cittadini».

MUGGIA «Finalmente Muggia ha preso atto della “questione Ferriera”». Canta vittoria Obiettivo comune per Muggia, la lista civica rappresentata dal capogruppo consiliare Roberta Vlahov. Una sua mozione appoggiata da Roberta Tarlao (Meio Muja), Emanuele Romano (Movimento 5 Stelle), Giulio Ferluga (Lega Nord) e Nicola Delconte (Fratelli d’Italia), e fatta propria poi da tutto il Consiglio comunale muggesano previo emendamento, ha dato il la alla possibilità per la cittadinanza di segnalare ufficialmente i problemi legati al megaimpianto di Servola. «Da tempo è in costante aumento il numero di segnalazioni da parte dei cittadini di Muggia in merito all’attività della Ferriera, non soltanto per ciò che riguarda le emissioni e l’imbrattamento dalle polveri, ma anche per i rumori molto forti avvertiti soprattutto di notte nelle zone della nostra cittadina più vicine al mare, fino alle alture di Muggia Vecchia e Santa Barbara», racconta il consigliere Vlahov. La scorsa settimana la centralina Arpa in zona porto San Rocco ha registrato valori di pm10 superiori alla soglia limite di 50 mg/mc. Venerdì 9 lo sforamento ha raggiunto i 56 mg/mc, ma molto peggio è andata sabato con 95 mg/mc e domenica con 92 mg/mc. L’ultimo dato ufficiale risale a lunedì 12 quando si è raggiunto i 61 mg/mc. Vlahov preme fortemente su questo tasto: «Manca un monitoraggio dei dati prodotti dalle centraline insistenti sul nostro territorio, cui i residenti possano accedere, anche in tempo reale e con open data, tramite il sito del Comune, luogo più adatto a rendere una fotografia della situazione. Considerato che tutto ciò non comporta alcun esborso per le casse comunali - ha aggiunto Vlahov - ma al contrario è un importante segnale di cura e interesse per la condizione di salute dei cittadini ho presentato una mozione condivisa». La richiesta iniziale di istituire un registro apposito per le segnalazioni delle emissioni e dei rumori, e la pubblicazione del monitoraggio dei dati sugli inquinanti della Ferriera sul sito del Comune, è stata accettata ma con un emendamento da parte della maggioranza di centrosinistra. «Abbiamo deciso assieme di utilizzare il registro di Geosegnalazioni, dopo una campagna informativa alla popolazione. Un piccolo tassello, che ha finalmente portato la questione della Ferriera a Muggia. E con la condivisione di tutti», spiega Vlahov. L’assessore all’Ambiente del Comune di Muggia Laura Litteri racconta i prossimi passi: «Ci siamo impegnati a implementare il sito delle Geosegnalazioni inserendo una specifica voce su “rumori e odori molesti” segnalati dai cittadini. Ritengo altresì che i cittadini debbano essere correttamente informati con dati che siano comprensibili, report emessi con regolarità, adeguatamente commentati e spiegati ed altrettanto adeguatamente resi pubblici, uniti a comunicazioni tempestive in caso di eventi eccezionali». Da qui l’impegno in prima persona di Litteri: «Attiverò con le strutture competenti, in questo caso Azienda sanitaria e Arpa, un tavolo di confronto per stilare un protocollo che intensifichi e renda più efficiente il controllo sul territorio del nostro Comune, sia strumentale, incrementando il numero delle centraline di rilevamento della qualità dell’aria, sia includendo un campione di cittadini di Muggia per i controlli biologici, come già fatto in alcuni rioni del comune di Trieste, ai fini di un monitoraggio della salute dei cittadini».

Riccardo Tosques

 

Dipiazza accusa: «Aia violata» Arvedi ribatte: «Tutto in regola» - il braccio di ferro
TRIESTE - Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza ha reso noto ieri che il Comune, al termine di una riunione con Regione, Arpa, Asuits e Provincia, ha rigettato il documento presentato da Siderurgica Triestina perché riguardo alla Ferriera, secondo il sindaco «non vengono rispettati gli impegni sulla copertura dei parchi prevista nell’Accordo di programma». Il Comune in una lettera inviata alla Regione rileva che l’azienda «a fronte di una dichiarata problematica tecnica che pregiudica l’attuazione della copertura», ha proposto in alternativa una «modifica delle attuali modalità di gestione dei dispositivi di irrorazione e della filmatura dei cumuli». Per Dipiazza però in questo modo non si è ottemperato all’Aia che prescrive «pavimentazione, confinamento e copertura delle aree di messa a parco». «Stiamo percorrendo la strada giusta per tutelare la salute dei cittadini e ho riscontrato - conclude Dipiazza - che Arpa e Azienda sanitaria stanno convergendo su questa nostra posizione». Più o meno il contrario di quanto sostenuto dal cavalier Giovanni Arvedi intervenuto ieri nello stabilimento di Servola all’incontro natalizio con i dipendenti. «I risultati raggiunti nel rispetto dei limiti ambientali e nella gestione degli impianti - ha rilevato Arvedi - testimoniano la serietà del nostro impegno: stiamo rispettando le regole e gli accordi con le istituzioni che tutti dovrebbero tenere in massimo rilievo perché significano rispetto del lavoro, dell’ambiente e della sicurezza di tutti». Augurandosi che si possa lavorare «in un clima meno pregiudiziale», Arvedi ha anche sottolineato che «rispetto allo scorso anno qui ci sono più di 120 nuovi volti e altri ancora ne arriveranno».

(s.m.)

 

 

Italo di Ntv accelera: «Allo studio la tratta Venezia-Trieste» - Alstom vogliamo rafforzare la presenza a Nordest»
L’ad Faragalli Zenobi: «Con il nuovo Pendolino targato
TRIESTE «Abbiamo allo studio la tratta Venezia-Udine-Trieste»: il presidente e direttore generale di Ntv (Nuovo Trasporto Viaggiatori) la società di trasporto ferroviario per l’alta velocità concorrente a Trenitalia, Andrea Faragalli Zenobi, inserisce anche la rotta meno veloce del Nordest fra le possibili vie di espansione. Il “leprotto” di Italotreno arriverà anche in Friuli Venezia Giulia? Ntv ha presentato ieri alla Alstom di Savigliano il primo dei dodici Pendolino che andrà ad arricchire la sua flotta. Faragalli Zenobi, che ha detto di viaggiare verso il pareggio di bilancio nel 2016, ha però escluso un aumento di capitale e la quotazione in Borsa nel 2017. «Il bilancio 2016 dovrebbe chiudersi in equilibrio, forse anche con un leggero attivo, e con un Ebitda positivo, per cui escludo una richiesta di delega per aumento di capitale», ha aggiunto il successore di Flavio Cattaneo alla guida della compagnia. Rosso rubino, con il caratteristico leprotto dorato sulla fiancata, il nuovo Pendolino - giunto alla quarta generazione - entrerà in servizio tra un anno. I convogli targati Alstom, acquistati nei mesi scorsi, dovranno contribuire a sviluppare l'offerta sulle direttrici Nordest e nord-ovest e che potranno essere usati anche sulle destinazioni più gettonate. Grazie a questi convogli made in Italy e green, perché realizzato per il 95% da materiale riciclabile, Nuovo Trasporto Viaggiatori «passerà dagli attuali 15 milioni di chilometri annui a 21 milioni», afferma il direttore delle operazioni Gianbattista La Rocca, che annuncia «160 nuove assunzioni, di cui 45 macchinisti». Al rafforzamento delle tratte esistenti, la società ne ha altre nuove allo studio. «Dove crescerà Italo? Subito sulle tratte Torino-Milano-Venezia - risponde La Rocca - e, novità, la Verona-Bolzano. Abbiamo anche allo studio Venezia-Udine-Trieste e Roma-Genova via Firenze». Lungo 187 metri, e composto da sette carrozze in grado di ospitare 480 passeggeri, il nuovo Pendolino Italo potrà raggiungere una velocità di 250 chilometri orari. Oltre a Savigliano, gli altri siti Alstom coinvolti nella sua produzione sono Sesto San Giovanni (Milano), Bologna e il deposito di Nola (Napoli), che per trent'anni si occuperà della manutenzione, come già fa per i treni Agv Italo. Per quest'ultima attività sono previste nel prossimo anno 40 assunzioni e la realizzazione di una nuova ala del Centro manutenzione. Nella compagine di Ntv sono presenti col 35% i fondatori Della Valle, Montezemolo e Gianni Punzo (con quote paritetiche), seguiti da Intesa Sanpaolo (20%), che aveva dato sostegno alla società durante la gestione di Corrado Passera ma che ora considera la partecipazione tra quelle da dismettere, e le ferrovie francesi Sncf con un altro 20%. Seguono poi Generali (15%), il patron della Brembo e, con una cifra analoga (5%), Isabella Seragnoli.

pcf

 

De Monte: parte la liberalizzazione delle ferrovie Ue
«Dall’Europa arriva un assist straordinario alle regioni italiane per il potenziamento del sistema dei trasporti e il miglioramento dei servizi, a vantaggio dei cittadini»: così Isabella De Monte, europarlamentare Pd e componente della commissione Trasporti e turismo, riferendosi al «Quarto pacchetto ferroviario» approvato dal Parlamento europeo. Il provvedimento prevede, a partire dal 2019, l’apertura del mercato per tutti i servizi ferroviari, sia a lunga percorrenza che ad alta velocità. Le reti rimarranno quindi pubbliche, ma verranno messi a gara i servizi per le compagnie nazionali a livello europeo.

 

 

La “rivoluzione” dell’energia spaventa politici e sindacati - L’imolese Hera Comm punta a subentrare a AcegasAps Service
Il gruppo: «Trieste non perde posti di lavoro né gettito fiscale»
Si scrive “superamento del regime di maggior tutela”, si legge “liberalizzazione del mercato” della corrente che arriva nelle prese di casa nostra. AcegasApsAmga e la casa madre Hera si adeguano alla legge (con le promozioni in atto per far rilevare a Hera Comm quanti più utenti finora in carico ad AcegasAps Service per effetto di tale regime che va a esaurirsi). Buona parte dei triestini, invece, per intanto neanche se ne cura (nel senso che accetta il transito con gli sconti a Hera Comm, o passa a un altro fornitore di elettricità, o, ancora, rimane fermo sfruttando i termini “ponte”). Ma i sindacati - e di riflesso la politica - qualche domanda se la fanno: non è che Trieste rischia di rimetterci in posti di lavoro, e soprattutto (considerato che Hera Comm ha la sua sede legale a Imola a differenza di AcegasAps Service che ce l’ha in piazza Unità) in indotto fiscale? Nient’affatto, giurano i grandi capi di AcegasApsAmga, in testa il direttore generale Roberto Gasparetto. Che, anzi, in una sede istituzionale come la Terza commissione del Consiglio comunale preconizza ulteriori opportunità proprio per il gettito erariale riservato alle “speciali” casse della Regione. Primo motivo di tale ottimismo: «AcegasAps Service non ha dipendenti in carico e si avvale degli sportelli di EstEnergy», dunque nessuno può perdere il lavoro. Secondo: il grossista di Hera Comm si chiama Hera Trading, «la società che commercializza i vettori energetici» del gruppo la cui sede legale è finita qui, a Palazzo Modello, come conseguenza “fuori sacco” dell’ingresso di Acegas in Hera nel 2013. «Hera Comm paga l’Iva a Hera Trading»: tradotto, i triestini pagheranno la bolletta a un dettagliante di Imola che, a sua volta, paga l’Iva a un grossista che, avendo traslocato a Trieste, versa i decimi al Fvg. «Anzi - insiste Gasparotto, in risposta al capogruppo di Fi Piero Camber - da quando Hera Trading ha sede qui tutto il gettito dell’energia elettrica da essa veicolata passa per via del Teatro», che è l’indirizzo di Palazzo Modello: viene calcolato che l’operazione ha fruttato 46 milioni di Iva nel biennio 2013-2014 e che il margine commerciale si annida tra grossista e dettagliante e non tra dettagliante e utente finale. Un quadro che, però, in una sede non altrettanto istituzionale (a commissione sciolta) non convince i sindacati, presenti in sala come uditori, né qualche politico di maggioranza, che obietta a luci spente sul fatto che il grosso del carico fiscale, con le accise, lo pagano come sempre le famiglie con le bollette, indirizzate in questo caso a Imola. Il caso, insomma, non è archiviato. Il presidente della commissione Francesco di Paola Panteca annuncia altre sedute. I vertici di Acegas si sono impegnati peraltro a fornire all’organismo comunale una serie di dati sull’andamento finanziario e non solo della società da quando è stata inglobata in Hera, su richiesta in particolare dell’ex sindaco Roberto Cosolini. «Riteniamo l’incontro interlocutorio, a gennaio convocheremo un’altra seduta con le sigle sindacali. Non siamo disposti ad accettare che vengano messi in pericolo i posti di lavoro e le entrate fiscali versate sul nostro territorio», scrive il forzista Everest Bertoli, primo firmatario della richiesta di audizione con i colleghi Guido Apollonio e Andrea Cavazzini, Roberto Cason della Lista Dipiazza, Michele Claudio della Lega e Salvatore Porro di Fdi.

Piero Rauber

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 15 dicembre 2016

 

 

Braccio di ferro sulla produzione di ghisa

Giornata decisiva per il futuro della Ferriera tra verdetto del Tar sul calo di produzione e faccia a faccia Dipiazza-sindacati
È braccio di ferro tra Siderurgica Triestina e il Comune sulla quantità di ghisa da produrre alla Ferriera di Servola. Secondo quanto ha riferito la stessa azienda ai sindacati, è previsto per domani il pronunciamento del Tar sull’ordinanza del 10 novembre del sindaco Roberto Dipiazza che impone «di mantenere la produzione mensile di ghisa nelle 34mila tonnellate ai fini della tutela della salute pubblica fino all’emanazione del provvedimento conclusivo di accertamento del completamento degli interventi strutturali per l’altoforno». «Gli interventi sono stati fatti e verificati da una commissione di cui lo stesso Comune faceva parte», ribatte Umberto Salvaneschi (Fim-Cisl). E Franco Palman (Uilm) bolla come «inattuabili e demagogiche» le dichiarazioni dello stesso Dipiazza per cui dopo la chiusura dell’area a caldo numerosi lavoratori potrebbero venir assorbiti dalla stessa amministrazione comunale. «L’unica possibilità sarebbe qualche inserimento nell’ambito dei lavoratori socialmente utili il che sarebbe peggio che essere messi in cassa integrazione - specifica Palman - Grazie ad Arvedi invece e all’ampliamento e alla prossima entrata in funzione a pieno regime del laminatoio, entro il 2018 potrebbero venir assunte in Ferriera ulteriori ottanta persone». Il lato paradossale della vicenda è che proprio domani, per la prima volta, lo stesso Dipiazza ha accettato un confronto, che si terrà alle 11.30 in municipio con le rsu della Ferriera. Ieri intanto per fare il punto della situazione dello stabilimento siderurgico si è svolto in Regione un incontro richiesto dalle stesse segreterie provinciali di Fim, Fiom, Uilm e Failms. La presidente Debora Serracchiani ha comunicato che sono iniziati i sopralluoghi delle ditte interessate a presentare le loro offerte di gara per il bando pubblicato dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia) per l'affidamento di una Campagna di indagini geognostiche e idrogeologiche, finalizzata al progetto di messa in sicurezza della Ferriera attraverso interventi di marginamento fisico dell'area demaniale in concessione e di trattamento delle acque di falda contaminate. Da parte loro i sindacati, a tutela dei lavoratori, hanno chiesto all'amministrazione regionale un monitoraggio costante sui prossimi sviluppi societari, ovvero il conferimento del ramo d'azienda che include gli impianti e un'ampia porzione dell'attività dello stabilimento triestino ad Acciaieria Arvedi, mentre Siderurgica Triestina conserverà la parte della logistica portuale. A seguito di questa trasformazione, infatti, 447 dipendenti dal primo gennaio passeranno ad Acciaieria Arvedi, mentre a Siderurgica Triestina ne rimarranno solo 58, fermo restando che entrambe le società del Gruppo sono interamente controllate da Finarvedi. Un accordo in questo senso tra azienda e sindacati è stato raggiunto il 2 dicembre e in questi giorni è stato ratificato dall’assemblea dei lavoratori. Per questa mattina alle 9 invece sono stati convocati dalla Regione, come informa Cristian Prella di Failms, gli ultimi 30 ex dipendenti della Lucchini che sono ancora in cassa integrazione, che in parte hanno seguito corsi di riqualificazione professionale e che saranno riassorbiti entro l’anno.

Silvio Maranzana

 

 

Rifiuti, altro che De Magistris, Dipiazza combatta il sistema - L’INTERVENTO - di JACOPO ROTHENAISLER, già sindaco di Muggia e già esponente del Psi
Una frase infelice capita a tutti. Se a pronunciarla è una persona pubblica ci può essere un seguito. È quanto successo a Dipiazza con la battuta sui rifiuti di Napoli e con la reazione di De Magistris. Piccato dalla replica di De Magistris, ha ricordato al sindaco di Napoli di aver issato, lui e per ben due volte (nel 2005 e 2009), Trieste al primo posto in Italia. L'uso politico di queste classifiche, purtroppo largamente praticato dai sindaci è, a mio avviso, sempre improprio, immodesto e, nel caso di Dipiazza, imprudente. Imprudente perché la battuta del sindaco riguardava i rifiuti. Se accettiamo il criterio esposto da Dipiazza, e cioè che quello che è avvenuto a Trieste nel periodo in cui è stato sindaco è stato tutto merito suo, sui rifiuti le cose sono andate così. Nel 2011, dopo dieci anni, Dipiazza ha lasciato Trieste (dati Ispra) al 22,35% di raccolta differenziata. È la più bassa percentuale di raccolta differenziata di tutto il Centro Nord (14 regioni, 40 milioni di abitanti), assieme, udite udite, alla seconda tariffa più alta d’Italia come capoluogo di regione. Un prelievo extra dalle tasche dei triestini di 12 milioni di euro l'anno, se consideriamo che tra le migliori tariffe e quelle di Trieste la differenza era (ed è) di più di 60 euro pro capite. Il che fa del Dipiazza 2001-2011 uno dei peggiori sindaci d'Italia, almeno per quanto riguarda i rifiuti. Il sindaco di Trieste fa finta di non saperlo. O forse proprio non lo sa, perchè da decenni, questa si è storia, sui rifiuti e sull'acqua (altro dolore) in Comune non si decide nulla, ma si ratificano le decisioni della municipalizzata Acegas prima, di Hera adesso. Le quali, oltre a svolgere il servizio, operano tutte le scelte. Da sempre gli amministatori triestini non mettono becco su quanto viene deciso, accontentandosi di piccole ricadute sociali e d’immagine, quali le sponsorizzazioni e altrettanto piccoli favori. I soldi delle sponsorizzazioni sono dei triestini, che commettono l'ingenuità, speriamo non ancora per molto, di non guardare cosa c'è dietro ai soldi per il basket. In cinque anni De Magistris ha portato Napoli città al 30% di raccolta differenziata, con punte del 70% in molte zone dove si pratica il porta a porta, impresa comunque difficile nella “terra dei fuochi”. Dipiazza, che è un lavoratore orgoglioso, potrebbe seguire l’esempio, almeno per quanto riguarda la volontà di fare l'interesse dei cittadini. Cosa non riuscita finora a nessun amministratore triestino, perché i rifiuti hanno una tremenda particolarità: più i cittadini sono disorganizzati peggio funziona il servizio e più guadagnano i gestori. Servizi inefficienti sono una dannazione per la gente e una manna dal cielo per chi deve raccogliere e trattare i rifiuti. Quello che si è visto per anni a Napoli lo spiega molto bene. Strade piene di sacchi d’immondizia, miasmi, inquinamento, malattie, e finanziamenti come piovesse, probabilmente a favore degli stessi che provocavano il disastro. Possiamo essere ottimisti per l’immediato futuro di Trieste? Dipende, il problema è uno solo. Se raggiungessimo alte percentuali di raccolta differenziata, il rifiuto da bruciare calerebbe drasticamente. E questo è l’incubo di Acegas/Hera. Le tre linee dell’inceneritore possono trattare 600 tonnellate al giorno, 220mila tonellate per anno. Per ogni tonnellata portata all’inceneritore Acegas riceve 140 euro da chi la conferisce, e poi generosi contributi statali sull’energia prodotta. Non è tutto. Sotto le 150mila tonnellate l’anno di rifiuti trattati l’inceneritore non funziona bene e, nonostante le tariffe generose e gli incentivi statali, non dà risultati economici positivi. Per questo i dirigenti di Acegas/Hera operano da anni per “garantire” la materia prima all'inceneritore. Come lo fanno? A mio avviso con irrisorie percentuali di raccolta differenziata a Trieste, bruciando con le scuse più varie persino quello che differenziamo, impedendo di fatto la creazione in provincia di un impianto di trattamento dell’umido. E, come abbiamo già detto, acquisendo il consenso di chi ci amministra. Il sistema Acegas/Hera funziona però solo se c’è complicità e silenzio. Fino a quando gli amministratori di Acegas/Hera riusciranno a opporsi, bloccare, rinviare, non organizzare una seria raccolta differenziata per continuare a incassare tariffe e incentivi dell’incenerimento? Dipende anche e soprattutto da Dipiazza. Il 2017 è l'anno di scadenza della convenzione comunale con Acegas/Hera per l'inceneritore. Forza sindaco, continui a fare la voce grossa sui rifiuti e ci regali un sogno.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 14 dicembre 2016

 

 

Magazzini in Porto vecchio - Scatta il censimento ufficiale

Iniziativa del Comune in vista del passaggio di mano previsto il 31 dicembre - Stimato in 300mila euro il costo per aggiornare mappe e schede tecniche
Il censimento dei Magazzini a incominciare da quelli storici e tutelati dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, il controllo del loro stato di conservazione, la verifica della corrispondenza con le mappe catastali e tavolari e dell’esistenza di eventuali situazioni di pericolo. È l’operazione che il Comune si accinge a far partire in Porto vecchio dato che il 31 dicembre avverrà il passaggio di mano dal Demanio dello Stato a quello municipale così come previsto dalla legge del dicembre 2014 su emendamento proposto dal senatore Francesco Russo. «Dopo che è stata approvata la presa incarico di quell’immane patrimonio - spiega l’assessore al Demanio Lorenzo Giorgi - in questi giorni ho già fatto una prima riunione con i tecnici del mio assessorato per pianificare il passaggio a una seconda fase che prevederà l’ispezione, con ausilio anche di tecnici dell’Autorità di sistema portuale, di ogni singolo edificio di cui dovrà essere redatta una dettagliata scheda tecnica». «È già trapelato - spiega Piero Camber, capogruppo in Comune di Forza Italia - che in molti casi la situazione reale del patrimonio non corrisponde alle mappe di intavolazione perché in decenni e decenni sono state fatte modifiche oppure altre cause hanno alterato la situazione originaria. Èd è stato calcolato che solo per pagare i professionisti che dovranno aggiornare le mappe apportando le modifiche, il Comune dovrà spendere 300mila euro». Dei 650mila metri quadrati complessivi del Porto vecchio, ne passano al Comune circa mezzo milione. La linea di demarcazione tracciata preserva infatti al Demanio marittimo l’intera striscia di costa, l’area dell’Adriaterminal e quella degli stabilimenti balneari e delle società sportive. Gli edifici, secondo quanto riportato su una brochure di qualche anno fa dell’Authority, sono 38 suddivisi in tre tipologie: a un solo piano fuori terra; a due o tre piani fuori terra con cantina e soffitta e ballatoi tra gli avancorpi sostenuti da colonnine di ghisa; a quattro piani fuori terra con cantina, pianoterra e quattro piani superiori con ballatoi. Quelli della prima e seconda tipologia presentano anche una banchina a sbalzo sul piano stradale che ha un’altezza di un metro e che era adatta per i trasbordi cui carri ferroviari o sui veicoli. Quelli del terzo gruppo che sono di costruzione più recente, risalgono cioé ai primi del Novecento, presentano accessi anche a filo di terra. Sono già state ristrutturate l’ex Centrale idrodinamica e l’ex Sottostazione elettrica oltre a una parte del Magazzino 26. «Noi di Italia Nostra nel 2006 - ricorda Antonella Caroli - ne avevamo controllati e censiti 23 di cui 18 ancora da restaurare, ma era stata un’iniziativa priva di ufficialità burocratica». I Magazzini sono disposti su tre strade parallele tra loro: uno stradone centrale e due strade di cui una confinante con la via ferrata, ma si aprono tra di loro anche ampi piazzali. «Ci si potrà sbizzarrire nel proporre l’intitolazione delle nuove vie - dice Giorgi - che entreranno a far parte di un nuovo grande rione che in realtà andrà ad ampliare i due rioni di Gretta e di Barcola». Per il Comune si prospettano spese enormi. È il motivo per il quale il Consiglio comunale su proposta di tre consiglieri di Forza Italia: Piero Camber, Alberto Polacco e Michele Babuder ha approvato all’unanimità dei presenti una mozione per chiedere che almeno il 15% dei proventi derivanti da alienazioni o concessioni dei Magazzini storici rimanga al Comune per permettergli di far fronte alle spese previste di assicurazione, vigilanza, illuminazione, eccetera. «La norma fatta approvare da Russo - spiega Camber - prevede che tutti gli introiti vengano girati all’Autorità di sistema portuale per le infrastrutture del Porto nuovo, ma è chiaro che il Comune con il suo solo bilancio non potrà mai farcela ad “assorbire” Porto vecchio. Chiediamo dunque che il sindaco si attivi presso il Governo per far approvare questa modifica alla legge».

Silvio Maranzana

 

Amianto in porto tra gli anni ’60 e ’90 - A processo 17 ex dirigenti dell’epoca - COINVOLTI VERTICI DELL’ENTE E DELLA “COMPAGNIA”
Erano braccianti, pesatori, autisti e pulitori. I portuali uccisi dal mesotelioma alla pleura - innescato quasi certamente dall’esposizione all’amianto arrivato in gran quantità con le navi nello scalo triestino tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta - sono stati ben 32. E quattro inoltre si sono ammalati.

Per questa strage causata appunto dall’esposizione alle fibre d’amianto, sia in ragione della permeabilità dei contenitori utilizzati, come sacchi di juta e carta, sia in occasione della frequente rottura degli stessi sacchi, sono stati rinviati a giudizio i vertici del Porto e della Compagnia portuale dell’epoca. Tutti accusati di omicidio colposo a vario titolo e in particolare di non aver adottato le misure di prevenzione tecniche, organizzative e procedurali per eliminare o quantomeno ridurre la dispersione delle fibre di amianto in porto. A disporre il dibattimento è stato il gip Guido Patriarchi che ha accolto le richieste del pm Maddalena Chergia. L’udienza è stata fissata per il prossimo 31 maggio davanti al giudice Camillo Poillucci. I nomi degli imputati sono quelli di Michele Zanetti, presidente dal 1977 al 1990, di Giuseppe Tonutti, che lo aveva preceduto al vertice dello scalo, e dell’ex direttore generale (dal 1985 al 1992) Luigi Rovelli. E poi dei viceconsoli Claudio Brecel, dal 1981 al 1984, Emilio Coretti, dal 1986 al 1988, Carlo Lussini, dal 1979 al 1981, Franco Marsetti, dal 1977 al 1979, Marcello Menegon, dal 1986 al 1988, Vito Micheli, dal 1971 al 1981, Edoardo Micoli, dal 1975 al 1977, Giulio Seri, dal 1975 al 1984, e Germano Svara, dal 1984 al 1986. E dei consoli Vincenzo Marinelli, dal 1986 al 1988, e Elio Petric, dal 1979 al 1981. E ancora dei direttori dell’ufficio del lavoro Antonio Mantia, dal 1977 al 1978, e Annibale Scucato, dal 1973 al 1974, nonché di Arrigo Borella, direttore generale del Porto dal 1981 al 1985. In aula uno stuolo di avvocati: Guido Fabbretti, Domenico Lobuono, Raffaella Bartolucci, Davide Zignani, Claudio Giacomelli, Franco De Robbio, Giovanni Borgna, Pierumberto Starace, Raffaele Conte, Lucio Frezza, Ernesta Blasetti e Roberto Mantello. Il fascicolo del pm Chergia è stato integrato dal voluminosissimo dossier dell’indagine epidemiologica svolta dal Dipartimento di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'Azienda sanitaria, diretto da Valentino Patussi. Un’indagine che si è protratta per oltre due anni e alla quale avevano lavorato tre esperti a tempo pieno, circoscrivendo l’epoca dei trasporti di amianto, e ricostruendo le condizioni in cui i lavoratori si trovavano a operare, gli organigrammi della Compagnia portuale nei diversi decenni e i compiti affidati ai singoli soci, e riesaminando i contenitori in cui il minerale killer era contenuto e gli spostamenti ai quali doveva essere sottoposto. Per i 36 casi in questione (il mesotelioma ha un tempo d’incubazione che può arrivare addirittura a una quarantina d’anni) erano state riscontrate da parte dell'Azienda sanitaria numerose violazioni normative riguardanti appunto la sicurezza sul lavoro. A far scattare l’indagine era stata la drammatica confessione dell’uomo forse più rappresentativo del lavoro in porto negli anni “incriminati”: Paolo Hikel, “console”, come si diceva allora, della Compagnia portuale allorché questa raggiunse il suo massimo sviluppo, per la precisione nel 1977, arrivando a contare 1.818 soci e 50 dipendenti, morto pochi mesi fa. «Sono stato da poco operato di mesotelioma - aveva denunciato - e non ho dubbi sul fatto che la causa sia stata tutto l’amianto che ho maneggiato in porto, ma ho anche pochi dubbi sui motivi del decesso di 78, ripeto 78 lavoratori della Compagnia di bordo che se ne sono andati negli ultimi decenni». Nel frattempo sono morti anche altri quattro imputati: Fabio Armani, Piero Billeri, Luigi Nardini e Dusan Sossi.

(c.b.)
 

Baby pesce spada vicino a riva - Eccezionale avvistamento a Sistiana di un giovane esemplare forse “tradito” dalla rotta di una nave
Ha risalito tutto l’Adriatico percorrendo circa 800 chilometri prima di ritrovarsi, forse un po’ spaesato, nel porticciolo di Sistiana. Straordinario incontro di rara bellezza quello avvenuto domenica scorsa nelle acque della Baia quando, attorno alle 11 del mattino, un giovane esemplare di pesce spada si è palesato di fronte agli occhi attoniti di alcune persone, intente a fare una passeggiata.

Una di loro ha avuto la prontezza di riflessi di estrarre subito dalla tasca un cellulare, con il quale è riuscita a riprendere il giovane pesce osseo durante la nuotata tra le imbarcazioni ormeggiate. «Sì, non c’è alcun dubbio: si tratta di un pesce spada», ha sentenziato dopo aver guardato le foto il direttore del civico Museo di Storia naturale di Trieste Nicola Bressi. D’altronde la presenza della mascella superiore prolungata a formare una “spada” con cui poi questo pesce è solito cacciare le proprie prede, lasciava pochi dubbi, anche se qualcuno aveva inizialmente ridimensionato l’eccezionalità dell’avvistamento, parlando più semplicemente di un’aguglia, il comune “angusigolo”. Che si tratta di un baby pesce spada, però, lo confermano anche dall’Ogs. «È davvero un incontro insolito per le nostre acque non abituate certo a simili pesci - commenta il ricercatore Diego Borme -. Dagli elementi morfologici che si deducono dalle fotografie, e vista anche la presenza di un fondale marino così basso, si tratta di un esemplare giovane. Difficile però dire di più» . Dalla riserva marina naturale di Miramare il naturalista e subacqueo Saul Ciriaco racconta qualche caratteristica in più di questa specie: «Il pesce spada ha una nuotata piuttosto veloce. Solitamente gravita attorno alla Puglia, nel mar Ionio, oppure frequenta le acque di Sicilia, Sardegna e Liguria. Trovarlo nelle acque del Golfo di Trieste è un evento quasi eccezionale anche se la scorsa primavera alcuni pescatori avevano fotografato nella zona della diga Rizzo un animale che a loro avviso era un pesce spada. La foto, a differenza di quella scattata a Sistiana, però, non era affatto chiara». Ovviamente resta da capire come mai un piccolo esemplare di pesce spada sia arrivato in dicembre sino al Golfo di Trieste. Una fuga in solitaria da mamma e papà? Un improvvido smarrimento? Nicola Bressi prova a fornire una versione più plausibile: «Forse stazionando sotto una grande nave, oppure attratto da un folto banco di pesci, il pesce spada ha risalito tutto il mare Adriatico prima di giungere fino a noi. Solitamente sono pesci che vivono in acque più calde e in fondali più profondi. Ad ogni modo direi che se non verrà pescato, il nostro protagonista ridiscenderà presto l'Adriatico visto che le nostre acque si stanno raffreddando». Dall’Ogs Borme evidenzia che molti anni fa erano stati segnalati dei pesci spada nelle acque del Monfalconese. «Ma non c’erano state testimonianze fotografiche - puntualizza il ricercatore -. Questa, invece, è la prova tangibile che un animale abituato indubbiamente ad altri climi, può nuotare, viaggiando per centinaia di chilometri, arrivando sino a noi».

Riccardo Tosques

 

 

INDUSTRIA - Tavoli sul futuro di Ferriera e Wärtsilä

Appuntamenti cruciali per il futuro della Ferriera di Servola e della Warstila. Oggi alle 13.30 in Regione si riunirà il Tavolo per fare il punto della situazione dello stabilimento siderurgico, ma il confronto più infuocato dovrebbe andare in scena venerdì alle 11.30 quando il sindaco Roberto Dipiazza, che quotidianamente riafferma il suo obiettivo di chiusura dell’area a caldo, incontrerà le Rsu e i rappresentanti sindacali.

Oggi invece è in programma il tavolo tra proprietà Wartsila e sindacati con i coordinatori nazionali di Fim, Fiom e Uilm. Le tre sigle in una nota evidenziano «come ad oggi Wartsila Italia non sia in grado di fornire indicazioni sulle prospettive industriali e sulle garanzie occupazionali previste dall’accordo di gestione degli esuberi siglato a fine luglio».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 13 dicembre 2016

 

 

Il giardino chiuso di piazzale Rosmini fa crollare gli affari - L’area verde off limits per inquinamento ora è nel degrado
Negozianti in affanno: «Famiglie e bimbi non passano più»
Piazzale Rosmini piange. Esercenti e negozianti continuano a risentire della chiusura del giardino avvenuta la scorsa primavera. È ancora vietato infatti calpestare le aree verdi del parco, che fa parte di quei sette tutt’ora sotto analisi dell’Arpa. Nel mirino il terreno in cui erano state trovate sostanze cancerogene ben al di sopra dei limiti di legge. Mamme, nonne e bambini che frequentavano l’area e poi compravano il gelato, bevevano un caffè, facevano la spesa nei dintorni, davano così un ampio respiro alle casse di tutti i negozi. Ad avvertire le conseguenze in particolare sono proprio quelli che si affacciano sul parco o che hanno base nella prima tranche di via Combi. Marilena Lofino è la titolare del bar Rosmini 5/B. La sua attività ha visto un calo significativo di clienti che, a partire da quest’estate, sono diventati la metà. Un indicatore iniziale su tutti: il gelato. «Ne avevamo di due tipi - dice -, quello artigianale e quello confezionato. Il secondo tipo mi è durato mesi e mesi». Ma l’elevato tasso d’inquinamento del parco ha provocato a Marilena anche altri danni. Come il ritardo del permesso per mettere tavolini e sedie dall’altra parte della strada. «Bisognava avere l’autorizzazione del responsabile del verde pubblico. Il problema era che l’ombrellone toccava l’aiuola e dunque abbiamo atteso un mese». Primo step di declino quest’estate. Ma la crisi continua. Famiglie e bambini al bar Rosmini 5/B non si vedono quasi più. Sono in tanti altri a lamentarsi della situazione. E pochi si attivano. Marilena aveva organizzato un concerto di sensibilizzazione con il Movimento 5 Stelle proprio all’interno del parco «per farci sentire». E poi? «Non è successo nulla». Qualcun altro ricorda i bei tempi, quando l’attuale sindaco Roberto Dipiazza era proprietario del supermercato Despar di via Combi. «Ora ci ha abbandonato» dice una signora. «Il giro di residenti è sempre lo stesso ma - afferma - pochissime persone “da fuori” vengono qui come qualche tempo fa». In quel pezzo di via Combi, che ripercorre pochi numeri civici ma tutti corrispondenti a dei negozi, si vedono molte serrande abbassate. «Ecco, già c’è la crisi - dice Edvino Jerian, che ha la panetteria-pasticceria dal ’53 proprio in cima alla via, quasi di fronte al giardino -, ora chiude pure il parco. Molti bambini prendevano la pizza, le mamme qualcos’altro. Qualcuno continua a venire, però c’è una grande differenza rispetto a prima». Ad aggiungersi, oltre al fattore inquinamento, l’abbandono completo del verde. «Chi faceva una passeggiata, ora non viene più» spiega il panettiere. E ai soliti habitué che frequentavano il parco, si sono sostituiti i tossicodipendenti. «Hanno trovato molte siringhe e anche una lavatrice - aggiunge -. Il Comune ha messo il nastro per non entrare in quelle aree, ma nessuno controlla il giardino. Che l’inquinamento faccia male è un dato di fatto ed è giusto che vada chiuso, ma la sorveglianza, il controllo e la pulizia vanno eseguiti». Una discarica insomma. «D’inverno, nelle giornate con il sole, le mamme con bambini utilizzerebbero il giardino. Anche nostro figlio non porta più i nipotini qui». Ma anche la cartoleria e la gastronomia risentono di questa chiusura. «Confermo il calo di cui parlano i miei colleghi - afferma Mirella Benvenuto di “Il buongustaio” -, mamme con il passeggino e bambini lì non giocano più e noi ne risentiamo». Da “Mode Cristiana” rimangono invenduti un po’ di calzini per bimbi. Ma Cristiana Pichierri, da 26 anni in via Combi, per fortuna ha un altro tipo di clientela, fa cappelli su misure per signore, si occupa di sartoria e non ha dunque risentito tanto della chiusura del parco. Anche se «i bimbi - dice - portavano più giro sicuramente. Ora è un disastro, che si aggiunge alla crisi già molto pesante che ha fatto abbassare la serranda a tanti negozi qui intorno».

Benedetta Moro

 

BATTISTA sulla Ferriera «Serve la volontà politica per fermare l’area a caldo»
«L’obiettivo della chiusura dell’area a caldo della Ferriera non è più raggiungibile attraverso i social o nelle piazze, ci vuole una forte volontà politica».

Lo afferma il senatore Lorenzo Battista, sottolineando di aver appreso dell’interessamento della Procura «sebbene - rileva Battista - manchi ancora un tassello nel suo operato per capire se c’è sempre stato il rispetto della legge in tutti i passaggi dell’area di crisi industriale complessa». «Il 2018 è pressoché alle porte e in un clima di continua campagna elettorale - sottolinea Lorenzo Battista - arriveremo molto probabilmente a una conferma dei recenti risultati elettorali con una vittoria del centrodestra. Per raggiungere l’obiettivo della chiusura dell’area a caldo della Ferriera - conclude Battista - serve una forte volontà politica: mi domando se qualche esponente di Forza Italia o Lega Nord vuole veramente prendersi la responsabilità di rivedere un’Autorizzazione integrata ambientale che configuri la chiusura dell’area a caldo e la proposta di un serio progetto di riconversione prevedendo anche la possibilità di assumere i dipendenti».

 

 

Via Flavia cambia volto - La rotatoria è realtà
TRIESTE - La rotatoria di via Flavia da ieri è realtà. Dopo un semestre di lavori, il vecchio incrocio sul quale convergono le vie Flavia, Caboto e Carletti e la strada della Rosandra, e che negli anni è stato teatro di numerosi incidenti, ai quali hanno sempre fatto seguito le inevitabili polemiche, ha cambiato volto. Ora è in vigore il sistema della “rotonda alla francese”, una modalità di regolazione del traffico in base alla quale chiunque voglia entrare nella rotatoria deve dare la precedenza a chi la sta già percorrendo. Per decenni hanno avuto la precedenza tutti coloro che percorrevano la via Flavia, d’ora in poi non sarà più così. Nei primi giorni sarà perciò necessario che tutti gli automobilisti e i motociclisti che utilizzano quel tratto di strada prestino estrema attenzione nell’attraversamento dell’incrocio, perché la fase di assimilazione della novità potrebbe durare qualche tempo. L’intervento, atteso da anni, è costato poco meno di 400mila euro, 300mila dei quali a carico del Comune, il restante ha gravato sulle casse dell’AcegasApsAmga, che nell’occasione ha provveduto a una risistemazione dei cavi che corrono sotto terra. Al centro della rotatoria ora c’è una nuovissima aiuola rotonda. Alla breve e informale cerimonia di inaugurazione l’amministrazione è intervenuta in massa: erano presenti il sindaco Roberto Dipiazza, il suo vice Pierpaolo Roberti, gli assessori Michele Lobianco (Servizi al cittadino), Luisa Polli (Città territorio, urbanistica e ambiente), Serena Tonel (Comunicazione). La parte del leone ovviamente l’ha fatta Dipiazza: «Sono tornato a fare il sindaco - ha detto ironicamente - anche per inaugurare quest’opera che, è bene ricordarlo, era stata ideata e voluta da noi una decina di anni fa». Parlando poi del futuro, il sindaco ha annunciato che «l’amministrazione ha in animo di realizzare rotatorie anche in piazza Foraggi, all’incrocio situato alla fine della parte alta di via Baiamonti e a Valmaura. In questa maniera - ha aggiunto - la circolazione di questa parte della città ne beneficerà in maniera evidente».

Ugo Salvini

 

 

Razeto: «Del gas ci sarà sempre più bisogno» - Il presidente di Confindustria Fvg durante la conferenza Atena offshore vision ospitata all’Europalace
La seconda edizione della conferenza Atena Offshore Vision, ospitata ieri dall’Europalace di Monfalcone, ha dimostrato tutto l’interesse per il comparto energetico legato allo sfruttamento dei giacimenti sottomarini e per le soluzioni tecnologiche necessarie all’installazione degli impianti off-shore. In Fvg, come ricordato a margine della conferenza da Lucio Sabbadini, amministratore delegato del distretto tecnologico mareTc Fvg, con sede a Monfalcone, la produzione di componenti per piattaforme offshore e il naviglio d'appoggio, l'attività di prospezione geologica, la progettazione e la ricerca occupano, direttamente o indirettamente, un totale di 15mila persone. «Il settore ha subito una contrazione per la diminuzione del prezzo del petrolio greggio - ha aggiunto -, ma proprio in questi giorni lo scenario è cambiato con la decisione dei Paesi aderenti all'Opec di ridurre la produzione. Muoversi al di fuori di questo sistema può quindi tornare a essere vantaggioso. Senza scordare che l'Eni è la società col più vasto numero di concessioni non ancora sfruttate». Nel quadro va inoltre inserito l'utilizzo del gas come carburante per le navi, come ricordato ieri sempre a margine della conferenza dall'ingegner Vittorio Bucci, ricercatore del dipartimento di Ingegneria e architettura dell'Università di Trieste, che non ha escluso l'opportunità di insediare al largo delle coste regionali un impianto offshore di ricevimento di Gas naturale liquefatto in grado di servire come "stazione di rifornimento" per le navi dirette al porto di Trieste e a quello di Venezia (in questo caso anche, se non soprattutto, da crociera). «Il problema delle fonti energetiche non si esaurirà a breve - ha detto ieri nel corso dei saluti in apertura di conferenza il presidente di Confindustria Fvg Sergio Razeto -. Del gas ci sarà bisogno, nonostante il costo delle rinnovabili stia scendendo e si stiano producendo nuove batterie per lo stoccaggio dell'energia». Il presidente di Confindustria ha pure sottolineato l'importanza del comparto industriale-tecnologico legato all'offshore, fatto di grandi realtà (Fincantieri e Wartsila), ma anche di un insieme di aziende altamente specializzate. L'assessore regionale all'Ambiente Sara Vito ha messo in evidenza il ruolo dell'Università e l'esigenza di un dialogo costante tra l'alta formazione e le aziende per favorire la creazione delle professionalità necessarie, offrendo così sbocchi di lavoro ai giovani. La conferenza è stata organizzata da Atena (l'Associazione Italiana di Tecnica navale, in particolare le sezioni del Friuli Venezia Giulia e del Veneto), con l'Università di Trieste, in collaborazione con il distretto tecnologico mareTC Fvg. L'incontro è stato aperto da Paolo Frandoli, presidente della sezione del Fvg di Atena, e da Giorgio Sulligoi, collaboratore del Rettore per le politiche territoriali e i rapporti con le attività produttive di Units.

Laura Blasich

 

 

IL CLIMATOLOGO «EFFETTO SERRA TUTTO CAMBIERÀ»
Il professor Giorgi del Centro di fisica teorica di Trieste «Nei prossimi 50 anni temperature medie su di 2-3 gradi»
Stagioni sciistiche sempre più brevi, con nevicate in forte diminuzione alle altitudini sotto i duemila metri, dove il futuro degli sport invernali è messo a rischio dagli effetti del riscaldamento globale. Molti impianti potrebbero dover dunque chiudere i battenti nei prossimi decenni, con la necessità di convertire per tempo l’offerta turistica della montagna per attrarre clientela nel resto dell’anno. La neve è in pericolo È quanto si ricava dagli scenari tracciati dal professor Filippo Giorgi, direttore della sezione Fisica della Terra del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste e climatologo di fama internazionale: «Sulle Alpi lo zero termico si registra a 1.400 metri e fino a 1.700 si è in fase di transizione. Oggi a tali quote la neve è in pericolo anche d’inverno e, se l’effetto serra continuerà a dispiegarsi al ritmo attuale, la soglia dello zero climatico si innalzerà: i 1.700 metri diventeranno 1.800 e così avanti». Nei prossimi 50 anni le medie potrebbero aumentare di 2-3 gradi a causa del riscaldamento globale e ciò mette a serio rischio il futuro della stagione invernale sulle Alpi. Secondo Christoph Marty, climatologo della neve del Wsl di Davos, con questo trend «dobbiamo calcolare che l’altezza minima per gli sport invernali salirà di 500 metri entro il 2100». Le premesse ci sono tutte: basti dire che, dopo le tardive nevicate della scorsa stagione, Federfuni invano si  è spinta a chiedere lo stato di calamità in difesa degli impianti sciistici a essa aderenti in tutta Italia. Il Friuli Venezia Giulia pagherà un alto prezzo all’effetto serra, dal momento che nei suoi cinque comprensori si scia quasi sempre sotto i 2.000 metri. Giorgi sottolinea che «l’industria del turismo invernale si sta preoccupando moltissimo in tutto l’arco alpino: l’innevamento artificiale sarà sempre più costoso perché si dovranno coprire superfici più estese, l’acqua sarà sempre più cara e le temperature sempre più alte». La differenza in alta quota In alta montagna lo scenario cambia: «L’effetto serra produce in generale piogge più abbondanti – continua l’esperto – che ad altitudini elevate diventano nevicate più abbondanti, perché il riscaldamento globale non riesce ancora a contrastare il freddo che si trova oltre i 2.000 metri. Ad alta quota le precipitazioni nevose sono insomma destinate a crescere, ma alle altitudini con temperature di 1 o 2 gradi sotto zero (1.700-1.800 metri) la pioggia resta pioggia e non si trasforma in neve con la facilità del passato. E inoltre la neve che cade si scioglie più facilmente». In tale contesto le valanghe aumentano: «La neve alle quote più alte è abbondante – continua il climatologo – ma meno solida di un tempo. E cresce pure il rischio di frane in estate, perché lo strato di gelo invernale aiuta il terreno a rimanere compatto: senza il cosiddetto permafrost col tempo la roccia diventa più fragile». Anche l’alta montagna risente peraltro dell’effetto serra: «Ad altitudini elevate c’è molta neve nei picchi di dicembre e gennaio, ma le stagioni cominciano più tardi e finiscono anzitempo. È in primavera che il cambiamento climatico può essere davvero apprezzato in montagna: oggi infatti lo zero termico e lo scioglimento della neve si raggiungono prima». Ghiacciai in scioglimento Ciò che maggiormente preoccupa Giorgi è tuttavia «lo scioglimento dei ghiacciai: quelli ad altitudini non elevate sono in evidente fase di recessione. Meno ghiacciai significa meno acqua dolce e innalzamento dei mari, con parti di costa destinate a essere sommerse. Gli inverni più caldi fanno sì che la neve si sciolga, invece di compattarsi e creare nuovo ghiaccio. A novembre la copertura dell’Artico è stata la più bassa mai registrata: il ghiaccio non si riforma dopo l’estate». Il fenomeno è aggravato da episodi eccezionali che accelerano il processo di arretramento: «A dicembre 2015 – continua Giorgi – sul ghiacciaio del monte Canin si è registrata una media di 2-3 gradi in più, sommatasi all’innalzamento dovuto al riscaldamento globale: rispetto alla media storica si tratta di oltre 6 gradi in più. Un evento particolare, ma si è arrivati allo scioglimento invernale del ghiacciaio: un fatto incredibile».

DIEGO D’AMELIO

 

Produrre idrogeno, ma senza guai - Esperti dell’Università di Trieste hanno studiato un’alternativa ai combustibili fossili
Produrre idrogeno in modo sostenibile come combustibile alternativo si può. A scoprirlo il team italiano composto dai professori Maurizio Prato e Paolo Fornasiero dell'Università di Trieste, insieme ai colleghi Francesco Paolucci dell'Università di Bologna e Marcella Bonchio dell'Università di Padova, coinvolgendo anche il Cnr di Parma, il Consorzio Instm, l'istituto Iccom-Cnr, il Cic Biomagune di San Sebastian e le Università della Pennsylvania e di Stanford. È di fresca pubblicazione infatti, sulla prestigiosa rivista "Nature Communications", il lavoro di questo gruppo che ha coordinato la fase di design e preparazione di nuovi nanomateriali, eccezionalmente efficaci per la produzione di H2 da elettrolisi dell'acqua, un processo elettrochimico, 'pulito' ed efficiente. Una soluzione alternativa dunque a un uso intensivo, massiccio e ormai insostenibile di combustibili fossili che aumenterebbero le emissioni antropiche di CO2, che oggi sono fra le principali cause del riscaldamento globale e all'origine di molti devastanti fenomeni atmosferici che stanno caratterizzando i nostri tempi. «A parità di peso - spiega Prato - l'idrogeno contiene quasi tre volte il contenuto energetico del gas naturale, e la sua combustione porta semplicemente alla produzione di acqua. Sembra impossibile immaginare a prima vista una fonte energetica più pulita. Ma una così semplice molecola nasconde in realtà insidie che finora ne hanno rallentato l'utilizzo in campo energetico». Essendo l'idrogeno un vettore energetico, che sulla Terra non dispone di miniere o riserve come per carbone, petrolio o metano, deve essere in qualche modo prodotto. Al momento risulta una produzione multimilionaria, essendo l'H2 utilizzato in diversi settori industriali. Il metodo finora utilizzato - «a parte importanti aspetti di stoccaggio, distribuzione e sicurezza dell'idrogeno - spiega Fornasiero - risulta il "reazione di reforming", il quale si basa sulla trasformazione di metano in idrogeno e monossido di carbonio, un processo di sicuro non sostenibile visto che si basa sull'utilizzo combustibili fossili» aggiunge Fornasiero. Ma come avviene il nuovo processo ideato dal team? Ancora una volta, la chiave per una svolta è posta nelle mani delle nanotecnologie, settore in cui l'ateneo triestino ha da molti anni dimostrato di possedere grandi competenze e di livello internazionale. Prato, un'autorità mondiale nel campo dei materiali nanostrutturati a base di carbonio, sottolinea che «si è molto parlato dell'utilizzo di nanotubi di carbonio come componente in sistemi elettrocatalitici avanzati, ma da un punto di vista pratico sono ancora relativamente pochi i sistemi con nanotubi integrati che siano qualificati per una reale implementazione industriale. Il nostro studio contribuisce a colmare tale mancanza». Il dottor Michele Melchionna, che ha curato la sintesi dei nuovi catalizzatori, aggiunge che «il materiale da noi ideato e sviluppato parte da nanotubi di carbonio come base dell'intelaiatura complessiva, aggiungendo componenti metalliche in modo da esaltarne le proprietà catalitiche». Risultati che suggeriscono che la strada intrapresa per una rivoluzione a impatto ecologico zero è quella giusta.

Benedetta Moro

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 12 dicembre 2016

 

 

La Regione denuncia i “bluff” del sindaco

Torrenti attacca Dipiazza sulla Ferriera: «È un venditore di fumo professionista e fa promesse impossibili da mantenere»
«Prima o poi il giorno della verità arriva anche per un venditore di fumo professionista come Roberto Dipiazza». Lo ha affermato l'assessore regionale Gianni Torrenti, commentando le dichiarazioni rese dal sindaco di Trieste sabato sera nel corso della fiaccolata di protesta contro lo stabilimento siderurgico della Ferriera. «Intanto prendiamo atto che i favolosi cento giorni annunciati in campagna elettorale restano quello che erano - commenta Torrenti - e cioè uno spot che si è già sgonfiato e di cui è meglio non parlare troppo. Non dico della chiusura in sè, ma non c'è traccia nemmeno del famoso cronoprogramma per la chiusura dell'area a caldo. Del resto, lo si sapeva». Secondo l’assessore regionale, «la necessità di rilanciare continuamente costringe Dipiazza a spericolate affermazioni. E così eccolo che tira per la giacchetta il segretario generale del Comune, il quale, a suo dire, gli avrebbe assicurato che una parte dei lavoratori della Ferriera possono essere assorbiti dall'amministrazione comunale. Preghiamo l'avveduto Terranova - continua Torrenti - di informarci se le cose stanno come dice il sindaco, perché siamo interessati a capire come potrebbero avvenire queste assunzioni. E nel caso esista un modo per assumere senza concorso in Comune cento o duecento lavoratori dipendenti del privato, vorremmo poi sapere come si pensa di impiegare in quel settore pubblico degli operai siderurgici». «Se non faccio sparire questo cancro dalla città me ne vado», aveva annunciato il sindaco sabato. Quindi, ricordando che nel 2011 aveva lasciato un impianto in predicato di chiusura, aveva inoltre aggiunto: «I posti di lavoro? Il segretario generale del Comune ha già garantito che una parte degli occupati sarà assorbita dalla macchina amministrativa comunale, troveremo una soluzione per tutto. Ma non accettiamo compromessi al ribasso, vogliamo tutelare la salute dei triestini». Riguardo al comportamento del sindaco, Torrenti trae amare conclusioni: «La verità purtroppo è che da quando si è insediato, Dipiazza fa due cose: si agita da una parte all'altra della città con il metro del geometra o il cappello del netturbino per simulare un attivismo inesistente e presta la sua faccia alle politiche dell'azionista di maggioranza della sua giunta nonché successore annunciato, cioè al leghista Roberti. In tutto ciò - sintetizza l’esponente dem della Giunta Serracchiani - vi è qualcosa di malinconico. Avevamo sperimentato Dipiazza nei suoi mandati precedenti e, pur opponendoci a lui e alle sue maggioranze, gli avevamo riconosciuta una certa autonomia personale. In questo ultimo mandato è avvenuta la metamorfosi: abbiamo un sindaco debole che ricicla vecchie battute, mentre altri danno la linea».

 

Ricorso al Tar di Siderurgica Triestina contro l’obbligo di ridurre la produzione

Siderurgica Triestina (la società che gestisce la Ferriera di Servola, ndr.) ha fatto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia nei confronti dell’ordinanza del sindaco del 10 novembre scorso che le intima «di mantenere la produzione mensile di ghisa nelle 34mila tonnellate, ai fini della tutela della salute pubblica, fino all’emanazione del provvedimento conclusivo di accertamento del completamento degli interventi strutturali per l’altoforno». Con apposita delibera proposta dall’assessore Maurizio Bucci, il Comune ha deciso di costituirsi in giudizio, dato che, si rimarca nel documento «i motivi del ricorso si basano su un asserito eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione dato che la ricorrente ritiene di aver osservato tutte le prescrizioni autorizzative previste nell’Aia» e che «la Regione non ha predisposto gli atti finali volti ad accertare con provvedimento conclusivo il completamento degli interventi».

 

Nube nera dall’altoforno - L’Arpa avvia le verifiche - il caso
Un intenso fumo nero è uscito sabato pomeriggio dall’altoforno della Ferriera di Servola. L’inconveniente è stato immediatamente avvertito dalla popolazione che, come succede puntualmente in queste situazioni ha fatto pervenire alcune segnalazioni di protesta. Ieri l’Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) ha reso noto di avere tempestivamente avviato una serie di verifiche.

«Arpa ha accertato - si legge in una nota - che l'evento anomalo è stato causato da una serie ravvicinata di aperture del bleeder dell'altoforno che ha causato la fuoriuscita di un intenso fumo nero. La direzione dello stabilimento ha prontamente fornito i dettagli del fenomeno, iniziato alle ore 15.35 e terminato alle ore 15.36. In quest'arco temporale, i bleeder, dispositivi di sicurezza che consentono lo sfiato dell'altoforno quando si verificano delle sovrapressioni - è stato spiegato - si sono aperti e richiusi per quattro volte a breve distanza. I tempi effettivi di apertura sono stati, rispettivamente, pari a 6, 1, 1 e 3 secondi. Si è trattato dunque di un problema contenuto, verosimilmente connesso a una eccessiva presenza di frazioni fini nella parte alta dell'altoforno». «Siderurgica Triestina -rende ancora noto l'Arpa - è intervenuta tempestivamente per risolvere il problema. L'Azienda, sempre secondo Arpa, ha immediatamente ridotto la marcia dell'impianto e ha avviato alcune verifiche per ricercare le cause dell'evento. Le conseguenti azioni di miglioramento saranno approfondite nei prossimi giorni congiuntamente ad Arpa. L'evento anomalo di sabato - viene rilevato inoltre dalla nota - è un inconveniente legato alla modalità di gestione degli impianti, peraltro oggetto di un processo di continuo miglioramento da parte della direzione di Siderurgica Triestina. L'inconveniente è indipendente dall'adeguatezza, ormai verificata, dei presidi di abbattimento installati nello stabilimento. A tale proposito l'Agenzia per l'ambiente sottolinea che l'azzeramento del numero di aperture dei bleeder per un altoforno è un obiettivo prestazionale sostanzialmente impossibile da raggiungere; l'obiettivo da raggiungere è invece il contenimento di tale misura di sicurezza su livelli minimi». Solo pochi giorni, il 2 dicembre, una nuvola rossastra si era sprigionata dall'altoforno della Ferriera e aveva sollevato numerose proteste. Siderurgica Triestina aveva precisato che «si è trattato di un episodio anomalo, accaduto in fase di apertura del foro di colata per lo spillaggio della ghisa dell'altoforno. La causa è stata individuata nel materiale utilizzato per tappare il foro di colata dell'altoforno. Per evitare che si ripeta un simile evento, comunque non dipendente dal funzionamento dell'impianto che è stato sempre regolare - sostiene l'azienda - sono state immediatamente messe in atto le contromisure».

 

 

Ikea punta un miliardo sull’ambiente - Il colosso svedese investirà in società che riciclano il legno usato. E sbarca in India e Serbia
MILANO Ikea smonta i vecchi piani industriali, scommette un miliardo di euro sull'ambiente e va in città a caccia dei nuovi affari dell'ecommerce. È un ciclone di novità l'ultimo report sull'andamento dei conti della multinazionale svedese del mobile low cost. Lo stile è sempre compassato e per nulla sensazionalistico, ma dal bilancio 2015, in crescita del 7,2% in ricavi e del 20% gli utili, emerge con chiarezza che Ikea ha voglia di spingere l'acceleratore. Del resto l'obiettivo (molto ambizioso) dichiarato negli scorsi anni era piuttosto chiaro: centrare 50 miliardi di euro di fatturato entro il 2020, con il contributo di almeno il 10% da parte dell'ecommerce. Oggi, pur in un contesto di crescita, a quota 32 miliardi di ricavi, con una corsa degli utili oltre i 4 miliardi, il traguardo prefissato sembra molto lontano. Ma non è detta l'ultima parola. Il cambiamento di strategia si affianca anche all'investimento ambientale: circa un miliardo di euro andrà in campagne di riforestazione e in società che riciclano il legno usato. Intanto la strategia di Ikea sembra cambiare velocemente pelle. I grandi centri commerciali a insegna giallo - blu, che hanno fatto arrabbiare in un primo momento i nostri mobilieri salvo poi diventarne fornitori, costruiti alle porte delle città cominciano a mostrare qualche segnale di stanchezza. «Fino ad oggi abbiamo costruito grandi negozi su campi di patate - ha ironizzato così il Ceo di Ikea Peter Agnefjäll in un'intervista concessa al Wall Street Journal - ma oggi sappiamo che il 70% della popolazione entro il 2050 abiterà in centri urbani. Dobbiamo pensare a come servire questi consumatori. E non vedo molti campi di patata a disposizione a Londra». La risposta sta nel progressivo avvicinamento degli store Ikea nei centri cittadini, il tutto pensato in un'ottica ecommerce. Oggi Ikea dispone di circa 22 pickup point, punti di ritiro che sono negozi ibridi, piccole superfici e dotati di ristorante e prodotti selezionati sullo scaffale. Quello che non c'è in esposizione si può ordinare online e ritirarlo in loco o a domicilio. Questo è il modello che Ikea sembra intendere seguire per i prossimi anni, aprendo questi store sotto casa del consumatore, come ha fatto anche in Italia, dove fattura 1,7 miliardi di euro, a Roma e Cagliari e potrebbe riproporsi presto in altre città. I grandi centri, 340 store e 41 shopping center, non scompaiono. Anzi l'azienda conta di aprirne di nuovi in India e in Serbia. Il gruppo sta investendo anche nello sviluppo di un centro Ikea a Copenaghen che comprenderà oltre al negozio, anche un hotel, spazi per ufficio e alcune residenze. Ci sono novità anche per i dipendenti. Ikea ha deciso di versare 108 milioni di euro come contributo extra alla pensione dei propri dipendenti, per la loro lealtà e il loro contributo al successo di Ikea. Per i dipendenti italiani sono in arrivo 899 euro a testa destinato alla previdenza.

Christian Benna

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 11 dicembre 2016

 

 

La stretta della Procura sull’area della Ferriera - Centraline extra per l’analisi delle emissioni e nasi elettronici per gli odori
Mastelloni: «Controlliamo sempre ma solo i dati salienti diventano pubblici»

Nuove centraline per l’analisi delle emissioni inquinanti e “nasi elettronici” per sondare l’impatto degli odori nel centro abitato che, come risaputo, rendono spesso insopportabile la vita a Servola. La Procura, già alle prese con esposti e fascicoli di varia natura, torna a farsi avanti nell’intricata vicenda della Ferriera mettendo in atto una doppia operazione di monitoraggio nel rione e nelle vicinanze della fabbrica. Un altro filone investigativo? «Dobbiamo parametrare il nostro intervento preventivo e repressivo, oltre che sulla base del decreto legislativo 152 del 2006 (norme in materia ambientale, ndr), anche sulla nuova Aia», si limita a dire, per il momento, il procuratore capo di Trieste Carlo Mastelloni. L’impressione è che il tema Ferriera, in questi mesi schiacciato dai rimpalli polemici tra Comune e Siderurgica triestina, sia rientrato a pieno titolo in cima all’agenda del palazzo di giustizia, versante Procura, al di là di quanto emerga pubblicamente. «Lo stabilimento siderurgico - osserva lo stesso Mastelloni - è sempre all’attenzione di questa Procura e soltanto i dati salienti sono oggetto di comunicazioni a mezzo stampa». Le prossime mosse, pare, si stanno già studiando in questi giorni nelle stanze dei pm coinvolti. La prima andrà a segno nel giro di qualche mese e tocca proprio il filone ambientale. L’intenzione è installare altri impianti di controllo, da aggiungere a quelli dell’Arpa, per studiare con ulteriore precisione le particelle che fuoriescono dalla fabbrica. Serve in effetti un riscontro più accurato sulle tipologie di polveri, comprese quelle “ipersottili”, come le Pm 2,5. «Queste non sono mai state rilevate», fanno notare in Procura. Tirando le somme si arriverà a “certificare” una volta per tutte l’incidenza delle sostanze sull'aria, e in definitiva sulla qualità della vita, dopo le indicazioni previste dall'Aia. I dispositivi saranno anche in grado di esaminare le emissioni estemporanee e la loro pericolosità, come le fumate nere o rossastre che di tanto in tanto, per svariati motivi, si alzano dallo stabilimento allarmando i residenti. Fenomeni documentati in più di un’occasione dai servolani con foto e video. La Procura stessa, in queste settimane, sta raccogliendo le testimonianze e le segnalazioni dei cittadini. Ma accanto alle emissioni, si apre un ulteriore campo di indagine: quello degli odori percepiti, con il posizionamento di apparecchiature tecnologiche capaci di “annusare” le esalazioni che si diffondono nel rione. La puzza, insomma. Perché anche questa, al di là dei rischi sulla salute, ha rilevanza sulla quotidianità delle persone che vivono a poche decine di metri dalla Ferriera. Veri e propri “nasi elettronici” in grado di analizzare le componenti chimiche e valutarne l’esatta provenienza. Il capitolo “odori” non è un vezzo della magistratura, ma è previsto espressamente all’interno dell’Allegato 3 dell’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale: un passaggio veloce, di sette righe in tutto, che però impone alla proprietà di studiare pure questo aspetto «entro un anno» dal varo del documento. L'attenzione della Procura resta dunque alta. Lo si è visto pochi giorni fa, con l’ispezione dei carabinieri del Noe nella banchina dello stabilimento. L'intervento era stato sollecitato da un esposto dei Verdi del Friuli Venezia Giulia, preoccupati della tenuta strutturale del molo. L’area, a sentire i timori, nel corso degli anni sarebbe stata riempita con materiale ferroso, «vecchie carcasse di camion», si legge nel documento. Materiale che avrebbe provocato «lo smottamento di quello vecchio e quindi danni ai pali del molo». Di qui la richiesta di una verifica statica sull’infrastruttura. Niente di tutto questo: gli accertamenti, che hanno reso necessario anche l’impiego dei sommozzatori, al momento non hanno evidenziato alcuna criticità. Sul posto per l’appunto i carabinieri del Noe (il Nucleo operativo ecologico), il Genio civile, l’Arpa, i vigili del Fuoco e l’Azienda sanitaria. L'ispezione non si è fermata lì: nella stessa giornata la Procura si è mossa anche per accertare l'inquinamento acustico prodotto dalla fabbrica, peraltro oggetto di scontro tra il Comune e la proprietà. In particolare, da quanto è stato possibile ricostruire, sono stati controllati gli interventi impiantistici già attuati sugli impianti di aspirazione delle polveri.

Gianpaolo Sarti

 

BONIFICHE - Con i bandi da quasi quattro milioni di euro primo passo per la messa in sicurezza a mare
Quattro bandi per altrettanti progetti, danno avvio all’attuazione dell'investimento operato dal governo, in base all'Accordo di programma del 21 novembre 2014 per la messa in sicurezza, la riconversione industriale e lo sviluppo economico-produttivo del Sito inquinato di Trieste.

Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, ha pubblicato infatti come annunciato un bando per l'affidamento di una «campagna di indagini geognostiche e idrogeologiche finalizzata al progetto di messa in sicurezza della Ferriera di Servola attraverso interventi di marginamento fisico dell'area demaniale in concessione e di trattamento delle acque di falda contaminate». È il primo passo per la “rinascita” dell’area. I quattro bandi - quello pubblicato, sull'esecuzione di indagini geognostiche di monitoraggio della falda, e quelli in via di pubblicazione che riguarderanno la direzione dell'esecuzione delle indagini, la redazione del progetto definitivo e esecutivo e le attività di verifica della progettazione - hanno un valore complessivo di spesa superiore ai 2,7 milioni di euro. Il sito della Ferriera è inserito infatti «nella zona di crisi industriale complessa, insieme a quasi l'intera area Ezit. Nell'ambito dell'Accordo di programma (sottoscritto tra i ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico, d'intesa con la Regione Fvg, Autorità Portuale e Siderurgica Triestina srl) per il completamento delle attività di bonifica sono stati stanziati in totale 41,5 milioni di euro.

 

I comitati: «Per noi contano i fatti» - «Ma la presenza del primo cittadino al sit in serale è emblematica»
Vicini, vicinissimi a Dipiazza. Gelidi con Cosolini. Schierati politicamente? No, semplicemente decisi a sostenere chi li aiuta a raggiungere il loro obiettivo: la chiusura dell’area a caldo della Ferriera. Così i comitati “5 Dicembre”, “No Smog” e “Fare Ambiente” cercano di scrollarsi di dosso l’etichetta di organismi di parte.

Adriano Tasso, Fabio Catalan e Giorgio Cecco spiegano: «Con Cosolini, sbattevamo regolarmente contro un muro. Dipiazza ci ascolta, ci accoglie, ci rende partecipi. In campagna elettorale, dovevamo scegliere tra chi ci era ostile pregiudizialmente, e chi non lo era. L’appartenenza politica non ci riguarda, contano i fatti». Già, i fatti. Cosa si aspettano dalla giunta attuale? «Certamente, non ci accontentiamo di parole e promesse, ma la presenza di Dipiazza è emblematica. Dal punto di vista della salute pubblica, l’area a caldo è condannata. Conta solo la volontà politica, e Cosolini, da questo punto di vista, ci ha solo presi per i fondelli». Comitati duri anche con la Regione: «La giunta Serracchiani aveva promesso un tavolo permanente per valutare la situazione e studiare evoluzione e provvedimenti. Risultato? Tavolo convocato a marzo e aprile 2015, poi sparito dall’agenda». Tra i partecipanti alla fiaccolata, anche cittadini direttamente colpiti da condizioni lavorative pericolose. Claudio Visintin, tra i più calorosi sostenitori di Dipiazza, ha preso la parola per spiegare che «non dobbiamo barattare il lavoro con la salute. Ho lavorato in porto maneggiando materiali rivelatisi pericolosi, e a distanza di anni, mi hanno diagnosticato placche sulla pleure. Non commettiamo l’errore di chiudere un occhio, la salute è sacra».

g.s.

 

La sfida di Dipiazza durante la fiaccolata -
Il sindaco alla manifestazione per la chiusura dell’area a caldo «Se non faccio sparire questo cancro dalla città me ne vado»
«Se non faccio sparire questo cancro dalla città, me ne vado». Con poche parole, pesanti come macigni, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza ha infiammato la fiaccolata organizzata ieri sera a Servola per la chiusura dell’area a caldo della Ferriera. L’impegno politico è inequivocabile, la promessa è solenne, la sfida alla cabala quasi temeraria, visto il precedente legato a Matteo Renzi, dimissionario dopo aver perso il referendum costituzionale cui aveva legato il suo mandato da presidente del Consiglio. Sono bastate poche parole a Dipiazza per scaldare la platea, un centinaio di persone circa: «Prima (nei due mandati tra il 2001 e il 2011, ndr) ero solo. Contro gli operai. Contro i sindacati. Contro i poteri forti. Adesso il vento è cambiato: comitati, associazioni e cittadini sono con noi, e insieme possiamo centrare un risultato storico. La nostra non è una posizione ideologica: le analisi sulle urine prospettano livelli di rischi inammissibili, abbiamo dati che certificano una situazione inaccettabile per gli abitanti di questa zona, e non siamo disposti a mercanteggiare la salute pubblica». «Inoltre - ha proseguito - rilevo che l’accordo di programma sottoscritto da Arvedi impone la copertura dei parchi minerari. I patti si devono rispettare, non si possono interpretare. Questo mese succederà qualcosa di importante a Taranto, Arvedi potrebbe spostare le sue mire da Trieste alla Puglia. In ogni caso, sono certo che siamo vicini al risultato tanto atteso e promesso in campagna elettorale: la chiusura dell’area a caldo». «I posti di lavoro? Il segretario generale del Comune ha già garantito che una parte degli occupati sarà riassorbita dalla macchina amministrativa comunale, troveremo una soluzione per tutto. Ma non accettiamo ricatti o compromessi al ribasso, vogliamo tutelare la salute dei triestini». Perfettamente a suo agio nel ruolo di mattatore dell’incontro, Dipiazza ha trovato un oppositore solitario, Nevio Carpani, che ha ironizzato sulle parole pronunciate dal sindaco: «Molta melina, ma non aveva detto che avrebbe chiuso l’area caldo in 100 giorni? Mi occupo della Ferriera da molto prima dell’arrivo di questi comitati, e non mi lascio incantare dalle solite boutade da campagna elettorale permanente». Alla voce fuori dal coro, Dipiazza ha ricordato che «nel 2011 avevo lasciato un impianto in predicato di chiudere. Nel 2013, la guida della Regione è cambiata e il Pd ha scelto di investire in una struttura che io avrei chiuso. I 100 giorni? Basta polemiche, io penso a lavorare». Dipiazza, spalleggiato dall’assessore Rossi, dal consigliere Giorgi e dal pittoresco leghista Slokar (presente anche il pentastellato Patuanelli), ha incassato il pieno appoggio degli organizzatori dell’iniziativa, i referenti dei comitati “5 Dicembre”, “No Smog” e “Fare Ambiente”. Per Adriano Tasso (No Smog) «anche l’Azienda sanitaria ha ribadito l’invivibilità della situazione. Lo studio commissionato già dalla giunta Cosolini inchioda l’area a caldo: i dati sono fuori da ogni parametro. Combattiamo da 20 anni, non ci arrendiamo e non c’è rischio di assuefazione. Anzi, con gli anni, la protesta non si affievolisce, ma acquisisce più forza. Arvedi sostiene di perdere un milione al mese. È così? Allora perché non prende provvedimenti?». Fabio Catalan (5 Dicembre) ha posto l’accento sulla necessità di «uscire dal conflitto tra lavoro e salute. Se c’è la volontà politica, una soluzione si trova. Chiudere l’area a caldo significa condannare tutta la Ferriera? Falso, l’accordo prevede che, in caso di inquinamento, si può procedere del singolo comparto». Concorde anche Giorgio Cecco, responsabile regionale di Fare Ambiente, che ha aggiunto: «Da un punto di vista economico, che prospettive ha un impianto siderurgico in centro? Trieste deve puntare su portualità e turismo. L’area a caldo danneggia l’ambiente e non rende economicamente. L’accanimento terapeutico non ha proprio senso».

Giovanni Stocco

 

 

Torna a galla il progetto della “Atlantide triestina”
Illustrata in Comune l’idea del polo subacqueo da creare in Porto vecchio a una profondità tra i 10 e i 14 metri. Previsti uffici, aule didattiche e un bar
Torna a galla dopo cinque anni il progetto di una Trieste sommersa. Illustrato già nel 2011, “Fulcrum”, che prevede un polo scientifico e turistico sott’acqua accanto alla vecchia diga foranea di Porto vecchio, è stato presentato agli uffici del Comune di Trieste lo scorso 14 novembre, per la richiesta di patrocinio e per illustrare l’impresa tanto faraonica e complessa quanto curiosa e innovativa. Il sito sottomarino sarebbe collocato a una profondità variabile tra i 10 e i 14 metri, con ambienti all’interno dei quali potersi fermare per lunghi periodi senza l’utilizzo di autorespiratori, come ad esempio un bar o una cappella per matrimoni, oltre ad altri dove poter nuotare e muoversi con l’apparecchiatura adatta. Un’idea che nasce da Gianfranco Bernardi, che con la sua associazione Atlantis da 22 anni raccoglie studi, ricerche, dati, rendering, approfondimenti e pareri di esperti, dimostrando quanto meno una volontà di ferro nell’inseguire un sogno nel quale ha coinvolto come progettista l’architetto Diego Pertoldi, con la collaborazione dell’ingegnere Vittorio Giaquinto e della professoressa Maria Orel. Il primo lotto comprende strutture a terra, una reception per accogliere i visitatori, uffici, laboratori di ricerca per la tutela del mare, aule didattiche, negozi, un diving center, una zona espositiva e altri locali di servizio. Il secondo lotto riguarda i collegamenti logistici, con tanto di parcheggio per pullman turistici; il terzo elenca strutture da realizzare sulla diga foranea, fondamentali per accedere al quarto lotto, quello sott’acqua, composto dalla torre di immersione, dalla cupola “fulcrum” (ambiente protetto con una cupola del diametro di 16 metri), poi la chiesa subacquea (dove poter celebrare matrimoni), e infine l’Arca, una sorta di nave sommersa da 18 metri. Grandi le ambizioni di Bernardi, che si leggono nero su bianco sulla descrizione consegnata al Comune. «Fulcrum intende dar vita a un progetto trainante per l’economia - spiega - creando un centro di attrazione turistica internazionale, che per le sue caratteristiche di assoluta peculiarità sarà visitato e frequentato da un elevatissimo numero di turisti da tutto il mondo, subacquei e non. “Fulcrum” inoltre - scrive - è stato definito affascinante e molto interessante dal rettore Maurizio Fermeglia, da esponenti della Sissa, dell’Ogs e dalla Libera Università di Bruxelles e ha già ottenuto il patrocinio della Camera di commercio di Trieste». Bernardi sottolinea e più riprese come si tratti di «un’iniziativa unica al mondo», per la quale ora attende anche il supporto del Comune di Trieste. «Confido nell’ottenimento del patrocinio - conclude - per poter continuare con efficacia la ricerca di sponsorizzazioni sia pubbliche che private». Al momento si glissa sull’esatto importo dell’impresa complessiva. Ma al di là della fattibilità o meno di “Fulcrum”, è innegabile l’attenzione verso il fronte subacqueo triestino, una città sotto la superficie del mare tutta da scoprire e da valorizzare. Tra le idee presentate negli ultimi anni, ad esempio, quella della Trieste Sommersa Diving, che aveva proposto l’affondamento di una vecchia unità della Marina militare ai margini della zona B della Riserva naturale marina di Miramare. Tutte le idee puntano a proteggere l’ambiente e, allo stesso tempo, a sfruttarlo come novità in grado di calamitare l’attenzione di un turismo internazionale. Non resta che attendere l’arrivo di qualche coraggioso finanziatore.

Micol Brusaferro

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 10 dicembre 2016

 

 

Il Giardino pubblico chiude i cancelli
Divieto d’accesso per consentire il taglio di due alberi malati. I residenti: «Assurdo bloccare tutto per un paio di piante»
Divieto d'accesso al Giardino pubblico. Da giovedì scorso il polmone verde ha chiuso i cancelli. I cartelli affissi sui diversi ingressi intorno all'intero perimetro del parco - via Giulia, via Volta, via Marconi - avvertono che dovranno essere abbattuti due alberi per ragioni di «pubblica incolumità», ma negli stessi avvisi si specifica che c'è la «necessità di avviare operazioni di manutenzione con le misure precauzionali necessarie in quanto giardino con terreno inquinato». Altri cartelli invece rimandano a Rete civica, il sito web del Comune, indicando soltanto: «Giardino pubblico chiuso! Per garantire la pubblica incolumità - vedi comunicato dell'amministrazione». Non c'è invece alcuna transenna che blocchi ulteriormente l'accesso. A confermare l'improvvisa interruzione interviene l'assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, che comunque ipotizza già una data di riapertura indicando sul calendario la metà della prossima settimana. «Si tratta di due alberi che hanno avuto la certificazione di tipo D, che vuol dire che sono a rischio cedimento - spiega - quindi dovranno essere abbattuti e per ragioni di pubblica sicurezza bisogna tenere l'area chiusa. Anche perché per le opere di manutenzione dobbiamo usare le misure precauzionali, perché si tratta di un giardino a terreno inquinato». Ma Lodi assicura anche che questa operazione non c'entra nulla con le opere di bonifica. «L'impresa dovrà fare le verifiche e saranno messi in sicurezza questi alberi - continua -, due saranno abbattuti, altri invece solo potati». Attività queste che sono previste dalle certificazioni conferite al verde pubblico in considerazione del grado di rischio. Così gli arbusti vengono «costantemente monitorati». All'interno del giardino rimarrà accessibile solo ai soci il bar dell'Associazione ricreativa addetti comunali. Ma intanto i residenti della zona, avendo visto i cartelli ieri mattina, hanno iniziato a lamentarsi della chiusura non capendone il motivo, come riportano alcuni negozianti. Tommaso Campisi, titolare dell'edicola di via Battisti all'angolo con via Rismondo, ha raccolto i dubbi dei suoi clienti e lui stesso è perplesso della temporanea interruzione. «È assurdo - dice - che per due alberi blocchino tutto. Quando hanno realizzato le altre opere di ristrutturazione hanno eseguito i lavori per lotti. Comunque se devono chiuderlo, lo facciano iniziando i lavori dallo stesso giorno in cui affiggono i cartelli. Se chiudono per la questione dell’inquinamento, è ora che il Comune risolva qualcosa». La reazione è collegata alla situazione che ormai si prolunga da tanti mesi in quel pezzo di verde pubblico, dove da troppo tempo restano appesi i cartelli con il divieto di calpestare l'erba. «Basterebbe aggiungere 15 centimetri di terra per risolvere tutto» propone Campisi. A fargli eco il barman del caffè Marconi, che suggerisce la medesima soluzione: «Che facciano come nell'area intorno alla piscina Acquamarina, dove è stata ammassata terra sulla superficie». I cittadini si sentono poco informati su questa situazione. Apprendono solo attraverso i cartelli di divieto che nulla cambia. Ester Buonati, dall'erboristeria di via Marconi, non va infatti più a correre all'interno del parco da quando non si può più calpestare l'erba. «Anche le mie amiche tendono a non portare più i propri bambini» afferma. Un altro signore, Emanuele Ziani, che d'abitudine porta il cane a passeggio attraversando il giardino, non comprende perché l'area verde, nonostante abbia questi cartelli che già vietano di camminare su parte dell'area a causa del terreno inquinato, sia rimasta aperta. «Dovevano chiudere subito il parco e provvedere alle bonifiche, perché comunque i bambini continuano a frequentare il luogo e nessuno controlla che ciò non avvenga». Conclude con una domanda: «A che cosa servono le regole se poi nessuno verifica che vengano rispettate?».

Benedetta Moro

 

SEGNALAZIONI - Ambiente - Inquinamento e morti premature

L’Agenzia europea per l’ambiente (Eeea) calcola in circa 500mila le vite perdute prematuramente – nei 28 Paesi Ue – per effetto dell’inquinamento atmosferico. Responsabili sono soprattutto le elevate concentrazioni di polveri fini (Pm2,5 in particolare), il biossido di azoto (No2) e l’ozono (O3). Senza dimenticare i contributi di altri inquinanti, come il benzo(a)pirene, il monossido di carbonio, i metalli pesanti, ecc. Tra i dati più significativi del rapporto, quello secondo cui tra l’87 e il 93% della popolazione europea è esposto a livelli di Pm2,5 superiori al limite – media annua di 10 microgrammi per metro cubo - raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Who) fin dal 2006. Limite non recepito, ancora, dalle direttive europee e dalla legislazione italiana. Quale la situazione in Italia e nelle nostre realtà locali? Venendo al Friuli Venezia Giulia, i dati Arpa mostrano che nelle poche centraline (solo quattro dal 2011 al 2014, cinque nel 2015) in cui le Pm2,5 venivano misurate, i valori medi annui registrati hanno superato sempre (!), nel quinquennio 2011-2015, il limite raccomandato dal Who. A Trieste, l’unica centralina (in piazza Libertà) in cui si sono misurate le Pm2,5 ha fatto registrare medie di 18 microgrammi per metro cubo nel 2011 e 2012, scese a 15 nel 2013 e a 13 nel 2014, risalite però a 16 nel 2015. I dati del 2016 non sono ancora disponibili, ma uno sguardo ai valori giornalieri – nel sito dell’Arpa (www.arpaweb.fvg.it) – permette di vedere che nella maggior parte delle giornate è stato superato, anche di varie volte, il limite dei 10 microgrammi per metro cubo. E non soltanto nei mesi freddi. Analoga la situazione delle altre due centraline (in via del Ponticello e via del Carpineto), nelle quali solo dallo scorso settembre viene misurato questo parametro: non sarà quindi possibile ottenere una media annuale 2016 sui due siti ma la tendenza è chiara. Varrebbe perciò la pena che ARPA ed istituzioni sanitarie valutassero l’impatto di questi livelli di inquinamento sulla salute dei cittadini, stimando anche il numero delle vite perdute. Ne potrebbero ricavare impulso le politiche pubbliche volte a ridurre le emissioni inquinanti che, per le Pm2,5 nell’area triestina, provengono soprattutto dall’industria (Ferriera di Servola in primis), mentre per l’No2 derivano in primo luogo dal traffico motorizzato. Di queste politiche, però, ancora non c’è traccia: la vicenda dell’Aia, concessa alla Ferriera con manica vergognosamente larga (nel 2007 come nel 2015) ne è una prova, come lo è la pluridecennale assenza di scelte lungimiranti per limitare il traffico motorizzato. Non è un problema tra i tanti: c’è chi ne muore.

Dario Predonzan

 

 

SEGNALAZIONI - Sicurezza stradale- Impegno da mantenere

Come Fiab Trieste Ulisse ricordiamo che tra gli impegni presi in campagna elettorale dal sindaco Dipiazza vi è quello di "utilizzare il 10% dei fondi a disposizione per i lavori pubblici finalizzati per la sicurezza di pedoni e ciclisti" (richiesta fatta da Fiab) ed ha inserito questo punto anche nel programma dei suoi primi 100 giorni "predisponendo un piano". Anche alla luce della tragedia di questa mattina è urgente mantenere l'impegno.

Federico Zadnich Fiab Trieste Ulisse
 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 9 dicembre 2016

 

 

Acque reflue, ricorso Ue - Coinvolto anche il Fvg - Servola e Cervignano, rischio di multa milionaria
TRIESTE - L'Italia è finita nella “tagliola” della Commissione europea per non essersi ancora completamente adeguata al sistema di depurazione e fognatura come chiede da quattro anni la Corte di giustizia europea.

Da Rapallo a Ischia e Cefalù sono ancora 80 gli agglomerati sotto scacco che non si sono ancora adeguati alla direttiva europea sulla raccolta e il trattamento delle acque reflue. E due di questi sono in Friuli Venezia Giulia: uno a Cervignano, l’altro è Servola. La fattura che l’Ue potrebbe recapitare allo Stato, il quale poi si rivarrebbe sulla quota parte sulle varie Regioni coinvolte - rischia di essere salata: per il ritardo accumulato Bruxelles ha portato nuovamente l'Italia sul banco degli imputati alla Corte Ue chiedendo ai giudici europei di applicare a Roma una sanzione forfettaria di 62,69 milioni di euro, con «l'aggiunta di una multa di circa 347mila euro per ogni giorno» di ritardo che l'Italia potrebbe accumulare a partire dal nuovo pronunciamento della Corte. Roma ha circa 12 mesi per mettersi in conformità con il numero maggiore delle aree sotto accusa, per limitare la sanzione che è proporzionale ai risultati che sono stati realizzati. Bruxelles giustifica la sua decisione con l'obiettivo di evitare gravi rischi per l'ambiente ma soprattutto per gli oltre sei milioni di cittadini che abitano in quelle aree. In Fvg, interviene l’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito sottolineando che «la Regione, insieme al Governo, ha stanziato già quasi cento milioni di euro e, nei casi più datati, i lavori per superare le procedure di infrazione comunitarie comminate alla nostra regione sono già partiti se non addirittura quasi ultimati. Stiamo facendo tutto il possibile per risolvere un pesantissimo problema ereditato dal passato e su cui da subito ci siamo messi all'opera per poterlo sanare». Le procedure di infrazione in cui è coinvolto anche il Fvg «sono causate - spiega Vito - da ritardi accumulatisi nelle passate amministrazioni e su cui ci siamo impegnati per affrontarli attraverso impegni concreti». «Pur non essendoci giunta ancora comunicazione ufficiale sulla quantificazione della sanzione - spiega Vito - questa giunta fin dal suo insediamento ha subito impresso una forte accelerazione». Vito cita «i tre accordi di programma siglati negli ultimi tre anni, che di fatto hanno sbloccato 95 milioni. Abbiamo recuperato risorse ferme da più di dieci anni, portando avanti impegni che erano rimasti purtroppo nel cassetto». Con la prossima legge di stabilità «la Regione investirà altri 1,9 milioni a favore degli agglomerati residuali interessati dalle procedure di infrazione». E ci sarà un milione per i privati «per l'allacciamento alla rete fognaria in quei comuni interessati da procedure di infrazione. A Servola - per cui a marzo 2014 è stato sottoscritto un accordo di programma con il ministero per52,5 milioni di euro - il cantiere per l'adeguamento dell'impianto di depurazione è stato avviato.

 

 

Più attenzione al verde nei nuovi progetti edilizi - La Commissione per la qualità urbana appena insediata detta le nuove regole
Previsti interventi correttivi nel nome del paesaggio in caso di edificazioni
Parola d’ordine: ricostruire il paesaggio. Committenti, aziende e professionisti sono avvertiti. Se volete realizzare un progetto che implica significative modifiche per il sito interessante o per il contesto paesaggistico coinvolto, dovete pensare a “misure di compensazione” che aiutino a reintegrare dal punto di vista eco-culturale-ambientale il tessuto alterato. Come? Attraverso varie forme di intervento: opere di ingegneria naturalistica, verde pensile o verticale o a fasce, ri-naturalizzazione delle aree compromesse, correlazioni con i percorsi ciclo-pedonali o con gli itinerari storico-culturali, segnaletica, ripristino delle aree di cantiere. Tali interventi potranno svolgersi all’interno dell’area interessata o ai margini o anche in luoghi distanti dall’area stessa. Queste “misure di compensazione” rappresentano la novità di maggiore rilevanza nell’ambito dei criteri adottati dalla Commissione per il paesaggio e qualità urbana, organismo consulente del Comune, insediatosi il 30 novembre scorso alla presenza dell’assessore all’Urbanistica Luisa Polli. I lavori sono stati coordinati da Roberto Prodan, posizione organizzativa “situ e vas” nel servizio di pianificazione urbana. Sono sei i criteri generali individuati dalla Commissione per la valutazione delle proposte progettuali relativamente alla tutela di paesaggio & qualità urbana: l’ubicazione, i tipi di intervento, la qualità progettuale, i materiali utilizzati, l’inserimento nel contesto, le già evidenziate misure di compensazione. I primi cinque requisiti confermano in sostanza - - ha riepilogato Prodan - ambiti valutativi già elaborati, mentre le “misure compensative” sono la novità di stagione. Non sfugge che alcuni dei dossier, al vaglio della Commissi8one, toccano temi frequenti nel pubblico dibattito: è il caso dei “dehors” (arredi, tende, pedane, pannelli, fioriere, ecc.) Nel recente passato, nell’«era Picchione» in Soprintendenza, i pareri della Commissione non sempre collimavano con quelli di palazzo Economo. Ricordiamo che il passaggio in Commissione è propedeutico al giudizio vincolante della Soprintendenza. Infine, ai sei criteri generali ora citati si aggiungono le indicazioni sulla sostituzione dei serramenti nel centro storico triestino. Le “compensazioni” - spiega ancora Prodan - sono state pensate soprattutto nei casi in cui siano alla ribalta progetti situati nelle aree paesaggistiche di pregio, come la riviera e il Carso. Verde, alberature, cartelli informativi, percorsi naturalistici parteciperanno a moderare l’impatto di interventi realizzativi “forti”. Adesso i sei criteri generali sono consultabili nell’albo pretorio, affinchè possano esservi proposte modifiche, integrazioni, ecc. Dopo trenta giorni dalla pubblicazione i criteri avranno definitiva approvazione. La Commissione è stata nominata con una delibera giuntale, che ha tenuto conto di terne di candidati suggerite dagli ordini professionali e dall’Università: ne fanno parte l’architetto Pietro Cordara, l’ingegner Ermanno Simonati, l’ingegner Peter Sterni, l’architetto Enrico Torlo, il geologo Paolo Venier, il perito edile Alessandro Zerbo. Come si diceva, all’insediamento ha presenziato l’assessore Polli, che ha inteso sottolineare il ruolo autonomo dell’organismo tecnico, importante perchè dovrà rapportarsi con committenza e professionisti su aspetti progettuali spesso piuttosto delicati. «E perchè si va verso un rinnovamento degli strumenti di pianificazione territoriale - ha chiarito ancora l’assessore - a partire dal febbraio 2017 ci sarà l’adozione del Piano paesaggistico regionale con la cosiddetta vestizione delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico. Occorrerà un paio di anni per recepire il Piano paesaggistico all’interno del Piano regolatore comunale». Altra novità menzionata da Luisa Polli concerne il Piano particolareggiato del Centro Storico, un lavoro che gli uffici stanno impostando e che si protrarrà per circa un anno. Riteniamo che si tratti di uno strumento importante per consentire la ripresa dell’attività imprenditoriale nei settori edile e immobiliare».

Massimo Greco

 

 

Patto fra Regione e Muggia per una viabilità più sicura - La convenzione consente al Comune di rilanciare il progetto “Prodest Zone 30”
E così nel 2018 in centro sarà rifatta la minirotatoria e arriverà una pista ciclabile
MUGGIA - La riqualificazione dell’attuale minirotatoria e una nuova pista ciclabile. Muggia ha intenzione di rifarsi il look anche nel proprio centro cittadino grazie a “Muggia Pro.de.st. - Progettazione e realizzazione di Zone 30 nel territorio comunale”, il nome dell’intervento cofinanziato dallo stesso Comune di Muggia e dalla Regione che, attraverso la convenzione tra i due enti, compie ora un passo significativo nel consolidamento di un iter intrapreso tre anni fa. Il progetto preliminare prevede la realizzazione di una rotatoria stradale laddove ora si trova una “coppa rotatoria” tra le vie Roma, Tonello, Frausin e largo Caduti per la Libertà, nonché la creazione di una pista ciclabile sulla via Battisti ed alcuni interventi di illuminazione in corrispondenza degli attraversamenti pedonali esistenti nel centro di Muggia. Un’opera importante, quindi, realizzabile a fronte di una spesa complessiva di 158mila euro, di cui 100mila di cofinanziamento da parte della Regione e la restante parte di 58mila a carico del Comune di Muggia. Un progetto che vedrà, una volta trovate le poste in bilancio, lo svolgersi di tutte le procedure amministrative volte alla concretizzazione degli interventi, dall’incarico del progetto definitivo al cantiere vero e proprio. Una data possibile di realizzo delle due opere potrebbe essere il 2018. «È un progetto con una molteplice valenza», racconta il vicesindaco Francesco Bussani come assessore ai Lavori Pubblici: «Da un lato si vuol cercare di semplificare la viabilità esistente in un punto nevralgico per la viabilità cittadina, introducendo una rotatoria che faciliti l’approccio alla strada anche da parte dei turisti o di chi semplicemente si ritrova ad affrontare quel tratto di Muggia per la prima volta. Dall’altro, anche sul piano della sicurezza, non si può sottovalutare che ci si trova in una zona della città densamente abitata e frequentata da diverse categorie deboli che vanno tutelate». Un’attenzione per la mobilità urbana sostenibile che va a implementare la novità apportata su via Battisti dalla precedente giunta Nesladek, che l’aveva trasformata in una Zona 30 - istituendone il limite di velocità di 30 chilometri all’ora appunto - proprio perché su quell’arteria stradale esistono molti condomini densamente abitati con diversi accessi carrai, due supermercati, un cantiere navale, la Società nautica Pullino, un laboratorio di analisi, un bar, un hotel e il parcheggio Caliterna. «La realizzazione di questo nuovo tratto di ciclabile rappresenta inoltre un collegamento importante tra la rete di ciclabili realizzate sino ad ora ed il centro cittadino e la risposta, quindi, a quanto chiesto da cicloturisti e associazioni del settore oltre che dai nostri cittadini», aggiunge il vicesindaco Bussani. Senza dimenticare che, nell’ottica della progettualità sulla riqualificazione della costa, l’amministrazione Marzi ha intenzione di aggiungere un ulteriore tassello nella direzione di quello che dovrebbe essere lo scenario finale: un percorso ciclopedonale fronte mare senza interruzioni su tutto il territorio comunale muggesano.

Riccardo Tosques

 

 

Sbarca in riviera il Servizio civile - Ok all’accreditamento nazionale. La novità coinvolgerà fino a quattro giovani l’anno
MUGGIA Prestare Servizio civile nel Comune di Muggia? Ora si può. Importante novità per l’amministrazione Marzi che ha ottenuto l’ok per l’accreditamento al Servizio civile nazionale al fine di iscriversi all’albo nazionale per la realizzazione di progetti rivolti ai giovani. L’accordo di partenariato tra Arci Servizio civile Fvg e Comune di Muggia permetterà di svolgere azioni comuni per garantire un’efficiente gestione dei volontari in servizio civile nazionale. «Attraverso la firma della Carta di Impegno etico, le parti partecipano all’attuazione di una legge che ha come finalità il coinvolgimento delle giovani generazioni nella difesa della Patria con mezzi non armati e non violenti, mediante servizi di utilità sociale», racconta il sindaco Laura Marzi. Servizi tesi, come evidenziato nel testo condiviso, a «costituire e rafforzare i legami che mantengono coesa la società civile, rendono vitali le relazioni all’interno delle comunità, allargano alle categorie più deboli e svantaggiate la partecipazione alla vita sociale, attraverso azioni di solidarietà, di inclusione, di coinvolgimento e partecipazione». Nello specifico, il Servizio civile nazionale proporrà ai giovani muggesani l’investimento di un anno della loro vita, in un momento critico di passaggio all’età e alle responsabilità dell’adulto. Il Servizio presuppone come metodo «l’imparare facendo», a fianco di persone più esperte. «Siamo molto felici di esserci accreditati per realizzare queste attività e siamo grati ai ragazzi e alle ragazze che sceglieranno di partecipare ai progetti messi in campo dal nostro Comune», dice l’assessore Mirna Viola, che evidenzia ancora come il servizio civile sia «un’occasione di crescita e di sviluppo del senso civico». I nuovi aderenti saranno impegnati per un anno in progetti definiti dal Comune già all’inizio del 2017 nel campo della cultura e della promozione del territorio. Il numero massimo di giovani che annualmente possono essere ammessi, nel caso di Muggia, saranno da 2 a 4. I termini per le domande scadranno a giugno per un servizio che sarà attivo nel 2018.

(ri.to.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 8 dicembre 2016

 

 

Test sui servolani, campioni da distruggere

L’Azienda sanitaria: «Impossibile effettuare le ulteriori analisi chieste dal sindaco». E in commissione divampa la polemica
«Il sindaco ci chiede di effettuare ulteriori analisi su quegli stessi campioni. Ma questo non è possibile, in quanto il comitato etico ha autorizzato lo studio soltanto per quelle rilevazioni, tanto che i campioni devono essere distrutti. Come Azienda sanitaria intendiamo invece aderire al prossimo studio regionale che analizzerà campioni di sangue e urine di persone che abitano a Servola, ma anche in zone limitrofe alla Centrale di Monfalcone e all’ospedale di Gorizia». Così Valentino Patussi, direttore Dipartimento di Prevenzione dell’Asuits, insieme al direttore sanitario Emanuela Fragiacomo, nel corso dell’audizione della I Commissione consiliare, intervenendo sui risultati del recente report sullo «stress ossidativo», che ha messo a confronto i valori delle urine (oltre che della qualità della vita e della salubrità ambientale percepita) degli abitanti di Servola con quelli di Guardiella. «Lo studio sullo stress ossidativo cellulare ha evidenziato che a Servola esiste una aggressione di inquinanti importante - ha rimarcato Patussi -. Ma il fatto che solo un piccolo campione ha accettato di sottoporsi all’esame delle urine (poco più di 60 persone), non ci permette di avere un dato sufficientemente significativo, che dunque non può essere riferito a una singola fonte». Il nuovo studio della Regione, realizzato in collaborazione con il Cro di Aviano, che partirà a breve, andrà ad analizzare sangue e urine di 50 persone residenti a Servola (25 uomini e 25 donne), altrettante a Monfalcone e a Gorizia. «Stiamo parlando della presenza di metalli nel sangue e di idrossipirene urinario, elementi che hanno una valenza più diretta» ha aggiunto Patussi, che però ha specificato come lo studio del 2008, effettuato su 68 persone abitanti a Servola, «proprio a causa del campione ridotto non ha prodotto risultati e differenze statisticamente rilevanti». Affermazioni che hanno surriscaldato il clima e hanno acceso il dibattito politico. «Non riesco a capire per quale motivo allora lo studio non sia stato ricalibrato in corsa - ha affermato l’assessore comunale all’Ambiente Luisa Polli -. Se andiamo avanti di questo passo la Ferriera tra cento anni sarà sempre lì. E allora perché stiamo spendendo tutti questi soldi pubblici? Credo che dovremmo lavorare tutti insieme con grande senso di responsabilità per arrivare a un risultato finale». Gianrossano Giannini (M5S), insieme al consigliere regionale pentastellato Andrea Ussai, ha rimarcato che «è evidente che dallo studio emergono delle differenze significative tra gli abitanti di Guardiella e quelli di Servola su qualità della vita, salubrità ambientale e livelli di inquinamento», mentre Guido Apollonio e Manuela Declich (Fi) hanno posto l’accento su una «situazione decisamente imbarazzante. Non si riesce a capire quali siano i dati reali emersi e soprattutto che senso abbia avuto questo report». Sconcerto è stato espresso anche da Roberto De Gioia (Verdi-Psi), per il quale «sono anni che sulla vicenda si assiste a un rimpallo di responsabilità tra azienda sanitaria e istituzioni e intanto a rimetterci sono gli abitanti di Servola». A surriscaldare il confronto politico l’intervento di Giovanni Barbo (Pd), secondo cui «è inopportuno scaricare le responsabilità sull’Azienda sanitaria. C’è invece qualcuno che ha promesso la chiusura della Ferriera in cento giorni. Bisogna stare attenti a prendere degli impegni che poi non si possono mantenere». Chiusura affidata ancora a Patussi. «L’Azienda sanitaria in questi anni ha sempre svolto il proprio lavoro e ha fornito alle istituzioni tutti i dati tecnici elaborati. Detto questo, non spetta a noi, bensì ad altri, trarre le conclusioni e prendere delle iniziative. Per quel che riguarda la Ferriera, sicuramente negli anni c’è stata una evidenza inquinante legata allo stabilimento di Servola, ma voglio ricordare che la situazione ambientale negli ultimi tempi è migliorata e questo viene certificato dalle centraline di rilevamento».

Pierpaolo Pitich

 

Le reazioni - Incredulità e rabbia degli ambientalisti
«La sensazione che traspare è che si continui a portare dei mattoni, ma che alla fine la casa non sia mai terminata».

La metafora usata da Alda Sancin dell’associazione No Smog inquadra perfettamente quello che è lo stato d’animo dei rappresentanti degli ambientalisti al termine dell’audizione dei tecnici dell’Azienda sanitaria nel corso della seduta della I Commissione consiliare presieduta da Antonio Lippolis (Lega Nord). Un sentimento di incredulità misto a rabbia, che deriva dal fatto che si arrivi ancora alla cosiddetta quadratura del cerchio. «La questione è alquanto strana - ha esordito Sancin -. Lo studio ha dimostrato che esiste un forte disagio legato alla situazione ambientale a Servola, mentre ci sono dati preoccupanti sul fronte delle analisi delle urine. Eppure non si riesce a mettere in correlazione le conseguenze dello stress con quella che ne è la causa principale. Le criticità sono state evidenziate più volte, ma si rimane sul piano accademico. Sembra quasi che ci sia la paura a fare questo collegamento diretto e ciò non fa onore all’Azienda sanitaria». Esplicito il ragionamento tracciato da Andrea Rodriguez del Comitato 5 dicembre. «È tutto molto chiaro. Già lo scorso anno l’Azienda sanitaria aveva evidenziato che la Ferriera costituiva un problema per la salute nel rione di Servola e adesso lo ribadisce nuovamente - ha affermato -. Lo studio rileva infatti che esiste una situazione complessiva che produce effetti negativi sulla salute pubblica se presa in riferimento a un’altra area della città dove non c’è la presenza di insediamenti industriali. I dati dunque ci sono. Ulteriori analisi sono solo una pagliuzza in confronto alla trave che abbiamo già a disposizione». Sulla stessa lunghezza d’onda Adriano Tasso, segretario di No Smog. «Tutti i dati che sono emersi noi li conoscevamo perfettamente da tempo - ha chiarito -. Il problema vero è che emerge la difficoltà dell’Azienda sanitaria a dichiarare la pericolosità dello stato di salute a Servola. In sostanza ci sono tutti gli elementi per dare la possibilità al sindaco e all’amministrazione di prendere dei provvedimenti precisi. A iniziare dalla chiusura dell’area a caldo della Ferriera. Mettere invece a confronto la situazione di Servola con quelle di Monfalcone e Gorizia non ha nessun senso, in quanto parliamo di sistemi di produzione diversi». A prendere la parola anche due residenti a Servola. «Vicino a casa mia non ci sono autostrade né porti, eppure devo sempre tenere le finestre chiuse. Abito a pochi metri dalla Ferriera e non so più cosa fare» ha affermato Bianca Degrassi, mentre Livio Scridel ha dichiarato: «Ho perso mia moglie, mi sono ammalato anch’io e anche mia figlia. Quanto dobbiamo ancora aspettare noi cittadini? Chiedo al Comune di difendere la mia famiglia».

(p.pit.).
 

 

Quest’anno a Trieste morti quattro pedoni - Fiab Ulisse fornisce i dati, appoggia la petizione degli studenti e incalza il sindaco sulle promesse fatte
Quello che venerdì scorso ha strappato la vita a Giulia Buttazzoni a soli 15 anni è, purtroppo, solo l’ultimo di una lunga serie di incidenti stradali che hanno coinvolto, loro malgrado, i pedoni.

Solo nel 2016, secondo i dati dell’archivio regionale Aris, a Trieste ci sono stati in tutto 1.192 incidenti, per un totale di 615 feriti e 4 morti, questi ultimi tutti pedoni. A snocciolare questi numeri da brivido è la Fiab Trieste Ulisse, che in una nota ha voluto sostenere pubblicamente gli studenti dell’istituto scolastico Deledda-Fabiani - i compagni di Giulia -, che hanno lanciato una petizione per chiedere al sindaco Roberto Dipiazza interventi d’urgenza sulle strade per tutelare la sicurezza dei pedoni. «La sicurezza stradale riguarda non solo gli studenti, ma i cittadini tutti e vi è la necessita di programmare e mettere in campo interventi pluriennali» si legge nel comunicato della Ulisse-Fiab. Il gruppo cicloturisti e ciclisti urbani di Trieste ne approfitta, quindi, per ricordare «gli impegni che il primo cittadino ha preso con la nostra associazione per adottare misure atte a prevenire tragedie come quelle della studentessa falciata sulle strisce pedonali qualche giorno fa» e ribadire «l’urgenza di mantenere fede principalmente a questi due impegni: utilizzare il 10% dei fondi a disposizione per i lavori pubblici per la sicurezza di pedoni e ciclisti e realizzare entro il 2017 il piano straordinario per la sicurezza dei percorsi casa-scuola con zone 30 e interventi di moderazione del traffico da attuare nei prossimi tre anni». Non solo: la Fiab sollecita la Giunta Dipiazza a partecipare al bando da 35 milioni di euro promosso dal Ministero dell’Ambiente su progetti di mobilità sostenibile (casa-scuola e casa-lavoro) in scadenza il prossimo 10 gennaio, «progetto che potrebbe portare alle casse comunali risorse per interventi a tutela degli utenti deboli». La Ulisse-Fiab fa sapere, infine, che si è già resa disponibile con i rappresentanti degli studenti del Deledda-Fabiani per diffondere tra i suoi soci la petizione e per un confronto con i ragazzi. L’obiettivo è quello di unire le forze per creare, a Trieste, strade a misura di persona, nella speranza che simili tragedie non si verifichino più.
 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 7 dicembre 2016

 

 

Rientra l’allarme amianto nella scuola di Sistiana - L’Azienda sanitaria rassicura i genitori riuniti in assemblea: «Non ci sono rischi»
E il Comune di Duino Aurisina procederà con la ripavimentazione in estate
Il casuale distacco di una mattonella, in un’aula, aveva sollevato della polvere, generando polemiche che avevano coinvolto la giunta di Vladimir Kukanja

L’aula era stata subito evacuata e chiusa a chiave, e della questione la preside Cinzia Scheriani aveva immediatamente informato le autorità competenti

L’ingegner Renzo Simoni, a capo della Struttura semplice Igiene tecnica del lavoro dell’Asuits ed esperto di amianto, ha compiuto un sopralluogo rassicurando tutti

DUINO AURISINA - Non c’è rischio amianto per gli alunni della scuola De Marchesetti di Borgo San Mauro, a Sistiana, nel Comune di Duino Aurisina Lo ha confermato, nel corso di una pubblica assemblea, che ha visto presente una sessantina di genitori, convocata dalla dirigente scolastica Cinzia Scheriani, l’ingegner Renzo Simoni, responsabile della Struttura semplice denominata Igiene tecnica del lavoro dell’Asuits, l’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste. All’incontro ha presenziato anche l’assessore all’Istruzione dell’amministrazione guidata dal sindaco Vladimir Kukanja, Marija Brecelj, accompagnata dall’ingegnere capo del Comune di Duino Aurisina, Marco Cartagine. Simoni - che aveva già assunto dettagliate informazioni al riguardo e provveduto a effettuare un sopralluogo nell’aula nella quale si era verificato, pochi giorni fa, l’incidente (la rottura e il sollevamento di mezza mattonella) dal quale si era poi originata una vivace polemica, culminata nell’invio, da parte di 65 genitori, di una lettera indirizzata al Comune, nella quale si chiedeva «un immediato intervento per salvaguardare la salute dei ragazzi della scuola» - ha dunque rassicurato tutti. «Queste mattonelle contengono una scarsissima quantità di amianto - ha detto - che non può essere usurato dal semplice calpestio dei frequentatori dell’edificio scolastico. Non c’è verosimilmente alcuna possibilità che escano fibre di amianto, perciò - ha aggiunto - la scuola si può considerare sicura» Sull’argomento ha voluto esprimersi anche Brecelj: «Il progetto che prevede la sostituzione dell’intera pavimentazione della De Marchesetti è stato approvato da tempo - ha precisato - anche perché, consapevoli della necessità di intervenire, abbiamo chiesto e ottenuto, mesi fa dalla Regione, lo stanziamento di risorse da spendere a questo scopo (si tratta di 225mila euro, ndr). Essendo altrettanto certi che non ci sono rischi per i ragazzi - ha proseguito la componente della giunta Kukanja - abbiamo programmato il cantiere per la prossima estate, quando non ci sono lezioni. È evidente - ha continuato - che si tratta di un lavoro da eseguire da parte di squadre altamente specializzate, isolando l’intero edificio». Brecelj ha anche voluto ribadire che «l’incidente di qualche giorno fa è stato ingigantito e non sappiamo il perché». I genitori si sono dimostrati nel complesso piuttosto sollevati, anche se qualcuno ha voluto puntualizzare che, nella delibera con cui l’amministrazione aveva chiesto le risorse alla Regione, si parlava di «intervento da fare con immediatezza». «È una terminologia - ha evidenziato Brecelj - che si usa sempre in questi casi e che non riguarda l’aspetto della tutela dei ragazzi. Non siamo così temerari - ha concluso l’assessore - da mettere in pericolo gli studenti di questa o di qualsiasi altra scuola del Comune». Al termine dell’assemblea, Brecelj ha annunciato che, «in ogni caso, si procederà all’analisi dell’aria nella zona della scuola, per togliere qualsiasi residuo dubbio a chiunque ne nutra ancora». In occasione del recente incidente, l’aula interessata era stata subito isolata e l’intervento per riportare il pavimento in sicurezza era stato eseguito di domenica per non interrompere le lezioni.

 Ugo Salvini

 

 

SEGNALAZIONI -  CLIMA Pochi gradi ma gran danno

Tre giorni fa ho realizzato alcune riprese nel Giardino pubblico di Trieste, ancora insolitamente colorato di rosso e ricco di alberi che portano ancora le foglie. Aceri, platani, cinciallegre, passeri, uno schivo pettirosso e un’anziana che da loro da mangiare sono gli attori principali. Questi colori autunnali ritardati sono lo spunto per chiudere con qualche considerazione sui cambiamenti climatici in atto, acquisite nel corso della 16a conferenza annuale dell’Unione Meteorologica del Fvg tenutosi ad Aquileia lo scorso 19 Novembre, conferenza alla quale ho partecipato. Filippo Giorgi del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, già vice presidente del gruppo di lavoro sui cambiamenti climatici, vincitore del premio Nobel per la pace nel 2007 e Renato Roberto Colucci del Cnr-Ismar Trieste hanno presentato dati tanto interessanti quanto allarmanti. Nelle ultime settimane si sta assistendo a un’anomalia di temperatura così elevata e soprattutto per così a lungo da non avere precedenti nelle osservazioni storiche, e negli ultimi 10 anni le misure di temperatura rilevate in Artico sono troppo spesso troppo al di sopra della curva climatica. L’Artico è supersurriscaldato e una vasta area di aria polare fredda si è spostata sopra la Siberia. Allo stesso tempo, uno dei principali indicatori dello stato della regione artica - l’estensione del ghiaccio marino che copre l’oceano polare - è a un minimo storico. Il ghiaccio si sta nuovamente congelando, come sempre questo periodo dell’anno dopo aver raggiunto il suo minimo a settembre, ma non lo sta facendo così rapidamente come al solito. In parole povere, non stiamo più congelando il ghiaccio nel freezer per prepararci all’estate. Le temperature artiche sono superiori di circa 20 gradi sopra all’ottantesimo parallelo. Solo 5 gradi sotto lo zero anziché -25! Quindi non solo le temperature dell’aria, ma anche la diminuzione dell’estensione globale del ghiaccio marino e la contemporanea anomalia negativa in Antartico ed Artico è senza precedenti, e a metà novembre per diversi giorni la superficie marina ghiacciata nell’Artico è calata anziché aumentare... una situazione senza precedenti. Non è questione di fare i pignoli per pochi gradi di differenza: il problema di fondo è comprendere che questa speciale molecola che è l’acqua, alla base di ogni forma vivente, ha un curioso comportamento: si "gonfia", si espande nel solidificarsi, al contrario delle altre sostanze e una volta fusa o congelata le cose cambiano completamente per tutti gli organismi viventi. L’albedo, il calore latente, il volano termico... insomma, la complessità e l’importanza determinante di questa molecola rende tanto più pericolosi questi cambiamenti di temperatura a cavallo della temperatura di congelamento, a 0°. Passare da -2 a + 2 è molto più pericoloso che passare da +4 a +8 gradi. E noi stiamo assistendo proprio a cambiamenti che sfiorano questa temperatura critica dei 0 gradi.

Dario Gasparo

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 6 dicembre 2016

 

 

La Riserva marina cambia vita - Via al trasloco nelle ex scuderie

Dopo trent’anni nella storica “casa” del Castelletto la struttura gestita dal Wwf Italia si sta spostando Il centro didattico nei nuovi spazi riaprirà dalla prossima estate con un allestimento innovativo - Non è esclusa l’introduzione di un biglietto d’ingresso Previsti eventi divulgativi su temi specifici e sistemi multimediali
Ci sono voluti trent’anni affinchè se ne andasse via di casa. La Riserva marina di Miramare ha fatto le valigie in occasione dei festeggiamenti del trentennale, salutando la sua storica sede all’interno del Gartenhaus, il prestigioso Castelletto che si affaccia sul porticciolo di Grignano. Per i ricercatori del Wwf Italia, soggetto gestore della Riserva statale, quello di questi giorni è un vero e proprio trasloco, con tanto di scatoloni, nastro adesivo e imballaggi. La sfida che attende il primo parco marino istituito in Italia, a seguito di un decreto del ministero dell’Ambiente datato 12 novembre 1986, è quella di archiviare in breve tempo la nostalgia per il forzato addio e di gettare le basi per «l’Area marina 3.0», come l’ha definita il suo direttore Maurizio Spoto. Il nuovo centro didattico troverà posto nell’ala destra delle ex scuderie di Miramare, in uno spazio di circa 200 metri quadrati. Sono molte le novità di rilievo che si stanno profilando all’orizzonte di questa struttura, fra le quali spicca la possibile introduzione di un biglietto di ingresso. È proprio Spoto a comunicarlo, durante la pausa di un convegno che l’ha visto impegnato come relatore. Il pagamento di una modesta quota d’ingresso sembra essere un passo necessario per poter affrontare la gestione del nuovo spazio didattico. I dettagli di questa operazione sono ancora tutti da definire. Prima di determinare il costo del biglietto, infatti, va fatta luce su alcuni aspetti determinanti. «Dobbiamo ancora conoscere quale sarà il canone di locazione del nuovo Centro visite - spiega Spoto - e a quali costi di gestione dovremo fare fronte. Speriamo di poter concordare un canone agevolato, anche in considerazione dell’importante ruolo che ricopriamo e dell’attrazione che esercitiamo soprattutto verso i più giovani». Solo il nuovo superdirettore promesso dalla riforma Franceschini potrà fare chiarezza su questi particolari che, molto probabilmente, porteranno i diretti interessati a sedere attorno a un tavolo di contrattazione. Nel frattempo l’operazione di uscita dal Castelletto deve andare avanti, visto che la vecchia sede deve essere liberata entro la fine dell’anno. Spoto & C. si sono tirati su le maniche e, per abbattere i costi, hanno deciso di provvedere in prima persona al trasloco, facendo lavorare a pieno ritmo il furgone del Wwf. La gestazione per vedere il nuovo centro didattico sarà lunga, dal momento che non aprirà i battenti prima dell’estate. Non si tratta semplicemente di spostare del materiale dalla vecchia alla nuova sede, ma di ripensare uno spazio museale secondo dei criteri moderni. «Abbiamo concordato con il ministero dell’Ambiente di allungare lo sguardo ben oltre le boe che delimitano l’area protetta di Miramare - sottolinea Spoto - interessandoci ai diversi ambienti naturali del golfo di Trieste e dell’Alto Adriatico». Scogliere, fondali sabbiosi, fangosi e praterie: l’attenzione dei ricercatori del Wwf si sposterà in generale sulla biodiversità marina e costiera, anche attraverso eventi divulgativi che permetteranno di approfondire alcuni argomenti specifici, come la presenza delle trezze, particolari affioramenti rocciosi sul fondo del mare che si presentano come oasi di biodiversità. Per l’allestimento dell’open space all’interno delle ex scuderie, finanziato dal ministero dell’Ambiente, non verranno utilizzati i tradizionali acquari. Le vecchie vasche hanno già preso la strada dell’Acquario marino di Trieste, nel segno di una collaborazione che porterà i ricercatori della Riserva marina a interagire con il territorio. «Stiamo pensando di ricorrere a sistemi multimediali e multisensoriali - conclude Spoto - e di organizzare specifici percorsi tematici. La vasca tattile permetterà ai visitatori di toccare alcuni invertebrati, come le alghe, i ricci di mare e le oloturie. La “touch tank”, del resto, è sempre stata una delle modalità di interazione con il mare più apprezzate dai visitatori del centro didattico».

Luca Saviano

 

 

Così si riduce l’anidride carbonica - Anche l’Ogs di Trieste partecipa con ventuno partner a livello europeo al progetto Enos
Obiettivo della Comunità europea da attuare entro il 2050: ridurre dell'80 per cento le emissioni di gas a effetto serra. Che vuol dire l'anidride carbonica rinchiusa in pozzi profondi per toglierla dall'atmosfera, dove la sua eccessiva concentrazione provoca l'effetto serra.

A contribuire a questo ambizioso progetto anche l'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste, attraverso il progetto Enos (Enabling onshore Co2 storage in Europe) che raggruppa 21 partner europei ed è stato finanziato nell'ambito del programma Horizon 2020 per quattro anni con dodici milioni di euro, di cui uno per l'Ogs. Tra le strategie messe in campo per raggiungere questo risultato, oltre alla sostituzione dei combustibili fossili con fonti rinnovabili di energia a emissioni di carbonio basse o nulle, c'è la cattura e lo stoccaggio nel sottosuolo dell'anidride carbonica sia in mare che a terra. E proprio di quest'ultimo compito si occupa da settembre il progetto Enos, di cui sono partner italiani l'Ogs, l'Università la Sapienza di Roma e la Società tecnologie avanzate carbone Sotacarbo (Sardegna). Ma cosa farà di preciso l'Ogs in questi quattro anni? Si occuperà di fasi di acquisizione, elaborazione e analisi dei dati geofisici utilizzando programmi di simulazione numerica, per indagare le formazioni rocciose nel sottosuolo in cui viene immagazzinata la Co2 e monitorarne l'evoluzione anche con tecniche sismologiche e di telerilevamento. «Siamo orgogliosi di far parte di questo progetto: è uno dei diciannove progetti selezionati su 290 proposte presentate - spiega Flavio Poletto, ricercatore e referente scientifico dell'Istituto per Enos -, un dato che conferma Ogs tra le realtà di eccellenza europee». L'Ogs ha grande esperienza nel campo del monitoraggio geofisico di pozzo, cioè la caratterizzazione delle proprietà del sottosuolo interessato dalle perforazioni, grazie ad anni di studi svolti anche in collaborazione con l'industria dell'energia e quella high-tech. Nello specifico, ha sviluppato e gestisce il sito di Piana del Toppo, in provincia di Pordenone, dove studia in modo sperimentale la geofisica in pozzo e in superficie e la perforazione con strumenti e metodi innovativi. Nell'ambito di Enos, tali competenze verranno utilizzate su siti prescelti per gli studi di stoccaggio in Spagna, Italia, Inghilterra e altri paesi europei. «Il finanziamento che abbiamo ricevuto tramite Enos è il riconoscimento della capacità tecnologica e della qualità della ricerca teorica e sperimentale di Ogs nel settore - prosegue Poletto -, da anni siamo impegnati nella cooperazione con enti di ricerca e l'industria dell'energia». Come esempio Poletto porta anche la partecipazione a «Co2geonet, un network di eccellenza che raggruppa i principali centri di ricerca d'Europa per il coordinamento e la promozione di progetti d'avanguardia riguardanti lo stoccaggio della Co2». I ventuno partner europei, lavoreranno assieme sul campo, in siti pilota (veri e propri laboratori con pozzi a scala reale), saranno coordinati dal "Bureau de Recherches geologiques et minieres" francese.

Benedetta Moro

 

 

Galline e anatre “sparite” - Volpe fa razzia a Muggia
La proprietaria dell’oasi verde a Santa Barbara ha scoperto il predatore - Decisiva l’installazione di una fototrappola. Ultima vittima il galletto Gigi
MUGGIA «Quando ho trovato il corpo esanime di Orlando, la mia amata anatra corritrice indiana, se avessi avuto per le mani il colpevole mi sarei fatta giustizia da sola... ma amo troppo la natura, e tutto quello che sta accadendo fa parte del ciclo della vita». Psicoterapeuta e giudice onorario al Tribunale per i minorenni di Trieste, la sangiacomina Francesca Oliva da quattro anni ha acquistato un terreno di tremila metri quadrati a Santa Barbara, verde frazione del comune di Muggia. In questo suo piccolo regno la 43enne ha allestito una vivace oasi popolata da animali pennuti. «Ho iniziato con tre galline. Ora posso contare su un parco avicolo composto da otto galline di razza diversa, quattro anatre e due oche. Inoltre mi dedico anche all’apicoltura. Ovviamente con me ci sono sempre i miei tre cani», racconta Oliva. L’area di proprietà della donna è delimitata da un muro non tanto alto e da una recinzione non proprio inespugnabile. Facile intuire cosa può accadere quando tutti questi pennuti sono così facilmente a portata di... bocca. Tre anni fa nel terreno si registra la prima incursione da parte di ignoti a quattro zampe. A farne le spese è Pina, un’anatra: «Da un giorno all’altro è scomparsa. L’ho cercata ma niente da fare. Pina si era volatilizzata». Poco tempo dopo tocca a una gallina subire una simile sorte. Questa volta però l’autore del misfatto viene identificato: «Una poiana l’aveva squarciata. Per fortuna grazie all’intervento di un medico veterinario siamo riusciti a salvarle la vita». Per Francesca questi animali sono una passione particolare: i pennuti che animano la mini-fattoria di Oliva non hanno l’obiettivo di finire in pentola. Tutt’altro. «Quella gallina semimangiata dalla poiana aveva un valore di mercato pari a otto euro. Io ne ho spesi 80 per curarla. Per me sono dei veri e propri animali di affezione. Ognuno di loro ha un nome, ognuno di loro ha una storia», ci tiene a sottolineare Oliva. Trascorrono i mesi e le misteriose sparizioni continuano a ripetersi. Nel febbraio scorso arriva il colpo più pesante. Quello inferto a Orlando, una splendida anatra corritrice indiana. «È stata una batosta pazzesca. Avevamo un rapporto speciale io e Orlando. Non trovarlo più mi ha fatto davvero pensare le peggio cose, ma chiunque fosse il colpevole, era evidente che la situazione fosse ricollegabile al semplice ciclo della vita e della natura». In ottobre, a distanza di poche notti l’una dall’altra, scompaiono altri tre animali: prima un’anatra, poi una gallina, ma soprattutto finisce nel nulla il variopinto galletto di tre anni Gigi, chiamato così in onore del cantante partenopeo Gigi D’Alessio. «Ora, senza di lui, le mie galline sono evidentemente smarrite: la morte di Gigi è stato un duro colpo anche per loro», ammette Oliva. Sino a qualche settimana fa si potevano fare solamente supposizioni su chi potesse far razzia di animali nel suo terreno. Una poiana? Una faina? Un astore? A conti fatti le maggiori razzie si sono compiute d’autunno e d’inverno, nel tardo pomeriggio, indicativamente dalle 17 alle 20, quando inizia a fare buio e gli animali sono ancora liberi di circolare nel terreno recintato. Dopo questa serie di episodi, la triestina decide di fare un esperimento: «Una sera ho posto sopra un vassoietto un pollo crudo comprato in un supermercato lasciandolo in mezzo al terreno. La notte dopo il vassoietto era strappato, il pollo era sparito e al suo posto il predatore aveva lasciato le proprie feci, per marcare il territorio». Dopo un rapido consulto i principali indiziati rimangono due: una faina oppure una volpe. Per dare un volto al predatore la donna installa una fototrappola, ossia una macchina fotografica notturna in grado di immortalare le presenze animali attraverso fotografie e piccoli video. Oliva ripropone l’esca del pollo crudo: «È così che ho scoperto che a fare visita ai miei pennuti era una splendida volpe, anzi, una volpona vista la stazza». Oramai quella tra Francesca Oliva e la volpe è una partita a scacchi: «Forse dovrei rimettere a posto il muro di recinzione, per ora ho coperto le gabbie con dei grossi teli. Ho chiesto anche suggerimenti a degli esperti. Vedremo come andrà a finire».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 5 dicembre 2016

 

 

Nuova rotatoria in arrivo all’ingresso di Sistiana - Il vicesindaco di Duino Aurisina Veronese annuncia la revisione della viabilità
Per l’incrocio “Tre noci”. Ma l’opposizione non ci sta: «Decisione non condivisa»
DUINO AURISINA Sarà la rotatoria situata all’imbocco dell’abitato di Sistiana, dalla parte di chi proviene dalla costiera triestina, la prima opera prevista dalla variante del nuovo Piano regolatore del Comune di Duino Aurisina. È stato il vicesindaco dell’amministrazione, Massimo Veronese, che è anche titolare dell’assessorato per l’Urbanistica e i Lavori pubblici, ad annunciarlo, nel corso della seduta che la commissione consiliare presieduta da Roberto Gotter ha dedicato all’esame del documento che fra sette giorni approderà in aula, nel corso del Consiglio comunale chiamato a discutere di questo e altri temi, fra i quali anche il bilancio di previsione. «Siamo consapevoli dell’assoluta importanza del riordino del traffico di quella zona - ha spiegato Veronese - teatro purtroppo, negli anni, di una lunga serie di incidenti». Attualmente in quel punto, conosciuto come l’incrocio delle “Tre noci” - ha proseguito il vicesindaco, facendo riferimento al fatto che, su quel tratto di strada, insiste il ristorante che porta quel nome -, si incontrano varie strade. Da quella considerata la principale, che attraversa Sistiana, si diramano quella per Aurisina, lungo la quale si trova anche lo snodo per imboccare l’autostrada A4, e quella per Visogliano. «Un groviglio - ha aggiunto Veronese - che quanto prima dovrà essere sostituito da una classica rotatoria». Si tratta delle rotonde cosiddette “alla francese”, il cui regime è molto semplice: da qualsiasi parte le si affronti bisogna dare la precedenza a chi le sta già attraversando. Una semplificazione che dovrebbe comportare maggiore sicurezza per tutti, anche perché il traffico è molto sostenuto in quella zona, soprattutto durante i mesi estivi. «Abbiamo voluto costruire una variante ben definita fin dall’inizio, in modo che sia l’amministrazione a delineare direttive molto puntuali, prevedendo specifici interventi - ha proseguito Veronese -. Poi sarà certamente indispensabile il giudizio del professionista che sarà chiamato a dare un parere tecnico finale. Uno degli interventi più importanti sarà la realizzazione della rotatoria di Sistiana. Oltre ad essa - ha concluso il vicesindaco - saranno fatte anche altre opere, inserite in un generale riordino delle strade del nostro territorio comunale». Queste ultime parole pronunciate da Veronese hanno fatto scatenare la reazione dei componenti dell’opposizione di centrodestra che sono anche membri della commissione. Andrea Humar (Pdl), dopo aver criticato la scelta di «una variante al Piano troppo precisa che non permette interventi successivi», ha chiesto di «congelare l’ingresso nell’Uti finché non saranno state correttamente definite le competenze di tale ente. Il Comune di Trieste ha già deciso di adottare questa politica - ha ricordato Humar - perché delle Uti si sa ancora troppo poco». Gotter ha replicato spiegando che l’Uti avrà, in materia urbanistica, una competenza sovracomunale, perciò «fare specifiche scelte fin d’ora è corretto e auspicabile». Veronese ha rammentato che «i sindaci dei Comuni della provincia dovranno incontrarsi a breve per definire lo statuto dell’Uti e comunque fino all’adozione della variante accetteremo proposte e controproposte». Humar ha insistito affermando che «manca collegialità nelle decisioni. Esiste una commissione, della quale facciamo parte, che dovrebbe esprimersi in materia, invece l’assessore ha deciso da solo». La polemica si è poi spostata sull’esito degli incontri che l’amministrazione Kukanja ha recentemente organizzato per spiegare alla popolazione le scelte in materia urbanistica. «Molte persone non sono intervenute perché gli appuntamenti erano promossi dalla maggioranza - ha concluso Humar - mentre sarebbe invece opportuno lasciare spazio a modifiche e proposte che possono arrivare dall’opposizione».

Ugo Salvini

 

ANCHE I PEDONI INDISCIPLINATI SONO DA MULTARE - RUBRICA NOI E L'AUTO di GIORGIO CAPPEL
Molto di recente è stato finalmente installato il semaforo pedonale veicolare all’uscita di via Cassa di Risparmio, verso piazza della Borsa, all’incrocio con la via del Canal Piccolo. Era indispensabile perché l’elevato flusso pedonale sulle zebrate, vista la zona centralissima, creava non pochi problemi alla circolazione, con formazione di file di auto e bus fino sulle Rive. Ho festeggiato il mio primo transito, in macchina, con un grande colpo di clacson. Ma in realtà non era per festeggiare, ma per avvisare un pedone, che stava passando con il rosso, che stavo arrivando, con il verde. Questo è il problema del nuovo impianto, comune, purtroppo a molti altri, favorito dalla modesta lunghezza dell’attraversamento, che induce alla trasgressione. Ricordo che i pedoni che passano con il rosso, quando stanno arrivando le automobili, non sono perdonabili e andrebbero multati perché creano problemi a se stessi e comunque grane agli automobilisti, se si materializza un investimento. Cambiando totalmente argomento, sono rimasto molto incuriosito, e forse perplesso, dalla notizia che la Polizia locale di Trieste sarà dotata di un’apparecchiatura che consentirà automaticamente di rilevare i veicoli in doppia fila, per poi inviare le conseguenti sanzioni amministrative direttamente a casa. Sono perplesso perché non verrà infilato sotto il tergicristallo il così detto “avviso di cortesia” che fa sapere all’automobilista della multa. Quindi non si potrà più andare subito a pagare e pertanto saranno addebitate anche le spese di notifica. Se comandassi io, lascerei perdere la nuova apparecchiatura e manderei una pattuglia per più giorni, e per più periodi, in una strada molto gettonata dalle seconde file. Tra multe ai trasgressori e dissuasioni sul posto a coloro che si preparavano a trasgredire, si creerà un’ importante abitudine a stare più attenti. Da ultimo segnalo il problema della velocità lungo la Grande viabilità. Il limite su tutto il tratto è di 50 km/h, a suo tempo fissato con ogni probabilità dopo numerosi incidenti dovuti alla scivolosità dell’asfalto. Come si presenta ora la strada, praticamente perfetta, induce direi quasi tutti gli automobilisti a superare di gran lunga tale limite. In conclusione evidenzio due errori contemporanei: il primo è certamente il procedere a velocità proibita, il secondo è proibire un normale procedere con un limite di velocità troppo basso.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 4 dicembre 2016

 

 

Recuperiamo gli edifici minori del Parco di Miramare - la lettera del giorno di Giulia Giacomich

Nel parco di Miramare, oltre al castello, al castelletto e alle scuderie, ci sono alcuni edifici che possiamo definire "minori". Chi visita il parco e ne percorre le stradine fino alla parte alta e all’ingresso di via Beirut, ha certamente avuto occasione di osservare che esistono alcune case immerse nel bosco. Si tratta di edifici ottocenteschi che fanno parte integrante dell’impianto storico del parco e che erano adibiti, tranne la caffetteria, ad abitazioni per i numerosi dipendenti di Miramare. Alcune case furono fatte costruite da Massimiliano d’Asburgo, altre erano addirittura preesistenti al parco stesso. I primi edifici che si incontrano nella passeggiata sono l’antica caffetteria del parterre (Cafehaus) e lo chalet svizzero del 1869 (Schweitzerhaus) vicino al Lago dei Cigni; dopo il castelletto si trovano due case più antiche, Casa Gerlanz e Casa Daneu del 1816, che entrarono a far parte del parco solo verso la fine dell’Ottocento con l’acquisto dei nuovi terreni e con il completamento del parco nella sua configurazione definitiva. Nel lato nordorientale del parco si incontrano Casa Ziak del 1816 e poi Casa Jelinek e Casa Radonetz, dimore storiche dei capi giardinieri e degli amministratori del parco, entrambe del 1863, che presero il nome dai due personaggi per cui furono costruite; queste due case avevano ognuna un piccolo parterre con bossi e fontana di cui rimangono solo poche tracce. La caffetteria del parterre e le due case ancora abitate (Casa Jelinek e Casa Ziak) devono aver ricevuto una certa manutenzione nel tempo, ma probabilmente hanno subito le maggiori modifiche all’interno. Le altre case sono in completo abbandono da tanti anni e mostrano segni evidenti di degrado nelle parti esterne e nelle parti interne. Malgrado ciò, tutti questi edifici conservano la loro dignità e il loro grande valore storico e sono elementi ben riconoscibili e caratterizzanti del parco di Miramare. Data la situazione di abbandono in cui si trovano, l’Associazione Italia Nostra ritiene che sia sempre più urgente una verifica del loro stato di conservazione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, cui gli edifici appartengono, al fine di organizzare e realizzare un progetto globale di restauro, casa per casa, finalizzato ad un riuso compatibile. Inoltre, laddove esistevano i parterre che facevano da cornice alle abitazioni, sarebbe una bella iniziativa ripristinare le aiole secondo i disegni e le fotografie antiche.
 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 3 dicembre 2016

 

 

Doppia ispezione in Ferriera nel giorno del patto sindacale - “Visite” del Noe dopo l’esposto dei Verdi e dell’Arpa per un problema agli impianti
In mattinata un’ispezione è stata compiuta in particolare dai carabinieri del Noe per verificare una serie di presunte fratture sulla banchina - Una nube rossastra alle 7.15 si è alzata dall’altoforno suscitando le proteste degli abitanti. La causa il materiale refrattario usato per chiudere il foro di colata della ghisa

Contemporaneamente nella sede di Confindustria azienda e sindacati hanno firmato l’accordo per lo spacchettamento della società - Firmato l’accordo: 447 dipendenti ad Acciaieria Arvedi. Niente esuberi né traslochi

In una giornata convulsa con due ispezioni all’interno dello stabilimento: da parte del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri a seguito di un esposto presentato in Procura dai Verdi e dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) per un problema verificatosi agli impianti, Gruppo Arvedi e rappresentanti dei lavoratori firmano l’accordo sul mutato assetto aziendale dello stabilimento siderurgico. Nella sede di Confindustria, al termine di un incontro conclusosi a metà pomeriggio, tutte le firme vengono poste sotto il verbale di accordo che stabilisce che 447 degli attuali 505 dipendenti di Siderurgica Triestina dal primo gennaio 2017 passeranno in forza ad Acciaieria Arvedi. Rimarranno sotto la sigla St dunque soltanto 58 lavoratori e sono per l’esattezza quelli dell’area logistica (compresi i servizi di spedizioni e di vigilanza) e il reparto di manutenzione logistica. Il cambio di casacca riguarda invece i reparti produttivi del ciclo a caldo e del ciclo a freddo, le relative manutenzioni di area, i servizi tecnici e amministrativi di supporto alla produzione e all’organizzazione aziendale. L’accordo conferma che sia al personale che rimarrà in St che a quello che passerà in Acciaieria Arvedi continuerà ad essere applicato il contratto nazionale dei metalmeccanici, che vi sarà equivalenza tra i premi di risultato, che a tutti i lavoratori saranno applicate le medesime condizioni e normative e che non vi saranno variazioni di sede di lavoro. I rappresentanti sindacali continueranno ad essere quelli attuali per tutti i lavoratori fino alla scadenza del mandato. Importante l’ultimo punto: in caso di cessazione di Siderurgica Triestina o di licenziamenti collettivi per riduzione del personale, i dipendenti saranno assorbiti da Acciaieria Arvedi. Saranno anche valutate con diritto di prelazione eventuali richieste dei lavoratori di passaggio da una società all’altra. Preliminarmente è stato confermato quanto già ribadito nel confronto precedente: l’operazione non prevede alcun esubero. Entro la fine del mese inoltre saranno riassorbiti la trentina di dipendenti della ex Lucchini che sono ancora in cassa integrazione. La necessità di spacchettare l'organico (un'operazione alla quale per la maggior parte i rappresentanti sindacali inizialmente si erano dichiarati contrari) era stata spiegata nel modo seguente: risulta molto più semplice accedere a linee di finanziamento oppure ottenere mutui da istituti di credito sotto l'ombrello di Acciaieria Arvedi. D'altro canto non si potevano trasferire in blocco tutti i lavoratori dal momento che ora gli impianti risultano di proprietà di Siderurgica Triestina e soprattutto perché proprio a quest'ultima società è intestata la concessione data dall'Autorità di sistema portuale per quanto concerne la parte a mare dell'area occupata. All’incontro di ieri Siderurgica Triestina è stata rappresentata dal consigliere di amministrazione Francesco Rosato, Acciaieri Arvedi dal responsabile risorse umane Alberto Fietta e Confindustria da Alessandro Carta. Sull’altro fronte presenti rappresentanti sindacali o rsu di Failms, Uil, Fim-Cisl e Fiom-Cgil.

Silvio Maranzana

 

Una nube rossastra dall’altoforno - L’azienda: «La causa è il materiale usato per tappare il foro di colata»
Una nuvola rossastra sprigionatasi poco dopo le 7 di mattina dall’altoforno della Ferriera ha sollevato ieri numerose proteste e le immagini sono state postate su Facebook. Siderurgica Triestina ha poi precisato che «si è trattato di un episodio anomalo, accaduto in fase di apertura del foro di colata per lo spillaggio della ghisa dell'altoforno. La causa è stata individuata nel materiale utilizzato per tappare il foro di colata dell'altoforno. Per evitare che si ripeta un simile evento, comunque non dipendente dal funzionamento dell'impianto che è stato sempre regolare - sostiene l’azienda - sono state immediatamente messe in atto due contromisure: è stato reso più severo il controllo qualità del materiale ed è stata predisposta una procedura d'urgenza che eviti al massimo le possibili emissioni». Ma la mattinata è stata particolarmente movimentata in quanto si è svolta anche un'ispezione congiunta di Vigili del fuoco, Arpa Fvg, Noe, Provincia e Procura di Trieste, seguita all'esposto presentato da esponenti cittadini dei “Verdi” presso la Procura. «Sebbene non sia stata ancora redatta una relazione ufficiale - sostiene sempre Siderurgica Triestina - le autorità intervenute hanno potuto verificare che le presunte fratture che avrebbero interessato la banchina non sono altro che i giunti di dilatazione tipici delle costruzioni realizzate a blocchi. Le condizioni della banchina appaiono dunque pienamente stabili e l'allarme procurato dall'esposto - secondo St - si è rilevato completamente privo di fondamento».
 

 

Pronto il regolamento dei Punti franchi
Redatto dal ministro Delrio in base al Trattato di pace. Esulta Serracchiani, D’Agostino amplia le proprie competenze
È realtà il regolamento tanto atteso e mai emanato sui Punti franchi di Trieste. Il ministro di Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio ha infatti trasmesso all'Autorità di sistema del mare Adriatico orientale, per le sue osservazioni, il testo del Decreto attuativo dell'articolo 7 comma 12 del decreto legislativo 169 del 4 agosto 2016, che stabilisce l'organizzazione amministrativa della gestione dei Punti franchi di Trieste, oggetto di spostamento a seguito della sdemanializzazione del Porto Vecchio. «Un decreto di portata storica per il porto, per la città e per tutta la regione», ha affermato la governatrice Debora Serracchiani rendendo noto l’avvio del procedimento. Secondo Serracchiani «è un traguardo importantissimo per Trieste e per l'intero territorio, che potrà beneficiare di norme di semplificazione amministrativa in grado di dare certezze agli investitori e di integrare i poteri di pianificazione e i compiti di promozione dell'Autorità portuale con il migliore utilizzo della leva del Punto franco». Con il Decreto viene precisata la cornice giuridica che regola il Porto franco di Trieste, basata sull'Allegato VIII del Trattato di pace del 10 febbraio 1947 fra le potenze vittoriose del secondo conflitto mondiale. Con il Decreto - fa rilevare la Regione - il presidente assume i poteri del “Direttore del porto” che, proprio secondo quel Trattato, doveva assicurare l'efficienza e la migliore gestione del Porto franco triestino. Il Decreto e quindi la potestà amministrativa dell'Autorità portuale si applica quindi anche ai nuovi Punti franchi conseguenti alle norme sulla sdemanializzazione di Porto vecchio. Com’è noto cinque sono le zone individuate per il trasferimento di quell’Area franca: l’Interporto di Fernetti, l’ex stazione di Prosecco, l’ex Aquila in concessione a Teseco dove dovrebbe sorgere un nuovo terminal ro-ro, il Canale navigabile di Zaule e le Noghere. Il Decreto conferisce all'Autorità poteri di autorizzazione su tutte le attività commerciali e industriali, compresa la produzione di beni in Punto franco, forte autonomia sui canoni, sulla costruzione di edifici, sugli orari di apertura e chiusura dei Punti franchi, sullo svolgimento dei servizi generali, in particolare sui collegamenti ferroviari, sulla formazione delle risorse umane e sul coordinamento di tutte le Pubbliche amministrazioni che operano in porto; l'Autorità dovrà inoltre fornire assistenza tecnica agli investitori. «Adesso abbiamo a disposizione - ha aggiunto Serracchiani - uno strumento fondamentale per dare forza e supporto alla strategia già intrapresa dall'Autorità di sistema per rilanciare le opportunità del Punto franco triestino sui mercati internazionali». «Il fatto che il ministro Del Rio abbia avviato tale procedura ci riempie di soddisfazione», ha affermato il presidente dell’Authority Zeno D’Agostino il cui ruolo cresce ulteriormente d’importanza. «Il Governo ha finalmente capito dopo decenni - ha aggiunto - la valenza primaria di uno strumento che permetterà al nostro scalo, al nostro territorio e più in generale all’Italia di accrescere la propria competitività a livello internazionale. Siamo vicini all’emanazione di un atto che non solo il porto, con le sue lavoratrici, lavoratori e operatori, ma la città intera aspettava da generazioni, da ben prima del 1994, data della legge di riforma dei porti. Il prossimo step sarà perfezionarlo, come l’iter legislativo prevede, per renderlo più adeguato alle moderne esigenze del mercato ed alla richiesta sempre più impellente di agilità amministrativa che sta contraddistinguendo la nostra operatività in porto». «Un altro giorno storico per Trieste - ha affermato il senatore del Pd Francesco Russo - dopo la sdemanializzazione sono in arrivo anche i decreti attuativi sui Punti franchi. In tre anni abbiamo fatto quello che non si è riusciti a fare negli ultimi 20 forse perché mancava la volontà».

Silvio Maranzana

 

 

Il Piano regolatore di Muggia rianima la guerra dei tralicci
Tra i ricorsi al Tar contro lo strumento urbanistico entrato in vigore in estate c’è quello del gestore di antenne a Santa Barbara cassate d’ufficio dalla Regione
MUGGIA Due ricorsi al Tar contro il nuovo Piano regolatore di Muggia. Questo il bilancio dei “contestatori” del nuovo strumento urbanistico entrato in vigore a giugno. Soddisfatta Laura Marzi: «È un Piano regolatore ecologico teso alla tutela del proprio territorio e dei cittadini che lo devono vivere. La presentazione di soli due ricorsi è un record e conferma come sia stato un piano condiviso dalla comunità». Il primo ricorso, che ha impugnato il decreto del presidente della giunta regionale pubblicato sul Bur il 29 giugno con cui era stata dichiarata l’eseguibilità della Variante 31, è stato presentato dalla Monte Barbaria srl. Specializzata nel trasmettere via etere segnali, grazie a tralicci e siti di trasmissione dislocati fra Veneto, Fvg e Lombardia, a Muggia è nota per la gestione del traliccio sul Monte Castellier, a Santa Barbara. Dopo l’avvenuta approvazione del Piano regolatore, la Regione ha introdotto d’ufficio una modifica - «peraltro non voluta dal Comune di Muggia», fa sapere lo stesso Comune - con cui è stato di fatto tolto il punto di delocalizzazione previsto a Santa Barbara, proprio dove la società ricorrente aveva nel frattempo realizzato il proprio traliccio. Di fatto quindi l’impianto di Monte Castellier è stato posto sullo stesso piano di quelli esistenti e da delocalizzare a Chiampore, impedendo così alla società qualsiasi intervento che non sia di mera manutenzione. Da qui dunque il ricorso da parte della società nei confronti del Comune di Muggia. Il secondo ricorso è quello invece di un privato, E.N., proprietario di un terreno vicino al Bosco dell’Arciduca. È relativo ad una zona edificabile di espansione C prevista nel precedente Prg che, come tutte le altre aree di espansione C prive di piani attuativi comunali approvati o adottati, è stata riportata agli usi agricoli. «Una scelta derivante da un’attenzione alla limitazione del consumo del suolo e alla valorizzazione del territorio, scelta che ha coinvolto tutto il territorio muggesano», puntualizza il sindaco Marzi. Nel contenimento della residenza, il nuovo Prg non ha comunque tolto capacità edificatoria ai piccoli proprietari. Sono state confermate di fatto le zone agricole già previste nel precedente piano che sono state incrementate attraverso la cancellazione di alcune zone di espansione, previste e non realizzate. Alcuni volumi previsti ma non ancora attuati sono invece stati trasferiti da alcune zone di pregio a zone contigue, nell’ottica di una riqualificazione funzionale, come nel caso di Monte San Giovanni. «La fase partecipativa per realizzare questo Prg non è stata un vuoto esercizio di democrazia in chiave populista, ma una grande opportunità di apprendimento reciproco finalizzato a creare delle sinergie tra le conoscenze proprie dei tecnici e degli amministratori e la conoscenza diffusa dei cittadini che a Muggia vivono e fruiscono del territorio», ricorda Marzi, promotrice del Prg in qualità di ex assessore all'Urbanistica durante il secondo mandato Nesladek: «L’obbiettivo era quello di raccogliere le indicazioni dei cittadini, al fine di operare scelte che fossero frutto di un ampio e sistematico confronto in modo da andare incontro alle esigenze specifiche e reali della cittadinanza».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

LA VOCE.info - VENERDI', 2 dicembre 2016

 

 

Energia e ambiente - Crescita al carbonio: paesi “buoni” e “cattivi”
Giusto evidenziare le responsabilità storiche dei diversi paesi e la loro quota attuale di emissioni di CO2. Ma va considerato anche il contributo alla crescita del benessere collettivo. La situazione degli stati europei e di Usa, Cina e India nell’ultimo articolo della “trilogia del carbonio”.  (leggi l'articolo)
Trilogia del carbonio
I temi della responsabilità storica e della ripartizione nel futuro budget del carbonio sono stati pietre angolari della Cop22 che si è tenuta in Marocco.
Sono anche le due problematiche su cui ci siamo soffermati nei due articoli precedenti di questa “trilogia del carbonio”, largamente concentrata sulle emissioni e rafforzata da alcune considerazioni sulla popolazione.
Gli elementi più rilevanti di questa lettura sono almeno tre.
1.I dati misurano in modo incontrovertibile la distanza – e dunque le differenti responsabilità – di Cina e India. Quando si parla di anidride carbonica i due paesi sono profondamente diversi e questa diversità emerge anche nelle posizioni negoziali.
2.L’analisi relativa al budget del carbonio mostra come la Cina non sia un creditore di carbonio se non in misura modesta, mentre l’India è il paese che vanta i maggiori crediti.
3.I paesi Ocse hanno importanti responsabilità storiche e, alla prova della verifica con la popolazione e il “diritto” all’accesso di una fetta coerente di emissioni, dimostrano la loro voracità e dunque un’impronta ecologica particolarmente significativa.
Un passo avanti
L’analisi svolta finora può essere arricchita da un ultimo passaggio, se si conviene che il problema della responsabilità storica delle emissioni non possa essere disgiunto da una riflessione sulla capacità dei vari paesi di contribuire al benessere del mondo e al suo incremento. Peraltro, va considerato che mentre le emissioni danneggiano l’intero pianeta, la crescita del Pil favorisce principalmente il paese che la realizza.
Vogliamo dunque confrontare due fette per due diverse torte per tutti i paesi presi in esame.
La dimensione della prima torta è data dalle emissioni cumulate nel periodo 1970-2014; la seconda considera per lo stesso periodo il prodotto interno lordo cumulato.
Quello che intendiamo confrontare è la dimensione delle due fette per ogni singolo paese. Quale sia stato il contributo al prodotto interno lordo (ovvero quanta parte di benessere un paese è riuscito a costruire), rispetto alla dimensione della fetta di CO2 che ha rilasciato.
Abbiamo quindi preparato un ultimo esercizio confrontando i dati relativi alla responsabilità storica di ogni singolo paese – quante emissioni (in percentuale) sono attribuibili ai vari paesi – con il contributo che gli stessi paesi hanno apportato alla crescita del Pil mondiale. Anche in questo caso abbiamo verificato la composizione percentuale per paese del contributo all’incremento.
Sulle ascisse, la responsabilità storica di ogni paese rispetto alle emissioni complessive; in ordinata il contributo all’incremento del Pil mondiale nel periodo 1990-2014.
Consideriamo un paese che si trovi sulla bisettrice, ovvero su quella semiretta che divide il quadrante in due parti uguali. L’ipotetico paese sarà responsabile dell’x per cento delle emissioni complessive, ma avrà partecipato nella stessa quantità x per cento alla crescita del Pil mondiale.
La stessa linea distingue anche i paesi “buoni”, ovvero quelli che stanno al di sopra, dai paesi “cattivi”, ovvero quelli che stanno al di sotto. I primi hanno offerto un contributo di ricchezza alla generazione maggiore della percentuale di emissioni di cui hanno beneficiato. I secondi hanno un comportamento opposto. E anche la distanza dalla bisettrice segnala il livello di “virtù” o il suo contrario.
I risultati
L’area più efficiente è quella dell’Ocse Europa che raggruppa i paesi dell’Unione europea, più altri paesi europei non UE, come ad esempio Svizzera, Norvegia o Turchia. In questo caso, a una partecipazione delle emissioni pari al 15,2 per cento è corrisposta una quota di crescita del Pil del 22,9 per cento.
La Cina si trova esattamente dall’altra parte del grafico, con una partecipazione dell’incremento del Pil pari al 10,6 per cento cui corrisponde, tuttavia, un incremento delle emissioni pari al 18,9 per cento.
L’aggregato Ocse America – così come la Cina, seppure con valori meno eclatanti – mostra una quota sull’incremento delle emissioni del 24,5 per cento, contro una quota sull’incremento del Pil pari al 22,9 per cento.
L’India – pur con valori modesti – si trova sul lato positivo del quadrante, con il 4,2 per cento delle emissioni e il 5 per cento del Pil.
Si tratta – come abbiamo già sottolineato – di misure alternative al grado di intensità carbonica, ovvero di quanta CO2 viene emessa per unità di prodotto, così come viene riportata limitatamente a Ocse America, Ocse Europa e Cina (grafico 2): un indicatore molto utilizzato, che dà conto della composizione dell’offerta complessiva. Maggiore è questo rapporto, più ricca di carbonio è l’offerta totale. Quindi – per quote e non per livelli – più modesto sarà l’apporto di rinnovabili o gas naturale, maggiore quello del carbone.
Tutti questi temi sono stati presenti con differenti sfumature nell’ambito del negoziato di Marrakech, dove ovviamente non si è potuto non tenere conto delle posizioni della nuova amministrazione Usa.
Ma questo sarà un nuovo capitolo.

Alessandro Lanza
Ha conseguito il Ph.D in Economics presso l'University College of London. È stato Chief Economist dell'Eni e Direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei e Principal Administrator dell'International Energy Agency (Energy and Environment Division). Autore di molte pubblicazioni su temi legati ad energia e ambiente è stato anche Autore principale (Lead Author) per il Third Assessment Report ed il Fifth Assessment Report per conto del IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change). È consigliere di amministrazione dell'ENEA in rappresentanza del ministero dello Sviluppo economico.
 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 2 dicembre 2016

 

 

Comune: conti in rosso - Il crollo delle multe Manca mezzo milione

Dall’inizio del mandato di Dipiazza staccate quasi quattromila sanzioni in meno - L’ex vicesindaco Martini: «Agenti distratti, crescono le auto in sosta vietata»

Potrebbe far piacere, ai triestini, sapere che la giunta Dipiazza ha fatto molte meno multe dei predecessori di centrosinistra. Quante? Parecchie: quasi 4 mila da quando ha conquistato il Comune. Il problema è che adesso il municipio si trova con un buco da oltre mezzo milione di euro. Sorpresa. Il dato è venuto a galla qualche giorno fa durante il dibattito in aula sul bilancio di previsione. Se n'è accorto il Pd, soprattutto con la capogruppo Fabiana Martini, che fino a maggio ricopriva il ruolo di vicesindaco e assessore alla Sicurezza con delega alla Polizia locale. Incarico che ora è nelle mani del leghista Pierpaolo Roberti. Su di lui fioccano un po' di interrogativi: cosa hanno fatto i vigili urbani in tutto questo tempo? In cosa erano indaffarati, anziché sanzionare le doppie file e i divieti di sosta? Il bilancio, alla voce "sanzioni amministrative per violazioni alle norme sulla circolazione stradale", accusa in effetti un ammanco da 580 mila euro di entrate. Persi interamente durante l'amministrazione Dipiazza. Sono i dati a dimostrarlo: confrontando l'intero periodo che va da gennaio a maggio di quest'anno, fino a quando cioè Palazzo Cheba era ancora nelle mani dell'ex sindaco Roberto Cosolini, emerge che il centrosinistra era riuscito a collezionare addirittura un aumento delle multe; 24.003, cioè 660 in più delle 23.343 del 2015. È da quando la giunta Dipiazza va al potere, a inizio estate, che si assiste al calo vertiginoso: mentre nella seconda parte del 2015 Cosolini agguantava 20.307 sanzioni, quest'anno Roberti si è fermato a 16.307. Sono 3.775 in meno. Il confronto, tra le due annate, è stato rilevato fino a ottobre, l'ultimo mese contabilizzato. Per pareggiare i conti di tutto il 2016, l'attuale vicesindaco avrebbe dovuto non solo raggiungere a novembre almeno le 5.677 sanzioni comminate da Cosolini nello stesso mese dell'anno scorso, ma pure le 4.892 di dicembre, aggiungendo le 3.775 mancanti. Una pioggia di multe in quest'ultima parte dell'anno. Un pacco natalizio che i triestini non gradirebbero. Il centrosinistra, l'altra sera in Consiglio comunale, non si è lasciato sfuggire la polemica. «Negli ultimi 15 anni la città ha perso 50% degli agenti - ha affermato Cosolini - tanti sono passati agli uffici amministrativi, sia per limitazioni fisiche causate dall'età, sia per il carico della burocrazia. Col risultato che abbiamo poca gente in strada. Siete pronti ad assumere personale?». Più dura la capogruppo Martini. «Questi 580 mila euro di minore entrata proveniente da sanzioni mi sorprendono - ha commentato -. Da una giunta che colleziona ordinanze come fossero figurine, che concepisce la sicurezza in maniera esclusivamente punitiva, che si erge a tutrice della legalità in un presunto Far West, che non mi è ancora chiaro dove vada in scena, mi aspettavo che le multe triplicassero e non diminuissero. Se ci troviamo di fronte a una simile sproporzione, è perché evidentemente gli agenti sono stati distratti da altro: ad esempio passeggiare lungo viale XX settembre per dare l'impressione di presidiare il territorio, o correre dietro ai presunti parcheggiatori abusivi, quelli che dalle Rive si sono semplicemente spostati nella cintura della zona interdetta, o intercettare qualche suonatore non registrato, o portar via il giaciglio a qualche persona senza fissa dimora». Tradotto: anziché multare le auto in divieto, Roberti avrebbe mandato i vigili a caccia dei clochard della Stazione ferroviaria, dei musicisti di Cavana e dei presunti malviventi del centro. «Ma intanto cresce la giungla delle seconde file - ha insistito Martini - e badate bene che non è una questione di far cassa, ma di far rispettare le regole del vivere civile». Roberti non si è scomposto. «Questa amministrazione di centrodestra ha deciso di occuparsi anche di altri tipi di servizi - ha rilevato il leghista - che sono più che apprezzati da parte della cittadinanza. Uno di questi, come noto, è l'aver mandato personale di vigilanza in viale XX Settembre dove c'era spaccio di droga. Un fenomeno che abbiamo risolto perché ora lì non si spaccia più. Ma ad aver inciso - annota Roberti - è anche il trasloco nella nuova caserma. Tra fine agosto e i primi di settembre (meno 1.760 sanzioni, ndr) ci siamo concentrati su questo. Ciò ha comportato rallentamenti nelle operazioni in strada».

Gianpaolo Sarti

 

Ma un super occhio punirà le doppie file - Arriva lo “Street control” da montare su una vettura di servizio

Leggerà le targhe delle macchine irregolari senza mai fermarsi
Dal prossimo anno non si scappa. La giunta Dipiazza, in crisi di incassi, ha già pronto l’asso nella manica per far incetta di multe. Il vicesindaco Pierpaolo Roberti intende attrezzare una delle vetture della polizia locale di un nuovo aggeggio elettronico: lo “Street control”, uno strumento da montare sul tetto dell’auto di servizio capace di pizzicare tutti i mezzi posteggiati in doppia fila. Funziona in automatico, senza il bisogno di sguinzagliare gli agenti. L’acquisto dell’attrezzatura, che costa 27 mila euro, è previsto in un emendamento del Bilancio passato l’altra sera in Consiglio comunale. «Visto che le forze sono poche - rimarca Roberti - abbiamo deciso di fare un investimento. Ci permetterà di ottimizzare le risorse e di rendere più efficiente il corpo di polizia, eliminando il problema delle soste selvagge». Il dispositivo è in grado di “vedere” sia il bordo della strada sia le auto posteggiate, individuando quelle irregolari. Il sensore legge la targa della vettura e manda la sanzione a casa. Un occhio elettronico a tutti gli effetti, installato su un’unica pattuglia, che può portare a termine in una mattina il lavoro di un’intera squadra di agenti. Il vicesindaco intende pubblicizzare l’iniziativa con un'apposita campagna informativa: «Già - spiega - perché la nostra reale intenzione non è fare cassa, bensì mantenere ordine nella viabilità, soprattutto in alcune arterie. Perché - sottolinea - in molti assi di scorrimento dobbiamo assolutamente eliminare il problema delle seconde file. Ma, ripeto, avviseremo per tempo e in modo ampio i triestini». L'intenzione, ancora una volta, è liberare tempo e risorse per impiegare gli agenti in altri servizi: il presidio del territorio in zone, come il viale XX settembre, ritenute più a rischio di ordine pubblico e microcriminalità. Ma che effetto avrà questo nuovo marchingegno? Tolleranza zero? E le mamme e i papà che portano i bambini a scuola di mattina ad esempio? Spesso, per fare presto (e per mancanza di spazi adeguati) sono costretti a lasciare l’auto in doppia fila. Come si comporterà la giunta Dipiazza in questo caso? O, più che la giunta, il nuovo dispositivo sarà programmato per chiudere ogni tanto un occhio, per quanto elettronico sia, o resta sempre in funzione? Il “fattore umano” è preso in considerazione? «Capisco che talvolta ci possono essere esigenze temporanee - risponde Roberti - ma in tante zone della città, di mattina, ci vengono segnalati ingorghi. Penso alla scuola di Gretta, che posta lungo un asse di scorrimento utilizzato da tutte quelle persone che scendono in centro passando per Strada del Friuli. In quel punto, come in altri, si creano spesso code importanti che danno problemi al traffico causate dalle auto in seconda fila. Questo non si può più tollerare, bisogna fare in modo che le regole vengano rispettate. C’è gente che deve arrivare al lavoro puntuale».

(g.s.)
 

 

Al Comune le chiavi del Porto vecchio - I nuovi varchi doganali Dovrebbe portarsi all’ingresso di Adriaterminal

Dopo il decreto del Giudice tavolare, l’assessore Giorgi firma la delibera di presa in carico dell’area che avverrà il 31 dicembre
Il giorno di San Silvestro la città avrà un doppio motivo per festeggiare: proprio il 31 dicembre infatti il Comune avrà in mano le chiavi del Porto vecchio. Lunedì prossimo arriva all’esame della giunta comunale la delibera presentata dall’assessore al Patrimonio e Demanio Lorenzo Giorgi con la quale si prende atto del passaggio di proprietà sancito dal decreto del Giudice tavolare e del Conservatore del libro fondiario emesso in data 22 novembre 2016. I magazzini storici e gli altri manufatti vengono inseriti nelle particelle tavolari 75/38 e 46/70 che afferiscono rispettivamente a Gretta e a Barcola. A ingrandirsi sembrano essere per la precisione questi due rioni, in realtà è la città che si amplia enormemente, con una sorta di Trieste 2, cioè un’area che si estende all’incirca su mezzo milione di metri quadrati e dalla stazione centrale arriva pressoché fino a Barcola. L’intero Porto vecchio si estende all’incirca su 650mila metri quadrati, ma è stata tracciata una linea di demarcazione che prevede che rimangano al Demanio marittimo, e quindi sotto la giurisdizione dell’Autorità di sistema portuale, tutta la linea di costa con le banchine e i bacini, le aree degli stabilimenti balneari e delle società nautiche e soprattutto l’Adriaterminal, unico terminal commerciale ancora attivo in Porto vecchio dove oltretutto permane il regime di Punto franco. L’assessore Giorgi, esponente di Forza Italia, annuncia con grande soddisfazione la sua storica firma sotto questo evento storico per la città a due anni dall’emendamento inserito in quella Legge di stabilità con il quale il senatore del Pd Francesco Russo fece approvare il processo stesso di sdemanializzazione dell’area dove, proprio a causa del suo stato di imbalsamazione, si sono consumate le sconfitte più cocenti per la città: la mancata costruzione della sede per l’Italia di Assicurazioni Generali, del Mediterraneo per Evergreen e il fallimento dell’operazione Expo 2004. «I varchi doganali però non si sposteranno già quel giorno - spiega Giorgi - ma lo faranno successivamente per portarsi, ritengo, all’ingresso di Adriaterminal. Quanto al Comune - aggiunge - penso che i primi adempimenti da valutare saranno quelli di carattere assicurativo, ma la mia responsabilità diretta sul processo di riqualificazione del Porto vecchio si ferma qui, ripasso la materia al sindaco Roberto Dipiazza in quanto rientra tra le sue deleghe». La fase burocratica intanto sembra realmente conclusa. L’iter da seguire era stato illustrato nel gennaio scorso da Roberto Cosolini: «La giunta comunale - aveva annunciato l’ex sindaco - approverà una proposta di deliberazione per l'acquisizione dell'area che passerà poi in Commissione e infine in Consiglio per essere sperabilmente approvata entro fine febbraio. A questo punto il Comune farà quella che è detta l'istanza di completamento al Commissario del libro fondiario che avrà 60 giorni di tempo per completare l'istruttoria. L'incartamento dovrà essere vagliato quindi prima dal Tribunale e poi dalla Corte d'appello per concludere il suo iter al Giudice tavolare che effettuerà l'iscrizione: a quel punto il Comune sarà il proprietario. Ci vorranno alcuni mesi». Tutto questo sembra essere stato compiuto. Già a giugno inoltre l’advisor Ernst&Young, scelto dall’amministrazione precedente dopo una gara pubblica ha concluso il suo lavoro sul tema “Redazione delle linee guide per l'impostazione di un Piano strategico per la valorizzazione delle aree facenti parte del Porto vecchio”. Dipiazza ha assicurato che in questi mesi la sua giunta ha lavorato sodo, seppur in silenzio, sul Porto vecchio in contatto e in accordo con la Regione e con la stessa governatrice Debora Serracchiani. Tra le cose note, i 50 milioni stanziati dal Ministero per i Beni culturali e la certezza che per il Comune si prospetta un immane lavoro a partire dall’infrastrutturazione dell’area e dalla ricerca degli investitori.

Silvio Maranzana

 

 

Ferriera - Inquinamento a Servola, Dipiazza in pressing sull’Arpa
Una richiesta formula per fornire «ulteriori informazioni al fine di identificare i determinanti di salute cui è sottoposta parte della popolazione residente nel rione di Servola». L’ha rivolta il sindaco Roberto Dipiazza al direttore generale dell’Arpa Luca Marchesi con l’obiettivo di fare chiarezza sull’inquinamento ambientale a cui sono esposti i cittadini che vivono a stretto contatto con la Ferriera.

«A tale fine - spiega Dipiazza - è importante una relazione commentata sulla serie storica disponibile dei dati sulla composizione di idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), con particolare attenzione al benzo [A]pirene e delle ricadute deposimetriche, previste dall’Aia del 2008. Ad oggi non mi risulta che tali rilevanze siano commentate in documenti specifici di organi tecnici o amministrativi pubblici. Esaminando i documenti già disponibili, emerge che gli autocontrolli dell'azienda attestano che le deposizioni di polveri sono state alte in modo anomalo nel 2015 in una parte di Servola e che, in quell’area, l’origine delle deposizioni è stata riferita da Arpa ricadute da emissioni siderurgiche con significativa presenza di IPA». «Inoltre - incalza il sindaco- è importante conoscere quale esito abbia avuto la richiesta dell’AsuiTs dello scorso 11 giugno 2015 ad Arpa per la collaborazione ai fini della rilevazione della qualità delle polveri depositate e della loro composizione. Si chiede, inoltre, di intervenire con urgenza presso la Regione per rivedere la parte dell’Aia rilasciata da Siderurgica Triestina relativa ai monitoraggi ambientali e riportando la frequenza delle analisi di idrocarburi policiclici aromatici nelle deposizioni a cadenza mensile, invece che trimestrale come ora previsto. Infine - conclude la richiesta - si chiede di dare evidenza dell’eventuale continuazione del monitoraggio di benzene e toluene nell'aria nella stretta prossimità del perimetro industriale».

 

 

A rischio due Intercity Trieste-Venezia - In ballo tratte poco frequentate.

Orario invernale, tutto ok su Roma e Milano: 10 minuti in meno col Frecciarossa per la Lombardia
UDINE - Nel giorno in cui Trenitalia conferma i collegamenti dal Friuli Venezia Giulia su Roma e Milano pure con l'orario invernale, con il vantaggio tra l'altro di una riduzione di 10 minuti sui Frecciarossa per Milano, a livello nazionale rimbalza la notizia dell'odor di taglio per gli Intercity, compresi quelli che collegano al mattino e alla sera Trieste e Venezia. Dall'11 dicembre - così informa Trenitalia - i Frecciarossa sull'asse Roma-Milano si arricchiscono di altre quattro corse. Nel "pacchetto" invernale rientrano pure le nuove rotte per la neve (Courmayer, Madonna di Campiglio e Cortina) e l'alta velocità. Novità quest'ultima che ha riflessi anche sui Frecciarossa in partenza dalla regione. In un quadro complessivo di stabilità (i collegamenti verso Lombardia e Lazio sono garantiti da un finanziamento regionale di 3 milioni di euro), gli Etr 500 ora a disposizione in regione dopo che sulla Milano-Napoli sono stati introdotti 50 Frecciarossa 1000 "Pietro Mennea", potranno infatti sfrecciare a 300 all'ora nei 40 km tra Treviglio e Brescia. Il collegamento Trieste-Milano che attualmente parte alle 6.08 e arriva alle 10 chiuderà così la sua corsa alle 9.50, naturalmente con le stesse modalità di servizio: le quattro classi executive, business, premium e standard, la rete wi-fi con intrattenimento e connessione internet 3G per tutti e, per chi sceglie la executive, anche una sala meeting con tavolo riunioni, sei poltrone e un monitor ad alta definizione 32 pollici collegabile al computer personale per videoproiezioni. E, sempre per i clienti top, il caffè iperespresso Illy, spremute d'arancia e pasti gourmet con piatti caldi o freddi, serviti al posto a colazione, pranzo, aperitivo e cena. Non manca nemmeno l'edicola con quotidiani e riviste. La cattiva notizia arriva invece in materia di Intercity, collegamenti che, è confermato anche da fonti Trenitalia, sono a rischio soppressione. La questione, nel quadro della trattativa Fs-ministero dei Trasporti sul nuovo contratto per il cosiddetto servizio universale, riguarda 14 corse low cost sul territorio italiano, compresa una coppia tra Trieste e Venezia: l'Ic 734 in partenza dal capoluogo regionale alle 22.06 e in arrivo a Mestre alle 00.05 e l'Ic 735 Mestre-Trieste delle 5.50 (arrivo in città alle 7.46). Treni (il primo per turnisti e turisti, il secondo anche per i pendolari) non troppo frequentati (a volte si viaggia con meno di 40 passeggeri) e dunque inevitabilmente nel mirino in una fase in cui si sta definendo un contratto da 220 milioni di euro che, nelle intenzioni delle parti, punta a un miglioramento del servizio (ristorazione a bordo, pulizie durante il tragitto, wi-fi, carrozze nuove) ma ipotizza anche una riduzione dei costi, giacché il servizio Intercity italiano accumula ogni anni 45 milioni di perdite. Nel nuovo contratto, fa sapere il ministero dei Trasporti, «ci sono 95 milioni in più e altri 112 milioni in più ci saranno dal 2018 in poi per salvare un servizio che stava morendo». Il piano è dunque quello di sacrificare alcune tratte dove gli Intercity viaggiano vuoti e allo stesso tempo rafforzare ciò che resta. Per esempio sulla Jonica da Reggio Calabria a Taranto e forse fino a Bari. A svantaggio di altre zone dove c'è invece un servizio regionale che funziona come sulla Torino-Genova e dove quindi non si correrebbe il rischio di penalizzare i viaggiatori. Al momento i due Ic Trieste-Venezia risultano prenotabili, ma la scure potrebbe calare a metà gennaio e dunque il caso resta aperto. «Non c'è dubbio che, ci togliessero quei treni, ritorneremmo esterni all'Italia che conta», osserva il segretario regionale Filt Cgil Valentino Lorelli. Perplesso anche Andrea Palese, coordinatore del comitato pendolari Alto Friuli: «Un treno cancellato non è mai una buona notizia. È opportuno dunque che la Regione, dopo aver raggiunto tra l'altro un accordo di sistema con Rfi, sensibilizzi Roma sull'opportunità di mantenere i due Ic».

Marco Ballico

 

 

Pronti i primi seicento metri della nuova costa di Muggia - In sicurezza anche la ciclabile. Prossima tappa la bonifica di Acquario con park auto
Scogliere antimareggiata, spiaggette e aree balneari più ampie a misura di disabili
MUGGIA - La posa in opera di 12.980 tonnellate di roccia ed inerti pari a 540 camion, e oltre 700 tonnellate di ciottolo lavato pari ad altri 45 camion, per la formazione delle quattro nuove spiaggette. Questi alcuni dei dati più eclatanti inerenti il primo lotto di riqualificazione della costa muggesana. Il cantiere è stato ufficialmente chiuso mettendo la parola fine al primo di una serie di interventi che andranno a rivedere completamente il litorale per un totale di un chilometro e 300 metri da Porto San Rocco fino a Punta Olmi con una cifra in ballo del valore di oltre sette milioni di euro. In questo primo stralcio, lungo circa 600 metri e costato un milione e 230mila euro, sono stati realizzati gli allargamenti delle piattaforme balneari, portandole ad una larghezza massima di sei metri e mezzo in alcuni tratti e sono stati posati e lavorati 1.640 metri cubi di calcestruzzo pari a 205 betoniere. Sono stati installati, infine, 480 metri lineari di parapetti in inox, elementi fondamentali per garantire la sicurezza dei ciclisti lungo la nuova ciclopedonale. «I parapetti sono stati particolarmente apprezzati considerando che alcuni di loro sono letteralmente andati a ruba qualche giorno fa», ricorda a tale proposito con una battuta il sindaco Laura Marzi facendo riferimento al furto da parte di ignoti di quattro metri di parapetto avvenuto pochi giorni or sono. Per il primo cittadino, Muggia ha raggiunto «un traguardo molto atteso, frutto del lavoro iniziato già con l’amministrazione precedente, e in tal senso un ringraziamento va all’ex sindaco Nerio Nesladek ed all’ex assessore ai Lavori pubblici Marco Finocchiaro oltre all’ottima squadra che, tra mille sfide, non si è risparmiata in questo cantiere dimostrando serietà, professionalità e capacità». Il primo lotto ha visto nel dettaglio l’allargamento e la protezione da mareggiate delle piazzole con scogliere «un po’ atipiche per la zona», come puntualizza lo stesso Comune, essendo con una sommità trattata in orizzontale invece che a gettata. «Una scelta che, oltre a rendere più armonioso dal punto di vista paesaggistico la costa, amplia ovviamente di molto anche la capacità di fruizione balneare», precisa il vicesindaco Francesco Bussani. Su tutta la lunghezza è stata inoltre realizzata una pista ciclopedonale, sono state adeguate le piazzole esistenti per renderle accessibili alle categorie deboli e disabili - fascia per la quale prima erano precluse - e inoltre sono state costruite tre rampe di pendenza inferiore all’8% per favorire l’accessibilità al mare e alle nuove spiaggette in ciottoli. Sempre per consentire l’accesso all’acqua sono state realizzate tre “gradonature” nelle scogliere, mentre verso punta Olmi è stata creata una scogliera ortogonale alla linea di costa, il cosiddetto “pennello dei surfisti”. In dotazione inoltre sei docce, l’impianto di illuminazione pubblica e altri sottoservizi. Ma la riqualificazione della costa è solamente all’inizio. «È stata avviata la procedura a evidenza pubblica per Aquario e confidiamo di riuscire a proseguire nell’iter mantenendo i ritmi alti per riconsegnare il prima possibile anche quest’area ai muggesani e a tutti coloro che vorranno usufruirne», conferma Bussani. Nel 2017 partiranno i lavori sul terrapieno Acquario, su un tratto costiero esteso per una superficie di circa 28.800 metri quadrati, una lunghezza di circa 950 metri e una larghezza da 10 a 40 metri lungo la linea di costa. Il tutto a fronte di un costo di 972mila euro. «L’ottica è quella di riconsegnare ai muggesani tutta la passeggiata a mare con due parcheggi di testa e coda della capienza di quasi 100 posti auto - conclude Bussani -. A questi si sommerebbe quello realizzato con sbancamento a destra del rio Ronchi, con una capacità di parcheggio di altri 70, 80 posti auto».

Riccardo Tosques

 

 

Incontro pubblico sui cambiamenti climatici

Alle 17 al Circolo della stampa di corso Italia 13 si terrà un incontro pubblico sui cambiamenti climatici “Dalla COP21 di Parigi alla COP22 di Marrakech”.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 1 dicembre 2016

 

 

Scatta l’operazione bonifiche a Servola

Invitalia pubblica il bando per le indagini idrogeologiche nell’area della Ferriera. Investimento pubblico totale di 41 milioni
Produzione pulita - È l’obiettivo che perseguiamo, afferma Serracchiani
Si sblocca anche la parte pubblica dei finanziamenti per la messa in sicurezza dell'area della Ferriera: un investimento che alla fine raggiungerà i 41 milioni e mezzo di euro che verranno utilizzati in particolare per il barrieramento fisico frontemare dell’area demaniale in concessione e la realizzazione di un impianto di trattamento delle acque di falda. Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ha infatti reso noto di aver pubblicato un bando con la procedura per l'affidamento di una “campagna di indagini geognostiche e idrogeologiche finalizzata al progetto di messa in sicurezza della Ferriera di Servola attraverso interventi di marginamento fisico dell'area demaniale in concessione e di trattamento delle acque di falda contaminate”. Si dà così concretamente avvio, come sottolinea una nota della Regione, alla fase attuativa dell'investimento operato dal Governo in base all'Accordo di programma del 21 novembre 2014 per la messa in sicurezza, la riconversione industriale e lo sviluppo economico-produttivo del sito inquinato di Trieste. Com’è noto il sito della Ferriera è infatti inserito nella zona di crisi industriale complessa, insieme a quasi l'intera area ex Ezit. La stessa Invitalia, società pubblica che opera da stazione appaltante, pubblicherà nei prossimi giorni altri tre bandi di gara, finalizzati alla progettazione di dettaglio degli interventi da attuare. I quattro bandi e cioé quello pubblicato relativo all'esecuzione di indagini geognostiche di monitoraggio della falda, e quelli in via di pubblicazione che riguarderanno la direzione dell'esecuzione delle indagini, la redazione del progetto definitivo e esecutivo e le attività di verifica della progettazione, hanno un valore complessivo di spesa superiore ai 2,7 milioni di euro. Il cronoprogramma delle opere, che però potrebbe slittare leggermente in avanti, in origine prevedeva il progetto definitivo già nel marzo 2017 per passare poi alla fase esecutiva, ancora una volta con Invitalia nel ruolo appaltante. Affidati gli incarichi entro ottobre 2017 e redatto il progetto esecutivo a gennaio 2018, l'agenzia curerà il monitoraggio dell'avanzamento dei lavori, che dovrebbero concludersi nel luglio del 2019. L'ultima fase sarà quella del collaudo, prevista per l'agosto di quell'anno. Sul fronte del risanamento ambientale questi interventi si assommano a quelli privati del Gruppo Arvedi che nel piano complessivo per tutta l’area prevedeva un intervento di ben 172 milioni di euro. Nell’agosto 2015 l'attuazione dell'Accordo di programma è stata affidata al Commissario straordinario per l'area della Ferriera di Servola che è la stessa presidente della Regione, Debora Serracchiani. «L'opera di risanamento ambientale dell'area interessata dallo stabilimento siderurgico triestino - ha commentato ieri Serracchiani - procede secondo la tabella di marcia prevista. Il nostro obiettivo - ha aggiunto - rimane chiaro e saldo: un'attività industriale che si svolga in un contesto di produzione pulita, per dare garanzie ai cittadini e ai lavoratori in termini di sicurezza, di salute e di compatibilità con l'ambiente». Un quadro in cui, ricorda la presidente, «l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) sta facendo sistematicamente e in modo continuativo tutte le verifiche, i controlli e le ispezioni, come previsto dall' Autorizzazione integrata ambientale (Aia), rilasciata all'inizio di quest'anno». E solo qualche giorno fa l’Arpa ha pubblicato il report aggiornato al 21 novembre che certifica «un trend di complessivo miglioramento della qualità dell’aria con diminuzione delle concentrazioni di Pm10 e di benzopirene e della deposizioni di polveri». Tutto questo mentre in municipio sono stati presentati i report sulle segnalazioni dei cittadini (4.716 tra gennaio 2009 e settembre 2016) e sull’analisi delle urine di una serie di abitanti che l’amministrazione comunale ritiene estremamente preoccupanti anche sulla base di alcune conclusioni tra quelle che sono state tratte da rappresentanti dell’Università e dell’Azienda sanitaria.

Silvio Maranzana

 

Ma i Verdi presentano un esposto - Il portavoce Claut: «L’area vicino alla banchina riempita con materiale ferroso»
I Verdi Fvg hanno preannunciato la presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica per delucidazioni sulla Ferriera. Il portavoce Alessandro Claut ha spiegato che «alcune persone affermano che la banchina della Ferriera starebbe collassando. Sono stati fatti accertamenti e state interpellate alcuni lavoratori.

Si è arrivati alla conclusione - afferma Claut - che forse non sono voci fuori controllo, ma i fatti che potrebbero essere veritieri». Nell'esposto si afferma anche che «l'area adiacente al la banchina è stata riempita nel corso degli anni con materiale ferroso, vecchie carcasse di camion. Il nuovo materiale che è stato messo su quell'area - sostiene Claut - potrebbe aver indotto lo smottamento nel corso degli anni di quello vecchio che a causa delle maree potrebbe aver provocato danni ai pali del molo banchina. Ecco perché si chiede che venga fatta quanto prima una verifica statica». I Verdi Fvg affermano di «rendersi conto che un intervento della magistratura potrebbe provocare il sequestro di fonte di guadagno dell'azienda, per questo hanno deciso di rendere pubblica la notizia prima di presentare l’esposto».. Il Presidente della Commissione Trasparenza e consigliere comunale dei Verdi Psi , Roberto De Gioia, ha comunicato che nei prossimi giorni organizzerà un incontro con tutte le realtà coinvolte per parlare di questi argomenti. Inoltre Claut ha spiegato che la stessa Arvedi ha interesse a fare le necessarie verifiche statiche visto i cospicui investimenti che sono in ballo. Se dovesse succedere qualcosa potrebbe infatti vedersi costretta a procedere a esosi risarcimenti.

 

 

«Siamo in 3.500». Ciclisti in Comune con lista di richieste
Mobilità sostenibile e piste ciclabili infiammano la seduta della VI Commissione consiliare presieduta da Salvatore Porro (FdI), nella quale si è tenuta l'audizione dell'associazione Fiab Trieste Ulisse.

Il presidente Luca Mastropasqua e il coordinatore regionale Federico Zadnich hanno illustrato le proposte in chiave cicloturistica, sottolineando «le ricadute positive sia economiche che turistiche» e snocciolando una serie di numeri. A partire dai «20 mila cicloturisti che nel 2015 hanno pernottato in città con una spesa media di 60 euro a persona», fino a un recente sondaggio dal quale emerge che «sono 3500 le persone che a Trieste usano ogni giorno la bici per gli spostamenti». Poi le proposte che - hanno rimarcato - prendono spunto dagli impegni presi dal sindaco Dipiazza, come «la realizzazione di due corsie ciclabili in via Flavia, una pista ciclabile davanti ai Portici di Chiozza», ma soprattutto è stata evidenziata «l'importanza del progetto della pista ciclabile in via Giulia, stoppato dall'attuale amministrazione, ma già finanziato con fondi regionali (135 mila euro), che prevede anche il percorso pedibus e opere per la sicurezza dei pedoni». Per Roberto De Gioia (Verdi-Psi), «questa città è rimasta indietro sul fronte della mobilità e le diverse amministrazioni non hanno saputo interpretare il cambiamento». Concetti ripresi da Gianrossano Giannini (M5S) e Fabiana Martini (Pd), per i quali «bisogna avere il coraggio di scegliere». Ma le scintille sono scoppiate tra Everest Bertoli (Fi) e Marco Toncelli (Pd), con quest'ultimo che ha rimarcato l'assenza degli esponenti della Giunta in Commissione. «Un'assenza imbarazzante e irrispettosa - ha affermato - Gli assessori prima si sciacquano la bocca con facili annunci, ma poi non si presentano al confronto per mancanza di argomenti». Pronta la replica di Bertoli: «Questa amministrazione è in carica solo da pochi mesi, mentre nel luglio 2013 è stato approvato un Piano del traffico che prevedeva 70 km di piste ciclabili e che la scorsa Giunta non è riuscita a realizzare».

(p.p.)

 

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 30 novembre 2016

 

 

Allarme amianto a scuola - Genitori in rivolta a Sistiana
Il diffondersi di una polvere sospetta ha provocato l’evacuazione di un’aula e riacceso la protesta alla De Marchesetti già oggetto di interventi di urgenza
DUINO AURISINA Esplode nuovamente la polemica dell’amianto nelle scuole nel territorio comunale di Duino Aurisina. È di ieri la vibrante protesta dei genitori dei ragazzi che frequentano la scuola media di lingua italiana “de Marchesetti” di Borgo san Mauro, a Sistiana, originata da un casuale distacco di una mattonella del pavimento, provocato involontariamente da uno dei ragazzi. «Quando la mattonella si è spostata dalla sua sede naturale - racconta una delle mamme, che si è fatta portavoce dei genitori - nell’aria si è diffusa una polvere sospetta che ha immediatamente fatta scattare l’allarme all’interno dell’edificio scolastico. I professori - aggiunge - hanno subito fatto sgombrare l’aula, chiudendola a chiave. A quel punto - spiega la mamma - ci siamo attivati noi genitori, perché le nostre proteste sono datate, in quanto da sempre è noto che nelle strutture di quella scuola si annida l'amianto. Le nostre continue richieste all’amministrazione comunale di Duino Aurisina però non hanno sortito alcun effetto, se non quello di sentirci fare promesse finora mai mantenute. È stato portato a termine solo qualche sporadico intervento d’urgenza per tamponare le situazioni più eclatanti - prosegue la mamma -, ma le tanto attese operazioni di bonifica finora non sono mai state fatte. Eppure - insiste la portavoce dei genitori della de Marchesetti - sappiamo, perché abbiamo verificato i documenti ufficiali del Comune, che esiste uno stanziamento di 225mila euro che l’amministrazione potrebbe utilizzare per la bonifica delle scuole che versano in questa condizione». La mamma conclude dicendo che «si è svolta una riunione all’interno dell’edificio, con la presenza di molti dei genitori coinvolti, al termine della quale abbiamo assunto direttamente l’iniziativa, cominciando a telefonare agli enti preposti, ma abbiamo assistito solo a un palleggio di responsabilità fra Arpa e Azienda sanitaria, senza arrivare ad alcun risultato concreto». «Facciamo tutto ciò che è nelle nostre possibilità - replica il sindaco, Vladimir Kukanja, che guida una giunta di centrosinistra - e la mattonella oggetto della protesta è stata immediatamente sostituita, con tutte le precauzioni del caso, fra l’altro utilizzando lo spazio del sabato e della domenica, per evitare di far perdere preziose ore di scuola ai ragazzi. È noto che l’amianto è stato utilizzato parecchio nelle costruzioni negli anni ’50 e ’60 - sottolinea il sindaco - ma è altrettanto noto che esso diventa pericoloso solo quando si sbriciola, finché resta compatto non ci sono problemi. Non vorrei che dietro a tutto questo - conclude Kukanja - ci fosse la oramai diffusa voglia di scatenare polemiche che poi si rivelano strumentali». Dell’argomento si sta occupando anche Daniela Pallotta, consigliere comunale del Pdl: «Invito formalmente il sindaco a convocare una pubblica assemblea - dice - per confermare a tutti che il pericolo non c’è. E lo invito anche a utilizzare le festività natalizie per procedere con gli interventi di bonifica, perché i genitori sono a ragione esasperati». È fin troppo facile a questo punto immaginare che il 7 dicembre, data nella quale è stato convocato il consiglio comunale per discutere del bilancio di previsione, l’argomento sarà approfondito, anche perché in primavera si voterà per il rinnovo dell’amministrazione e la campagna elettorale può dirsi già iniziata.

Ugo Salvini

 

 

Scontro tra comitato Dolci e comunità ebraica - No alla solidarietà ai palestinesi e parte il “presidio” della targa sulle leggi razziali in piazza Unità

Non c’è pace attorno alla targa che in piazza Unità ricorda la proclamazione delle leggi razziali da parte di Benito Mussolini.

Dopo le polemiche dello scorso settembre, scaturite in seguito al rifiuto del Comune di Trieste di concedere la piazza per ricordare questa tragica ricorrenza, nel pomeriggio di ieri si è riaccesa la contesa sopra il metro quadrato di selciato che ospita l’epigrafe. Due mesi fa la diatriba si era risolta con una brusca marcia indietro da parte dell’amministrazione comunale. Il comitato Danilo Dolci si era così potuto ritrovare nello stesso luogo dove settantotto anni fa è stata scritta una delle più tristi pagine di storia del Novecento. È andata diversamente ieri, quando lo stesso comitato che promuove la pace, la convivenza e la solidarietà si è trovato a dover dividere lo spazio davanti alla fontana dei Quattro continenti con una ventina di persone appartenenti alla comunità ebraica di Trieste, contrarie alla scelta del comitato di testimoniare la propria vicinanza al popolo palestinese accanto a un luogo simbolo delle atrocità della Shoah. «Vorremmo che questo luogo che rappresenta la barbarie razzista si elevasse a simbolo di nuovi impegni affinché Trieste diventi sempre più una città-laboratorio di pace tra i popoli». È con questo incipit che il comitato Danilo Dolci ha convocato in piazza i cittadini in occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese. Inattesa è stata la risposta della comunità ebraica cittadina, che si è simbolicamente posizionata a protezione della targa. «Consideriamo la decisione del comitato di esprimere solidarietà alla Palestina davanti alla targa che ricorda ciò che il popolo ebraico ha subìto - spiega il presidente della comunità Alessandro Salonichio - una scelta provocatoria e inaccettabile. Abbiamo già riscontrato come in passato certe posizioni si siano rivelate ostili allo Stato di Israele. Noi tutti auspichiamo il riconoscimento di due Stati per due popoli, ma questo deve avvenire nel reciproco rispetto delle proprie sensibilità». Getta acqua sul fuoco delle polemiche, invece, Luciano Ferluga, presidente del comitato che ha sede in via Valdirivo. «La presenza di queste persone è stata composta e rispettosa. Speriamo di costruire in futuro maggiori occasioni di collaborazione con una comunità importante come quella ebraica».

Luca Saviano

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 29 novembre 2016

 

 

Aiuole inquinate, battaglia in commissione - Botta e risposta sulle tecniche per la bonifica delle aree. Polli: «La decisione spetta al Tavolo regionale»
I giardini inquinati sotto la lente della VI commissione consiliare presieduta da Salvatore Porro (FdI). Due le mozioni all’ordine del giorno, entrambe licenziate con discussione.

La prima, presentata dai consiglieri di Forza Italia Camber, Polacco e Babuder, impegna sindaco e assessori competenti «a valutare la possibilità di anticipare uno stanziamento ad hoc per interventi di manutenzione nelle aree verdi in questione per venire incontro alle richieste di residenti ed esercenti delle zone interessate, attualmente interdette e non fruibili, accelerando di fatto il percorso di soluzione del problema», in attesa delle bonifiche dei siti «per le quali è stato stanziato dalla Regione un contributo di 350 mila euro, ma la cui attuazione è condizionata dal completamento delle analisi del suolo». Nella seconda, siglata dai consiglieri M5S Elena Danielis e Gianrossano Giannini, si impegnano invece sindaco e giunta a «valutare un nuovo percorso di bonifica dei giardini inquinati mediante le tecniche di “fitorimedio” e “biorimedio”, già utilizzate in via sperimentale nel comprensorio dell'ex ospedale psichiatrico di San Giovanni». Un metodo - è stato precisato dai tecnici di Università di Trieste e Legambiente - che si basa «sull’utilizzo di alcuni tipi di piante e specie vegetali che hanno la proprietà di assorbire elementi inquinanti presenti nel suolo e che ha dato buoni risultati in tempi brevi e con costi inferiori rispetto alla bonifica tradizionale». Spiegazioni che non hanno convinto i consiglieri. Per Maria Teresa Bassa Poropat (Insieme per Trieste) «non si discute la sperimentazione effettuata, ma il fatto che la stessa sia strettamente collegata al tipo di inquinamento», mentre per Guido Apollonio (Fi) «prima di dare un giudizio complessivo vanno conosciuti in modo preciso tutti i dati della sperimentazione». Così l'assessore comunale all'Ambiente Luisa Polli. «Al di là di ogni considerazione, il problema vero è un altro: il contributo della Regione per le bonifiche dei giardini inquinati deve rispettare le linee guida dettate dalla Conferenza dei servizi. Il Comune può cioè riferire al tavolo tecnico regionale questa nuova ipotesi di intervento, ma non può agire autonomamente». Poi due mozioni presentate dalla Lista Dipiazza, con primo firmatario Francesco Bettio, che chiedono all'amministrazione comunale interventi urgenti per «mettere in sicurezza due incroci particolarmente critici sul fronte della viabilità e della mobilità pedonale». Vale a dire quello tra le vie Brigata Casale, Monte Sernio e Campanelle «da anni oggetto di richieste pressanti di cittadini e circoscrizione, ad oggi ancora senza riscontro, e dove si rende necessaria l'installazione di una rotatoria o di un'altra opera simile sul fronte della sicurezza», e quello tra via Svevo e via Doda, dove «non esiste un attraversamento per i pedoni in sicurezza, all'altezza del Centro commerciale in direzione dell'area ex Gaslini».

(p.p.)
 

 

A gennaio il cantiere per riqualificare via XXX Ottobre - I lavori di restyling saranno ultimati entro la fine del 2017
Prevista una spesa di 800 mila euro legata al piano Pisus
Da Sant’Antonio a piazza Oberdan. Dai dolci della Bomboniera alle vetture del tram diretto a Opicina. Sbirciando la mole neoclassica di palazzo Pimodan disegnata da Antonio Buttazzoni. Passando davanti alla vecchia sede dell’Archivio di Stato. Sfiorando l’ex comando provinciale delle Fiamme gialle. Tradizionali buffet, ghiottonerie di frutta&verdura. Insomma, per via XXX Ottobre, denominazione subentrata dopo il 1918 all’originaria via della Caserma, ci si passa con fatale frequenza, ma forse senza pensarci troppo. La riqualificazione del Borgo Teresiano, impostata e avviata dalla giunta Cosolini con le eurorisorse Pisus (Piani integrati di sviluppo urbano sostenibile), obbligherà invece a porre maggiore attenzione a questo asse viario, che diverrà “gemello” della quasi parallela via Trento (da Canal Grande a via Ghega). La giunta Dipiazza eredita il recupero dell’ampia area centrale e ribadisce il programma di abbellimento: così dal gennaio 2017, quando salvo sorprese e/o ricorsi partirà il cantiere, la Friulana Costruzioni inizierà i lavori finalizzati a migliorare la “pedonalità” e a introdurre la “ciclabilità” di via XXX Ottobre. A piedi e in bici in centro è una delle idee insite nella filosofia Pisus: per rendere XXX Ottobre una arteria à la page la Regione Fvg ha contribuito con 582 mila euro, il Comune ci ha aggiunto 206 mila dei propri. Totale quasi 800 mila euro, sui quali incide l’abituale 22% di Iva. Il progetto preliminare era stato varato già nel novembre di cinque anni fa, a supporto della richiesta di finanziamento presentata dal Comune alla Regione riguardo la pianificazione Pisus: una domanda complessiva pari a 5,8 milioni in gran parte esaudita. L’amministrazione comunale ha optato, per l’affidamento dell’appalto, alla cosiddetta procedura negoziata e lo scorso 10 agosto le aziende individuate sono state invitate a presentare le offerte. Il 23 settembre l’appalto è stato aggiudicato, come già s’è detto, alla Friulana Costruzioni, con sede a Sedegliano, che ha prospettato un ribasso del 15,48% rispetto alla base di gara. A disposizione dell’impresa scatteranno 240 giorni per realizzare l’opera, che sarà ultimata durante il ’17. La determina 3032/2016 riafferma l’affidamento all’azienda friulana, nonostante l’Anac, in sede di chiarimenti interpretativi sul nuovo Codice degli appalti (decreto legislativo 50/2016), abbia espresso differenti valutazioni riguardo il calcolo della soglia di anomalia. Gli uffici comunali hanno optato per la doppia salvaguardia dell’attività amministrativa svolta e delle legittime aspettative dell’impresa. Correlate all’operazione XXX Ottobre, le prove di controllo-qualità dei materiali lapidei sono state affidate alla Lgt di Cervignano. Responsabile del procedimento è il dirigente comunale del servizio strade Enrico Cortese, che ha contestualizzato la riqualificazione di via XXX Ottobre nell’ambito del recupero del Borgo Teresiano, sottolineando la prossima aggiudicazione delle opere relative alle due sponde del Canal Grande.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 28 novembre 2016

 

 

«A Servola migliora la qualità dell’aria» - Lo afferma l’ultimo report Arpa aggiornato al 21 novembre. I dati sul web

«In diminuzione Pm10, deposizioni di polveri e benzo(a)pirene» - I DATI DELL'ARPA
L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) ha pubblicato il report aggiornato al 21 novembre sulla “Qualità dell’aria a Servola”. «Si evidenzia - viene affermato nelle conclusioni - un trend di complessivo miglioramento della qualità dell’aria. Le Pm10 nella stazione di San Lorenzo in Selva sono in diminuzione sia come media da inizio anno, sia come media sui 365 giorni precedenti; in diminuzione anche i superamenti giornalieri e la media annuale (dati aggiornati ad ottobre). In diminuzione anche le deposizioni di polveri, che presentano comunque valori inferiori ai limiti previsti. I grafici del report evidenziano una marcata diminuzione del B(a)P (Benzoapirene) medio già ad inizio anno, che è continuato a calare, sempre su base annua, fino a scendere su livelli inferiori al valore obiettivo di 1 ng/mc (1 nanogrammo per metrocubo). Una leggera risalita sopra il valore obiettivo si è avuta a luglio in seguito a un malfunzionamento dell’impianto siderurgico, peraltro prontamente segnalato e risolto». Questi dati estremamente recenti dovrebbero permettere uno sviluppo del lavoro avviato come consulente del Comune dal professor Pierluigi Barbieri che la settimana scorsa aveva rilevato come gli ultimi dati certi si riferiscano a marzo-aprile. Il report è inserito nella pagina “Focus Ferriera” del sito web dell’Arpa (www.arpa.fvg.it) ed è uno spazio d’informazione attivato dall’agenzia all’inizio di questo mese e che contiene tutte le informazioni sull’impatto ambientale dell’impianto siderurgico collocato nel quartiere di Servola. Le sezioni 1 e 2 contengono le informazioni sui livelli degli inquinanti principali per la matrice aria. I grafici tendono a evidenziare come siano in calo le medie mensili di Pm10, la media mensile di deposizioni di polveri nelle centraline di via Carpineto, Pitacco, Ponticello, Rachelli-Rossi e Costalunga dopo i picchi registrati tra giugno e agosto, la media mensile di benzopirene dopo il “record” di luglio in San Lorenzo in Selva dove è in calo anche la media di Pm10 nel 2016 o nei 365 giorni precedenti e il numero dei superamenti giornalieri sia in San Lorenzo in Selva che in Carpineto. Tra agosto e ottobre si abbassa la deposizione di polveri sia nelle centraline esterne che nella Palazzina qualità e nella Palazzina operai dentro lo stabilimento. In via Ponticello la media mensile delle deposizioni resta abbastanza alta pur se al di sotto della soglia di legge, mentre in San Lorenzo in Selva sfiora il limite la media progressiva di benzopirene che come ha recentemente sottolineato lo stesso assessore regionale all’Ambiente Sara Vito va tenuta d’occhio. L’ultima sezione riporta l’andamento storico delle deposizioni, ma i confronti sono relativi dal momento che nell’epoca più recente dapprima gli impianti sono stati quasi fermi per il cambio di proprietà, poi hanno ripreso a funzionare senza i dispositivi di contenimento delle emissioni che sono stati messi a punto solo negli ultimi mesi. «Il Focus Ferriera - sottolinea Arpa - è aggiornato quotidianamente per quanto riguarda i dati della rete automatica di misura, ogni 15 giorni (indicativamente) per i parametri soggetti ad analisi di laboratorio. Il Focus verrà prossimamente sviluppato con l’inserimento di informazioni riferite al rumore e alla bonifica del sito industriale di Servola (suoli, acque sotterranee, gestione degli scarichi e rimozione dei rifiuti)». Un discorso a parte riguarda gli odori per i quali nonostante il recente posizionamento di nasi elettronici non vi sarebbero rilevatori di pieno valore scientifico. Dopo aver ricordato che «nella sezione “approfondimenti” del Focus è presente anche una “Guida alla consultazione”», l’agenzia per l’ambiente sottolinea che «Focus Ferriera rappresenta un efficace strumento informativo per un ampio pubblico ed è anche uno strumento di controllo messo a disposizione delle autorità pubbliche e del gestore dello stabilimento siderurgico affinché possano essere attuati tempestivi interventi qualora le grandezze misurate mettano in evidenza criticità nel funzionamento degli impianti». Per quanto riguarda gli sforamenti annuali dei parametri di legge, Arpa fa rilevare come «l’Aia è ancora più severa rispetto alla legge in quanto per indurre l’azienda alla riduzione della produzione non attende la conclusione dell’anno solare, ma si riferisce ai 365 giorni precedenti. Il calcolo dell’indicatore dall’inizio dell’anno solare - viene infatti sottolineato - tenderebbe a sottostimare l’effetto delle emissioni diffuse dell’impianto a inizio anno e a sovrastimarle a fine anno».

Silvio Maranzana

 

«Sono uno dei 33 “pesi morti” da tre anni in cassa integrazione» - lo sfogo
«Sono uno dei 33 pesi morti che l’azienda tiene in disparte: da tre anni a casa in cassa integrazione perché mi sono sempre ribellato ad eseguire lavori di palese inquinamento che volevano obbligarmi a svolgere nelle ore notturne, forse perché in questo modo si sarebbero notate di meno le polveri che si spargevano nell’aria». Così scrive un lavoratore della Ferriera che fa parte dell’ultimo blocco dei dipendenti della Lucchini, alcuni affetti da particolari patologie, che in gran parte nelle ultime settimane hanno seguito corsi di formazione per essere riassorbiti nello stabilimento entro la fine dell’anno. Il suo è uno sfogo senza tante speranze per il futuro, chiede comunque di mantenere l’anonimato per non dover affrontare ulteriori problemi a quelli che già si trova a subire. «Le persone come me che segnalavano e si rifiutavano di contribuire all’inquinamento - scrive in una lunga mail inviata al Piccolo - si trovano a essere già da tre anni in cassa integrazione, tenuti in disparte come pecore nere. All’interno dell’azienda (evidentemente in gestioni precedenti però, ndr) venivamo chiamati “sporca dozzina” perché non sapevano dove collocarci, perché davamo fastidio con le nostre segnalazioni e quindi per punizione ci facevano fare le pulizie all’interno dello stabilimento con scope e sacchi di plastica neri. Compreso un operaio affetto da psoriasi che non avrebbe dovuto avere contatti con le polveri». «Alcuni di questi 33 operai che sono stati lasciati a casa - continua lo sfogo - e non integrati perché considerati pecore nere hanno alcune patologie, altri hanno limitazioni nello spostamento di pesi. Molti non hanno limitazioni gravi eppure non vengono reintegrati, sebbene tanti abbiano un mutuo da pagare. Altri, al contrario, temendo di non essere assunti da Arvedi, hanno sottovalutato le loro limitazioni».
 

Passaggio in “Acciaierie” senza il pericolo esuberi
Prella della Failms: «È stata esclusa qualsiasi ipotesi di tagli dell’organico» - In Siderurgica Triestina rimarranno 40-45 persone: logistica e manutenzioni
«Non vi saranno esuberi nel passaggio della maggior parte dei dipendenti della Ferriera di Servola da Siderurgica Triestina alla società Acciaierie Arvedi». Come riferisce Cristian Prella, segretario provinciale e rsu del sindacato autonomo Failms, l’assicurazione è stata fornita dalla stessa azienda nel corso del primo incontro per il trasferimento del ramo d’azienda che si è tenuto l’altro pomeriggio nella sede triestina di Confindustria. La “rivoluzione” deve scattare dal primo gennaio 2017 per cui la trattativa dovrà ora procedere a ritmi sostenuti e il prossimo confronto è già stato programmato per venerdì 2 dicembre. La necessità di spacchettare l’organico (un’operazione alla quale per la maggior parte i rappresentanti sindacali si sono dichiarati contrari) sarebbe stata spiegata nel modo seguente: risulta molto più semplice accedere a linee di finanziamento oppure ottenere mutui da istituti di credito sotto l’ombrello di Acciaierie Arvedi. D’altro canto non si potevano trasferire in blocco tutti i lavoratori dal momento che ora gli impianti risultano di proprietà di Siderurgica Triestina e soprattutto perché proprio a quest’ultima società è intestata la concessione data dall’Autorità di sistema portuale per quanto concerne la parte a mare dell’area occupata. Altre garanzie sembrano essere state ottenute dai rappresentanti dei lavoratori. Tutti i dipendenti continueranno a fare riferimento al contratto nazionale dei metalmeccanici che tra l’altro è stato rinnovato proprio sabato, a nessuno potrà essere applicato il job act e medesime garanzie saranno applicate per i lavoratori in entrambe le società. È stato anche più o meno definito il perimetro che includerà coloro che rimarranno in Siderurgica Triestina: 40-45 persone. Resteranno sotto l’attuale sigla i reparti logistico in particolare per quanto riguarda la banchina, quelli della manutenzione e delle spedizioni di stabilimento. Incerto ancora invece il destino del settore vigilanza. All’interno di St potrebbero essere riportate anche alcune mansioni in ambito ferroviario che oggi sono terzializzate. Alla trattativa, accanto a rappresentanti di Confindustria, si è rivisto anche Francesco Rosato, che fa parte del consiglio di amministrazione di Siderurgica Triestina. Folta la rapprsentanza sindacale: Cristian Prella, Cristian Riosa e Simone da Pozzo per la Failms, Antonio Rodà, Franco Palman e Giuseppe Spallino per la Uilm, Umberto Salvaneschi per Fim-Cisl, Sasha Colautti e Thomas Trost per Fiom-Cgil, Marco Stolfa per Ugl.

(s.m.)

 

Dipiazza chiede altri controlli sulle urine - Lettera del sindaco all’Azienda sanitaria per approfondimenti sui campioni già oggetto di analisi
Il sindaco Roberto Dipiazza intanto informa che «a seguito dei risultati preoccupanti emersi dal report analitico dello studio presentato da Asuits e dopo un confronto con i tecnici del Comune e con l’assessore all’Ambiente, ho inviato all’Azienda sanitaria una lettera chiedendo, in forza delle anomalie presenti nel quartiere di Servola, di procedere alla ricerca, nei campioni di urine già acquisiti, di inquinanti o metaboliti o traccianti stabili di esposizione ai contaminanti ambientali come ad esempio idrossi-pirene urinario come tracciante di esposizione ad Ipa, e acido trans-trans muconico come metabolita del benzene». Così la lettera che Dipiazza ha inviato al direttore generale dell’Asuits Nicola Delli Quadri e al direttore della Struttura complessa igiene, sanità pubblica e prevenzione ambientale Riccardo Tominz. «Nell’ambito della leale collaborazione tra enti pubblici, al fine dell’identificazione dei determinanti di salute cui è sottoposta parte della popolazione triestina e a seguito della presentazione del report analitico dello studio “Indicatori di stress e inquinamento industriale. Analisi di un contesto a forte insediamento produttivo”, rilevate le anomalie sui valori di biomarcatori di stress ossidativo indicanti sofferenza cellulare (Mda) e alterazione riparabile del Dna (8OHdG) per il campione di popolazione “esposta” riferito a residenti del rione di Servola, considerato che è stato riportato che lo studio evidenzia le condizioni di stress della popolazione servolana, ma non mette in relazione diretta la salute degli abitanti con specifici fattori di inquinamento ambientale e rilevato infine che monitoraggi Arpa e autocontrolli hanno mostrato nel rione di Servola anomalie per quel che riguarda concentrazioni nell’ambiente di idrocarburi aromatici e policiclici aromatici, oltre che di polveri aerodisperse, chiedo che, verificata la disponibilità di adeguate aliquote di campioni delle urine analizzati nel sopracitato studio, si proceda alla ricerca negli stessi campioni di inquinanti o metaboliti o traccianti stabili di esposizione ai contaminanti ambientali (es. idrossi-pirene urinario come tracciante di esposizione ad Ipa, acido trans-trans muconico come metabolita del benzene)». Dipiazza chiede che sia considerata la raccolta di campioni anche nei periodi dell’anno in cui i livelli di inquinamento sono massimi.
 

 

L’indagine di Italia Oggi sulla qualità della vita - Male per acqua, traffico, energia - L’andamento demografico è uno dei peggiori registrati nella Penisola

L’ambiente è sicuramente uno degli argomenti che concorre ad abbassare il rating di Trieste, secondo quanto hanno elaborato i ricercatori che hanno redatto l’indagine “Italia Oggi”. E come già si era visto nella XXIII edizione dell’Ecosistema urbano pubblicato un paio di settimane fa da “Sole 24 Ore”.

L’87° posto nella classifica nazionale parla chiaro: Trieste è 107° per la concentrazione di biossido d’azoto, 82° per dispersione della rete idrica, 97° per i consumi idrici, 75° per consumo pro-capite di energia elettrica, 84° nella raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani. Si attarda anche sulle piste ciclabili (67°) e sulle zone a traffico limitato (81°): Trieste è sesta in Italia per autovetture circolanti ogni 100 abitanti. Si colloca invece in una fascia virtuosa riguardo l’uso del trasporto pubblico (21° posto). Male anche nella graduatoria relativa al disagio sociale, che vede la provincia a un non lusinghiero 67° posto, sul quale molto incidono gli infortuni sul lavoro. Quasi da leadership nazionale, per fortuna, il numero di morti e feriti ogni 100 incidenti stradali, dove solo Genova fa meglio. Molto male, come prevedibile e come già documentato in passato, la situazione relativa alla popolazione, che posiziona Trieste al 107° gradino. Tre dati, in particolare, trascinano la provincia in basso: il numero dei morti, dove solo Alessandria è superiore, il numero dei nati vivi (dove solo sei province sono meno prolifiche), il numero medio dei componenti della famiglia (il peggiore registrato nello Stivale).

(magr)

 

Inquinamento, clima incerto aspettando Donald Trump - L’INTERVENTO di Alessandro Lanza e Marzio Galeotti
Lo spauracchio del possibile mutamento di rotta dell’amministrazione Usa sul cambiamento climatico ha reso la Cop22 (Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) un esercizio in sostanza dimenticabile, l’ennesimo, di cui nessuno ricorda nulla a una settimana dalla fine.

 Ne è prova il generale disinteresse dei media. Eppure all’incontro, tenutosi a Marrakech dal 7 al 18 novembre, hanno partecipato quasi 200 Paesi. Pensata per essere una Cop d’azione, avrebbe dovuto risolvere parte delle questioni in sospeso di Parigi. È rimasta, in verità, una Cop di riflessione, percorsa da molti timori e preoccupazioni. Partita con il vento in poppa per l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi il 4 novembre, un traguardo inatteso nella sua rapidità e tale da cogliere i negoziatori quasi impreparati, la Conferenza si è subito sgonfiata. Il convitato di pietra, cioè il prossimo presidente Usa, ha generato un vero e proprio dramma psicopolitico. Ciò ha fatto anzitutto sì che la dichiarazione finale non si sia fatta attendere come nelle Cop precedenti e che, anche come risposta a Donald Trump, sia stata letta in plenaria ribadendo la svolta verso una nuova era nell’attuazione della lotta ai cambiamenti climatici e nell’azione, come indicato dall’Accordo di Parigi. La lista delle questioni in sospeso era lunga ma il progresso è stato scarso. Una riprova di ciò può essere vista nell’abbondanza di comitati, raggruppamenti, piattaforme costituiti o riunitisi nei 12 giorni di summit. Dal Ndc Partnership al Paris Committee on Capacity Building (Pccb), al Warsaw International Mechanism (Wim) per il Loss and Damage (L&D) alla Marrakech Partnership for Global Climate Action (nessun acronimo), per finire col fondamentale Ad Hoc Working Group on the Paris Agreement (nome in codice: Apa). Nella scarsità d’azione e conseguente incremento dell’ansia, i prossimi passi sono abbastanza confusi e s’innestano tuttavia su alcuni elementi che vale la pena considerare. La concentrazione di gas serra in atmosfera continua ad aumentare e da poco ha toccato (di nuovo) le 400 parti per milione. Il dato potrebbe essere definitivo nel senso che se anche smettessimo d’immettere anidride carbonica nell’atmosfera già da oggi, ci vorrebbero decine di anni per scendere sotto questo livello critico. Attraverso i carotaggi del ghiaccio al Polo, che permettono di conoscere i livelli di Co2 nelle diverse Ere geologiche, risulta che i valori di Co2 che stiamo sperimentando si sono avuti tra 2 e 4,6 milioni di anni fa e prima tra 15-20 milioni di anni fa. Le condizioni sulla Terra erano estremamente diverse dal punto di vista del clima e a livello di specie viventi. L’uomo non era ancora comparso. Quello che davvero preoccupa è che nella storia della Terra ci sono voluti millenni per raggiungere questi livelli. Oggi invece abbiamo raggiunto le 400 ppm in meno di 150 anni. E nessuno sa bene cosa dobbiamo aspettarci. Le concentrazioni provocano comunque un chiaro incremento della temperatura. Il problema che Marrakech non ha affrontato e che rimane centrale nell’analisi è quello di recente ridefinito in termini di budget del carbonio (carbon budget). Per mantenere l’incremento della temperatura entro i 2°C come stabilito a Parigi vi è un ammontare limitato di Co2 che può essere emesso nei prossimi 35 anni: tra 870 e 1.100 Gtons. Le attuali riserve di combustibili fossili lo eccedono ampiamente: ciò implica che circa il 60% delle riserve devono restare sottoterra, determinando così per i Paesi produttori e le grandi società energetiche delle colossali attività bloccate, fino a 1,8 trilioni di dollari d’investimenti non necessari, una vera e propria “bolla del carbonio”. Nell’immediato ci s’interroga però su quale strada Trump imboccherà per vanificare l’Accordo di Parigi e il negoziato sul clima. Potrebbe ritirare gli Usa dall’Accordo ma ci vorrebbero non meno di quattro anni. Potrebbe ritirare il Paese dall’Unfccc (Un Framework Convention on Climate Change), realizzabile in un anno. O semplicemente potrebbe non dare seguito agli impegni assunti dagli Usa in fatto di Ndc (Nationally Determined Contribution), lasciandoli cadere nel vuoto. Questo perché il cambiamento climatico è un hoax, un imbroglio, secondo il presidente eletto. O forse no. Perché stando a un’intervista di pochi giorni fa al New York Times in effetti c’è “qualche” collegamento tra il fenomeno e le attività umane. Quindi sta studiando la questione. E il mondo resta in ansia. * www.lavoce.info
 

Si sblocca la riqualificazione delle fognature di Caresana
Sono trascorsi quasi tre lustri da quando nel 2002 l’opera venne inserita nel Piano provinciale. E sono passati sette anni da quando, nel 2009, la stessa opera fu iscritta nel Piano d’ambito. Ma adesso, finalmente, dalle pianificazioni cartacee si è viaggiato verso i progetti preliminare ed esecutivo.

E ci sono perfino i soldi: il costo complessivo arriva a un milione e 350mila euro, di cui circa un milione e 150mila per lavori, che verrà pagato con i denari provenienti dalla tariffa a saldo del mutuo contratto. Lo annuncia la recente delibera 217 - pubblicata sull’albo pretorio online della Rete civica del Comune di Trieste - votata dalla Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato orientale triestino (Cato): la fognatura al servizio delle frazioni di Caresana e Crociata, situate nel comune di San Dorligo della Valle, si farà. Unanime il suffragio durante la riunione tenutasi l’8 novembre scorso: a referto il sì degli assessori Luisa Polli (Comune di Trieste, in sostituzione del sindaco Roberto Dipiazza), Vittorio Zollia (Provincia) e Mirko Sardoc (in rappresentanza del primo cittadino di Sgonico, Monica Hrovatin), dei sindaci Vladimir Kukanja (Duino Aurisina), Laura Marzi (Muggia) e Marko Pisani (Monrupino). In una stagione che vede nuovamente alla ribalta le infrastrutturazioni collegate al ciclo idrico (a cominciare dal depuratore di Servola), dopo la lunga “siccità” finanziaria che negli anni scorsi aveva frenato l’ammodernamento degli impianti, questo collegamento fognario è classificabile - secondo il direttore del Cato Fabio Cella - tra le priorità territoriali. Sarà costruito tra Caresana e Crociata, fungerà da collettore per l’alta valle dell’Ospo, poi si connetterà con la struttura che proviene da Muggia e che raggiunge Zaule in zona Ezit. In questo modo si risolverà il vecchio problema determinato dall’insufficiente operatività del piccolo depuratore di Prebenico, che verrà dismesso. Pur senza raggiungere livelli ambientali patologici e senza che vi fosse sforamento dei limiti, tuttavia dal depuratore di Prebenico scendeva un rigagnolo che andava a gettarsi nel Rio Ospo: «Con la nuova fogna avremo anche un miglioramento del contesto ambientale carsico», osserva Cella. A occuparsi della realizzazione sarà AcegasApsAmga in seguito alla stipula della convenzione per il servizio idrico sottoscritto con l’Ambito territoriale nell’agosto del 2013. «Adesso la società potrà bandire la gara - precisa ancora Cella - per cui si può ritenere che l’opera sarà completata entro la fine del 2017». Invece, in materia di sistemazione e manutenzione idraulica delle rete idrografica minore nel Comune di Trieste, da segnalare una delibera giuntale, portata dall’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, che stanzia la cifra di 195mila euro per opere riguardanti i torrenti Farneto, Corgnoleto, Orsenigo, Moreri. Si tratta di una somma assegnata dalla Regione Friuli Venezia Giulia (180mila euro entreranno nelle casse comunali il prossimo anno mentre la quota restante di 15mila euro nel 2018, di conseguenza il pagamento avverrà con la medesima scansione temporale) nel quadro degli interventi manutentivi riguardanti quei corsi d’acqua passati alla competenze dei Comuni ed è considerata «spesa indispensabile e urgente per la pubblica sicurezza e la pubblica incolumità». Il Municipio triestino provvederà ad avviare gli atti per la gara di affidamento dei lavori, che andranno compiuti entro 180 giorni.

(magr)

 

 

Gli elettrodomestici dovranno consumare di meno - La rivoluzione del mercato elettrico: le nuove regole Ue
Bollette della luce trasparenti, riscaldamento “intelligente”
MILANO - Una mini-rivoluzione del mercato elettrico europeo, più aperto tra i 28 e alle rinnovabili, con bollette più trasparenti e riscaldamento intelligente con dati obbligatori che aiutano a tagliare i costi, più facilità di passaggio da un operatore all'altro e un meccanismo europeo sulla falsariga di quello messo a punto per il gas per evitare crisi energetiche e black-out. È il nuovo pacchetto d'inverno che la Commissione Ue presenterà fra pochi igorni per voltare pagina completando l'Unione dell'energia, rendendo più indipendente l'Ue dalle forniture esterne e centrando gli obiettivi della lotta ai cambiamenti climatici. Questi gli elementi principali delle otto proposte legislative tra direttive e regolamenti, per un totale di quasi mille pagine, che si apprestano a vedere la luce nel quadro di una nuova visione globale del mercato dell'energia elettrica. Bollette e riscaldamento intelligente. Le bollette della luce, spesso di difficile lettura, dovranno d'ora in poi contenere in tutta l'Ue un minimo di determinate informazioni chiave. Lo stesso vale per la tecnologia degli smart meter, il riscaldamento intelligente: i consumatori dovranno avere accesso ai dati chiave per controllare il consumo e gli installatori dovranno fornirli anche al momento del passaggio al nuovo sistema. Dovrà poi essere più facile passare a un nuovo fornitore: stop ai costi di disattivazione e attivazione dei contratti aperti, anche se resteranno per l'interruzione di quelli a durata determinata. Rinnovabili. In arrivo uno schema per gli interventi di sostegno alla produzione di energia rinnovabile a livello nazionale ma - salvo cambiamenti viste le proteste di ambientalisti e industria verde - le nuove regole sono pronte a cancellare la priorità di accesso alla rete elettrica data a chi produce da rinnovabili. La quota dei biocarburanti da colture alimentari si riduce dal 4,9% al 3,8% mentre si aumenta il contributo di quelli di seconda generazione. Ecodesign. Elettrodomestici più efficienti che consumano meno, per un bolletta più leggera. Asciugatori elettrici, ascensori, bollitori, pannelli solari, sistemi di automazione e controllo degli edifici e contenitori da trasporto refrigerati sono le sei categorie di prodotti che saranno regolamentati nella proposta sulla progettazione eco-compatibile. Fuori i phon e, almeno per ora, gli smartphone. Sicurezza elettrica. Sulla falsariga della sicurezza delle forniture di gas, anche per l'elettricità ci dovrà essere un maggior coordinamento tra i 28, con piani di emergenza e il miglioramento delle interconnessioni con investimenti nelle infrastrutture per eliminare i colli di bottiglia. Verranno quindi rafforzati i poteri dell'Agenzia Ue per la cooperazione tra i regolatori energetici (Acer).

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 27 novembre 2016

 

 

«Parco del mare? C’è Porto vecchio» - Per l’ex sindaco Cosolini è prioritario valutare a fondo il sito alternativo e scegliere l’investitore privato
Identificare il partner privato che dovrà partecipare all’investimento e mettere a confronto il sito attualmente prescelto di Portolido con uno alternativo all’interno del Porto vecchio. Secondo l’ex sindaco e attuale consigliere comunale del Pd Roberto Cosolini, sono le due questioni preliminari da affrontare prima di partire con la fase burocratica del Parco del mare al quale ribadisce di essere favorevole.

«Se ne parla da ben 12 anni (l’idea fu lanciata dopo la sconfitta della candidatura di Trieste all’Expo tematico e quindi a fine 2004) - ricorda Cosolini - e quindi auspico che si arrivi all’avvio del progetto». Aggiunge anche come da sindaco, d'intesa con la Regione a seguito dei contatti istituzionali con i proponenti, meno di un anno fa, abbia espresso in una lettera il sostegno del Comune evidenziando alcune condizioni ritenute però necessarie per un pieno supporto pubblico, compreso il sostegno economico richiesto dalla Camera di commercio alla Regione che dovrà decidere in merito. «Il primo requisito - sottolinea Cosolini - è l’individuazione del partner privato che dovrà partecipare all’investimento, da farsi prima della fase di progettazione di dettaglio in quanto l’opera va definita insieme a chi poi dovrà gestirla, facendosi carico dell’equilibrio economico in una logica d’impresa; posporre questa individuazione a una fase successiva - sostiene - comporterebbe rischi di maggiore difficoltà di intesa necessaria con il gestore privato». La seconda questione, come detto, riguarda il sito. «Ritengo necessaria, pur senza alcuna pregiudiziale sul sito proposto - spiega l’ex sindaco - una preventiva comparazione in termini di tempi, costi, benefici e vantaggi complessivi tra la localizzazione in zona Lanterna e l’area edificabile a mare posta a poche decine di metri dal polo culturale di Porto vecchio (si tratterebbe comunque di costruire un edificio ex novo, ndr)». A monte di ciò l’ex sindaco cita una serie di motivi: «Acquario e Museo del mare, che come è noto sorgerà in Porto vecchio, si alimenterebbero a vicenda componendo proprio la struttura dell’idea di “Parco del Mare”: senza questa unitarietà si perderebbe il valore d’insieme e lo spezzettamento, sia dal punto di vista urbanistico, sia dell’integrazione in termini di offerta turistica, sia dei servizi e delle infrastrutture di supporto necessari, potrebbe essere più debole. Inoltre buona parte dell’area interessata in Porto vecchio sarebbe sdemanializzata e quindi l’Acquario potrebbe in buona misura essere realizzato in regime di proprietà e non di concessione, con i noti vantaggi. In termini di tempi non sono sicuro che la soluzione Portolido sia la più celere e facile. Sarà necessaria la modifica dell’oggetto della concessione che richiederà una variante al Piano regolatore del Porto che oggi non prevede questo tipo di destinazione, compatibile invece in Porto vecchio. Le due aree vanno poi valutate in termini di viabilità, parcheggi, infrastrutture a rete. Credo che una comparazione complessiva - conclude Cosolini - possa essere realizzata anche solamente nel giro di due o tre mesi».

Silvio Maranzana

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 26 novembre 2016

 

 

Il Parco del mare divide i club nautici - La Lega navale propone a Paoletti di affiancare altre attività. L’Adriaco vorrebbe dirottarlo sul terrapieno di Barcola
Mentre “radio-banchina” già rimanda il messaggio della possibile nascita di un Comitato anti-cubone per contrastare la realizzazione del Parco del mare sul Molo Fratelli Bandiera, le società nautiche che gravano sull’area della Sacchetta si spaccano nell’atteggiamento con cui guardano al progetto per ora però limitato a un rendering. Pierpaolo Scubini, presidente della Lega Navale, la società maggiormente coinvolta nell’operazione in quanto convive sullo stesso molo dove del resto in anni recenti ha anche costruito la palazzina servizi, informa di aver inviato proprio ieri la richiesta di un incontro con il presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia, Antonio Paoletti, il “papà” del Parco del mare, e di aver inviato una memoria alla stessa Autorità portuale. La sua non è ufficialmente una posizione di contrarietà anche se dai discorsi che si fanno in Lega emerge come la collocazione ideale viene comunque considerata quella del Porto vecchio ritenuto più strategico per la migliore accessibilità via gomma e ferro. «Siamo stati in gara per avere in concessione quell’area prima che venisse concessa a Italia Navigando - ricorda Scubini - e abbiamo tentato un nuovo approccio quando la concessione è passata a Trieste Navigando e allungata da 30 a 40 anni. Il nostro progetto era di creare un centro nazionale con corsi quindicinali per giovani provenienti da tutta Italia non solo nel settore della vela, ma anche del canottaggio, della motonautica, della pesca con la realizzazione di una foresteria. L’obiettivo che ora personalmente non ho abbandonato assieme alla Consulta regionale per le persone disabili e i loro familiari - continua Scubini - è quello della realizzazione di un Polo nazionale della disabilità che faccia perno su queste stesse attività sportive: avremmo bisogno di un capannone per il rimessaggio delle barche, di uno scivolo, di uno spazio a mare. Tutto però potrebbe coesistere anche con il Parco del mare, è questo che vorrei spiegare a Paoletti». Chi proprio non lo vede bene il Parco del mare in quella collocazione è il presidente dello Yacht club Adriaco, Francesco Rossetti Cosulich. «Proprio perché l’area ha bisogno di una valorizzazione estetica - afferma - una costruzione di quel tipo andrebbe a peggiorare la situazione, oltre ad oscurare la vecchia Lanterna. È facilmente comprensibile come proprio la collocazione nettamente preferibile sarebbe quella sul terrapieno di Barcola o comunque un sito all’interno del Porto vecchio dove anche il prevedibile aumento del traffico veicolare creerebe molti meno problemi». Opinioni differenziate tra le società del Molo Sartorio. Marco Penso, presidente della Triestina della Vela afferma di non conoscere il progetto, ma ritiene che «potrebbe indurre una risistemazione dell’intera area e creare un polo di forte interesse». «La zona ne uscirebbe certamente valorizzata», anche secondo Francesco Fegitz, presidente del Circolo canottieri Adria che vede il Parco del mare come «un bel progetto che farà crescere l’attrattività di Trieste». Una bocciatura arriva da Antonio Sofianopulo presidente di Sgt Nautica. «Il mio parere è negativo - afferma - soprattutto per due questioni: una è quella estetica perché stravolgerebbe l’area dal punto di vista paesaggistico, ma la seconda è che ritengo che in un’area così chiusa un cubone di quelle dimensioni ridurrebbe letteralmente la circolazione dell’aria riducendolo lo spazio a una sorta di laghetto congestionato. Anni fa riuscivamo anche a far allenare i nostri canottieri all’interno della Sacchetta che oggi invece è tutta intasata di barche ormeggiate».

Silvio Maranzana

 

Il sito di Molo Fratelli Bandiera scelto dopo aver scartato tante altre ipotesi
L'approdo sul Molo Fratelli Bandiera del Parco del mare, creatura di Antonio Paoletti (foto), è stato definito un mese fa quando il cda di Invitalia ha deliberato il preliminare relativo alla cessione del 100% di “Trieste Navigando”, la società concessionaria dell’area di Portolido, alla Camera di commercio e alla Fondazione CrTrieste per 62mila euro. Il progetto aveva teoricamente già girato mezza città: terrapieno di Barcola, Mercato ortofrutticolo di Campo Marzio, le Rive (ex Pescheria e Magazzino vini) e Porto vecchio (concessione Greensisam). Il prossimo passo sarà quello di coinvolgere Regione, Comune e Autorità portuale per un Accordo di programma propedeutico alla modifica del piano regolatore in modo tale che l'attuale destinazione diportistica venga ampliata e aggiornata alla nuova prospettiva culturale-ricreativo-nautica. Il progetto vede il favore del sindaco Roberto Dipiazza e nell’area potrebbe essere spostato anche lo storico pontone Ursus.

 

 

MORIRE DI SMOG: NUMERI SNOBBATI 467 morti all’anno, 66 mila solo in Italia.

Il rapporto annuale dell’Eea, l’Agenzia Ambientale Europea, sull’inquinamento atmosferico conferma purtroppo il quadro di estrema gravità della qualità dell’aria e dei conseguenti danni alla salute: patologie respiratorie, cardiovascolari e cancro ai polmoni.

Un allarme a scala europea che si associa a quello lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a scala globale e ai report di Ispra – l’Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente – e del Ministero della Sanità a scala nazionale. Un quadro cui non sembrano rispondere per adesso adeguate e proporzionate politiche pubbliche locali e globali, tese a contrastare morti premature, evitabili o comunque rinviabili se si facesse qualcosa. La qualità dell’aria sta leggermente migliorando in tutta Europa e questo è un dato incoraggiante, ma non basta. L’inquinamento dell’aria resta il problema numero uno per la salute pubblica in Europa, la prima causa di morte per motivi ambientali, dato proveniente da un’analisi accurata sulle 400 città europee più grandi. Le cause? Riscaldamento domestico, traffico, industria, agricoltura. Gli inquinanti più aggressivi? Polveri sottili e particolato, biossido di zolfo, diossido di azoto. L’85% della popolazione è esposta in Europa. Oltre ai morti ci sono i malati e una spesa sanitaria conseguente pari a 300 miliardi di euro per le sole malattie respiratorie. In tutto quasi 1000 miliardi. E allora cosa fare? Prima di tutto occorre aggredire con forza il settore in cui siamo più indietro: la mobilità. Gli spostamenti di merci e persone avvengono ancora per oltre l’80% su gomma e con mezzi individuali ad alto tasso di inquinamento. I sistemi di trasporto pubblico collettivo e sostenibile coprono ancora quote basse della domanda di mobilità. Il miglioramento dei motori non è bastato. Occorre una politica rapida e forte per spostare quote grandi di domanda dall’auto privata e dai camion a mezzi a basso impatto ambientale. Anche sul lato del riscaldamento domestico non si è fatto abbastanza: efficienza energetica nelle case e produzione di energia da fonti pulite sono aumentate, ma non abbastanza. Ancora molte case e uffici pubblici inquinano con tassi di efficienza energetica bassi e con modesti ricorsi a fonti rinnovabili: si brucia soprattutto gas, meglio di gasolio o carbone ma non basta. Anzi il Rapporto segnala un nuovo problema: l’uso di biomassa (pellets, legno) per usi termici domestici. Una pratica interessante ma che sta generando un impatto crescente nell’inquinamento. Le attività industriali sono quelle che hanno raggiunto i migliori risultati, anche forse soprattutto a una crisi economica che dura da anni. Ma anche in questo comparto, specie se si consolida la ripresa, è possibile fare di più. Infine per i rifiuti, il Rapporto Eea dice che il contributo del settore alle emissioni totali di sostanze inquinanti è relativamente basso, con la sola eccezione del metano disperso dalle discariche. Cosa fare? Servono nuovi limiti alle emissioni (le nuove norme europee sono ferme da anni e il target è stato spostato al 2030), e il Rapporto con grande onestà conferma quello che già sappiamo: l’inquinamento atmosferico è il principale problema ambientale globale e locale. A questa terribile situazione non corrisponde ancora un adeguato livello di consapevolezza e coscienza dell’opinione pubblica (l’auto privata e il proprio riscaldamento domestico non incutono paura). Soprattutto non abbiamo messo in campo ancora in Europa e in Italia un’adeguata politica pubblica per ridurre in tempi rapidi il numero di morti e malati da smog. Occorre farlo al più presto. Deve entrare come la priorità nell’agenda dei governi. Forse sarà necessario esporre anche sulle auto, alle pompe di benzina o nei contratti per gas ed energia elettrica la scritta «nuoce gravemente alla salute». Come per le sigarette.

ALFREDO DE GIROLAMO

 

Centrale Fianona 2 - emissioni da ridurre con il nuovo sistema
ALBONA - Dopo che il contestatissimo progetto della centrale a carbone Fianona 3, al termine di anni di opposizione, sembra essere stato definitivamente cestinato poiché in netta controtendenza con le sempre più rigorose direttive antinquinamento in Europa, si procede anche alla riduzione delle emissioni in atmosfera da parte della centrale Fianona 2, entrata in attività nell’anno Duemila.

Presso la struttura infatti è stato aperto il cantiere per l'installazione del sistema Denox così da rimuovere gli ossidi di azoto dalle emissioni della ciminiera nell'atmosfera, per soddisfare gli standard destinati a entrare a breve in vigore in tutta l'Unione Europea. L'impianto si baserà sulla tecnica della riduzione catalitica selettiva. L’effetto pratico di questo procedimento sarà che le emissioni degli ossidi di azoto verranno portate sotto gli 80 milligrammi rispetto ai 200 mg/Nm cubi che saranno consentiti. Si scenderà dunque in maniera notevole rispetto ai parametri imposti. Per fare un confronto con l'attuale situazione, al momento le emissioni oscillano tra 200 e 400 mg/Nm cubi. Il contratto tra l'azienda Termoelektrana Plomin (che gestisce la centrale) e la società Alstom Hrvatska (oggi Ge Croazia) era stato firmato nel 2014 e il valore dei lavori si aggira attorno ai 2,3 milioni di euro. L'appalto è stato affidato al consorzio formato da Ge Italia e Ge Hrvatska (Croazia), figlie della multinazionale statunitense General Electric Company presente in Italia sin dal 1921, che si impegna a ultimarle entro il primo gennaio 2018. Quanto alla centrale Fianona 3, la previsione iniziale era che con la sua entrata in funzione sarebbe stata smantellata la vecchia Fianona 1, costruita negli anni Settanta dello scorso secolo ma per il momento ancora in regola con gli standard ambientali. Oggi invece, alla luce del pressoché definitivo accantonamento della Fianona 3 a carbone, non è ancora chiaro fino a quando il vecchio impianto rimarrà in funzione. Tra l'altro è ritenuto un impianto di rilevante importanza per il rifornimento energetico del paese, che giocoforza - per far fronte alla crescente domanda di energia elettrica - dovrà incrementarne l'importazione. Già al momento se ne importa per una somma pari a 400-500 milioni di euro all' anno.

(p.r.)

 

 

 

 

TRIESTEPRIMA.it - VENERDI', 25 novembre 2016

 

 

Shopping natalizio senza stress parcheggio: Trieste Trasporti e Comune lanciano "Park&Ride"
Dal 3 al 24 dicembre, dalle ore 16 alle 20.10 (festivi compresi) i bus percorreranno via Locchi, le gallerie San Vito e De Sandrinelli, piazza Goldoni, via Mazzini, le Rive e viale Campo Marzio, per poi fare ritorno in via Locchi

Percorreranno più di 3.000 kilometri in tre settimane i due autobus che dal prossimo 3 dicembre saranno dedicati al nuovo servizio di Park&Ride a Trieste. Promosso dal Comune e da Trieste Trasporti, in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia, il servizio intende essere non solo un’azione di sostegno e di accompagnamento allo shopping in città, ma anche un contributo, in via sperimentale, a una mobilità più responsabile e sostenibile.
Invece di affannarsi alla ricerca di un posto macchina in centro città, in giorni tradizionalmente molto trafficati, si potrà parcheggiare nell’impianto coperto di via Carli (vicino alla piscina Bianchi) e quindi raggiungere il centro città con un bus navetta. Il costo del servizio, che comprende la sosta e il viaggio di andata e ritorno, è di appena un euro: il biglietto si potrà acquistare esclusivamente a bordo dei bus, direttamente dal personale aziendale (gli ultimi dettagli saranno definiti venerdì 25 novembre, durante un incontro con le parti sociali). Chi possiede un abbonamento a Trieste Trasportinon sarà tenuto ad acquistare il ticket.
Le navette, che transiteranno ogni dieci minuti (la fermata è in via Locchi, all’uscita pedonale del park, in corrispondenza del capolinea della linea 30), non saranno contrassegnate da un numero ma dalla dicitura “Park&Ride”. Il servizio, in questa fase sperimentale, sarà operativo dal 3 al 24 dicembre, dalle ore 16 alle 20.10 (festivi compresi). I bus percorreranno via Locchi, le gallerie San Vito e De Sandrinelli, piazza Goldoni, via Mazzini, le Rive e viale Campo Marzio, per poi fare ritorno in via Locchi.
«Stiamo lavorando per costruire e promuovere una mobilità integrata e sostenibile» ha detto l’assessore comunale all'ambiente, al territorio e all’urbanistica Luisa Polli. «Interventi come questo possono avere un impatto significativo sul traffico urbano e sulla qualità della vita: il park & ride, in questo periodo prenatalizio, sarà una significativa cartina al tornasole in vista di nuovi e possibili progetti a favore di un uso più razionale dei mezzi pubblici e privati. Cambiare le proprie abitudini non è mai facile, ma questo intervento è un incentivo a farlo e auspico che tanti triestini sappiano raccogliere il messaggio».
Ha espresso soddisfazione anche il presidente di Trieste Trasporti Pier Giorgio Luccarini: «Una volta di più, l’azienda conferma di essere al servizio della città, di chi ci vive, di chi la visita e di chi ci lavora. Il significato di questo progetto va ben oltre ai venti giorni di sperimentazione: è un tassello piccolo ma importante di una nuova idea di territorio, più bello e senz’altro più vivibile, a misura di cittadino. Un processo dove Trieste Trasporti, in sinergia con le istituzioni e le categorie locali, intende dare un contributo di rilievo».
«Le iniziative di Trieste Trasporti» ha aggiunto il presidente della Confcommercio provinciale, Antonio Paoletti «guardano non solo a una mobilità più sostenibile, facendolo per altro in modo molto significativo, ma sono anche interessanti opportunità per incoraggiare shopping e frequentazione della città, che nel periodo antecedente le festività ospiterà  numerosi eventi e appuntamenti di rilievo, a beneficio di residenti e turisti, tra cui ricordo il Mercatino di Natale, in programma dall’8 al 24 dicembre. Ma al di là della valenza dei servizi per l’utenza» ha concluso Paoletti «va rimarcato come le proposte di Trieste Trasporti siano state elaborate e realizzate in un contesto di sinergie di impegno, presupposto essenziale per realizzare progetti importanti per il territorio e per le sue imprese».
 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 25 novembre 2016

 

 

Il Parco del Mare rovinerà definitivamente il waterfront - LA LETTERA DEL GIORNO di Paola Schulze
Ho letto con viva indignazione l'articolo di Paolo Rumiz, su “Il Piccolo” del 22 novembre, sul progetto del nuovo acquario davanti alla Lanterna.

Dal testo, ben scritto, chiaro e dettagliato emerge un progetto veramente demenziale che, come ben scrive Rumiz, sconvolgerà definitivamente il waterfront della nostra città, già involgarita e depressa da altre realizzazioni di pessimo gusto. Pensiamo ai grattacieli eretti, se non erro, negli Anni 50, a metà di via Battisti, sconvolgendo una via fino ad allora armonica nel suo insieme, e a quello di Campo Marzio, un vero pugno nell'occhio (io ce l'ho purtroppo davanti alle mie finestre sul Golfo, in linea diretta con Miramare). Per non parlare, come ho già menzionato altre volte, allo scempio delle piazze Vittorio Veneto e Goldoni. Ritornando alle Rive, citerò alcune osservazioni di Rumiz: «Ci si domanda come mai nessuno ne parli e dove siano le teste pensanti dell'architettura e della politica locale, semprechè ne esistano». Già, ci si chiede proprio se ne esistano ancora! E perché deve essere la Camera di commercio a decidere sulle teste dei triestini? I quali una volta di più verranno messi davanti al fatto compiuto, senza essere stati interpellati. Tanto per certi politici il popolo-bue è costituito da una massa di sudditi, che devono solo subire, obbedire e pagare! Ma, signori, non siamo mica nella Corea del Nord? Confortante il fatto che, com'è scritto sul “Piccolo” del 23 novembre, "la Regione benedice" tale progetto: Beh, allora non dobbiamo preoccuparcene!
 

 

Laboratori “eco” all’Immaginario - domenica
Laboratori per famiglie domenica alle 11 www.immaginarioscientifico.itOgni persona deve poter beneficiare dell’educazione e apprendere i valori, i comportamenti e gli stili di vita necessari per un futuro sostenibile: è l’idea alla base della Settimana regionale dell’educazione allo sviluppo sostenibile, a cui l’Immaginario Scientifico aderisce proponendo, domenica, dei laboratori per famiglie a ingresso gratuito. Alle 11 le famiglie con bambini da 8 anni in su potranno partecipare al laboratorio “Eco-Tinkering”: semplici materiali di recupero si trasfomeranno in oggetti “eco-tecno-creativi”, attraverso la metodologia del tinkering. Come in un fornito garage, i partecipanti potranno trovare e utilizzare materiali e strumenti, assemblandoli in libertà, condividendo idee e risultati, in un contesto di apprendimento (e divertimento!) condiviso. Il laboratorio è a ingresso gratuito, con prenotazione tramite form online sul sito www.immaginarioscientifico.it Domenica l’Immaginario resterà aperto dalle 10 alle 18.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 24 novembre 2016

 

 

I rebus del Parco del mare- Da definire parcheggi e misure. Paoletti svela: «L’Ursus farà da ascensore»
TRIESTE «Come lo ciameremo? No so...i triestini sicuro che lo ciamerà “Acquario de Trieste”...vederemo». Quando Antonio Paoletti discetta di Parco del mare perde un po’ l’aplomb che si conviene nelle eleganti stanze della Camera di commercio. Il tema lo appassiona e lo agita insieme.

«Sono dieci anni che ci penso, dieci anni che ci sto dietro...». I have a dream, gli verrebbe da dire. Tra un’intervista con una tv austriaca e la prima riunione del neocostituito ente camerale della Venezia Giulia, di cui è ovviamente il numero uno, il presidente scava qualche minuto per scoprire un paio di carte in più sul futuro progetto. La chiacchierata è condita di voglia, desiderio e coraggio di scommettere su qualcosa che «cambierà la città». Non fosse per quei «non so, vedremo, chissà...» che di tanto in tanto spezzano la conversazione. Paoletti è guardingo. Sul chi va là. Teme un clamoroso patatrac, il presidente? L’ennesimo sogno infranto? Ma perché, visto che ha dalla sua quattrini e politica? Preferisce muoversi con cautela, non sbottonarsi. Ma il 2020, l’anno in cui si prevede l’inaugurazione, non è poi così lontano. Quel che si sa è che il Parco del mare dovrebbe sorgere in molo Fratelli Bandiera, tra il Pedocin e la Lanterna, nell’area abbandonata dell’ex Cartubi destinata un tempo a Portolido. Quanto sarà grande il parco? «Non lo sappiamo esattamente - mette le mani avanti Paoletti - c’è un concept, ma tutto va definito». Cioè? «Beh - riflette - credo che avrà più o meno una superficie di 17mila metri quadrati di base, a terra, e altri 24mila a mare. È l’area della concessione». Niente da interrare, o forse qualcosina. Si vedrà. L’altezza? Quanti piani? «È da stabilire, ma non più alto dei palazzi attorno». È sui parcheggi che fioccano gli interrogativi. Come si possono portare da quelle parti 900mila visitatori l’anno? Ce lo immaginiamo, il presidente, nell’impresa (titanica) di spostare le automobili e i motorini di chi va al Pedocin? «Macchè, maddai!», sorride. «Non tocchiamo i posti auto della gente, lì arriveranno solo i pullman che scaricano i turisti». Ma le corriere transiteranno lungo le Rive, con il rischio di ingorghi come domenica scorsa quando Trieste si è vista piombare in centro inaspettatamente centinaia di turisti della Costa Crociere? «Sono tematiche che andranno affrontate dalla Conferenza dei servizi, cioè dagli enti pubblici, quando si entrerà nei dettagli», osserva. «Comunque credo che questa sarà un’occasione per impiegare finalmente i parcheggi della città, molti dei quali inutilizzati. Però attenzione - avverte Paoletti - non è che i visitatori devono venire in macchina fino all’entrata del Parco del mare. L’obiettivo è che chi proviene da fuori viva la città, analogamente a quanto avviene altrove. Puoi parcheggiare fuori dal centro, o nei paraggi, fai una passeggiata e arrivi. Due passi a piedi sulle Rive, o in navetta. Non so, magari rafforziamo gli autobus. Ad esempio la 9 potrebbe essere più frequente, perché no? Però, scusate, mica a Roma vai con l’auto davanti ai musei. Anche perché, se ci pensiamo - puntualizza - la nostra struttura alla fine sarà in centro città, non in periferia. Comunque guardiamo a Genova: per il loro acquario, dove hanno un flusso di 1 milione e mezzo di persone, hanno messo a disposizione appena 150 parcheggi». Non sarà questo a fermare Paoletti, ora che l’iter è avviato. Ma la vera partita scatterà con la fase progettuale e la costruzione. «Si va verso un project financing - anticipa - noi non gestiremo nulla, ma ci affideremo a un esperto di acquari. Faremo un bando...ci sono già due pretendenti». Pure l’Ursus troverà un posticino, attaccato alla banchina. «Farà da ascensore - anticipa il presidente - ecco, l’Ursus e il Parco del mare insieme saranno un nuovo simbolo di Trieste. Sarà un’attrazione importante, come a Valencia e a Barcellona. Anche perché ormai negli acquari si fanno sposalizi, convegni. Si dorme dentro col sacco a pelo!».

Gianpaolo Sarti

 

Le previsioni - Un volano per sessanta posti di lavoro
Sessanta dipendenti più un indotto ancora da calcolare. È questa la previsione del presidente Antonio Paoletti sulla forza lavoro che sarà impiegata al Parco del mare a pieno regime. Il presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia ha stimato anche la capacità, per il progetto, di fare da volano economico.

«Soltanto la Regione, in termini di ritorno di Iva - rileva - incasserà 1,5 milioni di euro l’anno. Nove per l’investimento». La destinazione sul molo Bandiera è stata stabilita recentemente, dopo che il cda di Invitalia, agenzia dello Sviluppo economico, ha deliberato il preliminare per la cessione di Trieste Navigando alla Camera di commercio e alla Fondazione CrTrieste. «L’iter è cominciato - spiega Paoletti -, firmato il preliminare dell’acquisto della concessione dell’area partono le richieste per le procedure di autorizzazione degli enti preposti, quindi il Comune, l’Autorità portuale e la Regione. Ottenuto ciò, si va avanti con la progettazione e la costruzione. La Camera di commercio - ricorda - ha stanziato nove milioni, altri nove la Fondazione e quattro la Regione. Poi ci sarà un mutuo che verrà pagato con l’affitto del gestore».

(g. s.)

 

«Manca una visione organica per il rilancio del waterfront»
L’appello alle istituzioni cittadine degli architetti Lorenz e Decorti, attivi a Vienna - «Trieste non si accontenti. Per diventare competitivi servono soluzioni di qualità»
Siamo d’accordo con Rumiz quando scrive che la scelta del sito per il Parco del mare sembra abbastanza problematica. Per il valore urbanistico di un’opera non conta se l’edificio è un acquario funzionante progettato da uno specialista. Conta prima di tutto il suo inserimento urbano. L’impressione che abbiamo è che manchi una visione urbanistica generale per il totale waterfront, da Sistiana fino a Muggia. Un parco del mare da una parte, un supermercato poco vicino dall’altro e così via… Tutti interventi mirati a lotti unici, proposti il più delle volte dimenticando la visione d’insieme, che non pongono rimedio a problemi generali e sostanziali quali il traffico, la mancanza di parcheggi, la nuova mobilità, la riconnessione di Trieste con il suo mare. Negli ultimi decenni sono stati sottratti alla città troppi - quasi tutti - accessi al mare, vedi le Rive e il Molo IV trasformati in parcheggio. Non parliamo poi dell’area del Porto vecchio, per la quale ancora, dopo decenni di discussioni, non sembrano in vista soluzioni valide. Senza volere giudicare un progetto più o meno segreto come il “Parco del mare”, ci interroghiamo su come saprà inserirsi nel contesto urbano, su come andrà a dialogare con il centro storico direttamente limitrofo e riteniamo semmai importante ripulire e liberare gli spazi intorno alla Lanterna ricollegandoli in modo attraente alla città. La straordinaria eredità urbanistica di Trieste, soprattutto austriaca e del periodo tra le due guerre, va dal nostro punto di vista gestita in modo più accorto e in un quadro europeo. Da questo dipendono la sopravvivenza e la competitività di Trieste nei prossimi decenni. In Paesi come l’Austria, la Svizzera, la Germania, l’Olanda e altri, i metodi ci sono. Perché non si possono adottare anche a Trieste? Non si trovano i soldi per occuparsi dello sviluppo della città? Come anche l’eccezionale storia urbana italiana dimostra, si sono sempre trovati i fondi necessari per la qualità urbanistica e architettonica. Per rendersene conto basta fare alcuni esempi. Nella sola piccola città austriaca di Innsbruck, che conta appena 160.000 abitanti, ogni anno si organizzano circa dieci/dodici concorsi di architettura con una commissione giudicatrice formata da esperti neutrali/internazionali. Più che in tutta l'Italia del Nord. E ancora. Già trent’anni fa a Salisburgo è stato fondato il primo “Gestaltungsbeirat” (commissione per la qualità del disegno), strumento ormai molto stimato e usuale in Europa, il cui parere sulle questioni architettoniche locali rappresenta le linee guida per gli enti politici/amministrativi. Non è più il politico con il suo “gusto personale” che decide, ma è proprio lui a cercare di ricevere i migliori consigli per il futuro della propria città. I tanti risultati così già ottenuti sono di sicuro rilievo. Ogni città austriaca è dotata di un “foro di architettura”, iniziativa partita da Graz quasi vent’anni fa, precisamente nel 1989 allo scopo di favorire il dibattito sull’architettura, i confronti con i committenti, i proprietari dei terreni oggetto di sviluppo, i vicini, i futuri utenti, i cittadini. Non si dimentichi che l’idea greca della Polis era quella di coinvolgere attivamente la cittadinanza! Se Trieste vuole diventare competitiva nell’enorme concorrenza tra le città (vedi “Cities in a world of tomorrow” di Saskia Sassen) deve coinvolgere prima di tutto i migliori urbanisti del Continente e in un secondo tempo anche i migliori architetti. L'esempio più famoso è la HafenCity di Amburgo: per cominciare basterebbe imitarla. Certamente i politici sono responsabili per le decisioni e per il livello della qualità delle opere realizzate. D’altra parte i politici non hanno le competenze necessarie e devono essere affiancati dai migliori esperti in materia per alzare il livello di qualità delle loro scelte. Non si fa così forse nel calcio, quando i presidenti si scelgono i migliori allenatori? Non è la stessa cosa quando un paziente va in cerca dell’ottimo medico? Perché non si fa lo stesso quando la scelta investe la vita dell’intera comunità e riguarda investimenti costosi che domineranno la città per parecchi decenni? Come nel salto in alto é la città stessa - ovunque essa sia - che decide a che altezza posizionare l’asticella da saltare. Il tutto nella massima trasparenza perché solo una città senza corruzione con una classe politica capace anche di porre paletti, esigere qualità, dire no è garanzia di uno sviluppo corretto della città. Questo ci auguriamo per la Trieste che tanto amiamo. Una città orientata verso il mare come poche altre al mondo e, anche per questo, con un evidente, enorme potenziale. Dei progetti individuali non fanno ancora una città - è la relazione tra di loro, è l'insieme che produce l’opera d’arte totale della cittá europea!».

PETER LORENZ e GIULIA DECORTI - architetti

 

 

Aia della Ferriera, M5S invoca la revisione - Pentastellati all’attacco: «A Servola inquinamento certo». L’assessore Vito: «Controlli costanti dall’Arpa»
«Incalzeremo i responsabili dell’inquinamento in città finché non saranno posti di fronte alle proprie responsabilità». È una presa di posizione molto dura quella assunta ieri dai rappresentanti locali del Movimento 5 Stelle, i consiglieri regionali Eleonora Frattolin e Andrea Ussai e il portavoce del Movimento in consiglio comunale, Gianrossano Giannini.

Lanciando severe critiche sia nei confronti della Regione sia del sindaco Roberto Dipiazza, i tre hanno parlato di «tempo scaduto, perché oramai i dati sono certi, perciò bisogna rivedere subito l’Aia, imponendo limiti più stringenti». «La giunta Serracchiani - ha osservato Ussai - continua a prendere tempo e a prendere in giro i cittadini di Trieste. Dati ne abbiamo tantissimi sull’inquinamento a Servola e nell’intera città - ha aggiunto - ora è giunto il momento che la politica prenda le necessarie decisioni». «Basta trincerarsi dietro gli atti amministrativi - ha insistito Frattolin - servono iniziative concrete per cercare di ridurre l’esposizione di tutti i cittadini agli agenti inquinanti». «A Trieste - ha ripreso Ussai, che ha presentato un’interrogazione urgente sul tema - siamo in presenza di un diffuso inquinamento industriale. La Serracchiani - ha attaccato - è brava a snocciolare quello che ha fatto, ma è altrettanto brava a omettere quello che l’amministrazione e Siderurgica Triestina non hanno fatto o hanno fatto solo parzialmente. L’accordo di programma che doveva attuare entro il 2015 un riutilizzo dell’area della Ferriera in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, rendendo compatibile lo stabilimento con l’abitato di Servola e con tutta la città - ha concluso - è fallito e la cosa è resa evidente dal fatto che, in concomitanza con l’aumento della produzione, crescono i valori del benzoApirene, sostanze di cui è accertata la cancerogenicità». «Alla luce degli ultimi risultati riguardanti lo stress ossidativo cellulare dei residenti di Servola, anticamera di patologie molto serie - ha ripreso Frattolin - la Regione, l’Azienda sanitaria e il Comune di Trieste devono spiegare quali decisioni intendano prendere per il bene della cittadinanza. Per quanto concerne i giardini contaminati - ha concluso - è urgente spiegare a tutti quale sia la principale sorgente di inquinamento e quale l’impatto degli inquinanti via via ci si allontani dalle realtà industriali che rilasciano nell’aria diossine e furani». «Noi del Movimento 5 Stelle - ha ribadito Giannini - incalzeremo i responsabili finché non saranno posti di fronte alle proprie responsabilità». Immediata la risposta dell’assessore all’Ambiente Sara Vito. «L’Arpa sta effettuando controlli costanti dalla data di rilascio dell’Aia: l’obiettivo è proprio quello di garantire un presidio ambientale per un costante miglioramento del processo produttivo per evitare il più possibile il ripetersi di eventi anomali come quelli accaduti nello scorso luglio».

Ugo Salvini

 

 

E arrivano le corse al posto del tram - Accordo con Trieste Trasporti: otto partenze giornaliere da via Galatti che si sommano al bus sostitutivo già attivo
Un servizio taxi sostituirà in via sperimentale il tram di Opicina bloccato a causa del brutto incidente dello scorso agosto.

L’iniziativa che prenderà il via il prossimo 28 novembre ed è frutto di un accordo tra la Trieste Trasporti e la cooperativa Radio Taxi Trieste, durerà fino a che non verrà ripristinato il servizio della linea 2 che con le storiche vetture collega piazza Oberdan all’Altipiano. La proposta che verrà corretta e migliorata in corso d’opera, prevede che dal parcheggio di via Galatti parta ogni giorno un taxi alle 8.10, alle 8.30, alle 12.30,12.50,13.10 e con altre tre corse nella fascia oraria tra le 17.30 e le 19.30. Nel dettaglio il percorso prevede che da piazza Galatti il taxi si dirigerà in via Martiri della Libertà, via di Scorcola, percorrerà via Virgilio, via Artemidoro, poi via Romagna e attraverso via Fabio Severo ritornerà in piazza Oberdan per riprendere posizione nel parcheggio riservato ai taxi in via Galatti. Al servizio sostitutivo si potrà accedere muniti di biglietto o di abbonamento della Trieste Trasporti, proprio come per usufruire di una semplice corsa a bordo di un autobus (a proposito, l’opzione bus sostitutivo resterà valida con i consueti orari anche in presenza della contestuale novità taxi). Le modalità dell’obliterazione dei biglietti verranno messe a punto nei prossimi giorni nel corso di un incontro tra Trieste Trasporti e Radio Taxi Trieste che consentirà di perfezionare l’iniziativa. A farsi carico dei costi aggiuntivi della corsa sarà direttamente la Trieste Trasporti che con questo servizio intende garantire un supporto a quanti si sentono orfani di quel tram che negli ultimi anni per mille motivi funziona a singhiozzo. Indicativamente per ogni corsa Tt garantirà circa 6 euro, la tariffa minima di una corsa, alla cooperativa Radio Taxi. «Abbiamo ricevuto molte segnalazioni di disagi, specie da parte di persone anziane, causa l’assenza prolungata del servizio del tram», spiega Luisa Polli, assessore comunale all’Urbanistica. «Così - sottolinea - abbiamo pensato a questo accordo che darà una risposta rapida soprattutto alle fasce più deboli della popolazione». Il taxi che imbarca le persone in via Galatti, durante il tragitto se dispone di posti liberi, potrà fermarsi e far salire altre persone, “a chiamata”. In pratica, se un cittadino lungo il tragitto percorso dall’automobile che verrà destinata a sostituire il tram vorrà usufruire del servizio, potrà con un cenno fermare il taxi, salire e proseguire. Ai controllori della Tt sarà consentito verificare che a bordo del taxi i passeggeri siano muniti di biglietto o abbonamento. «È un investimento che abbiamo deciso di sostenere per andare incontro alle esigenze dei nostri utenti che usufruiscono con regolarità del tram», precisa Pier Giorgio Luccarini, presidente della Trieste Trasporti. «L’accordo con la cooperativa Radio Taxi Trieste per sopperire all’indisponibilità del Tram di Opicina - aggiunge il presidente - pone le basi per un rapporto di collaborazione che auspico si rafforzi e in futuro dia la possibilità di dare vita ad altre iniziative». Ma quando ripartirà il tram? «Indicativamente la prossima primavera», auspica Luccarini. L’incidente dello scorso agosto ha costretto i due mezzi a uno stop forzato. Intanto, dal prossimo 28 novembre arriva il taxi.

(l.t.)

 

Piace l’alternativa bis alla linea 2 - La maggior parte dei cittadini loda l’iniziativa: «Meglio una macchina del bus»
Idee futuristiche invadono Trieste. Al posto del piccolo e fragile tram, che è in restauro e lo sarà fino a giugno 2017 dopo l’incidente di agosto, dal 28 novembre l'autobus numero 2/, che al momento sostituisce la tramvia, sarà affiancato in parte anche da un servizio taxi, con otto corse al giorno.

Alla notizia, i residenti della contrada di Scorcola sgranano gli occhi, che brillano di colpo. Ma attenzione, dicono alcune persone, perché “il maligno” è sempre dietro la porta: «Un servizio apparentemente appetibile, bisogna maneggiarlo con cura - avverte per esempio Barbara D’Angeli -, perché potrebbe scatenare una buriana». Per quale motivo? Altri cittadini potrebbero essere invidiosi e gelosi. «Una manna dal cielo» esclama innanzitutto Giuseppe Gastaldi, che sottolinea l’«ottima utilità» del taxi, che costerà esattamente come il bus. «Anche se - ammette - dovrebbe essere esteso ad altre zone, dove è difficile arrivare con il mezzo pubblico». Si potrebbe assistere anche ad azzuffate cittadine per contendersi il servizio taxi. «Perché a loro sì e a noi no?» si chiederebbe qualcuno che non ha la fortuna/sfortuna di abitare nelle impervie vie attraversate dal tram. «A San Giovanni, per esempio - aggiunge Giuseppe -, in via delle Cave, ci vorrebbe un servizio simile, soprattutto per il vantaggio non indifferente di non dover pagare un taxi al vero costo». Gilda De Lucia, già contenta per il servizio del 2/ che «non fa lo stesso lungo percorso del 4», crede sia «un’eccellente idea» che «va incontro al cittadino», ma prevede che, come capita nelle migliori famiglie, «sicuramente questo servizio susciterà una polemica, ma per me ben venga se si aprono queste possibilità». D’accordo anche Federico Sanson, che saltando sul bus per andare in una di quelle viuzze sprovviste di accesso per i mezzi pubblici ora che il tram non c’è più, ha un secondo per riflettere: «Penso a tutte le persone anziane - afferma -, che devono fare quelle salite nella zona di via Romagna o via Artemidoro, saranno felicissime» esclama. Qualcuno già dà per scontato che bisognerà aumentare il numero di corse dei taxi ancora di qualche unità e magari bisognerebbe pubblicizzarlo per i turisti che potrebbero andarne ghiotti. Oppure i residenti di Scorcola vorranno tenersi il servizio tutto per sé? Ha la risposta pronta Elena Dursan: «Se il tram non può più circolare, per il momento ci vuole un servizio sostitutivo in quell’area, poi si vedrà». La giovane, che abita in via Cantù, lo sfrutterà certamente, anche perché: «Vuoi mettere un taxi, dove puoi stare in pace con poche persone, senza caos, senza quegli scemi che ascoltano musica ad alto volume?». Come darle torto. Non ha dubbi Maryam Tamimi, che il bus lo usa per andare a scuola, poco sopra via Romagna e per lei il taxi sarebbe perfetto. «Super utile - esclama - e se si potesse servire più zone, magari si potrebbe metterli a Muggia alta». Alcune persone temono un «eccessivo appesantimento» sul bilancio di Trieste Trasporti, che si sobbarcherà la differenza della spesa. E anche i rischi delle strade ghiacciate: «Il tram - dice qualcuno - faceva un percorso tra neve e ghiaccio, quasi senza problemi, ma il taxi riuscirà a superare queste zone inagibili?». Si sentono altre perplessità. Ancora Barbara D’Angeli: «I taxi potrebbero essere sfruttati per zone dove vivono residenti meno abbienti, alla fine la zona di Scorcola è un’area ricca. Ci sono invece degli anfratti che sono serviti in maniera minima e in cui abitano persone molto anziane. Dividiamo la spesa - propone - per dare un’equa distribuzione del servizio». Per la signora infine «è un’assurdità metterlo d’inverno, per i turisti comunque non ci sarà alcun vantaggio, perché se non c’è il tram, in quella tratta il turismo che c’era, muore».

Benedetta Moro

 

 

Centrali nucleari - «In Francia situazione molto preoccupante» - Allarme dell’Authority sui 12 reattori fermati per anomalie
Il presidente svela: «Nascosti 400 dossier, atti falsificati»
ROMA Tra problemi tecnici e difficoltà finanziarie di Edf e Areva, i due colossi francesi dell’energia, la situazione delle centrali nucleari transalpine «è diventata molto preoccupante». Non ha usato giri di parole Pierre-Franck Chevet, il presidente dell’Authority di Parigi sulla sicurezza nucleare (Asn). In un’intervista su Le Figaro, l’esperto ha lanciato un chiaro allarme sulla situazione dei reattori transalpini, di cui 12 sono chiusi per accertamenti. «Bisogna ripensare l’intera catena di controllo per rendere l’atomo più sicuro - ha affermato il numero uno dell’Asn - la situazione è peggiorata dall’aprile 2015 con la scoperta di un eccesso di carbonio nell’acciaio della vasca dell’Epr (reattore pressurizzato europeo), siamo passati da una brutta sorpresa all’altra». All’età media piuttosto elevata degli impianti francesi si sono aggiunte questioni tecniche che hanno spinto nelle ultime settimane l’Asn a imporre al gestore dell’energia Edf di fermare diversi reattori. Così, tra guasti, manutenzioni ordinarie già programmate e controlli straordinari, i reattori al momento non in funzione sono 12. Ha spiegato Chevet: «Il motivo per cui i reattori sono fermi, o stanno per essere fermati, è per controllare che l’eccesso di carbonio scoperto nell’acciaio non alteri la capacità di resistenza meccanica dei generatori di vapore». Oltre a questo problema, il responsabile dell’Authority ha rivelato che i suoi ispettori hanno riscontrato nei 12 reattori una non meglio precisata «anomalia generica». Lo stop, ha tenuto a rassicurare l’alto responsabile, rientra in «un approccio di sicurezza e tutela delle popolazioni». L’Asn si è data un mese di tempo prima di decidere se riavviare o meno i reattori fermati o sul punto di esserlo. Mentre cresce il timore che la Francia non sia in grado di rispondere all’alta domanda invernale di forniture elettriche. Pierre-Franck Chevet ritiene inoltre che sia necessario almeno un mese di tempo supplementare affinché i reattori autorizzati a ripartire raggiungano la massima potenza, il che equivale a gennaio 2017. Sette impianti Edf sono chiamati a riprendere la produzione il 31 dicembre. L’energia transalpina è direttamente dipendente da 58 reattori del colosso energetico che garantisce il 75% dei bisogni energetici. Pierre-Franck Chevet ha denunciato «l’esistenza di pratiche inaccettabili dall’inizio degli anni Sessanta nella fabbrica del Creusot (di Areva, ndr) e l’esistenza di 400 dossier volontariamente nascosti al cliente e all’Asn e riguardanti anomalie, nonché la scoperta di documenti di fabbricazione che appaiono falsificati».
 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 23 novembre 2016

 

 

FERRIERA: IL REPORT «Servolani più a rischio» Ma in pochi fanno il test

Illustrato lo studio che confronta i valori delle urine di chi vive a Guardiella. Per l’ateneo dati chiari, per l’Asuits non bastano ad accertare le responsabilità

Le dichiarazioni più allarmanti le fa Ranieri Urbani, docente di Biochimica all’università di Trieste: «Alcuni abitanti di Servola presentano nelle urine livelli doppi di malonidialdeide e molte volte superiori di deossiguanosina rispetto a quelli di Guardiella. Sono dunque in uno stato di premalattia chiaramente causato da contaminazione ambientale, dato che questi sono i due indicatori più veritieri in situazioni del genere. Lo stress ossidativo in questi casi così rilevato è uno stato che può precedere cinquanta forme di malattie e una di queste è il cancro». Riccardo Tominz, direttore della Struttura complessa igiene, sanità pubblica e prevenzione ambientale dell’Asuits specifica però nelle conclusioni: «Il test delle urine va considerato come un’operazione sperimentale per avere una conoscenza generale del problema perché fin dall’inizio si è posta la questione della scarsa rispondenza da parte dei soggetti (hanno accondisceso solo 62 abitanti di Servola e 51 del rione di Guardiella, ndr.). Non abbiamo dunque avuto un numero sufficiente di donatori di urine per ottenere un dato sufficientemente rappresentativo della popolazione, anche se resta comunque un dato forte che ci consente di affermare: abbiamo tot persone con valori molto alti. Quanto alle fonti di inquinamento a Trieste sono varie: le industrie, il porto, il traffico. Scartando l’ipotesi che in questo caso il responsabile possa essere il traffico, dato che a Servola non è tanto peggiore che a Guardiella, questo lavoro non permette assolutamente - ha aggiunto Tominz - di dire che il problema sia causato da un soggetto specifico (in questo caso la Ferriera, imputato principale, ndr.) e non piuttosto da un altro». Questi i passi salienti dell’incontro svoltosi ieri nella sala del Consiglio comunale dov’è stato illustrato il report “Indicatori di stress e inquinamento industriale. Analisi di un contesto a forte insediamento produttivo” redatto da Azienda sanitaria e Università su commissione del Comune. Una prima parte dello studio ha voluto tastare lo stato di salute intesa come completo benessere fisico, psichico e sociale. Tra ottobre 2015 e gennaio 2016 sono stati dunque testati circa 400 triestini di età compresa tra i 35 e i 69 anni. Otto intervistatori li hanno incontrati in sede più o meno istituzionali. Per metà erano abitanti di Servola, l’altra metà abitano in quello che è stato considerato un quartiere cittadino di dimensioni e caratteristiche simili, ma lontano da fonti industriali ed è stato identificato il quartiere di Guardiella. I risultati sono stati illustrati da Pier Giorgio Gabassi docente di Psicologia della qualità e dalla collega Maria Lisa Garzitto. Per quanto riguarda la salute fisica non ci sono differenze sostanziali, se non per quanto concerne la qualità del sonno che rispetto a Servola, a Guardiella è migliore. Così, per quel che concerne invece la salute psicologica, parametri su livelli simili tranne che per la capacità di concentrazione peggiore sempre a Servola. Le differenze più significative si concentrano nel paragrafo “Rapporti con l’ambiente” soprattutto alle voci “Percezione di salubrità ambientale” che è ok soltanto per il 21% dei servolani (che denunciano esistenza di polveri, odori cattivi, rumori molesti, brutture estetiche, ecc.) e “Soddisfazione per la propria abitazione”, scarsa a Servola. In entrambe le zone la valutazione sulla qualità della propria vita e sullo stato della propria salute è positiva. «Ci saremmo attesi una forbice più ampia nelle risposte tra i due rioni, la situazione non sembra poi così drammatica a Servola», ha commentato Gabassi. Anche se nelle considerazioni riassuntive viene rilevato come si dica soddisfatto del proprio rione il 73% della popolazione di Guardiella e soltanto il 44% di quella di Servola e gli abitanti di Guardiella che preferirebbero vivere altrove sono il 19%, mentre quelli di Servola sono il 41%. Il professor Ranieri Urbani ha poi illustrato i test sulle urine fatti per valutare l’effetto dell’ambiente sull’organismo umano mettendo in rilievo le misurazioni dei “biomarcatori” dello stress che provocano danni alla membrana delle cellule oppure al loro interno con conseguenze genetiche indotte dalle sostanze ossidanti che possono provocare perfino malattie degenerative tumorali.

Silvio Maranzana

 

Per associazioni ambientaliste e comitati di cittadini sta emergendo la verità «I nostri allarmi erano fondati»
«La conferma che nel rione di Servola si sta vivendo una situazione molto critica e che è stata evidenziata in particolare da una serie di dati drammatici riferiti alle analisi delle urine».

Sono allineate le reazioni dei rappresentanti dei comitati e delle associazioni ambientaliste che ieri hanno ascoltato con attenzione l'illustrazione del report curato da Azienda sanitaria e Università degli studi e che ha tracciato il quadro sulla qualità della vita e la salubrità ambientale percepita a Servola mettendola a confronto con un altro rione cittadino, quello di Guardiella. «È stato fatto un passo in avanti importante - spiega Alda Sancin di Nosmog - è chiaro che emerge una situazione particolarmente pesante che sfocia in uno stress e in un disagio fisico e psichico per i residenti di Servola. Adesso serve però un ulteriore passaggio. Deve cioè emergere in modo chiaro e inequivocabile quale è la fonte di questo disagio, in modo tale da mettere le istituzioni nella condizione di prendere tutte le iniziative del caso per porre fine a questa situazione». Sulla stessa lunghezza d'onda il segretario dell'associazione, Adriano Tasso. «Tutto ciò che è stato evidenziato è esattamente quello che noi stiamo dicendo da tempo - afferma - La fotografia che emerge è quella dell'aumento di un potenziale pericolo sul fronte sanitario. Si poteva però fare qualcosa in più e sfruttare meglio la situazione sia dal punto di vista tecnico, con una analisi che prendesse in considerazione anche i metalli pesanti, sia dal punto di vista psicologico, andando a differenziare nel campione le persone che risiedono da tempo a Servola da quelle che invece ci vivono da poco». Va dritta al cuore del problema Barbara Belluzzo del Comitato 5 Dicembre. «I risultati evidenziano delle criticità ben precise - puntualizza - Va precisato però che Servola è un quartiere densamente popolato, ma non è un rione industriale. Questo significa che i dati vanno riferiti all'unica realtà industriale presente che è quella della Ferriera. È giunta l'ora che si ammetta questo fatto. I dati peraltro sono recenti e dunque riscontrati dopo che l'azienda aveva già avviato una serie di misure per limitare l'impatto ambientale». Preoccupazione è stata espressa anche da Giorgio Cecco, coordinatore regionale Fareambiente. «È arrivata la conferma che la situazione a Servola non si sta risolvendo - chiarisce - Che la qualità della vita non fosse ottimale lo sapevamo, ma sono drammatici i dati sulle analisi delle urine. Siamo fortemente allarmati per la salute pubblica che rimane la priorità maggiore. Serve un intervento forte da parte delle istituzioni ed è per questo che siamo al fianco dell'amministrazione comunale». Secco infine il commento di Romano Pezzetta di Servola respira: «I dati sulle analisi delle urine sono a dir poco sconvolgenti. La situazione è allarmante. L'area a caldo della Ferriera va chiusa immediatamente».

Pierpaolo Pitich

 

La proprietà - In municipio una delegata di Arvedi «I parametri stanno migliorando»
Rappresentanti istituzionali, consiglieri comunali, associazioni ambientaliste e cittadini residenti a Servola. Tutti ad ascoltare in silenzio l'illustrazione del report di Azienda sanitaria e Università degli studi di Trieste «sugli indicatori di stress e inquinamento industriale nell'analisi di un contesto a forte insediamento produttivo».

Ma tra i banchi dell'aula del Consiglio comunale non è passata inosservata la presenza di una rappresentante di Siderurgica Triestina del Gruppo Arvedi che ha ascoltato con attenzione l'esposizione dei dati prendendo appunti. Alla fine però nessuna dichiarazione ufficiale e un inevitabile “no comment” sui contenuti del report. «Siderurgica Triestina rimane sulle proprie posizioni - l'unica precisazione fatta - posizioni che fanno riferimento al miglioramento dei dati ambientali a Servola come riportato dall'Arpa».

(p.p.)

 

Tra Comune e Regione si aggrava lo scontro -
La giunta Dipiazza ora tira dritta verso lo stop dell’area a caldo - La replica: «Fotografia parziale. Fa fede sempre e solo l’Aia»
Nelle deduzioni del Comune la due giorni messa in campo tra ieri e lunedì sull’impatto ambientale della Ferriera dovrebbe aver messo Giovanni Arvedi spalle al muro. Dapprima c’è stata la presentazione del report con le 4.716 telefonate di protesta arrivate alla Polizia locale tra gennaio 2009 e settembre 2016 con il commento finale del docente di Chimica dell’Ambiente Pierluigi Barbieri, che è anche consulente dell’amministrazione: «Non abbiamo evidenza di miglioramenti molto marcati per quanto riguarda l’impatto ambientale dello stabilimento». Ieri la presentazione del report analitico coordinato da Riccardo Tominz, direttore della Struttura complessa igiene, sanità pubblica e prevenzione ambientale dell'Asuits, e soprattutto le dichiarazioni di Ranieri Urbani, docente di Biochimica all’università di Trieste: «Alcuni abitanti di Servola sono in uno stato di premalattia causato da contaminazione ambientale». Dopo il primo incontro il sindaco Roberto Dipiazza ha confermato: «Stiamo lavorando per chiudere l’area a caldo». E ieri al termine del dibattito l’assessore all’Ambiente Luisa Polli ha esplicitato le prossime mosse dell’amministrazione da declinare tutte, sembra, in tempi estremamente brevi. «Abbiamo avuto qui i primi elementi scientifici, oggettivi della gravità della situazione ambientale a Servola - ha commentato - questo studio assieme al report illustrato dal professor Pierluigi Barbieri e a ulteriori relazioni che sono in fase di elaborazione faranno da base a un provvedimento amministrativo che dovrà partire dal Comune, ma in accordo e non in contrasto con tutte le altre amministrazioni pubbliche. L’intento dunque è di assemblare i documenti e tracciare un percorso condiviso per arrivare alla chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola». «Questi sono i dati veri - ha commentato successivamente Dipiazza riferendosi ai grafici sugli esami delle urine che rilevano le differenze tra gli abitanti di Servola e quelli di Guardiella - e a questi dobbiamo riferirci perché quella fabbrica crea veramente un attacco alla salute dei cittadini». Ma il Comune deve prima fare i conti con l’Autorizzazione integrata ambientale concessa a Siderurgica Triestina e con la Regione. E lo dimostra la replica, giunta subito dopo, dell’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito. «L'obiettivo è sempre quello di verificare la piena compatibilità di condizioni ambientali, salute dei cittadini e dei lavoratori e produzione industriale, e di farlo con la massima trasparenza. A presidio di ciò vi è l’Aia che rappresenta un cardine in base al quale orientarsi in tutti gli interventi, inclusa l’eventuale chiusura dell’area a caldo. Siamo in presenza di uno studio - continua Vito riferendosi a quello presentato ieri - commissionato dal sindaco Cosolini e dall’assessore Laureni, utile a comprendere le condizioni di stress della popolazione servolana, per quanto non metta in relazione diretta la salute degli abitanti con specifici fattori di inquinamento ambientale ma piuttosto con una complessiva qualità della vita, sia oggettiva sia percepita. I dati raccolti e utilizzati nello studio, tuttavia, fotografano un preciso momento temporale e non possono dare evidenza di miglioramenti nel frattempo intervenuti sulla situazione complessiva e in particolare sulla qualità dell'aria, in specie nella seconda metà del 2016 per effetto degli interventi prescritti dall’Aia». «Sarà comunque doveroso considerarne e approfondirne i risultati - aggiunge l’assessore regionale - anche per confrontarli con quelli che saranno prodotti nei primi mesi del prossimo anno dal nuovo studio dell’Osservatorio Ambiente e Salute, finanziato dalla Regione. Saranno misurate dall'Azienda sanitaria le concentrazioni di metalli, di benzene e di Ipa nelle urine della popolazione servolana, nonché le variazioni di tali concentrazioni, per porle in rapporto con la presenza dei medesimi inquinanti nell'atmosfera come rilevate da Arpa. Ciò consentirà di valutare gli effetti diretti dell'inquinamento ambientale sui fattori di salute». Vito si sofferma poi su quello che considera un reale cambiamento a Servola: «Va sottolineato come la progressiva entrata in funzione dei presidi di abbattimento e delle misure gestionali imposte dall'Aia stia producendo un progressivo miglioramento delle condizioni ambientali, che ci aspettiamo possano ulteriormente migliorare. Ricordo che, come si può verificare sul sito web di Arpa, tutti i parametri prescritti dall'Aia sono in questo momento ben al di sotto dei valori limite, con l'eccezione del solo benzo(a)pirene in via San Lorenzo in Selva, che deve essere tenuto ancora sotto stretta osservazione, giacché si trova intorno al valore limite, pur essendo sceso a valori pari a un sesto di cinque anni fa. Stiamo inoltre valutando con l'azienda gli interventi in corso per la riduzione dell'inquinamento acustico».

(s.m.)
 

 

Wi-fi gratis a bordo dei nuovi bus hi-tech
Trieste Trasporti potenzia servizi e punta sul web. In arrivo una app dedicata agli orari e sistemi di acquisto biglietti via sms
Acquistare il biglietto, conoscere gli orari e i tragitti di tutti i mezzi pubblici, individuare in un batter d'occhio la fermata più vicina. Tutto questo sarà possibile, a partire dal prossimo primo dicembre, utilizzando smartphone o pc. Sono le novità hi-tech messe in campo da Trieste Trasporti, pronta a entrare a pieno titolo nel club delle aziende 2.0. Digitando pochi tasti del cellulare o operando sulla tastiera del pc, si potrà entrare in un mondo «che metterà la nostra azienda - ha annunciato ieri l'amministratore delegato della Trieste trasporti, Aniello Semplice - alla pari con le più avanzate imprese del settore». E le novità non finiscono qui: da metà gennaio sarà anche possibile collegarsi alla rete wi-fi stando a bordo dei mezzi pubblici. Ma entriamo nel dettaglio. L'applicazione e il sito web saranno gratuitamente disponibili in tre lingue: oltre che in italiano, informazioni e dati saranno consultabili anche in sloveno e in inglese. Una scelta saluta con soddisfazione anche dal Comune. «Trieste trasporti, proponendo questa tecnologia, si affianca all'amministrazione nel completare una proposta turistica destinata a diventare fondamentale per la nostra città», ha commentato l’assessore Maurizio Bucci. App e sito funzioneranno sia per Android sia per Apple, e garantiranno a tutti coloro che vorranno viaggiare sulle 59 linee urbane, sulla linea tranviaria e sui due collegamenti marittimi, la possibilità di conoscere online gli orari delle linee, i tempi di attesa per le corse, la localizzazione delle fermate e delle rivendite, di pianificare qualsiasi tragitto tra luogo di partenza e di arrivo, acquistare i biglietti. Inoltre si potrà accedere a una serie di ulteriori notizie sulla città, da quelle di attualità alla programmazione di teatri e cinema, dagli orari dei musei a quelli delle farmacie e dei negozi, agli eventi musicali. Nella app saranno due le sezioni a disposizione dell'utenza. La prima, chiamata “per muoversi”, sarà dedicata al viaggio, la seconda, “per scoprire”, alla conoscenza del territorio. Il sito web sarà invece costituito da quattro sezioni: azienda, orari, percorsi e tariffe, Trieste trasporti informa, Servizi e progetti. Il servizio wi-fi, che sarà disponibile dal 15 gennaio, sarà operativo, in una prima fase, su 20 mezzi, ma entro il 30 maggio lo sarà su tutta la flotta. Per poterne usufruire sarà necessario registrarsi, cosa che si potrà fare gratuitamente. Gli abbonati beneficeranno di agevolazioni rispetto agli altri. «Da tempo l'azienda ha intrapreso un percorso di innovazione - ha sottolineato Pier Giorgio Luccarini, presidente di Trieste Trasporti - con queste novità, vogliamo rispondere alle esigenze dell'utenza abituale e dei turisti». Sempre dal primo dicembre si potranno acquistare i biglietti anche con un sms, scrivendo al numero 4850850 e attendendo il messaggio di risposta, nel quale saranno riportati i dettagli del biglietto da esibire in caso di controllo. Due i tipi di biglietto acquistabili: quello valido 60 minuti per la rete intera, del costo di 1,50 euro (prezzo maggiorato di 15 centesimi) e quello giornaliero da 4,35 euro. Il costo sarà detratto dal credito telefonico del cliente. «Dal primo dicembre ci saranno due scuse in meno per viaggiare senza biglietto - ha proseguito Semplice - perché app, sito web e servizio sms sono due strumenti alla portata di tutti. Per queste innovazioni abbiamo investito circa tre milioni di euro, una cifra importante che conferma il nostro impegno nell'innovazione». Dal 15 dicembre infine inizierà un processo che prevede la sistemazione di telecamere a bordo dei mezzi della Trieste trasporti, che serviranno a registrare con precisione l'afflusso dell'utenza.

Ugo Salvini

 

Sicurezza stradale ai tempi dei social - Il progetto
Promuovere la sicurezza e l’educazione stradale nelle scuole del Friuli Venezia Giulia è l'obiettivo del protocollo d'intesa siglato ieri a Trieste tra Regione e Ufficio scolastico regionale, rappresentati rispettivamente dall'assessore al Territorio, Mariagrazia Santoro, e dal direttore Pietro Biasiol.

«È un ottimo accordo - ha commentato Santoro - perché garantiamo continuità di formazione, informazione e sensibilizzazione rispetto al progetto Sicuramente che ha portato buoni risultati». «La sicurezza stradale di oggi - ha aggiunto l'assessore - è in continua evoluzione in quanto i pericoli sono spesso abbinati alla sempre maggiore diffusione dell'utilizzo dei social network attraverso gli smartphone. In sostanza, sono sempre maggiori gli input in grado di distogliere dalla guida di una vettura, di un motociclo e perfino di una bicicletta. Ma la disattenzione a tutti i livelli - ha ammonito Santoro - può costare molto cara e, purtroppo, gli esempi non mancano». «Il compito della Regione - ha quindi sottolineato l’assessore, valorizzando anche il coinvolgimento della direzione regionale Salute - è quello di divulgare le buone prassi tra i giovani ed aiutarli a mettere in atto i meccanismi migliori per evitare danni gravi se non addirittura irreversibili». In quest’ottica, è stata presentata anche la nuova applicazione per smartphone Good&Safe (disponibile gratuitamente per i sistemi operativi Android e Ios), frutto di una collaborazione tra l'Ufficio scolastico del Friuli Venezia Giulia e il dipartimento Scienze della Vita dell'Università di Trieste. Di facile utilizzo, è prevalentemente rivolta ai neopatentati per verificarne, attraverso un veloce test, reattività e affidabilità alla guida, evidenziando eventuali rischi dettati da una non perfetta condizione psicofisica. «Fare conoscere le regole per imparare a rispettarle è - come ha affermato Biasiol - un'esigenza assoluta che questo protocollo ci aiuta ad affrontare. Dobbiamo educare alla mobilità per essere più sicuri da pedoni come da guidatori, condividendo questo impegno sul campo anche con Polizia stradale e Polizia municipale».

 

 

La Regione benedice il Parco del mare Istituzioni tutte allineate sulla destinazione di Porto Lido Iter in partenza.

Paoletti: «Inaugurazione possibile nel 2020» - IL CASO»IL PROGETTO
TRIESTE «Il Parco del Mare è partito», dice il sindaco Roberto Dipiazza. Ora è in viaggio. Destinazione Porto Lido (molo Fratelli Bandiera, area Lanterna, ex Cartubi). Il biglietto è già stato staccato a fine ottobre e non si torna indietro, e ora c’è pure l’ultimo placet politico della Regione. «Il progetto è già cantierabile e possiamo inaugurarlo nel maggio 2020», ripete il deus ex machina del Parco del mare Antonio Paoletti, appena eletto alla presidenza della Camera di commercio della Venezia Giulia dopo aver diretto quella di Trieste per tre lustri. Quella del Parco del mare è il suo sogno, lungo ormai più di 10 anni. Il Parco del Mare attracca al Molo Fratelli Bandiera dopo avere girato mezza città: terrapieno di Barcola, Mercato ortofrutticolo di Campo Marzio, le Rive (ex Pescheria e Magazzino vini) e Porto vecchio (concessione Greensisam). L’approdo sul Molo Fratelli Bandiera (ex Teresiano) è stato deciso un mese fa quando il cda di Invitalia ha deliberato il preliminare relativo alla cessione del 100% di “Trieste Navigando” alla Camera di commercio e alla Fondazione CRTrieste per 62mila euro. «L’ente camerale ha sempre creduto nella bontà di questo progetto per Trieste e il Friuli Venezia Giulia - spiega Paoletti -. In questi ultimi anni abbiamo sempre lavorato in silenzio per creare le condizioni indispensabili per la realizzazione del Parco del mare. La Camera di commercio e la Fondazione CRTrieste hanno recentemente sottoscritto il contratto preliminare per l’acquisto delle quote di Trieste Navigando Srl, la società che detiene la concessione demaniale del sito denominato Porto Lido». Il prossimo passo sarà quello di coinvolgere Regione, Comune e Autorità portuale per un Accordo di programma propedeutico alla modifica del piano regolatore in modo che l’attuale destinazione diportistica venga ampliata e aggiornata alla nuova prospettiva culturale-ricreativo-nautica. A febbraio sarà presentato ufficialmente alla città in un evento che si terrà probabilmente al Teatro Verdi. Il Comune è più che favorevole. Il sindaco Dipiazza, consegnando il sigillo trecentesco a Paoletti il 28 ottobre, ha dichiarato: «Oggi consegniamo alla città il Parco del mare». E anche la Regione non ha nulla da obiettare. «Sul Parco del mare la Regione - spiega la presidente Debora Serrachiani - ha un atteggiamento di massima positivo, anche se le sue competenze non si sovrappongono a quelle di privati, associazioni o enti locali». Nulla in contrario neppure dall’Autorità portuale. «Aspettiamo di vedere il cambio della titolarità della concessione e poi di esaminare il nuovo progetto per Porto Lido - spiega Zeno D’Agostino -. Non mi spaventa un intervento contemporaneo in quell’area. L’ho visto in altri porti con strutture avvenieristiche». La terza versione del Parco del mare di Paoletti prende forma l’8 gennaio 2014 quando la Regione concede un finanziamento straordinario di 100mila euro per la durata di 20 anni per la progettazione e la realizzazione del Parco del Mare. Nasce allora l’idea della localizzazione nell’area di Porto Lido. In giugno l’architetto Peter Chermayeff, autore dei più celebri acquari del mondo (da Lisbona a Baltimora) presenta un report sulla fattibilità del Parco del mare nell’area di Porto Lido, appunto. A novembre la Fondazione CRTrieste gli affida l’incarico per lo studio preliminare. Nel giugno 2015 l’architetto Chermayeff consegna il progetto. Tra giugno e settembre viene realizzato, su incarico della Fondazione CRTrieste, lo studio sulle analisi economico-patrimoniali e finanziarie. A fine anno la Fondazione CRTrieste comunica che si rende disponibile a stanziare l’importo complessivo di nove milioni di euro per la realizzazione del progetto. Il 28 gennaio arriva la lettera ufficiale da parte del sindaco di Trieste, allora Roberto Cosolini, in cui esprime il suo consenso e sostegno alla realizzazione di un acquario. L’11 febbraio si aggiunge la lettera ufficiale da parte della presidente della Regione Fvg Debora Serracchiani . Il progetto di Chermayeff prevede la realizzazione di una struttura il cui costo complessivo è stimato fra i 37 e i 44 milioni di euro. La Camera di commercio ha già 11 milioni per il progetto. Il business plan è stato tarato su un milione di visitatori all’anno (quelli che realizza l’acquario di Genova) con proiezioni al ribasso su 800 mila e 500 mila visitatori. Nel progetto dovrebbe entrare anche l’Ursus, il pontone galleggiante per cui sono in arrivo da Roma cinque milioni di euro. «Quando l’ho visto ho pensato: “Wonderful! Deve essere parte del Parco del mare», ha dichiarato l’architetto Chermayeff. Un’idea condivisa dall’assessore alle crociere Maurizio Bucci: «Se il Parco del mare verrà realizzato nell’area di Porto Lido, lì potrebbe essere spostato anche l’Ursus».

Fabio Dorigo

 

L’ARCHITETTO «Si rischia di snaturare il sistema Rive e congestionare la viabilità della zona» - L’INTERVENTO di WILLIAM STARC

L’iter autorizzativo del Parco del Mare sta per partire dopo quasi 10 anni di incertezza, non tanto sull’iniziativa quanto su dove ubicare il complesso edilizio; la decisione, ormai prossima, lo colloca tra il Pedocin e la Lanterna.

E se si può essere soddisfatti che un progetto trovi finalmente la quadra - specie dopo un iter travagliato come caso, e dopo che la Camera di commercio ha impegnato consistenti risorse umane e finanziarie -, non si possono non tenere in considerazioni alcune criticità. Innanzitutto sulla sede ipotizzata. La scelta che viene ora proposta non trova riscontro nel Piano regolatore recentemente entrato in vigore, perchè sulla medesima area era prevista la realizzazione di Porto Lido, progetto tramontato in quanto la società che doveva realizzarlo ha rinunciato. É da tener presente che mentre Porto Lido usufruiva di un immobile esistente e realizzava posti barca e parcheggi non saturando gli spazi ancora disponibili con nuovi volumi, l’ubicazione del Parco del Mare comporta la realizzazione di ulteriori volumi in una zona che ha bisogno di essere completamente riqualificata, e, vista la previsione di più di 500mila visitatori l’anno, congestionando dal punto di vista della viabilità e dei parcheggi una zona che già oggi, per la adiacenza dell’entrata al Porto Nuovo, presenta notevoli problemi dovuti al consistente flusso di mezzi commerciali. Inoltre la previsione di trasformare l’area del Mercato all’ingrosso in un centro polifunzionale rischia di compromettere ulteriormente la zona abitativa adiacente, stravolgendo la funzione delle rive quale sistema di connessione pedonale e ciclabile. (...) L’ubicazione del Parco del Mare, per la rilevanza che vuole assumere l’intervento nel contesto urbano deve trovare ubicazione non in un’area già compromessa, ma in un contesto che permetta al progetto di sviluppare tutte le potenzialità che un’iniziativa simile può comportare. Va detto poi che la città sta vivendo da molti anni una crisi demografica che sembra non arrestarsi, e la conseguenza più evidente dal punto di vista urbanistico ed edilizio è l’abbandono progressivo di aree già urbanizzate, di immobili pubblici e privati anche di rilevante aspetto monumentale. La disponibilità di superfici e volumi inutilizzati e in cerca di una nuova destinazione abbondano, la sdemanializzazione del Porto vecchio consente alla città un nuovo disegno urbanistico di riqualificazione per aree da troppi anni dismesse ed inutilizzate. Si ritiene quindi che un’iniziativa importante come il Parco del Mare, venga valutata oltre che sotto i vari profili, architettonico, sostenibilità economica finanziaria della gestione, anche sotto il profilo della sua collocazione per le implicazioni che genera nel contesto urbano e per la compatibilità ambientale che genera l’indotto con il tessuto esistente. La città non ha bisogno di compromettere ulteriormente aree degradate dal punto di vista urbanistico come il comprensorio della Lanterna. L’opportunità data dal piano strategico che l’advisor Ernst e Young, sta predisponendo per il comprensorio del Porto vecchio, consente all’amministrazione comunale di valutare con più cognizione di causa la possibilità di ubicare nel medesimo una simile iniziativa, garantendo un recupero di aree che oggi sono completamente dismesse sia esse siano libere, ex parco ferroviario e terrapieno a ridosso delle società nautiche di Barcola, che ampi magazzini vuoti. Di fronte a potenzialità come quelle rappresentate dall’ex ambito portuale, un approfondimento delle compatibilità di una simile iniziativa ubicata al suo interno non compromette di sicuro i tempi per la sua realizzazione.

 

Dai marciapiedi ai giardini - Al via cantieri per 8 milioni Piano di interventi finanziato dal Comune con l’ultima variazione di bilancio

Stanziati 900mila euro per la chiesa di Sant’Antonio. Fondi per Grezar e tram

In arrivo lavori di manutenzione al Castello di San Giusto e all’Aquario oltre a “restyling” a Campo Cologna e Piscina terapeutica

Manutenzione straordinaria di strade, gallerie, alberature, giardini ed aree gioco. Ma anche interventi su scuole, musei, mercati, siti di interesse turistico, illuminazione, impianti sportivi, messa in sicurezza di aree con fenomeni di inquinamento al suolo, oltre ai lavori alla Chiesa di Sant'Antonio e alla trenovia Trieste - Opicina. Sono le opere contenute nella variazione di bilancio approvata dalla giunta per un importo complessivo di 8 milioni di euro, derivanti da finanziamenti municipali (trasferimento di alienazioni in avanzi di bilancio) e fondi regionali. Interventi che andranno a gara entro la fine dell'anno con i lavori che scatteranno ad inizio 2017. «L'obiettivo è dare delle risposte ai cittadini e allo stesso tempo di riqualificare la città - ha spiegato l’assessore ai Lavori Pubblici Elisa Lodi, accompagnata dai capigruppo di maggioranza in Consiglio -. Interventi che sono il frutto di un lavoro di squadra e solo il primo passo di un percorso più ampio che intendiamo portare avanti». Strade, gallerie e giardini Una delle voci principali riguarda la manutenzione di sedi stradali e marciapiedi. Dal centro città (in particolare via Coroneo) alla periferia (Borgo San Sergio e Servola). Ma anche delle gallerie cittadine, con la demolizione di parti pericolanti del rivestimento. Si lavorerà anche sulle alberature stradali, sui giardini, sulle aree gioco oggetto di atti vandalici e sui siti di interesse strategico per il turismo, dal Colle di San Giusto fino alle Rive. Infine si interverrà anche nelle aree urbane caratterizzate da fenomeni di inquinamento al suolo, come lo sfalcio dell'erba e la sistemazione dei vialetti al Giardino De Tommasini ed in quello di piazzale Rosmini. Sul piatto complessivamente 1,6 milioni. Scuole e musei Interventi di carattere urgente sono previsti alla scuola Don Marzari-Cok di Opicina con il ripristino di solai e controsoffitti in seguito all’esito delle indagini, e alla palestra della scuola Foschiatti di Valmaura (400 mila euro). A questo si aggiungono gli interventi conservativi in vari edifici scolastici (600 mila euro), e gli adeguamenti alle normative antincendio agli asili nido “Zucchero Filato” e “Verdenido” (100mila euro). Per quel che riguarda i musei, la manutenzione andrà ad interessare due tra i siti più visitati in città, vale a dire il Castello di San Giusto e l'Aquario Marino per un totale di 400 mila euro. Impianti sportivi e mercati Cantieri sono in programma anche sul fronte degli impianti sportivi. A partire dal secondo lotto della ristrutturazione dello Stadio Grezar che nella prossima primavera conta di ospitare i campionati nazionali di atletica leggera (250mila euro). Ci sarà poi il rifacimento della pista di Campo Cologna (500mila) e la manutenzione alla Piscina terapeutica (35mila). Una cifra di 300mila euro sarà investita invece per opere di manutenzione nei mercati cittadini. Chiesa Sant'Antonio e Tram Opicina Tra i lavori pubblici, da segnalare anche gli interventi strutturali, di messa in sicurezza e sistemazione delle facciate della Chiesa di Sant'Antonio Nuovo (890mila euro) e la manutenzione sui binari della linea del Tram di Opicina (250mila). Corposo infine l'intervento sull'illuminazione pubblica (1,8 milioni), mentre 100mila euro riguarderanno l'aggiornamento dei Piani cimiteriali a Sant'Anna.

Pierpaolo Pitich

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 22 novembre 2016

 

 

La rabbia del popolo anti Ferriera nel dossier con 4.700 segnalazioni

Raccolte in un report le criticità segnalate alla Polizia locale tra gennaio 2009 e settembre 2016

Riguardano fumi, polveri e rumori molesti. Tra gli allarmi anche difficoltà respiratorie e malesseri
Nonostante gli imponenti accorgimenti per mitigare le emissioni nocive dalla Ferriera messi in atto da Arvedi, non calano le segnalazioni di deposizioni di polveri, molestie olfattive, acustiche e visive, malesseri e irritazioni denunciati dagli abitanti di Servola. Lo si desume dal report presentato ieri in municipio dal professor Luigi Barbieri, consulente dell’amministrazione, basato sulle comunicazioni giunte alla Polizia locale tra il gennaio 2009 e il settembre 2016 e che appena l’anno scorso hanno fatto registrare il picco più elevato. Ma il fatto che siano stati numerosissimi gli allarmi lanciati anche nel 2016 ha un riscontro oggettivo nei parametri scientifici con una situazione che non è affatto migliorata ed è ancora al limite se non oltre il limite, come denunciano gli ambientalisti, della legalità? «Per quanto riguarda il 2016 non abbiamo ancora dati sufficienti per poterci esprimere in un senso o nell’altro», ha affermato Barbieri che comunque illustrando la situazione ha rilevato tra l’altro che «le centraline danno livelli di benzene sempre al di sotto di quanto previsto dalla norma». In una slide del suo power-point ha però anche evidenziato che «misure mensili di deposizioni di Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici) e di Bap (benzoapirene) indicano per via Ponticello valori maggiori rispetto ai controlli nell’abitato di Trieste». E in un’altra che «in via San Lorenzo in Selva 25 sono state effettuate rilevazioni che hanno evidenziato un livello di rumore ambientale non conforme al limite superiore per il tempo di riferimento diurno e per quello notturno in diverse giornate». E il sindaco Roberto Dipiazza (che era affiancato dall’assessore Luisa Polli) si è espresso ancora una volta in modo categorico: «In realtà stiamo lavorando per far chiudere l’area a caldo» e ha preannunciato l’illustrazione di dati di estrema preoccupazione per questa mattina quando alle 11.30 nella sala del Consiglio comunale introdurrà il report analitico “Indicatori di stress e inquinamento industriale. Analisi di un contesto a forte insediamento produttivo” redatto da Azienda sanitaria, Università e Comune. Le segnalazioni giunte alla Polizia locale nel lasso di tempo considerato sono state 4.716 con il record di 828 registrate nel 2015, mentre solo nei primi nove mesi del 2016 ne sono già arrivate 587. Ogni segnalazione però può segnare disagi su più parametri, ad esempio quello visivo (fumo) e quello olfattivo (cattivo odore) e in questo senso va letto il grafico generale riprodotto sopra che riporta complessivamente: 3.108 segnalazioni di molestia olfattiva; 1.257 di irritazioni, difficoltà, malessere; 769 di deposizioni di polveri; 286 di impatto acustico e 1.370 di impatto visivo. Il culmine degli inconvenienti segnalati risale alla lontana giornata del 28 settembre 2009 con 37 chiamate, ma il 2015 registra altre giornate limite: 21 chiamate il 2 aprile e 17 chiamate il 22 aprile, il 6 maggio e il 4 giugno. Più in basso, ma non di tanto il 2016: 15 chiamate il 5 agosto, 14 il 12 maggio, 13 il 16 aprile e il 17 giugno. In quest’ultima data veniva segnalata una puzza fortissima con impossibilità di aprire le finestre, fumo biancogrigio dall’altoforno, ricaduta di grafite sui terrazzi. Alla fine Barbieri ha tratto una serie di conclusioni. «Le segnalazioni sono localizzate per tre quarti in cinque vie di Servola: Ponticello (nettamente in testa con 1.869), Giardini, San Lorenzo in Selva, Pitacco, Vigneti. Sono state massime nel 2015 e nel 2016 il numero non è abbattuto in maniera risolutiva. Le molestie olfattive costituiscono la segnalazione più frequente. Le segnalazioni di malessere sono maggiori di quelle relative alle deposizioni di polveri, maggiori degli impatti acustici. Le telefonate relative a impatti visivi sono diminuite nel tempo. Si identificano situazioni differenziate tra le aree da cui provengono frequenti segnalazioni: in via Ponticello deposizioni particolarmente significative, in via San Lorenzo rumore. Criticità segnalate hanno avuto diversi riscontri in misure prodotte dall’organo tecnico di controllo pubblico. In via Ponticello è stata attivata a fine estate da Arpa Fvg una stazione di monitoraggio e si auspicano misurazioni più frequenti della deposizione di Ipa. Per via San Lorenzo ci sono segnalazioni di impatti acustici che richiedono attenzione e dati degli anni passati suggeriscono di considerare monitoraggi di benzene».

Silvio Maranzana

 

Barbieri: «Miglioramenti ancora deboli» - Il docente di chimica consulente del Comune: «Disagi riferiti in particolare da cinque vie di Servola»
«Non abbiamo evidenza di miglioramenti marcatissimi per quanto riguarda l’impatto sull’ambiente della Ferriera di Servola. La situazione delle polveri e dei rumori è cambiata in particolare per quanto riguarda la deposizione di polveri che dal 2015 è elevata in via Ponticello vicino all’altoforno, mentre vicino alla cokeria in via San Lorenzo in Selva vengono rilevati più frequentemente rumori molesti». Così si è espresso a margine della conferenza stampa di ieri il professore di chimica Pierluigi Barbieri, esperto in inquinamento e chimica ambientale e come tale consulente del Comune di Trieste. Più tardi ha precisato: «Per il 2016 non vi sono ancora i dati delle deposizioni di polveri. I rapporti di Arpa hanno una certa cadenza, mentre vi è pronta disponibilità di quelli del Comune. Va attivata ora una piattaforma di riscontro con i dati dell’Arpa che fa un lavoro eccellente. Gli ultimi riscontri certi su cui posso lavorare sono quelli del rapporto che è stato pubblicato tra marzo e aprile di quest’anno. Vi sono anche dati ulteriori, ma non in forma di rapporto di sintesi perché Arpa adopera delle validazioni e dunque si tratta di dati che devono essere ulteriormente incrociati per cui per ciò che riguarda le deposizioni non ho evidenza specifica degli ultimi mesi». Per quanto riguarda il report predisposto sulla base delle segnalazioni fatte dai cittadini alla Polizia locale, Barbieri afferma che «dà molte informazioni sull’evoluzione della situazione nel tempo e nello spazio e fa sì che ciò che viene segnalato possa venir messo a confronto con le evidenze prodotte dagli organi di controllo come l’Arpa. Dà la fotografia di una criticità che non può dirsi ancora risolta per quel che riguarda impatti associati ai disagi maggiormente segnalati: quello visivo, quello olfattivo, quello acustico, quello legato alla deposizioni di polveri e ai malesseri. Le segnalazioni provengono complessivamente da oltre 140 vie, ma la grande maggioranza riguarda esclusivamente cinque vie di Servola». Per quanto riguarda il salto da ipotetico assessore della seconda giunta Cosolini, com’era stato preannunciato, a consulente della giunta Dipiazza, Barbieri non vede contraddizioni: «La cosa importante è rappresentare quel che succede a Trieste e gestire al meglio la situazione. Io dico sempre: Senatus popolusque tergestinus».

(s.m.)
 

 

Più tutela per il pesce spada, l’Europa impone le quote - TETTO MASSIMO GIÀ DAL 2017
ROMA - Più tutela per il pesce spada la cui pesca, già dal 2017, sarà sottoposta a quote come quella del tonno rosso. Il Piano per la ricostituzione dello stock di pesce spada nel Mediterraneo, approvato in Portogallo, fisserà infatti, a partire dal prossimo anno, una quota per le catture fino al 2022.

Il sistema prevede un tetto massimo di 10.500 tonnellate per il 2017, con una riduzione del 3% dal 2018 al 2022 per ogni anno, per un totale complessivo del -15% in cinque anni. Lo ha deciso oggi l'assemblea dell'Iccat, l'organizzazione internazionale per la conservazione dei tunnidi nell'oceano Atlantico e Mediterraneo, su una proposta presentata dall'Esecutivo Ue. Tra le varie misure approvate, l'accordo prevede anche l'aumento della dimensione minima per proteggere il novellame, il controllo della pesca sportiva e ricreativa, la registrazione e la segnalazione delle catture, l'introduzione di un regime di ispezioni internazionali e l'invio di osservatori scientifici. Un Piano che riguarda molto da vicino l'Italia che ha il 50% delle produzione mediterranee di spada, con circa 5 mila tonnellate pescate ogni anno. Ma solamente entro febbraio 2017 l'Iccat stabilirà lo schema di ripartizione delle quote tra i diversi Paesi comunitari. «Il Piano è un'ancora di salvezza che l'Ue ha contribuito a gettare, ponendo le basi per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile di questa specie», commenta il commissario Ue alla pesca Karmenu Vella. Molto preoccupati, invece, gli operatori del settore, che parlano di «un vero e proprio Tsunami per l'economia ittica italiana, dove a rischio sono reddito e occupazione e che toccherà anche il mercato. Il sistema di pesca con quote, già previsto per il tonno rosso, infatti - secondo l'alleanza delle cooperative della pesca -, rischia di cambiare l'offerta con meno prodotto made in Italy e un +30% di import di prodotto proveniente dal nord Africa, dall'Atlantico e dal Pacifico».

 

Sversamento in mare alla raffineria di Urinj - Capitaneria in azione
FIUME - La compagnia petrolifera croato-ungherese Ina è nuovamente nel mirino delle critiche per l'ennesimo caso di inquinamento nelle acque del Quarnero.

Dalla sua raffineria situata a Urinj, un paio di chilometri a est di Fiume, è fuoriuscito in mare un quantitativo - per fortuna abbastanza modesto - di sostanza oleosa che ha ricoperto diverse centinaia di metri quadrati di superficie marina. L'incidente si è verificato l’altro pomeriggio e subito sono entrati in azione gli spazzamare dell'azienda specializzata fiumana Dezinsekcija: l’area dell’inquinamento è stata cinta da barriere protettive galleggianti, mentre sulla chiazza oleosa è stata sparsa una sostanza disgregante per fare in modo che la chiazza non raggiungesse la costa. Per ore nell'area di Urinj e dintorni si sono percepite distintamente le zaffate degli idrocarburi finiti in mare, mentre una sottile pellicola oleosa galleggiava di fronte alla raffineria. Non è la prima volta che succede e probabilmente non sarà l'ultima, con il sottosuolo dello stabilimento contraddistinto da cavità carsiche dove sono depositati ingenti quantitativi di olio minerale e altre sostanze inquinanti. I problemi nascono puntualmente in presenza di abbondanti precipitazioni piovose, con le grotte che vengono riempite dall'acqua la quale spinge in mare le sostanze oleose, dando vita a inquinamenti più o meno drammatici. L'ultimo in ordine di tempo si era verificato lo scorso maggio e aveva avuto effetti ben più deleteri di quello di domenica scorsa. Sei mesi fa c'era stata la rottura di una tubatura dei residuati petroliferi: almeno 700 litri di gasolio erano finiti nel sistema di scolo delle acque meteoriche e da qui fuoriusciti in mare. Il diesel aveva gravemente lordato un vasto tratto costiero del comune di Kostrena (confinante con la municipalità di Fiume), obbligando diverse squadre della Dezinsekcija ai lavori straordinari. L'opera di risanamento aveva dato risultati, ma alcune chiazze nere erano rimaste visibili a bagnanti e diportisti anche nei mesi estivi. L'incidente aveva scatenato le proteste degli ambientalisti e del sindaco di Kostrena, Mirela Marunic, che aveva minacciato di adire le vie legali. La direzione dell'Ina aveva da parte sua promesso la modernizzazione delle sue fognature ad Urinj, da portare a termine nei 18 mesi successivi. Ieri sull’ultimo incidente si è espresso in conferenza stampa il capitano portuale di Fiume, Darko Glazar, affermando che la situazione è sotto controllo: unità della capitaneria e gli spazzamare della Dezinsekcija continueranno a pattugliare l'area inquinata.

(a.m.)

 

 

L’ambiente protagonista a Duino - La società titolare della gestione della raccolta rifiuti organizza visite e un incontro
DUINO AURISINA - Partire da un semplice dovere civico, come quello di attuare la raccolta differenziata delle immondizie, per capire l’importanza della tutela dell’ambiente e garantire così, alle future generazioni, un mondo meno inquinato e vivibile.

Questo il tema che la Isontina ambiente, azienda che da qualche mese ha l’incarico di gestire la raccolta rifiuti nel territorio comunale di Duino Aurisina, intende approfondire in questi giorni, cogliendo l’occasione della Settimana europea della riduzione dei rifiuti (Serr 2016), che si concluderà domenica. Due le iniziative predisposte dalla srl con sede a Ronchi dei Legionari: il coinvolgimento delle scuole del territorio, che potranno effettuare visite agli impianti di compostaggio e di selezione del materiale riciclabile di Moraro e partecipare agli incontri di approfondimento sul tema del riuso e della raccolta col sistema del porta a porta da un lato, l’incontro di venerdì sera (20.30 alla Casa della Pietra di Aurisina 158) intitolato “Isambiente film festival” dall’altro. «Per le scuole - ha spiegato Stefano Russo, della Isontina ambiente - le visite e gli incontri saranno gratuiti e fin d’ora invitiamo i dirigenti scolastici e i docenti a contattarci per fissare gli appuntamenti. La proiezione di venerdì, anch’essa a ingresso gratuito, sarà invece un momento di riflessione sul tema della tutela dell’ambiente - ha aggiunto - che vedrà tutti gli interessati assistere a un documentario sull’argomento». Il Comune di Duino Aurisina sarà rappresentato dall’assessore per la Cultura, Marija Brecelj: «Siamo davanti a una situazione di grave rischio a livello mondiale - ha sottolineato - per quanto concerne il futuro del nostro pianeta. Ovunque si volga lo sguardo vediamo situazioni di degrado dell’ambiente e di impoverimento della natura. Bisogna partire da piccole cose, come un giusto approccio al tema dei rifiuti - ha proseguito - per puntare a un obiettivo che ci permetta di garantire, alle future generazioni, un mondo vivibile e bello. Non a caso - ha concluso - sarò presente in quanto assessore alla Cultura: questo è un tema che riguarda proprio la cultura delle persone».

(u.s.)

 

 

Il laghetto di Contovello ospita la caccia dell’airone cinerino
TRIESTE  - Un airone cinerino ripreso sulle sponde del laghetto della frazione carsica di Contovello mentre si apposta per poi catturare un grosso pesce, che infine ingoia in un boccone. La sequenza è stata fornita al Piccolo dal lettore Franco Delbello: il video è stato girato nella mattinata di ieri.

Non è frequente poter vedere l’intera azione di “caccia” di un trampoliere, come appunto quella ripresa nel video. Complimenti dunque a Francesco Delbello per la prontezza con cui è riuscito a realizzare questo documento naturalistico.

 

«Una nuova Paulonia in piazza Hortis» - Alla Festa dell’albero l’appello al Comune affinché sostituisca l’arbusto malato abbattuto di recente
Piazza Hortis era un monastero francescano, finché gli austriaci non vi piantarono un arboreto. Di quegli alberi, il Comune ha di recente abbattuto la Paulonia: così si riassume la storia di piazza Hortis, secondo quanto è emerso lì, ieri, durante la Festa dell’albero. Organizzata da Legambiente Trieste e Bioest, la manifestazione si è scandita in due momenti distinti. Dapprima l’applaudito intervento del professor Aldo Messina sulla storia archeologica della piazza. A seguire, un percorso di letture all’ombra degli alberi: è in questa fase che gli organizzatori, assieme all’associazione Luna e l’altra, hanno denunciato l’“uccisione” ai danni della Paulonia malata. Il professor Messina è un esperto di archeologia medievale: «L’arboreto di piazza Hortis risale all’Ottocento ed è stato costruito per volontà dell’amministrazione dell’epoca, sulla pianta di quella che un tempo era una chiesa. Prima qui c’era un monastero francescano con tanto di chiostro e le famiglie più abbienti vi seppellivano i loro morti» ha detto. E non finisce qui: dall’altra parte della strada c’era un monastero benedettino, che ha dato il nome a via Santissimi martiri. Gli astanti si sono poi spostati dal centro della piazza verso gli alberi per leggere ad alta voce le informazioni botaniche ad essi inerenti. La prima tappa, i resti martoriati della Paulonia, eliminata perché affetta da una grave patologia. Il suo tronco mozzato è ancora visibile vicino all’ingresso di via san Giorgio: «Chiediamo che il Comune pianti al più presto una nuova Paulonia - hanno detto gli organizzatori - e, se questo non sarà possibile, che piantino perlomeno qualcosa». Si legge, nel materiale informativo, che l’albero può raggiungere i 10 metri d’altezza, produce dei fiori meravigliosi, arriva dall’Estremo oriente e deve il suo nome alla granduchessa Anna Paulowna, figlia dello zar Pietro il Grande. L’iniziativa di ieri rientra nella più ampia serie di eventi dedicati alla salvaguardia dell’ambiente, che ogni anno il 20 e 21 novembre Legambiente promuove a livello nazionale. La tutela del suolo è il tema dell’edizione di quest’anno, volta a contrastare il fenomeno crescente del consumo di terreno a opera del cemento. Secondo Legambiente, ogni anno in Europa 1000 chilometri quadrati di suolo vengono cementificati, senza che esistano norme condivise: per chiedere all’Europa di legiferare a riguardo è possibile firmare una petizione sul sito salvailsuolo.it. Della petizione, sostenuta a livello internazionale da oltre 400 associazioni, si è parlato anche ieri a Trieste. In questi giorni è stato inoltre lanciato l’hashtag #salvailsuolo, che i cittadini possono utilizzare per condividere informazioni e immagini aventi per tema la protezione della natura.

Lilli Goriup

 

 

Un parco di vetro e cemento nel mare perduto di Trieste

Il cubone che ospiterà l’acquario altererà definitivamente il waterfront di una città che ha subito un furto di battigia dopo l’altro smarrendo l’anima adriatica
Dagli anni Cinquanta a oggi il 90 per cento del libero affaccio al Mare nostrum è stato “privatizzato” Ora si rischia il colpo di grazia
Pare che il famoso parco del mare stia per essere approvato all’inglese (“de scondòn”), senza notizie né progetti che trapelino all’esterno. Da cosa nasce tanta segretezza? Temo di avere una risposta. Dal fatto che sarà un cubo enorme nel punto più visibile della città. Una cosa, pare, di diciotto metri d’altezza, larga non si sa quanto, a ridosso della Lanterna. Qualcosa che lascerà emergere di pochissimo uno dei fari più antichi del Mediterraneo già soffocato da altri inguardabili cubi di cemento. Un volume che cambierà i connotati a Trieste. Lo vedremo da ovunque, questo oggetto nato da una fissazione del presidente-quattro-volte-nominato della Camera di commercio. Dal mare e da terra. Avrà vetrate maxi sul lato di bora, parcheggi, vasche di pesci (ahimè non all’altezza di quelle dell’acquario genovese), e ovviamente l’ennesimo supermercato. Il tutto con entrata a pagamento, anche se la parola “parco” è sempre stata abbinata all’aggettivo “pubblico”, tanto più sul mare. La struttura poteva trovare agilmente spazio sul terrapieno di Barcola, e invece no: andrà a intasare e alterare definitivamente il nucleo storico della nostra appartenenza adriatica. È da un po’ che mi chiedo: Trieste è ancora città di mare? Nel corso della mia vita non ho assistito che a furti di battigia. Senza mettere in conto i due porti eternamente blindati, su quale lungomare uno può portare a spasso figli o nipotini? Lungo quale molo potrà dir loro: ecco, questa è la nostra storia, la nostra anima, il nostro destino? Non certo nella Pescheria, che fu essa sì il mio vero parco del mare quand’ero bambino - che meraviglie vive si divincolavano su quei banconi di marmo regalati a chissà chi! - e oggi è dedicato a eventi e mostre lontani mille miglia dalla tradizione adriatica. Dove vado allora? Non all’Idroscalo, chiuso; non alla Stazione marittima, semi-inaccessibile; non al molo Pescheria (idem); non nel bacino San Giusto, interamente recintato dall’omonima Marina fino al molo Venezia, a sua volta sbarrato; non al molo Sartorio chiuso dalle cancellate dello Yacht Club Adriaco; non al pontile Istria a sua volta chiuso dalle società di canottaggio e dalla Triestina della vela; non sui pontili galleggianti della Sacchetta. Non, per finire, sul molo terminale della Lanterna, sigillato dalle cancellate con badge elettronico della Lega navale; non sul molo Fratelli Bandiera, in uso ai Piloti (che almeno lo usano per pubblica utilità); e nemmeno su quello, blindato, che chiude a Ovest il “Pedocin”. Tutto il resto, militarmente chiuso da Finanza e Guardia costiera. Morale? Di una passeggiata che ancora negli anni Cinquanta era interamente accessibile, oggi non resta che il Molo Audace e il pezzettino di riva fra l’Idroscalo e la Marittima. Il novanta per cento del nostro libero affaccio a mare è stato sottratto ai cittadini non iscritti a club. Un quadro indegno della magnifica architettura del “waterfront” triestino. È come se si fosse voluto isolare la città dai moli da cui i nostri vecchi salparono per i mari del mondo. Una tendenza che la costruzione dell’autostrada a quattro corsie sulle Rive non ha fatto che accelerare, col risultato che i giovani non fantasticano più di oceani e arcipelaghi, ma restano a farsi di aperitivi voltando le spalle all’acqua. Ma il peggio è lì, sul lato della Lanterna, un monumento unico nel Mediterraneo che ovunque sarebbe stato reso più visibile, e invece qui è visitabile solo su gentile concessione della Lega navale. Il faro capostipite di tutti i fari, la luce numero uno della costa orientale dell’Adriatico che oggi ha facoltà di tenere acceso solo un lumino da morto, negli ultimi cinquant’anni è stato sistematicamente occultato da brutture. Caserme, magazzini, l’inguardabile blocco a tre piani dell’Istituto nautico - battezzato “Ecomostro” dagli utenti del “Pedocin” - in costruzione a pochi centimetri dall’unica casa storica dell’area, in uso alle famiglie della Capitaneria. Per non parlare delle rovine degli uffici regionali mai finiti, per fallimento della ditta, accanto alla stazione di Sant’Andrea. A tutto questo il nostro cubo di vetro e cemento darà, temo, il colpo di grazia. Dico temo, perché non se ne sa quasi nulla. E allora ci si chiede quale rapporto esso avrà col resto dell’architettura triestina; quale concorso di idee sia stato messo in piedi per raccogliere le proposte migliori sul tema. Ci si domanda, infine, come mai nessuno ne parli, e dove siano le teste pensanti dell’architettura e della politica locale, sempreché ne esistano. Modestamente, da ignorante, non posso evitarmi di immaginare, per esempio, che quelle immense vetrate sul lato di bora, destinate a incrostarsi di salsedine, esigeranno una manutenzione dai costi insostenibili. Trieste - nonostante la Barcolana - ha perso il mare e il parco sarà l’epitaffio di questa perdita, nel senso che i triestini potranno vedere a pagamento ciò che prima avevano gratis. E l’ente camerale, invece di pensare al futuro di un mare sempre più vuoto di pesce, invece di costruire un’alleanza con i Paesi vicini per dar tregua all’Adriatico e ricostituirne le riserva ittiche, metterà ciò che ne resta in una teca per incassare i dividendi dell’operazione. Fra dieci anni non avremo più sardoni da impanare, ma avremo - evviva evviva - un parco dei poveri, dove ne vedremo gli ultimi esemplari. Il mare negato da contemplare solo attraverso un vetro. Manca, ormai da decenni a Trieste, una classe dirigente capace di riempire di contenuti coerenti uno degli spazi costieri più belli del Mediterraneo. Manca il coraggio di dire: liberiamo il mare, invece di affollarlo di brutture. È davvero una bestemmia pensare di riconsegnare i moli alla gente e ridare spazio alla Lanterna? Perché non spostare caserme e magazzini in un porto vecchio destinato altrimenti a restare cadente in eterno? E, già che ci siamo, ai commercianti va davvero bene che i loro soldi finiscano in questa operazione invece che per tutelare una categoria alla canna del gas? Una domanda, infine, che non è un dettaglio. Perché l’apparato ottico della Lanterna - udite udite - oggi sta in un museo di La Spezia? Chi gliel’ha dato, ai liguri, se non una combriccola che da sempre ha in spregio la nostra identità marinara?

PAOLO RUMIZ

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 21 novembre 2016

 

 

Libri e canti per salvare gli alberi - in città
Giornata nazionale degli alberi dalle 16. Info su www.retecivica.trieste.it e www.legambiente.it

Oggi è la Giornata nazionale degli alberi e sono tantissimi gli appuntamenti. Ne vediamo solo alcuni (tutto il programma lo potete trovare sul sito del Comune, www.retecivica.trieste.it): alla biblioteca comunale Quarantotti Gambini di via delle Lodole 7/A, dalle 17 alle 18.30, il laboratorio rivolto a ragazzi dai 7 ai 10 anni e agli adulti interessati. Come di consueto, secondo la formula collaudata dei laboratori estivi “In biblioteca per conoscere divertendoci”, si partirà da una lettura per poi coinvolgere ragazzi e adulti in esperienze pratiche. Invece alle 16, in piazza Hortis, Legambiente Trieste e Bioest organizzano un incontro per conoscere la storia della piazza, con letture sotto l’albero e canti corali. Per l’occasione, Aldo Messina, esperto di archeologia medievale, introdurrà alla storia della piazza. La manifestazione si concluderà con un momento di canto corale. Sarà inoltre possibile firmare la petizione contro il consumo del suolo.

 

SEGNALAZIONI - Ferriera  - La limitazione della produzione

Essendo stata chiamata direttamente in causa, non posso non replicare alla segnalazione a firma dell'ingegner Laureni, comparsa giovedì 17 novembre, in quanto, nel tentativo di sintetizzare i concetti, forse non sono riuscita a renderli pienamente chiari . La media di produzione cui ho fatto riferimento non faceva capo alla ripresa dell'attività dell'altoforno nel 2014. (non si può sempre ripartire da un punto zero!) bensì al rilascio della prima Aia, cioè dal 2008. Per maggior chiarezza , ammesso anche che "il rilascio di polveri si impennava al superamento di quei valori di produzione di ghisa", cioè le 34.000 tonnellate/mese, è altresì evidente che, anche restando al di sotto di detto valore, come ad esempio negli anni 2013, 2012, 2011, 2010 e 2009, l'entità degli inconvenienti derivanti dall'inquinamento rimaneva non compatibile con la qualità della vita dei residenti, come dimostrano le oltre 5.000 segnalazioni di disagio formulate da parte di cittadini alla Polizia locale nel corso di validità delle Aia. Da ciò risultava evidente che la limitazione della produzione a 34.000 tonnellate/mese avrebbe potuto non essere sufficiente a preservare la popolazione residente da ulteriori massicce ricadute di polveri , per cui vi era l'attesa di una riduzione più drastica, oggi molto più difficile da attuare in quanto tale vincolo produttivo è stato inserito nell'AIA . Purtroppo le motivazioni dell'ordinanza sono state capite perfettamente da noi cittadini, e ciò non ci ha impedito di manifestare il nostro dissenso, ritenendo che il primo compito dell'amministrazione comunale fosse di tutelare la salute e la qualità della vita dei cittadini , diritto sociale primario rispetto all'equilibrio economico dell'imprenditore. Quanto al rispetto della citata ordinanza, appare particolarmente grave quanto evidenziato dall'ingegner Laureni a conclusione della sua segnalazione, e cioè che l'azienda non avrebbe risposto alla richiesta del Comune di conoscere i dati ufficiali di produzione di ghisa da novembre in poi , nonostante il sollecito, né è dato sapere quali siano stati i passi successivi e conseguenti da parte dell'amministrazione comunale. Per una corretta collaborazione tra privati e istituzioni che rappresentano i cittadini, non è forse necessaria la reciproca trasparenza?

Alda Sancin - Presidente Associazione Nosmog
 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 20 novembre 2016

 

 

Fiab Ulisse «La ciclabile di via Giulia non va spostata in Viale»
«Quali sono i veri motivi che frenano la ciclabile di via Giulia?» Secondo Fiab Trieste Ulisse esistono diversi interessi contrastanti, ma l'associazione si augura che alla fine prevalgano quelli di una mobilità sostenibile che, sottolinea, «non sono in contrasto con quelli delle attività commerciali della zona ma anzi li sostengono in una nuova visione del trasporto privato cittadino».

Fiab Trieste Ulisse ricorda che il sindaco Dipiazza ha annunciato il 15 ottobre di voler stoppare il progetto della ciclabile di Via Giulia con questa affermazione: «Sarebbe pericolosissima, la strada è stretta e piena di veicoli». Ma il progetto, ribatte l’associazione «è stato realizzato dai tecnici comunali e finanziato con un contributo regionale di 135mila e prevede lungo la via una ciclabile da piazza Volontari Giuliani alla Rotonda del Boschetto». Si riferisce che in seguito l'assessore alla Mobilità Polli ha dato a questo stop una motivazione tecnica: «Il Piano del traffico prevede che l'itinerario ciclabile che collega il centrocittà con il rione di San Giovanni non passi per via Giulia ma per il Viale XX Settembre e via Pindemonte». Questa motivazione tecnica è per Fiab Trieste Ulisse estremamente debole. «L'itinerario ciclabile ipotizzato - si fa rilevare - non tiene conto di due scalinate poste tra la fine del Viale e via Pindemonte, motivo per il quale nella fase progettuale successiva è stata spostato in via Giulia. Fiab ricorda anche che in ambito urbano le ciclabili vanno realizzate dove ci sono attrattori di traffico importanti e in via Giulia ci sono negozi, scuole oltre a un centro commerciale ed è quindi questo l'itinerario da preferire. «Non c'è nessun ostacolo tecnico quindi - conclude l’associazione - che possa frenare il progetto della ciclabile di Via Giulia». L’associazione ricorda che il 30 novembre, in una seduta congiunta, la Terza e Sesta Circoscrizione parleranno di questo progetto. Fiab Trieste Ulisse è stata invitata al confronto. In quell'occasione ricorderà che «la bicicletta è una delle chiavi di volta di una mobilità urbana moderna ed è importante garantire sicurezza ai sempre più numerosi triestini che la usano. Ai consiglieri quindi sarà chiesto di votare a favore del progetto.
 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 19 novembre 2016

 

 

Da Chiadino al Viale - In arrivo sulle strade 800 nuovi punti luce
Stanziati dal Comune 3,5 milioni per ammodernare la rete dell’illuminazione pubblica abbellendo centro e periferie
Per l’amministrazione comunale triestina è un ritorno all’età dei lumi. L’Area lavori pubblici ottiene, attraverso lo strumento contabile dell’avanzo vincolato, un totale di quasi 3,5 milioni di euro per ravvivare la luce urbana. Lampadine Led, armature, lavori sotterranei, quadri-controllo: Trieste vincerà le tenebre. Due determine (2897-2900 /2016), firmate dalla dirigente Ornella Russo e operativamente connesse tra loro, raccolgono una ragguardevole dotazione finanziaria destinata a migliorare l’illuminazione pubblica stradale. Le opere erano già state inserite nel Programma triennale 2015-2017 ed erano inizialmente previste nel 2015: è assai probabile che la realizzazione degli interventi si sposterà un po’ più avanti, verso la fine del 2017. Incaricata di provvedere alla riqualificazione energetica è AcegasApsAmga. Entro la fine di quest’anno l’utility, inserita nel gruppo Hera a sua volta partecipato dal Comune triestino con una quota del 4,6%, dovrebbe essere in grado di consegnare al Municipio committente gli elaborati progettuali relativi all’ampio programma di ammodernamento della pubblica illuminazione. Saranno oltre ottocento i punti luce rinnovati e potenziati in gran parte della città. Con un doppio obiettivo, dicono in AcegasApsAmga: ottenere efficienza e risparmi. In particolare, viene stimato che il consumo annuo di energia dovrebbe scendere di oltre il 50%, attestandosi a 95 mila kwh. Sia il centro che la periferia saranno interessati dalla riqualificazione. In centro le aree di Ponterosso e di viale XX Settembre saranno i siti dove si concentrerà l’attenzione del Comune e di AcegasApsAmga. In periferia Servola, Chiadino, San Giovanni saranno oggetto di particolari cure. Alle ragioni dell’economicità e dell’estetica si aggiungono motivi di sicurezza, specialmente nelle zone - vedi San Giovanni - dove recentemente si sono verificati episodi di violenza. A fine settembre si era parlato di oltre 1,7 milioni di euro destinati al capitolo della pubblica illuminazione, ma la cifra è notevolmente lievitata in seguito agli interventi di straordinaria manutenzione che accompagnano il rinnovo degli impianti. Da AcegasApsAmga spiegano che la rilevanza degli importi è in buona parte motivata dalle attività di scavo che si fanno sentire sul conto economico dell’operazione. Se il cronoprogramma dell’azienda sarà rispettato, il Comune potrà convocare già a inizio 2017 la conferenza dei servizi, che vedrà coinvolte altre realtà istituzionali, a cominciare dalla Soprintendenza. Un rapido varo da parte della detta conferenza consentirebbe ad AcegasApsAmga di lanciare celermente le gare per appaltare l’esecuzione dei lavori: da questi auspici, la previsione di un possibile completamento del programma entro la fine del 2017. Per l’esattezza, le determine recano due importi distinti: il primo riguarda il rinnovo degli impianti e ammonta a 1,6 milioni. L’altro concerne la straordinaria manutenzione e impegna circa 1,9 milioni: in questo caso sono state cambiate le modalità di finanziamento, che in precedenza attingevano dall’alienazione di titoli, dalla cessione di aree in ambito Peep, da contributo statale, dai proventi delle concessioni edilizie.

Massimo Greco

 

 

“Piantiamo” il nostro futuro facendo una festa agli alberi

La festeggiavano gli antichi romani, fu ripresa nel tardo Ottocento nel Nebraska e giunse in Italia a partire dal 1898, ufficializzata poi dal 1951 alla data del 21 novembre. Arriva la Festa degli alberi, un pretesto per conoscere e rinsaldare i rapporti con la natura, il patrimonio boschivo, l’ambiente intero.

Un tema che coinvolge a Trieste soprattutto l’assessorato comunale all’Educazione, sceso in campo con una serie di iniziative rivolte al mondo della scuola attraverso un ricco cartellone di iniziative disegnate tra laboratori, conferenze e persino autentiche cerimonie. Diffonderne la cultura, sensibilizzare le nuove generazioni ma offrire nel contempo anche una visuale sulle moderne frontiere che regolano l’ecosistema e le chiavi della tecnologia in campo forestale e ambientale. Un ampio progetto didattico che si espanderà nell’arco dell’intera giornata di lunedì in cinque sedi della provincia. Un primo scalo è previsto all’Istituto tecnico Volta di via Monte Grappa 1, teatro in mattinata di una serie di incontri a cura dell’Area Lavori pubblici-Servizio spazi aperti e verdi pubblici del Comune di Trieste, rivolti ai maturandi degli istituti Volta e Deledda-Fabiani. Si parte alle 9.30 con una relazione a cura di Francesco Panepinto (“Il verde nella progettazione edilizia”), si proseguirà alle 11 con l’intervento del docente e botanico Pierluigi Nimis sul tema “Alla scoperta della foresta urbana di Trieste”, e avanti alle 11.30 con Giovanni Bacaro, docente universitario (“I benefici economici del verde per la collettività” il titolo del suo intervento). Il giardino di Villa Sartorio di via dei Modiano, dalle 10 alle 11, ospita un incontro con la scuola dell’infanzia L’isola dei tesori formulato attraverso letture, laboratori in chiave di riciclaggio e forme di “dialogo” con l’ambiente circostante. L’incontro più intrigante? Si gioca a Borgo San Sergio, dalle 14.30 nella scuola dell’infanzia Tre casette di via Petracco 12. Qui la tradizione agreste trova nuovo respiro alleandosi con il gioco e la cultura grazie a un vero albero, nello specifico una quercia, dono dell’amministrazione comunale, da mettere in dimora nell’area del giardino. Una curiosità. Il battesimo della quercia verrà integrato anche dall’assegnazione di un nome, ancora oggetto di valutazione da parte dei bambini e degli stessi insegnanti. Quest’anno la Festa degli alberi stringe una sorta di legame con la Giornata dei diritti dell’infanzia di domani e in tale ottica, sempre però lunedì, arrivano anche le tappe alla Biblioteca Mattioni di via Petracco 10 con letture e laboratori (dalle 10 alle 12, informazioni allo 040-823893) e alla biblioteca Quarantotti Gambini di via delle Lodole 7/A a San Giacomo, altra sede di laboratori e in collaborazione con Coop Alleanza, dalle 17 alle 18.30, ingresso libero. Ma la Festa dell’albero è seguita anche dalla sigla Bioest, in piazza Hortis dalle 16, con letture a cura dell’associazione L’Una e l’altra.

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 18 novembre 2016

 

 

Capodistria-Divaccia, spuntano gli ungheresi

Ferrovie slovene e Luka Koper pensano di entrare nella società statale. Lubiana stanzia 500 mila euro in due anni
LUBIANA Per il porto di Capodistria il raddoppio della linea ferroviaria tra il capoluogo del Litorale e Divaccia è assolutamente strategica per puntare allo sviluppo dello scalo. E così, mentre Luka Koper, la società che gestisce il porto di Capodistria, e le Ferrovie slovene discutevano in merito a un comune investimento nella società statale, la 2Tdk, che si occuperà della grande opera, il ministro delle Infrastrutture della Slovenia, Peter Gašperši› si è recato in Ungheria per discutere dell’eventuale interesse di Budapest di far parte dell’affare. Il ministero delle Finanze della Slovenia, comunque, sostiene che nell’anno in corso la società 2Tdk non sarà ricapitalizzata, mentre quello delle Infrastrutture, come scrive il quotidiano lubianese Delo, ha confermato della visita del ministro Gašperši› a Budapest per trattare l’ingresso dell’Ungheria nella realizzazione del secondo binario tra Capodistria e Divaccia. Della grande opera si sono interessati anche i deputati del Parlamento sloveno nell’approvazione del bilancio dello Stato per il prossimo biennio. Le poste previste per la Capodistria-Divaccia ammontano a 300 milioni di euro per il 2017 e a 200 milioni di euro per il 2018. Va precisato che il costo della realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria si aggira tra 1,4-1,6 miliardi di euro. Proprio per questo Lubiana sta cercando partner in grado di colmare il “buco” finanziario per portare a termine l’opera. Il governo sloveno, comunque, si attiverà per la capitalizzazione della società 2Tdk non appena il Parlamento approverà la legge relativa alla sua istituzione, procedimento questo che non sarà possibile espletare nell’anno in corso. Nel frattempo le Ferrovia slovene (Sž) e Luka Koper, rappresentate dai rispettivi presidenti, si sono incontrate per parlare di un possibile finanziamento comune del raddoppio della ferrovia tra Capodistria e Divaccia. «Siamo consapevoli - ha dichiarato il presidente di Sž, Dušan Mes - che lo sviluppo e la realizzazione del progetto è nelle mani dello Stato, ma ci siamo confrontati per valutare quale può essere il nostro contributo alla realizzazione di quest’opera strategica. Stiamo valutando la realizzazione di una holding - ha precisato - anche se ci rendiamo conto dei limiti che la stessa potrebbe avere». Certamente in termine di quote di partecipazione, quindi, a questo punto, il convitato di pietra diventa il governo magiaro che deve ancora dire con precisione se è interessato a investire, con quanti euro, e quale potrebbe essere il suo tornaconto nell’operazione. Luka Koper è molto prudente. Ricorda come lo Stato abbia in previsione la realizzazione di una società ad hoc (2Tdk) e precisa che il colloquio con le Sž è stato incentrato sulla possibilità di trovare soluzioni comuni.

Mauro Manzin

 

 

Italia Nostra «Basta ritardi sul Porto vecchio»

L’associazione Italia Nostra chiede «l’immediato avvio dei lavori nel Porto Vecchio di Trieste» e denuncia una situazione che «dalle dichiarazioni effimere dei politici, risulta confusa, bloccata e decisamente preoccupante per il patrimonio storico. Italia Nostra chiede «di essere coinvolta» nelle scelte e spiega che «non accetterà altri ritardi».

 

 

Il clima cambia, quanto conta la responsabilità storica? - L’INTERVENTO di Alessandro Lanza - www.lavoce.info
Mentre a Marrakech si discute sul futuro del negoziato sul cambiamento climatico – anche alla luce delle recenti presidenziali Usa – è utile riflettere su alcuni temi generali. Uno fra questi, più volte evocato, riguarda le responsabilità dei singoli Paesi. Nel gergo negoziale, le responsabilità storiche. Con la perifrasi s’intende evidenziare il ruolo (responsabilità) dei Paesi industrializzati rispetto alle Nazioni in via di sviluppo nell’origine ed espansione del problema. Le diverse responsabilità vanno considerate partendo da una prima e fondamentale informazione. Le concentrazioni di gas serra in atmosfera dipendono dall’attività umana o, più esattamente, dall’uso di fonti fossili. Il tempo che dobbiamo tenere in considerazione riguarda tuttavia non l’ultimo anno o l’ultimo decennio ma, a causa del lento decadimento di questi gas in atmosfera, l’insieme delle emissioni a partire dalla Rivoluzione industriale. Ciò ci porta a concludere che i Paesi e le diverse generazioni susseguitesi potranno essere chiamate responsabili – in quanto hanno contribuito nel passato, contribuiscono nel presente e contribuiranno nel futuro al cambiamento climatico – in proporzione alle emissioni totali. Un primo modo di guardare alle responsabilità storiche consiste nel concentrarsi su valori cumulati di emissioni per un dato periodo. Calcolati questi, si valuta la quota per ogni singolo Stato o area rispetto al totale: il periodo di riferimento è il 1990-2014. La scelta non è casuale: sin dalle prime riunioni fra i Paesi firmatari della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Rio de Janeiro – 1992), il tema delle responsabilità storiche è stato avanzato dal G77, organizzazione intergovernativa dell’Onu formata da 131 Paesi: rappresenta principalmente quelli in Via di sviluppo. I risultati di questa pressione politica si trovano nell’articolo 3 comma 1 della Convenzione: chiama i Paesi a una “responsabilità comune ma differenziata” nell’affrontare il cambiamento climatico. La nozione di responsabilità storica è divenuta ancora più centrale quando, ai negoziati di Kyoto (Cop3 – ’97), il Brasile ha lanciato una proposta in cui le emissioni cumulate dal 1840 fino a quella data venivano utilizzate come riferimento per la definizione degli obiettivi di riduzione per i Paesi partecipanti ai negoziati. L’effetto evidente di tale manovra è che gran parte dell’onere, anche economico, collegato al problema del cambiamento climatico viene spostato sui Paesi industrializzati. Anche se la proposta brasiliana fu criticata, specie per motivi metodologici, l’affermazione della responsabilità storica non è certo scomparsa; al contrario, rimane il principale argomento utilizzato dai Paesi meno industrializzati per sostenere che quello del cambiamento climatico è in essenza un problema dei Paesi ricchi. Di norma si utilizzano le emissioni cumulate cercando di tornare indietro nel tempo quanto più possibile. Invece preferiamo, esaminando i dati dal 1990, sottolineare che alcune dinamiche Nord-Sud possono essere ritrovate anche a partire da un anno in cui il tema dei cambiamenti climatici era già ampiamente all’ordine del giorno. Il primo elemento che emerge è la chiara differenza tra Cina e India, Paesi considerati talmente simili da essere menzionati dalla stampa come un’unica nazione fittizia rinominata Cindia. Ma sulle emissioni cumulate, la storia è molto differente. La Cina vi contribuisce per un valore che è vicino a cinque volte quello dell’India: 18,9 contro 4,25%. Un secondo punto molto interessante riguarda il ruolo del Medio Oriente, visto nella veste di consumatore che emette Co2 e non in quella più nota e tradizionale di produttore di energia: l’area ha contribuito quanto l’India alle emissioni globali. Non è sorprendente che l’Oecd America – aggregato che comprende Stati Uniti, Canada e Messico – produca quasi un quarto delle emissioni totali nell’intervallo 1990-2014. E, come è ovvio, gli Stati Uniti giocano la parte principale. L’aggregato Oecd Europa non coincide con l’Unione europea, che non considera alcuni Paesi (Islanda, Norvegia, Svizzera e Turchia). Rappresenta comunque un buonissimo indicatore delle responsabilità europee. Con il 15,2% delle emissioni cumulate è in ogni caso un’area d’importanza cruciale. Gioca infine un ruolo di peso la Russia, il Paese di gran lunga più ampio dell’aggregato non-Oecd Europe. Ma siamo proprio sicuri che la logica finora seguita nell’esaminare le responsabilità storiche sia l’unica percorribile?
 

 

 

MESSAGGERO VENETO - VENERDI', 18 novembre 2016

 

 

Software scopre la vita dei volatili - Forgaria: nella Riserva di Cornino uno strumento per la ricerca
Informazioni su spostamenti ed età. In dicembre la presentazione
FORGARIA - Alla Riserva di Cornino arriva un nuovo software per catalogare le osservazioni effettuate e i dati raccolti, un sistema che consentirà di catalogare, ordinare e archiviare tutte le osservazioni compiute nell’ambito delle attività di ricerca e monitoraggio all’interno della Riserva naturale del Lago di Cornino, nel comune di Forgaria. Uno strumento fondamentale che, considerata la quantità di dati acquisita tramite i monitoraggi tradizionali e le webcam posizionate sul punto di alimentazione, permetterà di ordinare e sistemare i dati raccolti e al contempo implementare le banche dati con le nuove osservazioni. L’archiviazione, in diversi formati, faciliterà notevolmente le ricerche. Sarà possibile inserite informazioni relative all’età dell’animale e al Paese d’origine e anche effettuare elaborazioni in grado di evidenziare la presenza dei volatili nei vari periodi dell’anno. Per spiegare il funzionamento di questo software, il 10 dicembre, dalle 9 alle 13 e dalle 14.30 alle 18.30, al centro visite della Riserva, sarà organizzato un corso aperto a tutti. «Grazie al contributo del parco Faunistico Valcorba e del Parco Safari delle Langhe – spiegano i referenti del progetto – è stato possibile sviluppare questo software, che consente di catalogare, ordinare e archiviare tutte le osservazioni georeferenziate e può essere adattato alle proprie esigenze. In una sola giornata sarà possibile scoprire come creare, gestire e modificare una sequenza di dati e installare l’applicazione nei vari dispositivi». Sempre nell’ottica di migliorare il monitoraggio delle varie specie e riconoscere le tracce lasciate dagli animali durante il loro passaggio, il 17 dicembre, poi, alla Riserva, partirà un’altra iniziativa per identificare le impronte dei mammiferi e dei volatili. Si tratta di un modo non invasivo per conoscere meglio l’animale e il suo comportamento attraverso i segni che lascia. Il corso, che prevede anche la pratica sul campo (identificazione), è organizzato da Kokulandela - CyberTracker Italia assieme alla Riserva. Sabato 17 dicembre si comincerà alle 8 (termine previsto alle 18). «Dopo circa 3 ore di teoria – anticipano gli esperti – i partecipanti si sposteranno lungo il fiume Tagliamento. Il corso sarà tenuto da Toni Romani, dottore in biologia e allevamento della fauna, formatore CyberTracker con specializzazione in nutrizione animale. Romani ha preso parte a numerosi progetti di monitoraggio di animali selvatici, in Italia e all’estero, e vanta una grande esperienza in fatto di metodi non invasivi».

Anna Casasola

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 17 novembre 2016

 

 

Un milione per la società di Porto vecchio

Decreto di Renzi dopo un emendamento di Russo. Il senatore Pd: «Dipiazza scelga un manager esperto»
Un milione per Porto vecchio drenato attraverso un emendamento presentato dal senatore “dem” Francesco Russo sulla Legge di Stabilità 2015 e recepito ieri da un decreto del Presidente del Consiglio. «Che venga utilizzato per realizzare la società pubblica che dovrà gestire la riqualificazione dell’area - ha commentato il parlamentare del Pd -Porto vecchio è un’opportunità talmente bella da non lasciare spazio a divisioni di partito: ecco perché in questi mesi ho lavorato per mettere a disposizione del Comune nuove risorse utili a gestire la riqualificazione dell’area». Ricordiamo che in primavera Russo aveva perso le primarie nel centrosinistra per la nomination del sindaco, a vantaggio di Roberto Cosolini. Ma adesso l’avversario è un altro: «Da quando la giunta di centrodestra si è insediata, nonostante le mille promesse, nessun passo concreto è stato portato avanti. È il momento di accelerare il processo e, soprattutto di fare i passaggi giusti in modo professionale e trasparente». «Al sindaco Dipiazza - prosegue la nota di Russo - dico che non ci sono più alibi. Utilizzi questo milione per creare la società a capitale pubblico, suggerita anche dal presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, che dovrà gestire con trasparenza il processo di riqualificazione di Porto vecchio» «Scelga - scrive ancora - un manager preparato ed esperto in progetti internazionali di riqualificazione di grandi aree urbane e affidi a lui, la responsabilità di trovare i grandi investitori per trasformare l’area e rilanciare l’economia di Trieste». «È assurdo pensare, come è successo fino ad oggi - incalza il senatore sconfitto da Cosolini -, che sia il sindaco o che un assessore lavori part-time a un progetto così importante: non hanno il tempo e le competenze necessarie per gestire un dossier così complesso, su cui, giustamente, c’è grande pressione da parte dell’opinione pubblica». «Rinnovo il mio impegno a lavorare con ancora maggiore energia assieme al sindaco e alla sua giunta per dare a Trieste, in dieci anni, il più bel fronte mare d’Europa: tutti insieme possiamo davvero scrivere una nuova pagina nella storia della nostra città». Ma - conclude la nota - «se nei prossimi mesi, al netto di mille promesse, tutto continuerà a restare fermo, sarò io il primo a chiedere a Dipiazza e ai suoi assessori di farsi da parte».
 

 

Il lungo declino di Servola, rione in bilico
Viaggio nel quartiere tra latterie diventate garage, posteggi impossibili e bar che non decollano nonostante affitti abbordabili
Salendo su via Soncini sono scomparse una dopo l’altra - nel tempo - una panetteria, un negozio di abbigliamento, uno di giocattoli, un ambulatorio veterinario, tante latterie e piccoli alimentari rimpiazzati da magazzini di privati e garage o, in qualche caso (il peggiore), semplicemente chiusi o trasferiti. Arrivando nel cuore del rione sopravvive la posta, ma non le banche: altre infatti se ne sono andate prima di Unicredit, con il risultato che se vi dovesse capitare la necessità di un prelievo Bancomat, beh, sappiate che vi sarebbe rimasto solo lo sportello interno della posta. La notizia della chiusura della filiale Unicredit è rimbalzata nei giorni scorsi su Facebook, dopo il post di un utente servolano che ha scritto: «Non è un bel giorno per quelli che oggi sono andati in banca e l’hanno trovata chiusa, visto che hanno trasferito tutto in via Baiamonti. Magari per qualcuno vale meno, però chiudere la filiale senza nemmeno avvertire chi aveva lì il conto corrente non mi sembra giusto. Insomma, a Servola pensavamo che avessero già chiuso quasi tutto, invece adesso pure la banca...» è stato lo sfogo sulla rete. La distanza in realtà non è tanta dalla filiale nella via sottostante, ma per chi non ha mezzi di trasporto è necessario utilizzare l’autobus, un discorso che riguarda soprattutto gli anziani, che anche ieri - passando davanti a quella che oramai è l’ex banca - commentavano con dispiacere e delusione la novità. Ma non basta: sono spariti nell’arco di diversi anni anche un negozio di fiori, uno per animali, un’edicola, la storica ferramenta, una gelateria, un ristorante, un negozio di frutta e verdura, varie botteghe, una rivendita di vini, una merceria, una pulitura e poi l’elenco si perde tra le memorie della gente. Molti hanno tentato di investire a Servola, ma c’è chi se n’è andato solo dopo pochi mesi, alzando bandiera bianca a fronte di incassi troppo bassi. «Tanti residenti ricordano per nome tutti i negozianti, persone che qui erano amate - commenta una signora - e che tuttora tornano nei discorsi della Servola di un tempo, quando la vita era qui, quando non serviva andare in centro, quando avevamo casalinghi, alimentari e drogherie molto fornite: questa era una piccola cittadina dove non mancava nulla. I giovani che adesso la vedono non potranno mai capire com’era. E sinceramente, mi creda, questo è davvero un gran peccato». Rimangono comunque i negozi di alimentari, due tabaccai con l’edicola, altri punti vendita recenti o datati. Tra le persone che hanno rinunciato le cause sono diverse: c’è chi è andato in pensione e non ha trovato nessuno che subentrasse, chi si è spostato in un’altra zona, ma la motivazione principale resta quella della crisi e dei pochi guadagni. «Gli unici che sono aumentati sono i bar ma gli abitanti sono sempre gli stessi, quindi gli affari in questo settore si sono ridotti di tantissimo - racconta dal suo bar-latteria Claudia Cergol - lavoro qui da quarant’anni e ormai si fa sempre più fatica. Nel centro del rione inoltre è impossibile fermarsi con l’auto anche per pochi minuti, le multe arrivano presto e lo spazio per sostare non c’è e nel cuore di Servola non passa nemmeno più la linea 8 della Trieste Trasporti, che in parte contribuiva a un movimento maggiore. Ma in generale sta diventando un mortorio, vivo qui da quando sono ragazzina, i tempi sono cambiati, le persone si spostano molto mentre un tempo si restava più nella propria zona». Sono passati ormai parecchi anni anche da quando la stazione dei carabinieri è stata eliminata, con grande dispiacere dei residenti che la consideravano un presidio importante per la sicurezza delle periferie e che trovava posto davanti al ricreatorio. Tra i locali chiusi, dopo varie gestioni, c’è anche l’ex pizzeria Ferriera, tornata di recente sul mercato con un annuncio on-line dove si cercano nuovi affittuari: 340 metri quadrati su due piani e novecento metri quadrati di giardino. La richiesta è di 950 euro al mese. I prezzi in generale (a questo punto nulla di sorprendente...) sono più bassi rispetto ad altre zone della città. Qualche esempio? Nel centro del rione un negozio di sessanta metri quadrati con bagno viene proposto a 350 euro al mese. Sei anni fa, poi, ha chiuso anche il ristorante Al Britannia, famoso in tutta la città, dopo la morte del proprietario. «Scriva pure - dice un familiare - che è morto di cancro ai polmoni e poi che la cuoca, sua moglie, vive da più di dieci anni con un polmone solo, e poi figli e nipoti tutti asmatici. Che sia un caso la vicinanza con la Ferriera?».

Micol Brusaferro

 

Dalle banche ai negozietti una “fuga” senza fine

Attività in crisi, appartamenti quasi senza valore, la questione della Ferriera - «Per rilanciare la zona ci vorrebbe qualche ufficio pubblico. O l’università»
L’ultima a chiudere, in ordine di tempo, è stata la filiale dell’Unicredit qualche giorno fa, ma a Servola ormai si contano più le saracinesche abbassate che quelle aperte. Chi resta lo fa con sacrificio e soprattutto per amore verso un rione che conserva la dimensione di un piccolo paese, dove tutti si conoscono e dove si respira ancora un’aria familiare. Attività commerciali ma non solo: anche molti appartamenti sono in affitto o in vendita, alla ricerca di nuovi proprietari o locatari, che spesso rinunciano spaventati da quella zona che viene identificata con la vicina Ferriera. Fuori da un bar le chiacchiere tra generazioni diverse mostrano percezioni differenti. «Una volta si conviveva in modo “pacifico”: qui in molti ricordano quando i servolani andavano nelle spiagge vicino allo stabilimento per fare il bagno e prendere il sole - dicono alcuni pensionati - e non si sono mica ammalati. Era un posto produttivo come un altro, faceva parte della storia. Adesso chissà cosa ci combinano». Arrabbiati invece alcuni padri con bimbi piccoli. «Molti hanno comprato qui casa anni fa - spiegano - so che tanti adesso cercano di andarsene per paura delle ricadute sulla salute. Vendere però è difficile, anche abbassando il prezzo ci sono appartamenti che da anni sono sul mercato, soprattutto nella parte bassa di Servola. Pure trovare inquilini per l’affitto non è semplice, nessuno vuole più venire». Ma chi a Servola ci vive e ci lavora da decenni di Ferriera non ne vuole parlare e punta invece sulle richieste alle istituzioni per rivitalizzare il rione. «Perché non spostare in questa zona qualche ufficio o qualche servizio utile ai cittadini, c’è posto in abbondanza. Lavoro qui dal 1997 - spiega Roberta Millini dal suo negozio Roby Abbigliamento - ho cercato sempre di adeguarmi ai tempi, ma è cambiato tanto, le persone acquistano su Internet, vanno nei centri commerciali, però gli anziani sono ancora tanti. E qui trovano ancora un po’ di tutto; passano anche per parlare, ci considerano un riferimento». Anche dal salone Acconciature Michela hanno un’idea per animare Servola, che qualcuno aveva scritto su Facebook. «Ci sono tanti edifici vuoti o sotto utilizzati, perché non trasferirci una facoltà universitaria? C’è spazio, parcheggio e garantirebbe un po’ di vitalità - dicono Michela e Giuliana, mamma e figlia con attività di parrucchiera da 50 anni- noi comunque adoriamo questo rione, c’è un aspetto familiare, raccolto, le persone non si sentono mai sole perché c’è calore, amicizia, una sorta di atmosfera magica, non abbiamo mai pensato di spostarci, si sta bene». Molti abitanti del rione sono anziani, tanti parecchio arzilli, rappresentano una memoria storica e soprattutto sono coccolati dagli esercenti che li vedono quasi quotidianamente, magari anche solo per un saluto, come Angela Lenuzzi, una simpatica signora che tra poco compirà 90 anni. «Passo quasi ogni giorno, per un caffè o per scambiare qualche parola - dice - vivo da 60 anni a Servola ed esco sempre per un giretto, se non fa troppo freddo. È cambiato proprio tutto qui e dispiace dirlo: negozi chiusi, mancano determinati generi, la gente è sempre di corsa. Faccio un po’ di spesa, piccole cose, ma anch’io come tanti confesso che vado al supermercato in auto con mio marito, per comodità». Tra le attività importanti per molti residenti c’è la farmacia, proprio accanto all’ex filiale Unicredit, dentro ci lavora Maria Luisa Bruna. «Ho visto con i miei occhi tutti i cambiamenti e purtroppo la situazione è costantemente peggiorata. Mancano soprattutto i negozi di vicinato - sottolinea - oltre a servizi essenziali per i cittadini. So che ci sono fondi per sostenere le periferie, qui ad esempio si potrebbe pensare a qualche progetto mirato al lavoro dei giovani, che consentirebbe sia un ricambio generazionale sia una rinascita complessiva». Qualcuno ricorda anche la chiusura di Casa Verde, struttura per anziani di via di Servola, che ha traslocato lo scorso anno al Sanatorio Triestino. «Però in quel caso chi ci abitava forse non si è lamentato del trasloco - scherzano alcuni pensionati - perché era una casa di riposo con vista sul cimitero...».

(mi. br.)

 

SEGNALAZIONI - FERRIERA - I limiti sulla ghisa

Chiedo ospitalità per una replica alla professoressa Sancin, che nel Piccolo del 15 novembre si esprime sull'ordinanza di un anno fa del sindaco Cosolini, che imponeva a Siderurgica Triestina di non superare le 34000 tonnellate di produzione mensile di ghisa.

Il confronto fatto dalla Sancin tra questo valore e la media dei valori mensili, da quando a fine 2014 era ripresa l'attività dell'altoforno è totalmente privo di significato. Il limite prescritto dal sindaco mirava a contenere la produzione che, al momento, si stava attestando su valori superiori, con l'obiettivo dichiarato dalla direzione di raggiungere, per l'altoforno, la potenzialità delle 450.000 tonnellate all'anno (quindi circa 38.000 al mese). Questa è la realtà. La Sancin rileva poi che nell'ordinanza "ci si sarebbe aspettati un'azione molto più decisa" e "una riduzione drastica". Sorvolo sulle fastidiose allusioni al sindaco che "non volle o non potè", per rilevare che imporre ad un privato una riduzione produttiva è atto di estrema delicatezza, che deve essere motivato. Le 34.000 tonnellate derivavano da uno specifico studio dell'Arpa, dell'Università di Trieste e della Regione secondo cui, in base alla serie storica dei dati di inquinamento dei rioni circostanti, il rilascio di polveri si impennava al superamento di quel valore di produzione di ghisa. Lo studio, che aveva rilevato anche l'opportunità di limitare il numero di sfornamenti in cokeria, consigliava pertanto di restare al di sotto delle 34.000 tonnellate per i mesi di maggio, giugno e luglio. L'ordinanza del novembre 2015 ha fatto proprio il limite, e ne ha imposto il rispetto fino all'avvenuto risanamento dell'altoforno, da certificare a cura di Arpa. Nell’atto si consigliava anche di inserirlo all'interno della nuova Aia, allora in stesura, cosa puntualmente avvenuta. I contenuti dell'ordinanza e le loro motivazioni sono stati più volte illustrati ai comitati ma, per dirla alla Sancin, non si è voluto o potuto capire. Un ultimo inciso: il rispetto di un ordinanza va ovviamente verificato. In questo senso, nel marzo 2016, come assessore all'Ambiente, ho richiesto formalmente alla direzione di Siderurgica Triestina di ricevere i dati ufficiali di produzione di ghisa dal novembre in poi. A questa richiesta, sollecitata con una nota trasmessa all'addetta stampa dello stabilimento, non è stata data risposta.

Umberto Laureni

 

 

PIANO DEL TRAFFICO da eseguire per un vero diritti alla Mobilita'

L’INTERVENTO di Sergio Tremul - Comitato direttivo Camminatrieste

Il trasporto pubblico va usato non come soluzione residuale, ma come mezzo qualitativamente adeguato, migliorando il benessere della gente
In questi giorni c'è molto interesse in merito al problema dei trasporti, traffico, viabilità, la sicurezza stradale e come andare a scuola o... camminare per il tuo cuore. Questa situazione è in movimento nel quadro di parti del Piano del Traffico realizzati, che devono trovare ora un segnale di continuità, in particolare norme da rispettare e non improvvise interessanti la nostra città. A Trieste deve essere attuato il Piano Urbano del Traffico anche se parti di esso sono state realizzate, che devono trovare momenti partecipativi e unitari, con le norme da rispettare, non proposte improvvise, che riguardano la città e che devono avere respiro e iniziativa di notevole spessore. A Trieste va attuato il Piano Urbano del Traffico in stretto collegamento con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia che deve realizzare il Piano Regionale integrato dei Trasporti. La dimensione sociale del Trasporto Pubblico Locale ha la finalità di garantire a tutte le fascie della popolazione e del territorio regionale il diritto alla mobilità, in particolare rendendo conto delle esigenze di mobilità del territorio, considerate le esigenze di trasporto delle persone con difficoltà di accesso alla rete dei trasporti, aumentare il benessere della popolazione esposta al traffico tutelandone la salute. Quest'anno nel corso della Settimana Europea per la Mobilità che ha avuto luogo dal 16 al 22 settembre è stata proprio l'indicazione importante data, quali interventi necessari nel Trasporto Pubblico locale nelle città e quindi è chiaro ed evidente il collegamento con i piani del settore, intendiamo il Piano Regionale integrato dei Trasporti e il Piano Urbano del Traffico della nostra città. L'aspetto innovativo di questo piano, se verrà veramente realizzato, che emerge dalle linee guida, è quello relativo alla mobilità sostenibile. Il primo obiettivo del piano evidenziato dalle linee guida è l'attivazione di politiche che consentono il riconoscimento del mezzo pubblico da parte dei cittadini del Friuli Venezia Giulia e dei suoi ospiti, non come soluzione residuale, ma come mezzo qualitativamente adeguato ed utilizzato anche dalla parte più dinamica ed attiva della popolazione, migliorandone il benessere di cittadini ospiti attraverso lo sviluppo sostenibile dell'economia e del territorio. Ancora da molto tempo addietro l'Unione Europea ha presentato nel 2001 il Libro Bianco "La Politica Europea dei Trasporti", che doveva essere il traino di questo sviluppo, mentre sono notevoli i ritardi di esecuzione di questi progetti che nonostante la buona volontà dell'Unione Europea, gli Stati nazionali e le città con la loro amministrazione, non sono stati sufficientemente in grado di attuare. Il Piano Regionale integrato dei Trasporti avrebbe dovuto essere il traino di questo sviluppo dando corso a risultati concreti per i quali il Coped-Camminatrieste, collegato a tante iniziative realizzate da studenti e pedoni della nostra città , potrebbero dare risultati certi. In questo contesto si può dire che " La città che vorrei" è un punto base di partenza perchè le cose possano cambiare, che poi collegate alle istanze sociali sono un viattico per la pace, per la sicurezza, per la solidarietà, per la salute, perchè le città siano più vivibili, dichiarando esplicitamente che Trieste e l'Italia siamo noi, volontari in movimento, per realizzare la Carta Mondiale della Pedonalità e la Carta Europea del Pedone che da molto tempo portiamo all'attenzione in oltre 50 città in Italia, Slovenia, Croazia e Austria, al Governo Nazionale e alla Comunità Europea.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 16 novembre 2016

 

 

Gli incidenti - Trieste è “maglia nera” sinistri aumentati del 29%

In Friuli Venezia Giulia statistiche migliori della media nazionale. Fra le cause dei botti l’uso del telefonino mentre si guida  - gli incidenti stradali in FVG

TRIESTE - La buona notizia dal rapporto Istat sugli incidenti stradali in Friuli Venezia Giulia nel 2015 è che la diminuzione del numero dei morti è più accentuata in regione rispetto al resto d’Italia. La cattiva notizia, tuttavia, è che aumenta sia il numero di incidenti che quello dei feriti, in controtendenza con le variazioni rilevate nell’intero Paese. A fare preoccupare è anche l’incidenza del numero di pedoni deceduti, cresciuta molto di più in Fvg che nella Penisola. Dalle nostre parti l’ultima, in ordine di tempo, è stata l’anziana Rasema Lepic, travolta mentre attraversava la strada a Sistiana meno di una settimana fa. Aveva appena acquistato il biglietto dell’autobus per tornare a casa, dopo aver fatto visita al figlio. Immediato il decesso, così come le polemiche sulla scarsa illuminazione e la lassa sorveglianza del rispetto dei limiti di velocità. Un tipo di sinistro che conferma i dati dell’Istat, secondo cui proprio sulle strade provinciali, regionali e statali fuori dai centri abitati il tasso di mortalità è stato più alto nel 2015 (37,60%), e hanno trovato la morte 27 delle 70 persone decedute in Fvg nel corso dell’anno. Ma andiamo con ordine e analizziamo, punto per punto, i rilievi dell’istituto di statistica. Diminuiscono i decessi Il Friuli Venezia Giulia si posiziona tra le regioni nelle quali il calo è stato superiore alla media nazionale. Rispetto al 2001, nel 2015 le vittime della strada si sono ridotte del 66,2% contro il -51,7% della media in Italia, mentre fra il 2010 e il 2015 la riduzione è stata del 32% (-16,7% in Italia). Sempre fra 2010 e 2015 l’indice di mortalità in Fvg è passato da 2,6 a 2 deceduti ogni 100 incidenti, quello medio nazionale da 1,9 a 2. Aumentano i feriti Nel complesso il numero di ospedalizzati è cresciuto del 7,8%, mentre nel resto d’Italia questo dato è in controtendenza, addirittura negativo. La parte del leone la fa Trieste. Se tra le quattro province è quella che ha riscontrato il calo più vistoso nel numero di morti (-41,7%, ovvero dai 12 del 2014 ai 7 del 2015), allo stesso tempo ha fatto segnare il più alto aumento relativo di feriti (+33,7%). In assoluto è la provincia di Udine quella che annovera più incidenti, più decessi e più ferimenti sulle strade (rispettivamente: 1291, 33 e 1813), ma la sua cosiddetta “popolazione circolante” è quasi due volte e mezzo quella del capoluogo giuliano. Sinistri soprattutto in città L'incidentalità è elevata in tutti i comuni capoluogo, lungo gli assi e i raccordi autostradali, nei comuni a nord di Pordenone, lungo la Ss202 Triestina e la Ss52 Carnica. L’indice di mortalità diminuisce nei comuni capoluogo di Trieste, Udine e Pordenone, mentre - rileva l’Istat - aumenta in quello di Gorizia. È proprio in città che nel 2015 è avvenuto il maggior numero di incidenti (2.524, il 71,3% del totale), provocando 34 dei 70 morti e 3.179 feriti (il 67,3%). Il costo: 280 euro a testa I costi sociali degli incidenti stradali sono stati stimati, per l’anno 2015, in 280,80 euro per ciascun abitante della regione: poco più di 7 euro pro capite in meno rispetto al resto del Paese, per un totale di oltre 340 milioni di euro. Uccidono velocità e telefonino Il mancato rispetto delle regole della precedenza o del semaforo, la guida distratta e la velocità elevata sono le prime tre cause di incidente. Dal 2009 l’Istat ha sospeso la diffusione di dati sugli incidenti causati da alcol e stupefacenti: la loro raccolta è problematica e rischia di non essere esaustiva. «L’invio di sms crea problemi anche a velocità basse in quanto viene percorso qualche metro di strada senza che la macchina abbia una guida. Nonostante il bluetooth e la tecnologia all’avanguardia di alcune macchine, il telefonino rimane pericoloso», conferma Marco Muzzatti, comandante della Polizia locale di Gorizia. Il dirigente pone l’accento anche sui comportamenti virtuosi che tutti, non solo i conducenti, dovrebbero seguire. «Quando pedoni e ciclisti vengono coinvolti in un incidente, questo comporta sempre una caduta e quasi certamente una prognosi. Alcuni di essi sono rispettosi, altri percorrono contromano le arterie, non si fanno riconoscere all’imbrunire o non hanno i dispositivi di identificazione. Serve più attenzione».

Lillo Montalto Monella

 

Centro aperto alle bici - Più corse per la “24” - L’ULTIMA SEDUTA
Ripavimentazione stradale per la Foiba di Basovizza, che ha bisogno di un recupero
In un consiglio comunale con poche delibere e molte mozioni da trattare, non tutte proprio fondamentali, la discussione prende facilmente la via delle buone vecchie cose spicciole ma pratiche: strade, ciclabili eccetera. Questo è quel che è accaduto anche lunedì sera quando, tra le varie cose, i consiglieri si sono concentrati su diversi temi di viabilità: in arrivo quindi un percorso ciclabile che conduca le due ruote dalla stazione al centro, un'estensione della copertura degli autobus sul tratto piazza Libertà - San Giusto, il rifacimento della strada che porta al monumento di Basovizza. È stata approvata all'unanimità la mozione di Roberto De Gioia (Socialisti e Verdi) sulla ciclabile in centro: «Al momento i cicloturisti arrivano a Trieste in treno - spiega il consigliere - e arrivati in stazione non hanno percorsi a loro dedicati su cui proseguire il cammino». Da qui l'idea di applicare la segnaletica orizzontale per i ciclisti nella strada che dal Silos porta al molo IV, parallelamente a corso Cavour: «In questo modo arriveranno dalla stazione alle Rive senza rischiare la pelle», commenta De Gioia. Approvata anche una mozione firmata da un inedito assortimento di forze: sotto l'ombrello della prima firmataria Manuela Declich (Forza Italia) hanno trovato posto il forzista Bruno Marini ma anche Gianrossano Giannini del M5S. Il primo abbinamento azzurro-pentastellato. La richiesta è rendere più fitti gli orari della linea 24, che collega piazza Libertà a San Giusto, almeno per quanto riguarda i mesi estivi da giugno a settembre. «Spetterà a Trieste trasporti studiare la compatibilità finanziaria - spiegano i firmatari -, ma almeno in estate sarebbe necessario. Oggigiorno la linea passa ogni 40 minuti, decisamente troppi per il collegamento tra il centro logistico e uno dei principali punti turistici della città». Approvata infine anche una mozione firmata dal consigliere di Fratelli d'Italia Salvatore Porro, che chiede di ripristinare una degna pavimentazione stradale per il monumento nazionale della Foiba di Basovizza, apparso recentemente come bisognoso di manutenzione.

(g.tom.)
 

 

La pulizia delle strade finisce in commissione
Mozione dei Cinquestelle per sostituire lo spazzamento con il lavaggio nelle vie di Servola e dintorni
Rivedere il sistema di spazzamento delle strade in modo particolare nel quartiere di Servola e dintorni al fine di evitare il sollevamento di polveri “pericolose” in aree vicine allo stabilimento siderurgico della Ferriera. È la sintesi della mozione presentata dai consiglieri del Movimento 5 Stelle Alessandro Imbriani e Elena Danielis discussa ieri nella seduta della VI Commissione consiliare presieduta da Salvatore Porro (FdI). Nel documento si fa riferimento al fatto che «attraverso lo spazzamento con mezzi meccanici (soffiatori e spazzatrici) si solleva e si rimette in circolo il particolato depositato al suolo, dove sono presenti materiali tossici come ipa e metalli pesanti», invitando pertanto sindaco e giunta a «dare mandato ad AcegasApsAmga di sostituire con urgenza, inizialmente nei rioni di Servola, Chiarbola e Valmaura, in quanto aree più prossime alla Ferriera e ad altri stabilimenti inquinanti e pertanto soggette alle ricadute maggiori, lo spazzamento effettuato con mezzi meccanici, con il lavaggio stradale in modo da evitare di sollevare polveri cancerogene a tutela della salute pubblica», oltre che «vietare l’uso dei soffiatori su tutto il territorio comunale a partire dal 2019 per consentire all’azienda l’ammortamento degli stessi». Mozione che ha trovato l’approvazione bipartisan dei consiglieri che hanno osservato come «le modifiche potrebbero interessare ulteriori zone della città e prevedere la sostituzione dei soffiatori con mezzi che vadano invece ad aspirare le polveri». Puntualizzazioni affidate agli uffici comunali per voce di Gianfranco Caputi, della direzione servizio Ambiente. «Partiamo dal fatto che spazzamento e lavaggio strade sono due operazioni distinte, con quest’ultimo che viene effettuato di norma nelle zone del centro cittadino - è stato precisato -. È contemplata la possibilità di cambiare metodologia di interventi, ma va considerato che tutto questo va a incidere nel Piano economico finanziario con conseguenti costi aggiuntivi. Più precisamente, utilizzare metodi diversi di spazzamento ricadrebbe nel Pef ordinario che si aggira sui 30 milioni di euro, mentre prevedere il lavaggio di ulteriori strade andrebbe ad incidere sulle voci “extra Pef” che si assestano su 1 milione e 100mila euro». Così l’assessore comunale all’Ambiente Luisa Polli: «Voglio tranquillizzare i residenti di Servola in quanto come amministrazione ci siamo già mossi preventivamente e con l’arrivo della bora abbiamo temporaneamente sospeso lo spazzamento con i soffiatori nel quartiere - spiega -. Adesso aspettiamo i risultati delle analisi del consulente Pierluigi Barbieri e poi, in un percorso condiviso con cittadini e comitati, siamo pronti a rivedere le modalità di intervento per pulizia, spazzamento e lavaggio delle strade, che saranno calibrate a seconda del grado di criticità che emergerà nei diversi punti».

Pierpaolo Pitich

 

Organico spacchettato, allarme a Servola - Gran parte dei dipendenti della Ferriera trasferiti ad Acciaieria Arvedi. La preoccupazione dei sindacati
TRIESTE - Torna a salire la tensione tra i dipendenti della Ferriera di Servola, ma stavolta non sono in ballo le questioni ambientali, bensì l’intenzione di Giovanni Arvedi, che da lunedì è stata trasformata anche in comunicazione ufficiale, di spacchettare l’organico servolano lasciando soltanto una quarantina di persone e cioé quelle del settore logistico in carico a Siderurgica Triestina, la società di cui oggi tutti fanno parte, trasferendo tutti gli altri (oltre 450) ad Acciaieria Arvedi, la più recente delle aziende del Gruppo Arvedi e quella che da sola rappresenta circa il 67% del fatturato dell'intero Gruppo facendo capo in particolare all’impianto di colata e di laminazione di Cremona. Ieri nello stabilimento servolano si è tenuta un’assemblea che pur non essendo eccessivamente partecipata dal momento che era puramente informativa, ha fatto registrare note particolarmente preoccupate negli interventi di Umberto Salvaneschi (Fim-Cisl), Cristian Prella (Failms), Franco Palman (Uilm) e Thomas Trost (Fiom-Cgil). «L’azienda ha negato l’esistenza di esuberi - spiega Prella - ma la decisione dello spacchettamento non ci fa stare affatto tranquilli e paradossalmente a preoccupare di più è il futuro di quelli che rimarranno in Siderurgica Triestina perché in caso di crisi nei prossimi anni sarebbero quelli che più facilmente potrebbero venir estromessi dal ciclo produttivo». «Sono mille le incognite che si prospettano e che dalla prossima settimana cominceranno a essere affrontate in una trattativa che si preannuncia particolarmente dura - aggiunge Trost - il passaggio da una società a un’altra presenta forti rischi e un esempio è quanto successo a me stesso: da impiegato con la Lucchini sono finito a operaio in Siderurgica Triestina». Da questo punto di vista il fronte sindacale sembra aver ritrovato compattezza perché, sebbene con note separate, sia dapprima Fiom-Cgil che poi assieme Fim-Cisl e Uilm si sono pronunciate contro lo spacchettamento, una posizione che, anche se con qualche distinguo, è condivisa anche da Failms. Il fronte si era spaccato invece sulla questione ambientale. Ieri Prella ha voluto ribadire come due sigle sindacali e cioé Failms e Uilm hanno fatto presente all’azienda che «sebbene sia stato avviato un percorso diverso rispetto a quello seguito da Lucchini, rimangono molti problemi da risolvere sugli impianti in tema di salute e sicurezza dei lavoratori».

(s.m.)

 

 

«L’accordo sul clima è intoccabile» - Marocco, vertice Cop22. Hollande e Ban Ki-moon avvertono Trump
MARRAKECH La Conferenza sul clima di Marrakech Cop22 è entrata ieri nel vivo, con l’apertura dell’assemblea dei paesi firmatari, la CMA1. Qui leader politici e ministri devono decidere cosa fare per attuare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ma sotto il tendone del centro congressi di Bab Ighli che accoglie la folla dei delegati, c’è un convitato di pietra: il presidente americano eletto Donald Trump, che potrebbe portare il suo paese fuori dall’Accordo, pregiudicando gli sforzi del resto del mondo per ridurre i gas serra. Dopo i convenevoli tra capi di Stato e delegati, dopo la colorata foto di gruppo, il Segretario generale Onu Ban Ki-moon assicura che «il cammino intrapreso non si può più fermare. L’accordo di Parigi ha il più alto numero di sottoscrizioni di ogni trattato sul tema, con 109 firme». E aggiunge: «La maggior parte degli stati che formano gli Usa hanno compreso l’urgenza dei problemi legati al cambiamento climatico. Sono sicuro che il nuovo presidente non potrà ignorarlo, non potrà fare a meno di comprendere a sua volta». L’atmosfera tra le centinaia di delegati in sala, però, non è rilassata. Aleggia il timore che l’amministrazione Trump possa trovare un escamotage per tirarsi fuori dall’intesa sul clima, firmata da 196 paesi e ratificata finora da 109 (compresi gli Usa), per il 75% dei gas serra totali. Il presidente francese Francois Hollande è categorico nel difendere il «suo» trattato: «L’Accordo di Parigi è irreversibile, gli Stati Uniti devono rispettarlo. Voglio credere che Trump non prenderà le decisioni annunciate durante la campagna presidenziale. Sarebbe il primo ad assumersene tutti i rischi, perché le prime vittime sarebbero le aziende Usa». Oggi toccherà al segretario di Stato di Obama John Kerry prendere la parola. E lo stesso giorno si tenterà di affrontare la spinosa questione del Green Climate Fund, il fondo comune da 100 miliardi di dollari all’anno per finanziare la lotta al riscaldamento globale. L’ospite di questa Cop22, re Mohammed VI del Marocco, ribadisce solenne: «La posta in gioco è l’esistenza dell’uomo. È quindi il nostro dovere comune è lavorare mano nella mano per proteggere l’umanità». Papa Francesco da Roma invita i delegati ad agire «senza indugio» per il clima, liberandosi da «pressioni politiche ed economiche».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 15 novembre 2016

 

 

Il Friuli Venezia Giulia fuori dalla top ten delle città “verdi” - Nella classifica di Legambiente solo Pordenone e Gorizia nei primi venti posti
Udine scivola alla ventinovesima posizione e Trieste finisce sessantaquattresima - la classifica dell'ecosostenibilita'

TRIESTE L’affidabilità ambientale del Friuli Venezia Giulia perde colpi nel 2015 rispetto all’anno precedente. Perlomeno da quanto si desume dalla XXIII edizione dell’Ecosistema urbano, secondo i parametri monitorati da Legambiente e da Ambiente Italia su aria, acqua, smaltimento, trasporti. Perde colpi perchè la classifica della XXII edizione vedeva tre capoluoghi provinciali giulio-friulani nelle prime venti posizioni nazionali, mentre quella pubblicata ieri da “Sole 24 Ore” restringe a sole due città la presenza regionale nella graduatoria dei virtuosi. Non solo: nella precedente edizione Pordenone era addirittura nella “top ten”, mentre adesso è retrocesso all’undicesimo posto. Quindi possiamo così ricapitolare: l’ultima classifica di qualità ambientale urbana colloca Pordenone all’11° posizione con 62,39 punti; Gorizia al 12° (era al ventesimo) con 62 punti; Udine al 29° (era al sedicesimo) con 56,90 punti. Molto indietro Trieste, che guadagna terreno ma si parcheggia pur sempre nel 64° stallo (era settantaduesima) con 49,09 punti. Punteggi e percentuali hanno ieri farcito quattro pagine del quotidiano economico. I criteri adottati da Legambiente e Ambiente Italia hanno premiato, nelle prime dieci piazze, 8 città del Nord, cui si sono aggiunti un capoluogo del Centro (la vincitrice Macerata) e uno isolano. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, la situazione ambientale più preoccupante si registra, stando agli indicatori del 2015, a Trieste. Varie le misurazioni, che trascinano il capoluogo regionale verso il basso, per la verità accompagnato dalla vasta platea delle città più grandi, dove la tutela della vivibilità . A cominciare dalle emissioni relative al biossido di azoto, che vedono Trieste all’89° posto con una media di valori annui riscontrati in 48 mc, che peggiora ulteriormente la già impegnativa 84° posizione della scorsa edizione. Ma le difficoltà proseguono su tutti i capitoli dell’aria: le polveri sottili (dal 24° al 30° posto) e l’ozono (da 14 a 20 giorni di superamento della media mobile). Trieste soffre anche se dall’aria si passa all’acqua, soprattutto in tema di dispersione idrica: le tubazioni della rete perdono lungo la via il 44,5% dell’approvvigionamento, percentuale che nel 2015 classificava il capoluogo al 74° posto nella classifica nazionale dei “reprobi”, appena un gradino meglio dell’edizione precedente. Sul versante acqueo Pordenone, con l’11,7%, è medaglia d’argento tra i migliori utilizzatori italiani, mentre Udine, nel giro di un anno, è incredibilmente crollata dal quarto al 28° posto. Le grandi differenze all’interno della regione sono verificabili anche in tema di raccolta e di smaltimento rifiuti. Trieste e Gorizia sono conferitrici abbastanza misurate, situandosi rispettivamente al 21° e al 25° posto: ma Udine e Pordenone, pur producendo molto di più delle città giuliane, hanno una percentuale decisamente maggiore nella raccolta differenziata. Pordenone è seconda in Italia (era prima) con una percentuale dell’85%, mentre Udine, che era nona, è scesa al 14° posto. Gorizia si difende in ventesima posizione, ma Trieste arranca con il 37,4% attorno alla sessantaquattresima. Con riguardo ai consumi domestici, il ricorso alle fonti rinnovabili, anche in questo caso reso in percentuale, trova Gorizia nelle posizioni di testa nazionali con uno squillante 100%, seguita a netta distanza da Pordenone (46%), da Udine (32%) e dal consueto fanalino di coda triestino che limita l’utilizzo al 12% (in linea con i maggiori centri urbani). Il quadro per Trieste tende a rasserenarsi se si parla di mobilità e di trasporti urbani. Innanzitutto il capoluogo regionale vanta uno degli indici nazionali più elevati nel rapporto tra abitanti e passeggeri trasportati annualmente dai mezzi pubblici, un indice misurato a quota 300, il quarto nel Paese dopo Venezia, Roma, Milano. A metà classifica la percentuale di triestini che in ambito urbano si muove in auto/moto, parliamo del 60%; un po’ più alta la percentuale pordenonese (65%) e udinese (68%). Abbastanza bassa l’incidentalità stradale calcolata ogni mille abitanti: Gorizia è al 3,93 (ventesima), Trieste al 4,27 (ventiseiesimo), oltre quota 5 a Pordenone, mentre Udine sfiora quota 6. La “ciclabilità”, ovvero il livello di infrastrutturazione al servizio della bici, è discreto a Pordenone (14,43 metri per abitante) e a Udine (11,12), ma crolla sulle rampe triestine con solo 1,66 metri/abitante. Va meglio la pedonalizzazione: i triestini hanno a disposizione 0,47 metri quadrati ciascuno, molto di più rispetto a Pordenone (0,16) e a Udine (0,13).

Massimo Greco

 

Gorizia sempre più green con le rinnovabili - Prima nella specifica graduatoria nazionale. Positivi i risultati anche nella raccolta differenziata
Gorizia è sempre più “verde” e scala la classifica italiana avvicinandosi alla “top ten” dei capoluoghi stilata da Legambiente. Nella ricerca Ecosistema urbano di Legambiente e Ambiente Italia Gorizia sale al 12° posto tra le “Città Verdi”, dopo essersi piazzata 20° un anno prima e 15° nell'edizione ancora precedente.

Il capoluogo isontino si è preso la 12° posizione soprattutto grazie all'aumento della raccolta differenziata, salita al 63,8% rispetto al 58,5% della precedente rilevazione, e alla consistente diminuzione nelle perdite della rete idrica, scese al 36% dopo essere state non più tardi di due anni fa al 57%. Ma anche il nuovo indicatore relativo alla percentuale di copertura dei fabbisogni elettrici domestici da fonti rinnovabili pesa, visto che Gorizia è con altri 22 comuni al primo posto, a punteggio pieno. «Questa classifica è motivo di orgoglio - dice l'assessore comunale Francesco Del Sordi -. È stato importante l’incremento della raccolta differenziata, ma nel complesso Gorizia si conferma una città verde, che in un panorama nazionale non certo idilliaco risulta ancora decisamente vivibile». Certo permangono anche diverse criticità, anche se per quasi tutti gli indicatori Gorizia resta nella parte medio alta della classifica. Tra queste ci sono secondo Legambiente la mobilità (aumentano di poco le piste ciclabili, ma salgono anche le automobili circolanti, e il servizio di trasporto pubblico andrebbe potenziato) o l’inquinamento. Gorizia ha peggiorato nettamente il suo piazzamento per la presenza delle polveri sottili pm10 nell’aria (dal 17° al 35° posto attuale). «È un dato che sicuramente dipende anche dalle condizioni atmosferiche, ma sul quale è necessario riflettere e intervenire - dice Luca Cadez, presidente del comitato goriziano di Legambiente, che a livello generale giudica positivamente i dati per Gorizia -. Penso ad esempio alla collaborazione transfrontaliera, dato che l’aria di Gorizia è influenzata anche da quella di Nova Gorica, e viceversa. In Slovenia ad esempio molte famiglie usano la legna, decisamente più inquinante, per il riscaldamento, e in generale anche la diffusione delle stufe a pellet ha aumentato la concentrazione delle polveri sottili nell’aria».

Marco Bisiach

 

 

Il no di Fim-Cisl e Uilm alla Ferriera divisa - Oggi assemblea dei lavoratori sulla decisione di Arvedi che scatterà a gennaio. Nosmog con Dipiazza
È ufficiale l’intenzione del Gruppo Arvedi di conferire dal primo gennaio 2017 alla società Acciaierie Arvedi il ramo d’azienda costituito dagli impianti dell’area a caldo, dal nuovo laminatoio e da tutto il personale dedicato, cioé la grande maggioranza dei dipendenti di Servola.

Ne danno notizia i sindacati Fim-Cisl e Uilm riferendo che ieri, lunedì, è giunta la comunicazione. Sotto Siderurgica Triestina rimarranno invece i terreni, i fabbricati e tutto il settore logistico con il relativo personale. Fim-Cisl e Uilm ricordano di essersi dichiarate «da subito contrarie a segmentazioni societarie» e che «dall’inizio veniva dichiarato che la valenza di tutto il progetto si sosteneva su tre aspetti inscindibili: area a caldo, laminatoio e logistica». La questione sarà discussa oggi in fabbrica dall’assemblea dei lavoratori. Le due sigle sindacali ricordano anche al sindaco Dipiazza che «non può ricadere sui lavoratori della Ferriera il suo essere ostaggio di promesse fatte prima del voto» e definiscono «imbarazzante l’ordinanza dove vengono messi in discussione i livelli produttivi senza riferimento specifico e circostanziale sugli effetti derivanti. La diffida - affermano Fim-Cisl e Uilm - ci sembra un atto strumentale, ci risulta infatti che il rapporto dell’Arpa restituisca un quadro di miglioramento complessivo dei parametri ambientali». Di tenore opposto la nota di Alda Sancin, presidente di Nosmog anche in replica alle affermazioni di Adele Pino, segretario provinciale Pd. «L’ordinanza del sindaco Cosolini prodotta mentre vigeva la vecchia Aia - afferma Sancin - imponeva all’azienda un limite di produzione mensile addirittura superiore alla media delle produzioni mensili verificatesi dal rilascio della prima Aia. Ci si sarebbe aspettati un’azione molto più decisa, una riduzione drastica avendone la facoltà di farlo, ma non volle o non potè. L’attuale sindaco di fronte a un’autonoma decisione dell’azienda di aumentare la produzione - conclude la presidente di Nosmog - richiama la proprietà al rispetto delle prescrizioni, vicariando richiami d’obbligo altrui (Regione) non esercitati per cinque mesi, al fine di tutelare la salute pubblica». «Questa ordinanza e il richiamo alla Regione sono per noi un segnale importante che evidenzia la necessità di tutelare la salute pubblica come obbiettivo primario dell’amministrazione comunale», è ciò che pensa anche Giorgio Cecco, coordinatore di FareAmbiente.

(s.m.)
 

 

Allarme dell’Onu sul clima - Il 2016 è l’anno più caldo - La temperatura globale continua a crescere a causa dei gas prodotti dall’uomo
La Banca Mondiale: «Cambiamenti che creano ogni anno 26 milioni di poveri»
ROMA I ghiacci artici che si assottigliano, la calotta della Groenlandia che si scioglie in maniera massiccia e in anticipo sui tempi. A ritmi serrati il riscaldamento globale modifica senza possibilità di ritorno il clima del pianeta, seminando desertificazione e siccità e aumentando al contempo la massa di vapore acqueo presente nell’atmosfera con la formazione di tempeste e uragani sempre più frequenti e sempre più potenti. Gli esperti l’avevano già previsto e ora dall’Agenzia meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (Wmo) arriva la conferma: il 2016, si legge nel rapporto preliminare presentato alla Conferenza Onu sul Clima di Marrakesh (Cop22) si avvia a diventare l’anno più caldo della storia, ovvero dal 1880, anno in cui è iniziata la raccolta dati. Un record negativo confermato per il terzo anno consecutivo. La temperatura globale registrata nel corso dell’anno infatti è di 1,2 gradi superiore ai livelli pre-industriali. È un risultato allarmante, vicino al limite massimo di 2 gradi fissato dall’Accordo di Parigi (Cop21) nel dicembre dell’anno scorso, attribuito in parte a El Niño (il fenomeno climatico periodico che provoca il riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale a dicembre e gennaio), ma soprattutto all’aumento dei gas prodotti dalle attività umane. «Le concentrazioni dei principali gas serra in atmosfera continuano ad aumentare» scrive la Wmo, sottolineando che l’anidride carbonica ha raggiunto il valore medio di 400 parti per milione. Il rapporto definitivo della Wmo sarà pubblicato nel 2017, ma la tendenza è chiara: «Un altro anno, un altro record - commenta il segretario generale dell’organizzazione Petteri Taalas - In parti della Russia Artica, le temperature sono dai 6 ai 7 gradi sopra la media di lungo periodo - aggiunge - Molte altre regioni artiche e sub-artiche in Russia, Alaska e nel nordovest del Canada erano almeno 3 gradi sopra la media. Eravamo abituati a misurare le temperature da record in frazioni di gradi, questa è un’altra cosa». Per la Banca mondiale, le conseguenze del climate change sono drammatiche anche sotto il profilo economico: i disastri ambientali, infatti, spingono nella povertà 26 milioni di persone ogni anno, con un costo di 520 miliardi. «I grandi eventi climatici ci fanno arretrare di decenni nei progressi sulla povertà» sottolinea Jim Yong Kim citando i risultato di uno studio condotto su 117 Paesi. Dunque bisogna accelerare la ricerca di soluzioni. Obiettivo: trovare i 100 miliardi di dollari necessari per finanziare la lotta al riscaldamento globale. In uno scenario fosco, un dato positivo arriva da una ricerca dell’università dell’East Anglia e del Global Carbon project: le emissioni mondiali di CO2 generate da fonti fossili nel 2016 e per il terzo anno consecutivo dovrebbero rimanere quasi stabili, con una crescita di 0,2 rispetto al 2015. Un risultato incoraggiante dovuto alla riduzione del consumo di carbone in Cina e al taglio delle emissioni negli Stati Uniti dove però il neo-presidente Donald Trump, che ha definito il riscaldamento globale «una stronzata che deve essere fermata», potrebbe decidere una inversione di rotta.

(m.r.t.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 14 novembre 2016

 

 

No della Fiom alla Ferriera “spezzatino” - Documento contrario alla disarticolazione annunciata da Arvedi. Il Pd polemizza con gli ambientalisti
Un comitato, interno ed esterno all’azienda, con il compito di verificare il pieno rispetto dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) da parte del gruppo Arvedi.

Altolà a ogni ipotesi di “spezzatino” della Ferriera, alla luce della recente decisione, assunta dall’imprenditore lombardo, di articolare la partecipazione societaria tra attività siderurgica e operatività logistica. Il direttivo provinciale della Fiom interviene con un proprio documento sull’intramontabile vicenda industriale e ambientale della Ferriera. Chiede che sia fatta chiarezza programmatica sulla produzione siderurgica in ogni suo segmento, dall’approvvigionamento di materie prime alla fornitura di energia, fino alla logistica. Sottolinea che «il ciclo integrale va difeso e rilanciato». Insiste sulla compatibilità tra diritto al lavoro e diritto alla salute, in base alla quale critica la contrapposizione tra Arvedi e Dipiazza, contrapposizione il cui conto rischia di essere saldato da lavoratori e cittadini. Ma soprattutto il documento Fiom esige la garanzia dell’unità aziendale, perchè «qualsiasi progetto di suddivisione del corpo dell’azienda stessa significherebbe compromettere l’idea di modello funzionale all’integrazione produttiva». I metalmeccanici cigiellini difenderanno «ogni singolo posto di lavoro davanti all’eventuale messa in discussione dello stabilimento, in assenza di risposte sulle prospettive industriali e occupazionali». E’un messaggio che la Fiom non manda solo a impresa e istituzioni, ma anche alle altre sigle sindacali allo scopo di «recuperare la discussione sulle condizioni di lavoro», condizioni che i dipendenti della fabbrica servolana - commenta il segretario Sasha Colautti - subiscono pesantemente. Da segnalare, sempre sulla Ferriera, un intervento del segretario provinciale del Pd Adele Pino in relazione all’ordinanza del sindaco che fissa entro le 34mila tonnellate la produzione mensile di ghisa. Provvedimento analogo a quello assunto dal predecessore Cosolini - obietta la Pino - ma, a differenza di quanto accadde con Cosolini, le associazioni ambientaliste “fiancheggiatrici” plaudono alla decisione di Dipiazza. La questione di fondo - attacca l’esponente “dem” - è che la questione Ferriera deve essere tenuta in caldo «fino alle prossime elezioni regionali».

(magr)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 13 novembre 2016

 

 

Il sindaco «Preoccupante la replica della Regione sulla Ferriera»
Il braccio di ferro sulla Ferriera di Servola fra Comune e Regione prosegue. Il sindaco Roberto Dipiazza, infatti, torna all’attacco dopo l’ordinanza e una diffida inviate rispettivamente a Siderurgica Triestina e alla Regione.

L’azienda non aveva inteso commentare in quest’occasione; l’amministrazione regionale, invece, aveva replicato senza mezzi termini con una lunga nota in cui ripercorreva le verifiche degli ultimi mesi e concludeva affermando che «la Regione non ha bisogno di alcuna vigilanza da parte del sindaco di Trieste. Sarebbe invece benvenuto un atteggiamento di collaborazione istituzionale». Ora questa presa di posizione così netta della giunta Serracchiani fa intervenire Dipiazza ancora una volta. «Le dichiarazioni della Regione sono preoccupanti: la risposta inadeguata alla diffida del Comune a un controllo puntuale è preoccupante perché da questa si deduce chiaramente che la Regione, anche in relazione al verbale del 13 settembre a seguito del sopralluogo, non ha ancora fatto ciò che deve, come indicato nello stesso verbale». «Nel verbale del 13 settembre, cioè - spiega il primo cittadino - è chiaramente scritto che “l’accertamento degli interventi strutturali per l’altoforno viene effettuato dalla Regione previo sopralluogo congiunto degli enti che partecipano alla Conferenza di servizi”. È chiaro, quindi, che le conclusioni del verbale sono evidentemente riferite al sopralluogo a seguito del quale la Regione deve emettere un atto di accertamento separato e distinto dal sopralluogo». «Se la Regione ha affermato che il sopralluogo ha concluso l’iter, non vorrei che in modo surrettizio volesse spalmare le sue responsabilità sugli altri soggetti presenti, cosa che non può fare dato che è lei l’ente controllore. Ciò è scontato - conclude Dipiazza - ma da questa risposta apprendiamo, purtroppo, che anche in questo caso la Regione non sta facendo quanto dovrebbe fare».

 

 

 

Muggia, Acquario bonificato entro il 2017
Il 18 novembre si chiude la raccolta delle manifestazioni d’interesse per il primo stralcio dei lavori sul terrapieno inquinato
MUGGIA «Entro la fine del 2017 si potrà accedere ad Acquario. Forse già in estate». Francesco Bussani, vicesindaco di Muggia, annuncia le tempistiche inerenti il primo stralcio di lavori di bonifica del terrapieno inquinato “bloccato” da oltre dieci anni. Contemporaneamente, il Comune rivierasco ha pubblicato l’avviso per la raccolta di manifestazioni di interesse a partecipare alla procedura negoziata dei lavori. Gli operatori economici interessati a partecipare dovranno far pervenire la propria richiesta all’Ufficio protocollo del Comune di Muggia non oltre le 12 di venerdì 18 novembre. «Riconsegneremo alla cittadinanza una passeggiata a mare di 900 metri. Le persone potranno fare il bagno in mare. E a chi sostiene che non ci saranno posti auto a sufficienza, dico che creeremo due parcheggi da quasi 100 posti». Bussani racconta l’essenza del progetto esecutivo del primo stralcio dei lavori che interesseranno Acquario. Lavori che l’ex assessore ai Lavori pubblici Marco Finocchiaro aveva annunciato sarebbero partiti già lo scorso luglio. La realizzazione del cantiere di bonifica del terrapieno, mediante la sua messa in sicurezza permanente, partirà invece il prossimo anno. «Voglio stare molto attento nel non fare proclami. I lavori potrebbero partire in primavera, però per sicurezza dico che partiranno in estate», puntualizza il vicesindaco. Di sicuro l’appalto sull’area di strada di Lazzaretto durerà 154 giorni. Confermato anche il costo, pari a 972mila euro, progetto finanziato dal Comune. Nel dettaglio, la spesa vedrà l’impiego di 400mila euro riservati al percorso da creare lungo la scogliera, 340mila euro per i parcheggi e l’area di sosta, e oltre 30mila euro per gli scarichi a mare delle acque meteoriche. Dopo 13 anni, dunque, si potrà tornare a fare il bagno in mare davanti ad Acquario: a tale proposito l’ultima Conferenza di servizi convocata dalla Regione aveva fatto presagire che, finalmente, il lunghissimo iter procedurale atto alla bonifica del terrapieno fosse giunto positivamente alla sua conclusione. L’intervento (che prenderà il via nel 2017) prevede la messa in sicurezza non di tutto ma di gran parte del terrapieno con «tecniche innovative e rispettose dell’ambiente», ma anche più economiche, rispetto alla soletta in calcestruzzo prevista nel progetto definitivo generale. La principale variazione è stata di tipo economico in quanto invece dell’impegno finanziario previsto a inizio anno - possibile solo con l’alienazione di beni immobili da parte dell’amministrazione - vi si farà fronte con un avanzo di bilancio derivante da oneri di urbanizzazione accertati a fine dell’esercizio finanziario 2015. Un’operazione pari a circa a 850mila euro, ai quali si sono aggiunti ulteriori 122mila euro provenienti da una sponsorizzazione privata. «Visto il particolare momento nel quale si prevedeva di finanziare l’opera con la vendita di immobili pubblici dismessi, cosa particolarmente difficoltosa in tempi di crisi del mercato immobiliare, il Comune farà fronte con altri capitoli di spesa specifici, senza necessariamente vendersi i gioielli di famiglia», aveva spiegato lo scorso maggio l’allora assessore Finocchiaro, oggi consigliere comunale in quota Pd. Soddisfatta dello sblocco dei lavori il sindaco muggesano Laura Marzi: «Tra pochi giorni si chiuderà la raccolta delle manifestazioni di interesse che darà il via a tutto l’iter. Una volta terminata la parte burocratica, partiranno i veri e propri lavori. Sappiamo che i cantieri possono avere dei rallentamenti ma io auspico che la parte a mare torni a disposizione dei muggesani già entro la prossima estate».

Riccardo Tosques

 

Fianona 3 nel cassetto - Zagabria pensa “green” e fa dietrofront
ALBONA - Sembra che sia stato riposto definitivamente nel cassetto - o meglio cestinato - il contestato progetto della centrale termoelettrica a Fianona 3, per anni duramente contestato dagli ambientalisti dall'opinione pubblica istriana a causa del pesante impatto ambientale.

Il dietrofront di Zagabria che più di tanto non sorprende alla luce della campagna generale contro l'emissione di gas a effetto serra, si spiega nella ripartizione delle competenze nei vari settori di attività tra le forze politiche al governo. Ebbene quello energetico passa nelle competenze dello schieramente civico Most (Il Ponte) alleato dell'Hdz, che ne ha delineato le direttrici di sviluppo fino al 2030. La stesura tecnica del documento, come scrive il Glas Istre, è stata affidata alla società Ekonerg già al lavoro, in quanto la strategia deve venir consegnata entro l'anno in corso. Ebbene, stando a fonti ufficiose Most avrebbe fornito dei precisi parametri da rispettare rigorosamente. Primo fra tutti, il passaggio alle fonte energetiche rinnovabili quindi niente più combustibili fossili come ad esempio il carbone e neanche il gas naturale che invece aveva incontrato i favori degli ambientalisti. Un secondo punto riguarda il miglioramento di quella che viene definita efficienza energetica di case e di palazzi, peraltro già in atto in numerose città del paese. Ossia il governo mette a disposizione degli incentivi per l'isolamento termico delle facciate e dei tetti e per la sostituzione dei vecchi infissi con nuovi più idonei. E in più, entro il 2020, la Croazia ha l'obbligo di mettere fuori uso le centrali a carbone per un totale di 1.200 Megawatt di corrente elettrica sul totale di 3.600. In questo caso gli esperti osservano che sicuramente la Croazia dovrà incrementare l'importazione di corrente elettrica per il suo fabbisogno. Già ora ne importa annualmente per un importo pari tra i 400 e 500 milioni di euro. I paesi fornitori sono la Serbia e la Bosnia ed Erzegovina, dove guarda caso la corrente elettrica viene prodotta da centrali a carbone in peggiori condizioni della Fianona 1 ormai prossima allo smantellamento poichè ridotta a una carretta fumante. Sembra però che si dovrà importarne anche dalla Germania. Che cosa significa tutto ciò per i consumatori? Che nella bolletta della luce aumenterà del doppio la retta per lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili, come dire per arrivare all'energia green gli utenti dovranno affondare più profondamente le mani nelle tasche. In conclusione passa dunque alla storia la Fianona 3 di 500 megawatt che a regime di funzionamento avrebbe sprigionato nell'aria nientemeno he 300 tonnellate di Co2 all'ora. Sarà interessante ora vedere come reagirà la compagnia giapponese Marubeni scelta quale partner per la sua costruzione che dunque si vede sfumare un bel business.

(p.r.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 12 novembre 2016

 

 

Comune contro Regione - Battaglia sulla Ferriera - Diffida di Dipiazza sui controlli e ordinanza per ridurre la produzione di ghisa
La replica: «Atto strumentale e non pertinente». Siderurgica Triestina tace
Braccio di ferro sulla Ferriera fra Comune e Regione. Il sindaco Roberto Dipiazza va all’attacco con un’ordinanza e una diffida inviate rispettivamente a Siderurgica Triestina e alla Regione. L’azienda, almeno al momento, non commenta il provvedimento. L’amministrazione regionale, invece, replica senza mezzi termini. Una lunga nota ripercorre le verifiche degli ultimi mesi e conclude affermando che «la Regione non ha bisogno di alcuna vigilanza da parte del sindaco di Trieste. Sarebbe invece benvenuto un atteggiamento di collaborazione istituzionale». I provvedimenti del sindaco Due, come detto, i documenti firmati giovedì dal sindaco Dipiazza e resi noti ieri. Il primo “intima” alla Siderurgica Triestina di contenere la produzione mensile di ghisa entro le 34mila tonnellate fissate dall’Aia. Con l’altro, inviato alla governatrice Debora Serracchiani, l’amministrazione comunale dà tempo 45 giorni alla Regione per concludere il procedimento amministrativo riguardante gli interventi strutturali sull’altoforno. «La produzione della ghisa è salita oltre le 34mila tonnellate senza autorizzazione», ha rimarcato Dipiazza, presentando in municipio i due documenti assieme all’assessore all’Ambiente Luisa Polli e ai rappresentanti delle associazioni Nosmog, Fareambiente e Comitato 5 dicembre. «Il punto di arrivo è la chiusura dell’area a caldo - ha proseguito il sindaco -. Abbiamo rilevato una situazione drammatica che non può continuare». Il rapporto dell’Arpa L’ordinanza e la diffida, come ha spiegato l’assessore all’Ambiente Luisa Polli, prendono le mosse dal rapporto sull’attività di controllo redatto dall’Arpa il 23 settembre scorso, che evidenzia un aumento dei livelli di produzione di ghisa nei mesi di maggio, giugno e luglio. In luglio, in particolare, si sono sfiorate le 40mila tonnellate. Nel rapporto, l’Arpa spiega che il 13 aprile scorso Siderurgica Triestina aveva «comunicato il completamento degli interventi strutturali presso l’altoforno» previsti dall’Allegato B (Limiti e prescrizioni sulle componenti ambientali) al decreto di riesame dell’Aia, datato 27 gennaio 2016. «In forza di tale comunicazione - osserva sempre l’Arpa - l’azienda si è ritenuta svincolata dal limite di produzione di 34mila tonnellate imposto dall’Allegato B». Su richiesta dell’Agenzia regionale Siderurgica Triestina ha appunto fornito il documento “Test di marcia con aumento di produttività”, dal quale «si evince che nel periodo fra maggio e luglio 2016 è stato effettuato un test di aumento della produttività sull’altoforno di Servola, che “non ha previsto alcuna modifica impiantistica o strutturale ma misure strettamente gestionali volte alla valutazione della migliore marcia dell’impianto”». Report sulla produzione Tutto ciò ha indotto il Comune a prendere le decisioni formalizzate nell’ordinanza e nella diffida. Nella prima, oltre a ordinare il rispetto del limite mensile di 34mila tonnellate per la produzione di ghisa, il sindaco intima a Siderurgica Triestina, a riprova del rispetto di questa prescrizione, di trasmettere ogni settimana al Comune, alla Regione, all’Arpa, alla Provincia e all’Azienda sanitaria “un report riepilogativo della produzione giornaliera di ghisa”, così da permettere una verifica dell’andamento temporale della produzione. La replica della Regione «La diffida del Comune è del tutto non pertinente e strumentale. L’Arpa ha effettuato con continuità i controlli e il Comune in particolare ha partecipato al sopralluogo che si è svolto alla Ferriera lo scorso 13 settembre, ne ha condiviso le conclusioni e sottoscritto il verbale». Inizia così la lunga nota con cui la Regione ha replicato, ieri pomeriggio, alla diffida del Comune. L’amministrazione regionale ricorda poi che «con il provvedimento con cui è stata rilasciata l’Aia si è imposto a Siderurgica Triestina che l’accertamento del completamento degli interventi verrà effettuato dalla Regione, previo sopralluogo congiunto degli enti che partecipano alla Conferenza dei servizi». E questo «è esattamente quanto avvenuto: il 13 aprile Siderurgica Triestina ha comunicato a tutti gli enti partecipanti alla Conferenza dei servizi la conclusione di detti lavori a far data dal primo aprile». Nel frattempo l’Arpa ha ripetutamente verificato - fra il 13 aprile e il 13 settembre - oltre agli aspetti ambientali, anche le opere di mitigazione e abbattimento realizzate. «Infine - conclude la nota - il 13 settembre i rappresentanti di Regione, Comune, Azienda sanitaria, Vigili del fuoco e Arpa hanno effettuato un sopralluogo congiunto, concludendo il processo di verifica e accertando la conclusione degli interventi strutturali dell'altoforno. Il verbale è stato sottoscritto da tutti i partecipanti» che lo hanno poi ricevuto.

Giuseppe Palladini

 

I sindacati «Non si scherza sul lavoro»

Il sindaco Dipiazza “scomunica” Siderurgica Triestina e sfida la Regione sulla Ferriera? I sindacati partono al contrattacco. Sollecitano il Comune a «superare sparate da campagna elettorale permanente». Invitano a «non scherzare su lavoro e occupazione».

Condannano «la disinvoltura con cui il sindaco maneggia una materia esplosiva». I toni più duri arrivano da Michele Piga (Cgil): «Non entro nel merito delle richieste del Comune, anche se i dati dell’Arpa certificano un miglioramento. Mi soffermo su due aspetti. Primo: nessun riferimento alle emissioni significa che non c’è nessuno sforamento? Secondo: la sensazione è che ci sia una tesi già stabilita, e si cerchino argomentazioni a sostegno. Quanto al lavoro, così come sulla salute, non accettiamo barzellette. Quali sono le soluzioni occupazionali alternative di cui parla il sindaco? Se chiude la Ferriera ci troviamo con oltre 600 disoccupati». Così Umberto Brusciano (Cisl): «L’auspicio che lavoro e ambiente possano coesistere. Solo in presenza di un’acclarata incompatibilità si sceglie una via alternativa. Vorremmo che Trieste fosse un punto di riferimento per la siderurgia sostenibile e compatibile con gli standard legati ad ambiente e salute. La Ferriera è un tavolo che poggia su tre gambe: area a caldo, laminatoi a freddo e logistica. Chiudere un reparto significa condannare l’impianto intero». Claudio Cinti (Uil) cala il carico da 11: «Mi preoccupano le considerazioni del sindaco. A cosa allude quando auspica soluzioni occupazionali migliori? Quali sono, se esistono? Abbiamo un sito che investe e delinea prospettive di lavoro importanti. Se il sindaco ha davvero progetti diversi, saremmo felici di conoscerli per confrontarci. Al momento le sue sono affermazioni pericolose».

(g. st.)

 

I comitati «Polveri sempre oltre i limiti»

Schierati attorno al sindaco Dipiazza e all’assessore Polli, hanno ascoltato con attenzione e una certa soddisfazione l’annuncio dell’ordinanza nei confronti di Siderurgica Triestina e della diffida inviata alla Regione. Le dichiarazioni dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste, a margine della conferenza stampa nel salotto azzurro del municipio, sono chiaramente in linea con quelle dei vertici del Comune.

Giorgio Cecco (Fareambiente) ricorda così «il malessere giornaliero di tutti i cittadini» e con riguardo ai due documenti firmati dal sindaco parla di «un segnale importante, che non sarà l’ultimo». A rappresentare l’associazione NoSmog, sodalizio da anni impegnato sul fronte delle emissioni della Ferriera, i due più noti esponenti, Alda Sancin e Adriano Tasso. Sancin batte appunto il tasto delle emissioni, e ricorda che «in via San Lorenzo in Selva le polveri sottili hanno superato non solo il limite di legge di 50 microgrammi per metro cubo, ma anche quello di 70 stabilito dall’Autorizzazione integrata ambientale. È strano - osserva - che sia l’Arpa sia la Regione non si siano accorte di questo rilevante aumento. Sembra quasi che si voglia ignorare la situazione». Adriano Tasso si limita a osservare che «i provvedimenti del Comune sono un atto importante, mentre la Regione è inerte. I controlli sono stati fatti dopo cinque mesi». E a proposito di emissioni ricorda che «in luglio il benzoapirene è schizzato a valori molto alti». Presente in municipio anche il Comitato 5 dicembre, il cui portavoce Andrea Rodriguez rileva la mancanza di controlli: «L’azienda si è ritenuta svincolata da qualcosa che andava certificato dalla Regione. Ma fino ad oggi nessuno ha fiatato».

(gi.pa.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 11 novembre 2016

 

«Tassa sui rifiuti ridotta - Inutilizzati 40mila euro» - DENUNCIA DEL M5S
Quarantamila euro dimenticati tra le pieghe del bilancio comunale. L’amministrazione Dipiazza, al terzo round, non ha trovato il tempo in cinque mesi per stilare un regolamento che permetta ad alcuni imprenditori di usufruire di questi contributi, stanziati a fine maggio grazie a un emendamento del Movimento 5 Stelle a firma di Stefano Patuanelli. A denunciarlo è lo stesso Movimento 5 Stelle, con il capogruppo Paolo Menis.

I soldi, prelevati dal fondo di riserva, sarebbero dovuti servire «per la riduzione fino a un massimo del 70% della tassa sui rifiuti per quelle attività imprenditoriali che prevedano, a partire dal 2016, l’utilizzo di locali commerciali sfitti da almeno tre anni». L'emendamento originario prevedeva addirittura la cifra di 80mila euro, poi dimezzata con un subemendamento a 40mila. La proposta è stata approvata dal Consiglio comunale il 30 maggio, con il parere favorevole di regolarità tecnica e contabile. «Alcuni accusano il M5S di dire sempre no e di non fare proposte - spiega Menis -. A fine maggio si discuteva il bilancio del Comune e noi del M5S abbiamo fatto approvare un emendamento che stanzia 40mila euro a favore degli imprenditori che vogliono andare a investire sui fori commerciali sfitti da almeno tre anni. I 40mila euro servivano per abbattere la tassa sui rifiuti. A distanza di cinque mesi la giunta Dipiazza non ha redatto un regolamento per assegnare questa somma». E così i 40 mila euro giacciono inutilizzati e finiranno negli avanzi di questo esercizio. Un’occasione persa per incentivare la piccola impresa. Una dimenticanza che stona in un’amministrazione che sostiene che la priorità è “lavoro, lavoro, lavoro”. «La scorsa settimana ho fatto verificare se i 40mila euro stanziati sono stati, almeno in parte, spesi - racconta il capogruppo dei Cinque Stelle -. La Ragioneria mi ha confermato che non sono stati impegnati e non c'è traccia della delibera della giunta che va a definire i dettagli del meccanismo incentivante». Inutile, a questo punto, illudersi. «Non ci sarà più il tempo per assegnare questi soldi nel 2016. È sperabile che la misura venga ripescata il prossimo anno», allarga le braccia il capogruppo del Movimento 5 Stelle. Una dimenticanza che vanifica una parte del lavoro svolto dall’opposizione grillina nella scorsa consiliatura. «Prima dell'emendamento di bilancio a maggio, avevamo infatti presentato una delibera per modificare il regolamento dell’imposta unica comunale», ricorda Menis. Il regolamento, infatti, venne modificato dal Consiglio comunale il 28 aprile scorso. È stato così introdotta all’articolo 38 la “premialità della tassa sui rifiuti” (vedi riquadro). Un mese dopo sono stati anche trovati i 40mila euro per far partire gli incentivi sulla tassa dei rifiuti per l’occupazione dei locali commerciali sfitti. La sperimentazione, insomma, sarebbe potuta partire già quest’anno. Solo se la nuova amministrazione si fosse dimostrata meno distratta. Bastava una delibera di giunta per stabilire i criteri per l’erogazione di questi incentivi innovativi. Ma non c’è stato il tempo, tra mille emergenze di questo inizio (dai posteggiatori abusivi sulle rive agli artisti di strada, dai barboni alle unioni civili). Ora c’è il Natale che incombe...

Fabio Dorigo

 

L'ARTICOLO 38 - I possibili "premi" per utenti virtuosi

Ecco il testo dell’articolo 38 del regolamento dell’imposta unica comunale, così come modificato dal Consiglio il 28 aprile scorso, in seguito alla delibera presentata dal M5S: «Nei limiti degli stanziamenti di bilancio l'organo esecutivo può definire, al di fuori della gestione della tassa sui rifiuti, progetti di premialità nei confronti degli utenti: con riguardo ai comportamenti più virtuosi in ordine al conferimento dei rifiuti; con l'obiettivo di incentivare le attività imprenditoriali che prevedano l'utilizzo di locali commerciali sfitti da almeno tre anni; con l'obiettivo di sostenere i cittadini che si trovano in particolari situazioni di disagio economico e sociale».

 

 

Giro di vite contro le soste in seconda fila - Approvata all’unanimità dalla Sesta commissione la mozione presentata dalla grillina Bertoni
Contrastare il fenomeno della sosta selvaggia in città. È il cuore della mozione presentata dal Movimento 5 Stelle e licenziata dalla Sesta commissione consiliare, presieduta da Salvatore Porro (FdI), nella quale si chiede all'amministrazione di «mettere in atto tutte le azioni possibili per ripristinare la legalità sulle strade triestine».

Ad illustrare il documento la consigliera pentastellata Cristina Bertoni: «Ogni giorno in molte vie della città dobbiamo fare i conti con questi comportamenti scorretti che creano problemi al trasporto pubblico ma danneggiano anche tutta la collettività - ha spiegato -. Dai luoghi simbolo della legalità, come l'area del Tribunale o quella della Questura, fino agli spazi adiacenti le scuole, le soste con auto in seconda fila sono una prassi. E' ora di intervenire in modo deciso e far rispettare le regole». A snocciolare i numeri degli interventi sul campo il vicesindaco Pierpaolo Roberti. Sono 45 le pattuglie della Polizia locale che ogni giorno monitorano le strade: nel 2015 le sanzioni sono state complessivamente 46.252, mentre le rimozioni dei veicoli si sono assestate a quota 2164. Numeri in linea nel primo semestre di quest'anno: 24.199 sanzioni e 1203 rimozioni. «Si tratta di un problema sentito e che cerchiamo di contrastarlo con gli strumenti a disposizione, vale a dire il rispetto del Codice della strada - ha puntualizzato Roberti -. Il problema è che le risorse umane sono limitate e non ci consentono di risolvere ogni situazione critica. La mozione è stata condivisa dai consiglieri in modo bipartsan, sia pure con sfumature diverse. Per Fabiana Martini (Pd) «il vero problema è culturale e comporta un cambio di mentalità. Se non si parte da qui non si va da nessuna parte», mentre per Antonio Lippolis (Lega Nord) «si tratta di una situazione insanabile. È pura utopia pensare di risolverla». Infine la lettura dei dati da parte di Gianrossano Giannini (M5S): «Oltre 46 mila sanzioni in un anno significa circa 120 al giorno, vale a dire un paio per ogni pattuglia. Mi sembra poco. Credo che puntare su ulteriori risorse umane sarebbe un investimento che pagherebbe». In chiusura altre due mozioni sul tema viabilità. La prima presentata da Roberto De Gioia (Verdi-Psi), nella quale si chiedono «maggiori indicazioni stradali nei pressi della Stazione ferroviaria in relazione alle piste ciclabili, a beneficio dei numerosi ciclo-turisti che arrivano in città». La seconda riguarda via Picciola, nella zona di Campo Marzio, attualmente privata, ma dove il Comune dallo scorso anno ha introdotto divieti di sosta che hanno suscitato la protesta dei residenti. «Esiste un grande equivoco su quella ordinanza, che va immediatamente tolta» - è stato evidenziato -. Lo spazio per i mezzi di soccorso c'è, e dunque va ripristinata l'area di sosta e fermata per chi abita nella via».

(p. pit.)
 

Bus elettrici da Campo Marzio a Barcola - Da lunedì attiva la linea 6/ dopo il test per la Barcolana. In commissione ok alla 24 “potenziata”
Due facce della stessa medaglia, entrambe intese a potenziare l’offerta turistica. Due, dunque, le mozioni discusse e licenziate ieri nella seduta della Terza commissione consiliare, presieduta da Francesco di Paola Panteca (Lista civica Dipiazza). Nella prima, siglata da Forza Italia e Movimento 5 Stelle, si invita l’amministrazione a un intervento urgente nei confronti di Trieste Trasporti per aumentare, in particolare nel periodo estivo, la frequenza del bus 24, che collega il centro con il Colle di San Giusto. «Trieste deve puntare sul turismo culturale e l’area di San Giusto è un luogo simbolo della città, molto frequentato dai turisti», hanno spiegato Manuela Declich (Fi) e Gianrossano Giannini (M5S), sottolineando come oggi la linea abbia una frequenza di 40 minuti. La proposta ha trovato una condivisione bipartisan, ma non sono mancate idee alternative. Secondo l’ex sindaco Roberto Cosolini (Pd), «posto che il contratto con Trieste Trasporti prevede un chilometraggio complessivo definito, e dunque se da una parte lo si aumenta da qualche altra parte bisognerà togliere, sarebbe interessante portare avanti una trattativa con Park San Giusto per fare in modo che l’ascensore esterno possa essere usufruito da tutti e non solo dagli utenti del parcheggio, cosa che oggi accade solo per la salita al colle». Il consigliere Salvatore Porro (FdI) ha invece osservato che «la soluzione per la linea 24 potrebbe essere quella di ridurre le corse d’inverno per aumentarne la frequenza del servizio solo in estate». Secondo l’assessore comunale al Turismo Maurizio Bucci «il chilometraggio ad oggi non è modificabile, ma quando sarà ufficializzato il nuovo appalto del trasporto pubblico, la Regione ha già previsto un aumento delle corse per la nostra città». Per quel che riguarda l’uso a fini turistici dell’ascensore di Park San Giusto, Bucci ha precisato che «si tratta di una questione da portare avanti e da pubblicizzare, ma facendo attenzione al problema sicurezza». Nella seconda mozione, presentata da Forza Italia, è stata invece proposta «la realizzazione di tabelle da apporre sui principali monumenti cittadini recanti informazioni storiche ed architettoniche dei siti di interesse, sia in lingua italiana che in inglese». Tornando al tema trasporti pubblici, dopo l’esperienza pilota in ottobre, nasce ufficialmente la nuova realtà a emissioni zero. Da lunedì due autobus elettrici copriranno la tratta da Campo Marzio a Barcola. La linea si chiamerà 6/ e per ora sarà operativa fino al 31 dicembre. I capolinea saranno collocati in via di Campo Marzio, di fronte al grattacielo, e a Barcola, in piazzale 11 Settembre. L’itinerario si snoderà lungo le Rive e viale Miramare, rispettando tutte le fermate. Per usufruire del servizio sarà necessario dotarsi di un normale biglietto o dell’abbonamento. La linea sarà operativa solo nei giorni feriali, dal lunedì al sabato, con l’eccezione di domenica 11 e domenica 18 dicembre. La prima corsa, da Campo Marzio, partirà alle 7. Seguiranno corse ogni 30 minuti fino alle 10.25, per poi riprendere tra le 16 e le 20.55. Le partenze da Barcola sono invece programmate tra le 7.30 e le 10 e fra le 16.30 e le 20.30.

Pierpaolo Pitich

 

 

L’Oscar della sostenibilità assegnato a Rumiz - Lo scrittore premiato da Last Minute Market. «Ci fa riflettere sul rapporto uomo-ambiente»
A meno di due mesi dall’entrata in vigore della normativa antispreco in Italia, la campagna di sensibilizzazione Spreco zero di Last Minute Market, in sinergia con il ministero dell’Ambiente e il progetto Reduce, annuncia i vincitori dei suoi piccoli “Oscar” italiani alla sostenibilità. Allo scrittore e giornalista Paolo Rumiz e allo chef Moreno Cedroni va il Premio Vivere a spreco zero 2016 nella categoria Testimonial: sono loro la guida individuata dalla campagna per promuovere un approccio e un passo sostenibile nel nostro tempo. Rumiz da molti anni ci accompagna con i suoi scritti in una riflessione più ampia sul vivere sostenibile, sul rapporto dell’uomo con l’ambiente, sull’impronta che ciascuno di noi porta nel quotidiano e lascia impressa sul pianeta con maggiore o minore rispetto per la condivisione delle risorse. Moreno Cedroni, chef due stelle Michelin e Official Ambassador Expo 2015, da anni sostiene la prevenzione dello spreco di cibo ed è per tutti riferimento di attenzione, maestria e virtuosismo nel rapporto con gli alimenti. Va invece al Comune di Parma, «per il sostegno a 360° della lotta agli sprechi alimentari e soprattutto per il coinvolgimento delle famiglie nella lotta agli sprechi», la quarta edizione del Premio Vivere a spreco zero nella categoria pubbliche amministrazioni. Menzione speciale di categoria per la Regione Piemonte «per l’approccio innovativo adottato da un’amministrazione pubblica nella lotta agli sprechi alimentari, e per la varietà di azioni implementate attraverso il portale “Una buona occasione” (www.unabuonaoccasione.it), per incidere sulle cause che contribuiscono a formare l’eccedenza cercando così di prevenirla attraverso informazioni utili, buone pratiche, percorsi per le scuole, filmografia, bibliografia». Nella categoria imprese, «per l’innovazione tecnologica introdotta nella lotta agli sprechi alimentari e per la portata internazionale del suo intervento», vince Unitec, l’azienda di Lugo produttrice di tecnologie capaci di confezionare frutta e verdura uniformi per qualità e stato degli alimenti. I vincitori sono stati annunciati a Roma dal sottosegretario al ministero dell’Ambiente Barbara Degani con il fondatore di Last Minute Market Andrea Segrè e il coordinatore di Giuria Luca Falasconi. Saranno premiati a Padova, il 28 novembre. E dal 21 novembre al 31 gennaio sarà promosso il contest “#sprecozero in 140 caratteri, un tweet contro lo spreco”. I 20 tweet più interessanti saranno pubblicati e i primi tre di ciascuna categoria riceveranno una fornitura di prodotti agroalimentari.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 10 novembre 2016

 

 

Doppia regia operativa per la Ferriera

Da gennaio 2017 impianti e produzione faranno capo ad Acciaieria Arvedi. La logistica portuale resta a Siderurgica triestina
Cambia l’assetto societario della Ferriera di Trieste. È la novità più rilevante emersa ieri dall’incontro che i sindacati avevano chiesto alla commissaria straordinaria Debora Serracchiani e a Siderurgica triestina, per la quale ha partecipato il proprietario Giovanni Arvedi. Sul fronte dell’ambiente, tanto Serracchiani quanto Cgil, Cisl e Uil si dicono «rassicurati» dal prospetto dei lavori fornito da Arvedi. Quasi una corrispondenza d’amorosi sensi. Ma partiamo dal cambiamento in società. Il fondatore del gruppo ha annunciato che dal primo gennaio 2017 si concretizzerà il conferimento del ramo d’azienda che include gli impianti e un’ampia porzione dell’attività dello stabilimento triestino ad Acciaieria Arvedi, mentre Siderurgica triestina conserverà la parte della logistica portuale. L’operazione, finalizzata a un rafforzamento industriale, richiede dal punto di vista formale alcuni passaggi in via di perfezionamento che porteranno una parte prevalente dei dipendenti in capo ad Acciaieria Arvedi, fermo restando che entrambe le società del gruppo, Siderurgica triestina e Acciaieria, sono interamente controllate da Finarvedi. Una novità che Claudio Cinti di Uil saluta con favore: «Conferma e rende più stabile il piano industriale». Serracchiani ha chiesto che le tasse degli impianti triestini continuino a venire versate in loco, nonostante il riassetto. Sul fronte ambientale, la commissaria ha commentato: «Abbiamo verificato che l’attuazione dell’Accordo di programma del 2014 sta procedendo anche con il risanamento ambientale». «Siamo consapevoli - ha aggiunto Serracchiani - di non avere la bacchetta magica: dobbiamo continuare a lavorare sia sulla parte acustica sia sulla parte degli odori oltreché sugli impianti». Per Umberto Brusciano (Cisl) «l’incontro è andato bene»: «Siamo da sempre interessati a uno sviluppo industriale inserito in un contesto ambientale. L’Aia aperta, caratterizzata da verifiche continue dei dati, consente di farlo. E i risultati pubblicati di recente da Arpa ci confortano». La Cisl è soddisfatta anche «dalle prospettive occupazionali»: «Arvedi ha confermato il mantenimento della produzione sulle tre aree, a caldo, laminatoio e logistica, e la prospettiva di una crescita occupativa». «Positivo» anche il giudizio di Michele Piga di Cigl: «Sia sul fronte industriale che su quello ambientale». Ha aggiunto: «L’azienda ha mostrato ampia disponibilità verso le istituzioni preposte alla sorveglianza, che per noi restano Arpa e Azienda sanitaria». Un riferimento alla scelta del Comune di Trieste di dotarsi di un consulente per la valutazione dei dati prodotti dal monitoraggio sulla Ferriera: «È giusto che il sindaco si doti di uno strumento che non ha - è il commento di Piga -, anche se poi i referenti restano quelli. Non sono io a dirlo ma la legge». Per questo motivo, ha spiegato, il Comune non era parte dell’incontro. Ha detto ancora Cinti di Uil: «La tabella di marcia prosegue e viene rispettata, rileviamo un progressivo miglioramento dei dati ambientali. Dal punto di vista occupazionale, è iniziata la produzione del laminatoio: ci vorrà del tempo prima che vada a regime aumentando la produttività, ed è una buona prospettiva. Ciò che era stato stabilito dagli accordi si sta concretizzando». I rappresentanti sindacali hanno ricevuto aggiornamenti rispetto alla posizione dei 30 lavoratori che erano rimasti in capo alla Lucchini e il cui percorso di formazione e reinserimento è seguito dalla direzione regionale del Lavoro. Rsu e organizzazioni confederali hanno chiesto, allo stesso tempo, che il riassetto societario non determini una duplicazione delle relazioni sindacali, ricevendo «garanzie dall’azienda siderurgica sull’attivazione di un percorso condiviso», scrive la Regione.

Giovanni Tomasin

 

La richiesta dei CINQUESTELLE «Serve uno studio epidemiologico sui cittadini che vivono a Servola»
Il Movimento Cinque Stelle sollecita uno studio sull’effetto dell’inquinamento prodotto dalla Ferriera sulla popolazione. La richiesta è ufficiale ed è contenuta in un’interrogazione alla giunta Serracchiani preparata dal consigliere regionale Andrea Ussai.

Il pentastellato ha deciso di farsi avanti proprio ieri in seguito a quanto emerso in questi giorni sull’inchiesta dei pm Cristina Bacer e Matteo Tripani sui quaranta dipendenti dello stabilimento, in servizio dal 1979 al 2004, morti di cancro. Si erano ammalati di mesotelioma pleurico e carcinoma polmonare. Nel registro degli indagati sono finiti quindici ex dirigenti della fabbrica, legati alle vecchie proprietà. «Oggi che sappiamo per certo che ben quaranta persone che lavoravano all’interno della Ferriera sono state uccise, sentiamo l’obbligo di ricordare a tutti che non si muore solo dentro le industrie e che non si muore solo per le colpe del passato», osserva Ussai. «Si muore e ci si ammala anche per colpa del presente, come ampiamente dimostrato dai risultati delle indagini epidemiologiche condotte in varie città degli Stati Uniti e dell’Europa. Queste ricerche - sottolinea Ussai - hanno rilevato che a ogni incremento degli inquinanti atmosferici è associato un incremento di eventi negativi per la salute, in misura maggiore di tipo respiratorio e cardiaco. Come emerso anche dallo studio condotto a Taranto che ha dimostrato un nesso fra la mortalità nelle aree contigue all’Ilva e i valori di particolato inalabile». Ecco perché, a detta del consigliere grillino, è doveroso accendere i riflettori anche all’esterno dello stabilimento siderurgico con una vera e propria indagine epidemiologica da estendere anche ad altre patologie. «Non ci si ammala e non si muore solamente di tumore», afferma l’esponente del M5S citando i risultati di un approfondimento del Centro Salute e Ambiente della Regione Puglia. La ricerca aveva dimostrato che a ridosso dell’acciaieria Ilva e dell’area industriale di Taranto l’esposizione alle polveri industriali è responsabile di molteplici effetti assolutamente negativi per la salute pubblica: un +4% di mortalità, un +10% di infarti del miocardio e un eccesso di ricoveri del 24% per patologie respiratorie dei bambini residenti nel quartiere Tamburi, il rione a ridosso della fabbrica. Ussai fa notare che la stessa Arpa, già nel 2014, sosteneva la necessità di studi adeguati sulla popolazione di Servola esposta all’inquinamento. «Da allora - incalza ancora il consigliere regionale del Movimento Cinque Stelle - si è visto poco o nulla. Per tutte queste ragioni abbiamo presentato un’interrogazione domandando alla giunta Serracchiani e all’Asuits di intraprendere, quanto prima e nei tempi tecnici strettamente necessari, uno studio epidemiologico per valutare l’effetto combinato delle sostanze tossiche emesse dall’impianto della Siderurgica triestina».

Gianpaolo Sarti

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 9 novembre 2016

 

 

Arrivano in città i cassonetti “intelligenti” - Taggati 15mila contenitori e mezzi per una gestione informatizzata e veloce. Avvio agli inizi del 2017
Una sorta di nome e cognome per ogni cestino per le cartacce, cassonetto stradale, automezzo o addirittura impianto. È la rivoluzione informatica di Hergoambiente, il progetto di AcegasApsAmga per una raccolta rifiuti finalmente “intelligente” e con sprechi ridotti all’osso.

La “rivoluzione” partirà agli inizi del 2017: tutti i 15mila contenitori dei rifiuti sono stati identificati da un codice su una targhetta “intelligente” (il cosiddetto "tag") leggibile in radiofrequenza dagli operatori con lettori portatili o smartphone. A questi si aggiungeranno 50 automezzi (spazzatrici e camion rifiuti), su cui saranno installati computer di bordo e altri congegni. Sarà così possibile conoscere in tempo reale se ogni singolo cassonetto è stato svuotato e quando. O se una macchina pulitrice ha operato in un determinato luogo e quando. Questa enorme mole di dati interconnessi e riportati su mappe elettroniche, consentirà «sia di recuperare efficienza che migliorare continuamente il servizio ai cittadini, grazie alla drastica riduzione degli errori d’imputazione, di trasmissione dei dati e d’inefficienze nella programmazione degli interventi» riferisce una nota di AcegasApsAmga. Inoltre sarà uno strumento prezioso a disposizione di Comune e altri enti di pianificazione e controllo «per verificare qualità e coerenza del servizio erogato». Nei mesi scorsi a Trieste tre squadre di “taggatori” hanno “battezzato” così circa 15mila contenitori: 10mila delle raccolte differenziate, 4mila dell'indifferenziato e 1.000 cestini stradali. Ora si stanno effettuando test. A ogni cassonetto svuotato l'operatore, con un apposito terminale (smartphone o altro), leggerà il "tag". Così, in tempo reale, sarà possibile avere il quadro di quanti e quali cassonetti sono stati svuotati; l'immediata conoscenza di eventuali contenitori non correttamente svuotati; si potrà valutare se il dimensionamento di contenitori in una determinata zona è sufficiente o meno. Anche in caso di contenitori danneggiati o non perfettamente localizzati, sarà molto più agevole intervenire in moto mirato e veloce. E si potrà tracciare in modo puntuale l'attività di spazzamento strade. Il “cervellone” del nuovo sistema integrerà gli input di Hergoambiente con le segnalazioni pervenute dai cittadini attraverso la app Il Rifiutologo (www.rifiutologo.it) trasformandole in altrettanti ordini di lavoro (se ne stimano qualcosa come 250 al giorno) inseriti nell'agenda di pianificazione delle attività.

 

 

La doppia storia del partigiano Rita - Sotto accusa il romanzo di Paola Capriolo
Non esattamente un plagio, bensì una “riduzione non autorizzata”. È questa l’accusa lanciata dal geologo, alpinista e scrittore triestino Livio Isaak Sirovich nei confronti della rinomata casa editrice Edizioni El e di Paola Capriolo, una delle migliori scrittrici italiane, tradotta in tutto il mondo.

Oggetto del contendere, il romanzo “Partigiano Rita”, pubblicato nei mesi scorsi dalle Edizioni El nella bella collana di Einaudi Ragazzi, che secondo Sirovich sarebbe nient’altro che una riduzione, appunto, una specie di riassunto in forma narrativa del suo poderoso saggio “Non era una donna era un bandito - Rita Rosani, una ragazza in guerra”, volume di oltre cinquecento pagine pubblicato da Cierre Edizioni l’anno scorso. Nel motivare la sua azione legale, Sirovich afferma che “Partigiano Rita” di Paola Capriolo «riporta ricostruzioni storiche senza esplicitarne la fonte, come se quanto riportato fosse l’esito di una ricerca autonoma da parte dell’autrice», mentre invece si tratta «di una riproposizione molto semplificata del nostro volume, con la semplice aggiunta di generiche descrizioni d’ambiente e di divagazioni». Fra l’altro, continua Sirovich, il romanzo della Capriolo riporta in esergo un ringraziamento a Marco Tabor “per la consulenza”, circostanza secondo Sirovich «fuorviante, perché tutte le informazioni utilizzate provengono dal nostro testo, che si basa viceversa su un’impegnativa e originale ricerca storica», che appunto nel volume della Edizioni El non viene citata. Dunque non un plagio in senso stretto, ma «un calco molto semplificato e un po’ imbellettato», secondo Sirovich, del suo libro, per altro l’unica biografia completa e documentata in circolazione sulla triestina Rita Rosani (1920-1944), di famiglia ebrea il cui cognome originario era Rosenzweig, insegnante e partigiana, maestra di scuola elementare, medaglia d'oro al valor militare. Le Edizioni El hanno proposto un accomodamento, offrendo a Sirovich e a Maurizio Miele, presidente di Cierre Edizioni, l’inserimento nelle ristampe del romanzo di Paola Capriolo di una nota in cui «riconoscere che la stesura dello stesso non sarebbe stata possibile senza il materiale documentario» raccolto da Sirovich «e messo a disposizione del pubblico», più il riconoscimento di un diritto d’autore. Ma Sirovich e l’editore hanno rilanciato, chiedendo altre condizioni, e a questo punto le Edizioni El hanno respinto ogni richiesta. «Mi dispiace - dice il direttore editoriale delle Edizioni El Orietta Fatucci -, è vero, abbiamo dimenticato di citare la fonte principale (non l’unica) del romanzo, ma le pretese di Sirovich e del suo editore vanno oltre ogni ragionevole possibilità di accordo». «Non citare una fonte - continua Fatucci - non è un plagio e non è un reato: quando ho letto il libro di Sirovich mi è piaciuta la storia di Rita Rosani, la trovavo perfetta per un romanzo da inserire in una collana per ragazzi che ha già trattato temi storici e legati alla guerra come l’olocausto; così ho mandato il libro a Paola Capriolo perché ne traesse spunto per un romanzo adatto a un pubblico di giovani; non si tratta né di una “riduzione” né un “calco semplificato”, ma un racconto originale ispirato a una figura storica realmente esistita e che non è certo proprietà di Sirovich, che nel pubblicare il libro ha messo le sue informazioni a disposizione del pubblico». In quanto al ruolo di Mauro Tabor, ringraziato in esergo al romanzo, «gli abbiamo sottoposto il testo del romanzo prima della pubblicazione perché verificasse eventuali errori o inesattezze soprattuto riguardo la comunità ebraica». Sirovich dal canto suo elenca punto per punto passi e citazioni del romanzo tratte dal suo libro: «Sulle 128 pagine di testo di “Partigiano Rita” - afferma - sono ben 88 quelle contenenti riproposizioni e parafrasi, ma anche copiature quasi letterali, della nostra storia; fra queste 88 vi sono dieci pagine intere di riproposizioni e paragrafi». Così, parlando di «concorrenza scorretta» alla sua biografia, lo scrittore triestino tira dritto e dà «mandato ai nostri legali di tutelare la nostra opera». «Dispiace per quanto successo - interviene Paola Capriolo - ma parlare di “riduzione” non ha senso, io ho scritto un romanzo, un racconto e non un saggio, in cui do una mia interpretazione del personaggio e della sua storia, utilizzando informazioni a disposizione del pubblico». @p_spirito

PIETRO SPIRITO

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 8 novembre 2016

 

 

FERRIERA: L’INCHIESTA - Quaranta operai uccisi dal cancro - Indagati 15 ex manager di Servola
Omicidio colposo e lesioni gravi le accuse mosse a dirigenti che hanno guidato lo stabilimento prima dell’arrivo di Siderurgica Triestina. Chiesta dai pm una perizia affidata a un team di esperti

I morti accertati, uccisi dal mesotelioma pleurico o dal carcinoma polmonare, sono 40. Tutti dipendenti della Ferriera. Dal 1979 e fino al 2004 - quindi ben prima dell’inizio dell’era targata Siderurgica Triestina -, avevano lavorato tutti i santi giorni, per anni, all’interno dello stabilimento di Servola. Ma, nel lungo elenco indicato dai pm Cristina Bacer e Matteo Tripani nell’ambito della loro inchiesta per omicidio colposo e lesioni gravi a carico di 15 ex dirigenti della fabbrica, ci sono anche due malati. Uno di questi è l’ex sindacalista Luigi Pastore. Nel registro degli indagati i pm Bacer e Tripani hanno inserito i nomi di manager e direttori operativi che, «in ragione della carica rivestita in una posizione di garanzia della salute e della sicurezza dei lavoratori», avrebbero avuto «responsabilità» attive nella sequenza di decessi. Quindici nomi, appunto. Quelli di manager legati alle “vecchie” proprietà della Ferriera, non riconducibili quindi al Gruppo Arvedi e a Siderurgica Triestina . I più noti sono Piero Nardi, ex consigliere delegato della Servola Spa e poi fino al 2004 amministratore dello stabilimento, e Giuseppe Lucchini, presidente di Servola Spa fino al 2001 nonché ad dal 1995 al 1998. Tra gli indagati compaiono anche Didimo Badile, componente del comitato esecutivo dell’Italsider dal 1979 al 1981, Sergio Noce, direttore generale di Italsider dal 1981 al 1982, Gianbattista Spallanzani, pure direttore generale nello stesso periodo, Guido Denoyer, amministratore della Terni Spa e poi della Attività industriali triestine fino al 1988, Costantino Savoia, componente del Cda di Terni Spa. E ancora Attilio Angelini, presidente di Terni Spa fino al 1989, Luigi Broccardi Schelmi, procuratore della stessa Terni Spa e poi direttore generale della Attività industriali triestine fino al 1989, Paolo Felice, direttore generale di Aliforni e ferriere di Servola fino al 1995 e direttore dello stabilimento fino al 1996, Franco Asquini, commissario straordinario della Alti forni e ferriere di Servola fino al 1995. Nella lista infinte anche Michele Bajetti, amministratore delegato della Servola Spa fino al 2001, Vittorio Cattarini, presidente dei cda di Servola Spa fino al 2002 e Servola Srl fino al 2004, Francesco Chindemi, direttore dello stabilimento fino al 1997, e Mauro Bragagni, consigliere della Servola Srl fino al 2003. L’accusa per tutti, a vario titolo, è di omicidio colposo e lesioni gravi per negligenza, imprudenza e imperizia. Gli indagati sono accusati inoltre di non aver osservato correttamente le norme a tutela della salute dei lavoratori a causa di una lunga serie di omissioni. Perché, secondo la Procura si conosceva fin dagli anni Sessanta la pericolosità delle sostanze - amianto e idrocarburi in particolare -, e nulla gli indagati avrebbero fatto per impedirne l’esposizione e informare i lavoratori dei pericoli per la salute. Questo stato di fatto, secondo i pm, ha determinato «una massiccia e incontrollata esposizione dei lavoratori» a polveri e fumi di amianto, benzene, benzoapirene e altre sostanze pericolose, letali. Insomma: gli ex manager sapevano ma non hanno fatto nulla per impedire malattie e decessi. Le prove, fanno capire i pm titolari dell’indagine, sono rappresentate - per ora - da un ipotetico nesso di causalità generale tra l’esposizione professionale a determinate sostanze inquinanti e l’insorgenza di malattie neoplastiche, frutto degli esiti di una consulenza attivata dalla stessa Procura. E quindi di una perizia di parte. Ma - e questa è l’essenza del provvedimento notificato agli indagati tramite l’unico difensore d’ufficio nominato, l’avvocato Daniela Jolanda Cuccaro - la Procura vuole altri elementi. Elementi che, una volta acquisiti, consentano con un’ulteriore ragionevole certezza l’attribuzione del nesso causale tra l’esposizione alle sostanze e i tumori che hanno ucciso o fatto ammalare i lavoratori. Per questo motivo è stato chiesto al gip nei termini dell’incidente probatorio (e dunque utilizzabile come prova in dibattimento) di disporre una perizia collegiale con la nomina di un team di specialisti di medicina legale, del lavoro e di epidemiologia. I pm intendono definire allo stato attuale la rilevanza causale dell’esposizione dei lavoratori agli inquinanti, precedente al periodo che viene indicato in gergo tecnico come “latenza reale”. Chiedono anche agli esperti, che saranno nominati dal gip, di conoscere quale possa essere stata l’influenza di eventuali esposizioni successive alla cosiddetta fase di induzione della malattia, ovvero il lasso di tempo più “pericoloso”. Ma anche - così emerge nel provvedimento notificato agli indagati - si ritiene fondamentale, per il prosieguo delle indagini, un ulteriore approfondimento sulle neoplasie polmonari in rapporto al contatto prolungato dei lavoratori con molte delle sostanze generate nel ciclo siderurgico, come il benzene, il benzoapirene e gli altri idrocarburi policiclici aromatici, le ammine aromatiche, nonché polveri e fumi di metallo come cromo, piombo, ferro, nichel e zinco. Come detto Siderurgica Triestina è completamente estranea all’inchiesta sui decessi avvenuti ben prima del suo arrivo a Servola. Per questo motivo, a fronte della richiesta di eventuali commenti, la proprietà ha scelto di non rilasciare dichiarazioni.

Corrado Barbacini

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 7 novembre 2016

 

 

MONFALCONE - Arrivati i bidoni gialli per l’olio da cucina - nelle vie Cosulich e dell’Istria
Dopo Staranzano, primo centro della provincia in cui ha debuttato la nuova raccolta, anche a Monfalcone sono comparsi i contenitori gialli dedicati allo smaltimento dell’olio da cucina, potenziale inquinante delle falde acquifere e dei corsi d’acqua.

I “bidoni” sono per ora due: uno è stato collocato nel parcheggio all’esterno del campo sportivo di Panzano, affacciato su via Cosulich, l’altro in via dell’Istria, poco distante dalla “casetta dell’acqua”. I due contenitori, che dovrebbero essere affiancati da altre postazioni, viste le dimensioni della città, non sono comunque ancora operativi, come spiega il direttore generale di Isontina Ambiente, Giuliano Sponton. Il servizio, però, prenderà il via a brevissimo, dopo una presentazione ufficiale e, si suppone, una campagna informativa plurilingue della cittadinanza. «È evidente che uno degli obiettivi è quello di arrivare alla comunità bengalese - afferma Sponton -, la cui cucina fa largo impiego di olio». Come avvenuto a Staranzano, Isontina Ambiente, d’intesa con i Comuni soci, distribuirà inoltre gratuitamente ai cittadini delle taniche da 3 litri, corredate da un imbuto con griglie che impediscono ai residui delle pietanze (che si tratti di fritto o altro) di essere smaltiti con l’olio. Basta si tratti di quello da cucina, perché i lubrificanti per motore sono invece tassativamente vietati. La raccolta degli olii esausti con appositi contenitori si inserisce in un percorso di Isontina Ambiente per aumentare e migliorare la differenziazione e il riciclaggio. Non che al momento non sia possibile per i monfalconesi, come per gli staranzanesi, liberarsi in modo corretto e non inquinante dell’olio usato per friggere. La distanza dal Centro di raccolta di via Consiglio d’Europa, nella zona industriale-portuale del Lisert, dove si può conferire l’olio esausto, non è però proprio un incentivo a comportamenti virtuosi. «Quella dell’olio esausto da cucina - conferma il direttore generale di Isa - è un nuovo filone di raccolta su cui spingeremo nel 2017». Dopo l’uso domestico, l’olio raccolto viene rigenerato e riutilizzato per la produzione di oli lubrificanti per motore, cementi, asfalti e bitumi, biodiesel per trazione e altro. La raccolta dell’olio alimentare consente, quindi, un risparmio energetico, offrendo un’alternativa alla produzione di oli sintetici derivanti dal petrolio e aiuta a salvaguardare l’ambiente evitando, per esempio, l’inquinamento dei fiumi e il sovraccarico dei depuratori. A Monfalcone il posizionamento di contenitori dedicati è stato sollecitato a lungo dalla consigliere comunale di minoranza uscente Suzana Kulier. Il prossimo comune in cui partirà il servizio è Cormons.

Laura Blasich

 

 

Diritto all’acqua pubblica - La Slovenia ci riprova - LA PETIZIONE POPOLARE - Lungo processo iniziato con la raccolta di 50 mila firme
ZAGABRIA - La Slovenia è pronta a garantire entro fine anno il diritto costituzionale all'acqua pubblica. La commissione Affari costituzionali del Parlamento di Lubiana ha dato il via libera all'ingresso, nella legge fondamentale dello stato, di una tutela dell'accesso all'acqua, la cui fornitura sarà competenza esclusiva del settore pubblico entro i limit del no-profit.

Il voto della commissione parlamentare, salutato dal presidente dell'assemblea nazionale Milan Brglez (Smc, il partito del premier Miro Cerar) come «un nuovo e importante passo», è stato possibile grazie a un sostegno trasversale che fa ora ben sperare per il voto in aula, dove sarà necessaria la maggioranza dei due terzi dei 90 deputati. Se verrà approvato, il nuovo articolo 70 della costituzione sancirà non soltanto che «tutti hanno diritto all'acqua potabile», ma anche che «le risorse d'acqua servono primariamente come fornitura sostenibile di acqua potabile e di acqua per le abitazioni». Ne consegue che «queste risorse non devono essere considerate una merce» e che «la fornitura dell'acqua potabile alle persone e alle abitazioni è assicurata dallo stato via un servizio pubblico no-profit». Il dibattito in sede di commissione parlamentare - riporta l'agenzia slovena Sta - si è concentrato in particolare su quest'ultimo punto, ovvero sulla definizione di «servizio pubblico no-profit», finendo con l'estenderne l'applicabilità anche ai comuni, oggi ampiamente coinvolti nella gestione dell'acqua, ma escludendo la possibilità di concessioni ai privati. Il passaggio in commissione arriva al termine di un lungo processo, che ha coinvolto non soltanto i deputati ma anche direttamente i cittadini, all'origine di un'iniziativa di modifica costituzionale, prevista dall'ordinamento sloveno. Con il motto «insapore, incolore e senza proprietari: l'acqua è libertà», il movimento civico "Per la Slovenia e la libertà" ha infatti raccolto a inizio 2016 più di 50mila firme (a fronte delle 30mila necessarie) per sottoporre al parlamento una proposta di emendamento alla legge fondamentale. Proprio il successo dell'iniziativa popolare ha ridato slancio ai lavori dell'assemblea, che già nel 2014 e nel 2015 si era occupata della questione del diritto all'acqua ma senza arrivare a conclusioni normative. Dovesse andare in porto, il progetto sloveno di difesa del «diritto all'acqua» costituirà così un precedente rilevante anche a livello europeo, dove la prima «iniziativa dei cittadini europei» (un nuovo strumento di democrazia diretta introdotto dal trattato di Lisbona nel 2009), intitolata proprio "Right2Water" (diritto all'acqua), è tuttora al vaglio delle istituzioni comunitarie. Sottoscritta da quasi due milioni di persone, l'iniziativa chiede all'Ue e agli Stati membri di garantire ai cittadini l'accesso all'acqua e ai servizi igienici, facendo della gestione dell'acqua pubblica un settore non sottoposto alle regole del mercato unico ed escluso dalle pratiche della liberalizzazione. Ma se la raccolta firme si è conclusa già nel 2013, la Commissione europea ha reagito timidamente, ricordando nel 2014 «l'importanza dell'acqua come bene pubblico», ma anche «la competenza nazionale» sull'argomento. Dopo una modifica alla direttiva sull'acqua potabile nel 2015 (ma che si limitava a introdurre controlli più severi sulla qualità dell'acqua), l'esecutivo europeo ha promesso, appena il 25 ottobre scorso, una riforma della materia nel corso del 2017. Nell'attesa di conoscere l'esito della prima iniziativa legislativa su scala continentale, potrebbe essere proprio la Slovenia a trasformare il diritto all'acqua - diventato formalmente un diritto umano nel 2010 per volere delle Nazioni Unite - in un principio di rango costituzionale.

Giovanni Vale

 

 

Traffico - Auto in divieto e ciclabili Pre-esame in Municipio

La Sesta commissione consiliare è stata convocata per domani alle 9. All’ordine del giorno il “Ripristino della legalità nella sosta dei veicoli su strada”, le “Indicazioni relative alla viabilità ciclabile nella zona della Stazione centrale” e la “Rimozione del divieto di sosta in via Picciola». La riunione sarà presieduta da Salvatore Porro.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 6 novembre 2016

 

 

In agenda ciclabili tra Grado e l'Istria - Ma a Trieste Fiab Ulisse incalza il sindaco dopo lo stop alla direttrice di via Giulia
UNA QUESTIONE ANCHE DI SOLDI - Per la pista periferica ci sono 135mila euro di fondi regionali
Mentre nel suo nuovo piano turistico il Comune sogna «collegamenti cicloturistici sulla linea di continuità nordadriatica (da Grado all’Istria)», il comitato dei ciclisti cittadini lamenta la decisione del sindaco di rinunciare alla ciclabile di via Giulia. Un progetto su cui la precedente amministrazione aveva puntato molto. L’Associazione ciclisti urbani Fiab Trieste Ulisse prende la parola attraverso il responsabile mobilità Federico Zadnich, che in una lunga lettera invita la giunta a tornare sui propri passi: «La bicicletta è una delle chiavi di volta di una mobilità urbana moderna a sostenibile - dice l’associazione - e anche il sindaco Roberto Dipiazza lo ha riconosciuto». Per questo motivo l’associazione «è sorpresa dello stop che il sindaco ha imposto alla ciclabile di via Giulia»: «Il progetto - proseguono i ciclisti della Fiab Ulisse - può essere realizzato grazie ad un finanziamento regionale di 135mila euro, e prevede oltre alla ciclabile due percorsi pedibus, cinque attraversamenti pedonali protetti e nuove alberature». Una serie di migliorie a cui secondo i ciclisti la città non dovrebbe rinunciare: «La ciclabile di via Giulia è importante non solo per il quartiere - scrive Zadnich - ma per tutta la città in quanto è parte di uno dei tre assi portanti della futura rete ciclabile triestina: il Pi Greco. Il tratto di via Giulia assieme a viale XX Settembre, via Imbriani e via Mazzini è il primo di questi tre assi nel quale i ciclisti urbani potrebbero pedalare con sufficiente sicurezza». Tanto più che, aggiunge l'autore della lettera, la ciclabile di via Giulia andrebbe a sostenere altri progetti della giunta sul tema delle due ruote: «Dipiazza ha sottoscritto un impegno che prevede la realizzazione di “una pista ciclabile in sede propria bidirezionale davanti ai portici di Chiozza/Passo Pecorari/Piazza San Giovanni” e l'intervento di via Giulia darà ulteriore qualità e continuità a questo percorso». L’associazione ricorda come la bicicletta sia un mezzo sempre più in voga, anche in una città come Trieste, che finora era stata refrattaria: «Realizzare la ciclabile darebbe una concreta risposta alla crescente domanda di ciclabilità che i triestini mostrano - scrivono i ciclisti urbani-. Dato evidenziato dal sondaggio Swg realizzato a fine 2015 da cui è emerso che sono circa 3.500 le persone a Trieste che già usano la bicicletta con regolarità e altre 35mila affermano che se esistesse una pista ciclabile sul tragitto casa-lavoro preferirebbero lasciare ferma l’auto e pedalare». Per questo motivo Fiab Trieste Ulisse chiede che il progetto della ciclabile di via Giulia venga realizzato e rinnova la richiesta di un confronto con il sindaco Dipiazza e l’assessore alla mobilità Luisa Polli «per affrontare eventuali criticità e trovare delle soluzioni condivise».

(g.tom.)

 

 

In Carso i rifugiati puliscono grotte e doline
Ultimo atto del progetto targato Cai, Ics e associazione Miti. “Liberato” dai rifiuti il pozzo di Precenicco
Migranti che si prestano, come volontari, a pulire le cavità dell'altipiano riempite, nel tempo, da tonnellate di rifiuti. Succede sul Carso, laboratorio in questo caso di iniziative strettamente legate all'attualità. È di questi giorni il completamento di un progetto avviato di concerto fra l'associazione MiTi, il Club alpinistico triestino, e l’Ics, che si è concluso con gli ultimi interventi nel pozzo di Precenicco, tra Precenicco e Malchina dove, tra la vegetazione illirica, affiorano non solo calcari dolomitici e splendidi campi carreggiati, ma anche una quantità di copertoni, lavatrici, auto in ferro per bambini anni ’60, sacchi di cemento, stendibiancheria, scaldabagni, tinozze, pentole, barili. «È stata la predominanza netta del ferro - spiega Dario Gasparo, fondatore dell'associazione MiTi - a farci capire che l'origine della discarica a cielo aperto è antica, almeno 40-50 anni, perché di plastica se ne trova molto poca, mentre abbonda appunto il materiale ferroso. Nove uomini e una donna, Rose, proveniente dal Camerun - sottolinea - accompagnati da rappresentanti della nostra associazione e del Cat, dopo un sopralluogo, hanno individuato in questa grotta pozzo un sito abbandonato dalla memoria, lasciato nell'incuria più totale, perché mascherato dalla vegetazione». La grotta di Precenicco presenta tre impervie pareti verticali coperte da grandi lingue di cervo. Si tratta in realtà di grandi felci, la cui bellezza contrasta con la disarmonia dell'immondizia accumulata alla base delle pareti. I quintali di immondizie portate in superficie sono stati asportati dalla Isontina ambiente, l'azienda che svolge il servizio di nettezza urbana nel Comune di Duino Aurisina. «È stato necessario dedicare la prima ora alla realizzazione di gradini di accesso per superare la trentina di metri scoscesi e fangosi che portano alla base della grotta - evidenzia Gasparo -. Tre giovani in età scolastica, i più bravi a parlare italiano, hanno presidiato la cavernetta allargata artificialmente durante la prima guerra mondiale dall'esercito austro ungarico». Divertente anche il capitolo conclusivo: «Quando fra i rifiuti - conclude il presidente dell'associazione MiTi - è saltato fuori un pallone da calcio del quale non si poteva nemmeno intuire il colore originario, i giovani hanno spalancato il sorriso iniziando a discutere delle loro squadre preferite, Milan, Real Madrid e Juventus».

(u.s.)
 

 

Molluschi “puliti”, ok alla raccolta - Dopo la prima revoca parziale, rimossi i divieti dai Filtri al Villaggio del Pescatore
DUINO AURISINA - Via libera definitivo al ritorno completo della possibilità di raccolta e di commercializzazione, e delle cosiddette «trasformazione, conservazione e immissione al consumo umano», della categoria dei «molluschi bivalvi vivi estratti dalle acque delle zone di produzione» praticamente in tutto il Golfo di Trieste.

Proprio in questi giorni, in effetti, la Struttura complessa di Sanità pubblica veterinaria facente capo all’Asui, l’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, ha emesso un’ordinanza - fatta circolare a tutti i comuni della provincia giuliana coinvolti e agli altri enti preposti della materia - in cui viene per l’appunto revocata una volta per tutte l’ordinanza urgente dello scorso 9 settembre, quando la stessa Struttura complessa dell’Asui aveva disposto la sospensione temporanea e cautelativa di «raccolta, commercializzazione, trasformazione, conservazione e immissione al consumo» di tali molluschi negli allevamenti del Golfo triestino dopo che le indagini di legge sui campioni avevano evidenziato presenze di tossine al di sopra dei limiti di legge. Si tratta, come detto, di un ritorno alla normalità definitivo dopo che, già a fine ottobre, era stata pubblicata una prima ordinanza di revoca parziale del divieto, che aveva reso per intanto possibile, in particolare, alla luce delle controanalisi successive, la raccolta dei frutti di mare nelle aree di Lazzaretto, Muggia, Grignano e Santa Croce. Con quest’ultima ordinanza - disponibile fra l’altro sul sito del Comune di Muggia - ora la raccolta e la commercializzazione viene così estesa anche dai Filtri a Canovella, da Sistiana a Duino fino al Villaggio del Pescatore, in conseguenza dei test effettuati nell’ultima decade di ottobre sia in via ufficiale all’Istituto zooprofilattico delle Venezie, che ha sede a Padova, sia in cosiddetto regime di autocontrollo locale, controlli che - come si legge nell’ordinanza in questione - hanno appunto evidenziato «la negatività», ovvero l’assenza «di biotossine algali liposolubili Dsp, Diarrhetic shellfish poisoning - acido okadico, nel tratto costiero corrispondente alle stazioni di monitoraggio».

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 5 novembre 2016

 

 

Clima e ambiente, al via la partita che conta di più - In Marocco il summit mondiale per contenere surriscaldamento mondiale e inquinamento
Dalla comunità scientifica arriva una nuova conferma sulla gravità dei cambiamenti climatici in atto: l’Organizzazione Mondiale Metereologica ha diffuso il dato allarmante che nel 2015 per la prima volta nella storia l’anidride carbonica nella nostra atmosfera si è mantenuta stabilmente sopra le 400 parti per milione, continuando quindi a crescere. Poiché questa quantità nell’atmosfera è collegata all’aumento della temperatura, il dato non è rassicurante. Al tempo stesso i Paesi del mondo, chi prima chi dopo, stanno ratificando l’accordo Cop21 di Parigi, entrata ufficialmente in vigore da ieri, 4 novembre, mentre si prepara il nuovo summit mondiale, il Cop22 a Marrakech dal 7 al 18 novembre. Una corsa contro il tempo, con l’obiettivo di accelerare le misure per contenere l’aumento della temperatura, mentre temperatura stessa e anidride carbonica nell’atmosfera aumentano. Quelli di novembre in Marocco saranno negoziati importanti: l’anno scorso a Parigi si è discusso degli impegni di riduzione, quest’anno si dovrà decidere come mantenere le promesse fatte, sia a scala mondiale, che a livello europeo, e sarà una strada tortuosa perché gli obiettivi sono alti. Non dimentichiamo che la ratifica degli accordi di Parigi in Europa si è concretizzata in ritardo rispetto a Usa, Cina e India, ma è grazie a questa che si è raggiunta negli ultimi giorni la soglia prevista a Cop21 - 55 Paesi responsabili di almeno il 55 per cento di gas serra che ratificano l’accordo - affinchè ufficialmente l’accordo stesso si tramuti in qualcosa di pratico. L’Italia, che in questi mesi ha cercato di mitigare gli impatti a livello nazionale delle misure, pur con ritardo ha ratificato l’accordo sul clima, impegnandosi quindi ad attuare concretamente gli impegni presi, per contenere il riscaldamento globale entro una soglia di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, ma senza darsi limiti per un ulteriore abbassamento pari a un grado e mezzo. Ora tocca a Cop22 entrare nel merito delle misure e delle azioni, che già nel 2015 sembrano aver imboccato la giusta via: gli investimenti nelle energie pulite sono aumentati, così come è nettamente aumentato il ricorso alle energie rinnovabili. Mosse che però da sole non bastano, in quanto queste azioni devono essere affiancate anche da una riduzione degli sprechi e una diminuzione dei rifiuti, da un aumento del tasso di riciclo e, soprattutto, da una maggior attenzione generale, dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori, sulla scia dei richiami di Laudato Si’, l’enciclica sull’ambiente firmata da papa Francesco, che invoca il giusto atteggiamento per il rispetto della nostra vera, unica casa comune: la Terra. L’Italia arriva a Marrakech con una dote importante di cose fatte come dimostra l’ultimo rapporto Greenitaly, che stimando la sintesi delle quattro dimensioni dell’eco-efficienza (energia, materia, emissioni atmosferiche, rifiuti rapportati al valore della produzione), permette di avere una misura complessiva del grado di efficienza ambientale dei sistemi produttivi e colloca il nostro Paese in seconda posizione, dietro al solo Lussemburgo, la cui leadership deriva dalla particolare composizione produttiva prevalentemente terziaria (banche, assicurazioni, finanza). Questo anche grazie ai green job, ossia i lavori che hanno prevalentemente competenze “verdi”, oggi corrispondenti al 13,2 per cento dell’occupazione complessiva nazionale, e il cui contributo al pil del Paese è stimato per il 2015 a 190,5 miliardi di euro. Insomma, ne emerge un Italia verde che ha una base industriale e di servizi forte e leader in Europa, a partire dal comparto delle utilities. Una dote che ci può consentire di svolgere a Marrakech un ruolo importante nel difficile processo di mediazione degli impegni fra i vari Paesi per mettere in pratica rapidamente le azioni appropriate per raggiungere davvero gli obiettivi definiti a Parigi.

ALFREDO DE GIROLAMO

 

 

Industria - Si riunisce il Comitato “NoFerriera”

Il Comitato “No Ferriera, sì Trieste” si riunisce domani alle 11 nella sede del Circolo Miani in via Valmaura 77 a Trieste. Ovviamente e come sempre l’assemblea è aperta a tutti. «Abbiamo rivolto un invito a presenziare al sindaco di Trieste, al suo vice», si legge in una nota. Che continua: «La situazione è arrivata ad un punto di rottura e perché a forza di “cento giorni” Arvedi può, lui, dormire sonni tranquillissimi, visto che la strada intrapresa dall’amministrazione comunale e dai suoi fiancheggiatori non porta da nessuna parte, compresa la purtroppo inutile consulenza».

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 4 novembre 2016

 

 

La Ferriera si reclamizza fuori città - Arvedi compra un pagina di pubblicità sulla stampa nazionale: «Produzione compatibile con l’ambiente»
Dopo la sponsorizzazione della Triestina calcio (seguita anche dalla consegna di alcune borse di studio), il Gruppo Arvedi ha messo in atto una seconda operazione di moral suasion nei confronti della popolazione scegliendo un giornale a diffusione nazionale.

Ha infatti acquistato un’intera pagina sul quotidiano La Repubblica con un’iniziativa che rischia però anche un effetto di ulteriore ripulsa sugli abitanti di Servola e dei rioni vicini che negli ultimi tempi hanno ridotto le manifestazioni di protesta evidentemente fidando nel ruolo attivo della nuova amministrazione comunale con l’obiettivo della chiusura dell’area caldo. Quella della Ferriera triestina viene infatti presentata senza mezzi termini su Repubblica come “La prima vera riconversione industriale del nostro Paese” ed è questo il titolo principale che sovrasta due grandi immagini che riproducono l’intero sito e il gruppone dei dipendenti. Subito sotto, a mo’ di sommario, si legge: «Siderurgica Triestina ha acquisito la Ferriera di Servola - inserita nel “Sito di interesse nazionale” Sin di Trieste - in stato di crisi manifesta e amministrazione straordinaria realizzando il risanamento ambientale, la riconversione e il rilancio industriale». Segue un ulteriore testo descrittivo: «In soli 18 mesi, in sinergia con le istituzioni nazionali e locali, che hanno promosso e vigilato sull’attuazione degli interventi previsti dall’Accordo di programma: l’area è stata messa in sicurezza e risanata, la produzione resa compatibile con l’ambiente, rinnovati i capannoni esistenti, realizzati nuovi edifici per accogliere moderni impianti, l’occupazione è aumentata». Si riassumono anche le caratteristiche dello stabilimento: area di 600mila metri quadrati, attività logistico-portuale in concessione demaniale, un milione di tonnellate/anno di capacità produttiva di ghisa, 1,5 milioni di tonnellate/anno di capacità produttiva di laminazione a freddo. La conclusione, a caratteri più grandi, è la seguente: «Acciaio di qualità nel rispetto dell’ambiente, della salute e della sicurezza di coloro che lavorano in azienda e vivono nel territorio». A firma di tutto questo, i marchi Arvedi e Siderurgica Triestina. Non tutti a Trieste saranno d’accordo. Nelle settimane scorse c’è stato un tentativo di riavvicinamento tra le rsu delle sigle più seguite: l’autonoma Failms e la Uilm con i cittadini-ambientalisti che però ha provocato un’alzata di scudi da parte degli altri due sindacati: Fim-Cisl e Fiom-Cgil e la conseguente spaccatura del fronte. È attesa con una certa ansia dunque la convocazione in Regione del Tavolo Ferriera al quale dovrebbe essere presente lo stesso Giovanni Arvedi. Nel frattempo sono stati fatti i colloqui e i corsi per assorbire entro fine anno gli ultimi 31 dipendenti della Lucchini. All’interno dello stabilimento intanto sono cominciate a girare alcune voci che qualche sindacalista ha definito preoccupanti: la possibile terzializzazione della banchina e la costituzione di una nuova società denominata Acciaierie Triestine per gestire il laminatoio. Nessuna conferma ufficiale di tutto ciò.

Silvio Maranzana

 

 

AcegasApsAmga - «Le perdite della rete idrica scenderanno sotto il 40%»

L’impegno del direttore generale di AcegasApsAmga Roberto Gasparetto punta al prossimo triennio. «La situazione è già migliorata rispetto al 2013»
il piano di investimenti - Impegnati sette milioni di euro all’anno sul ciclo dell’acqua
Entro lo scadere del prossimo triennio le perdite idriche triestine scenderanno sotto la soglia del 40% e saranno quindi inferiori alla media nazionale. Se poi la proiezione si estende su una durata decennale, il colabrodo acqueo cittadino sarà limitato al 30%, in linea con le altre aree gestite dal gruppo Hera. E sia chiaro che la tariffa non viene arbitrariamente stabilita dal gestore, ma è decisa dall’Ambito territoriale ottimale che a Trieste è presieduto dal sindaco del capoluogo. La questione-acqua è uno di quei “fascicoli” che hanno il potere di scuotere la pazienza di Roberto Gasparetto, plenipotenziario di AcegasApsAmga nei possedimenti nordorientali giuliani, friulani, padovani. Tant’è che, nonostante si trovi a 350 chilometri di distanza da Triestea all’ultimo piano della sede Hera di Modena, il direttore generale vuole fare chiarezza sulle periodiche proteste levate dagli utenti triestini in tema idrico. «Quando nel 2013 subentrammo nella conduzione dell’utility - comincia Gasparetto - le perdite della rete idrica triestina arrivavano al 46%. Nel primo semestre 2016 le perdite sono scese al 42%, con un risparmio che a fine anno risulterà pari a 7 milioni di metri cubi di acqua. Se nel 2013 immettevamo nelle condotte triestine 50 milioni di metri cubi, alla fine del 2016 ridurremo i volumi a 43 milioni. Il nostro obiettivo è di continuare il miglioramento della gestione idrica a un ritmo di un milione di metri cubi all’anno». Il risparmio è duplice - aggiunge Gasparetto - «perchè incide positivamente anche sui consumi elettrici, in quanto la peculiare orografia triestina obbliga a frequenti sollevamenti della risorsa idrica. Con minore immissione, abbiamo di conseguenza minori costi energetici: diciamo 130 mila euro risparmiati all’anno». Al direttore generale preme dimostrare e documentare lo sforzo operato dall’azienda per ovviare a un problema, quello delle perdite idriche, «collegato alla vetustà della rete e all’insufficienza della manutenzione». AcegasApsAmga - ricorda il manager rodigino - investe 7 milioni di euro all’anno nel ciclo idrico integrale, alfine di limitare progressivamente le perdite. Gli interventi vengono svolti con più modalità, utilizzando tecnologie sofisticate che consentono - insiste Gasparetto - «una diagnostica precisa». Diagnostica che classifica tipologia e qualità delle perdite a seconda delle dimensioni, della pericolosità, dei volumi. «In questo modo viene graduata la rapidità dell’intervento, che nelle situazioni più urgenti viene svolto in giornata, mentre a livello di media ponderata la risposta operativa avviene nell’arco di tre giorni». Quindi può capitare - qui Gasparetto replica a recentissime contestazioni (vedi via Bracco) - che perdite, ritenute non gravi, siano affrontate a distanze temporali più ampie. Detta semplice, gli investimenti sostenuti per rinfrescare la rete sono supportati dalle bollette. Altro passaggio su cui Gasparetto scandisce la replica: «Le tariffe sono deliberate dall’Ambito territoriale ottimale (Cato) in base all’attività ordinaria, ai costi energetici, agli investimenti. Negli ultimi anni si è ritenuto che andasse intensificata la voce riguardante gli investimenti, per effettuare quegli interventi migliorativi, per troppo tempo rinviati». «Il conguaglio in bolletta - prosegue il direttore generale - è frutto di questa manovra. Non fatturiamo due volte l’acqua ...». Il piano di ambito non esaurirà tanto presto i suoi effetti e le tariffe saranno sostenute fino al 2020, quando finalmente la sistemazione della rete consentirà l’inversione di tendenza». «E comunque - commenta Gasparetto - la tariffa triestina continua a essere una delle più basse del Nordest, decisamente sotto la soglia dei 2 euro, a quota 1,867 euro al metro cubo». Infine, sempre sul fronte del ciclo idrico, ma con differenti finalità, ricordiamo che entro la fine del prossimo anno il depuratore di Servola sarà a regime ma già nel primo semestre 2017 dovrebbe rientrare il rischio infrazione ambientale, procedura accesa dalla Commissione Ue nel 2008. In termini di spesa finora è stato impiegato circa un terzo dei 52,5 milioni di euro che costituiscono il budget dell'intervento, ma adesso - ha spiegato il manager - il ritmo di impiego avrà una decisa accelerazione.

magr

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 3 novembre 2016

 

 

ESCURSIONI - Ricerca degli “alieni” nelle specie vegetali in Val Rosandra
Alieni in Val Rosandra. Non si tratta di una trovata in chiave ufologica ambientata nel territorio quanto del titolo del nuovo incontro legato a "Val Rosandra Autunno 2016", il ciclo di escursioni naturalistiche guidate (e gratuite) a cura della Riserva Naturale della Val Rosandra, organizzate in collaborazione con la sede WWF Area Marina Protetta di Miramare. L'appuntamento in questione è datato per domenica 6 novembre e gli "alieni" al centro delle passeggiate sono piuttosto alcune specie vegetali tipiche della zona, probabilmente semisconosciute. Nello specifico, l'escursione del 6 novembre è incentrata su un albero originario della Cina, l'Ailanto (Ailanthus Altissima) importato in Europa dalla fine del Settecento, definito tra l'altro romanticamente " l'albero del Paradiso", in quanto votato a crescere appunto verso il cielo in tempi piuttosto rapidi, divenendo spesso altissimo. L'Ailanto ha saputo adattarsi in maniera particolare, tramutandosi in una specie vegetale piuttosto bizzosa, capace infatti di sbarazzarsi delle piante vicine e divenendo di fatto una realtà invasiva, una sorta di problema per l'ecosistema locale. Delle sue caratteristiche e dei possibili sviluppi, se ne parlerà nel corso della escursione accompagnata anche dagli esperti del Corpo Forestale Regionale. L'incontro verrà sviluppato anche con ulteriori analisi del territorio, fornendo dati e indicazioni di altri esempi di specie invasive, senza trascurare frammenti di storia, botanica e tecniche forestali. La gita didattica è aperta a tutti, per famiglie e bambini dai 10 anni in su, prevede circa 100 metri di dislivello e dovrebbe durare, sulla carta almeno, circa 3 ore. La caccia all'Ailanto rappresenta il terzo scalo del ciclo di escursioni in programma, la quarta e ultima tappa autunnale è datata per domenica 27 novembre, con programma ancora da definire. Per conoscere gli orari e le modalità di adesione alle uscite, è necessaria la prenotazione effettuabile telefonando allo 040/224147 (interno 3) dalle 10 alle 13. Ogni escursione prevede anche una versione in lingua slovena, qui le informazioni e le prenotazioni si raccolgono telefonando allo 040/8329237 ( 10-13) o scrivendo a info@riservavalrosandra-glinscica.it

Francesco Cardella

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 2 novembre 2016

 

 

Mozione «Bonificare e recuperare l’ex inceneritore»

La lista “No Ferriera Sì Trieste” ha presentato una mozione nella VII Circoscrizione che ha per tema la messa in sicurezza, la bonifica e il recupero dell’area del vecchio inceneritore a Monte San Pantaleone, che venne chiuso nel 1999. Domenica 6 alle 11 si terrà un’assemblea della lista nella sede del Circolo Miani in via Valmaura 77

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 1 novembre 2016

 

 

Il Comune rifà il look a piazza Hortis - Intervento da 200mila euro per completare la ripavimentazione del giardino. Appalto già affidato
Ci sono 200 mila euro per ripavimentare il giardino di Piazza Hortis. E c’è già il vincitore dell’appalto, chiamato a realizzare i lavori in uno degli scorci più suggestivi del centro storico cittadino, posto tra l’Istituto nautico e la sede della Biblioteca civica a palazzo Biserini: si tratta dell’impresa Sartori di Casalserugo, in provincia di Padova.

 Nel quadro economico dell’intervento - documenta la determina 2648/2016 a firma del dirigente comunale Antonia Merizzi - ci sono 158 mila euro classificati “verde e arredo urbano”, cui si aggiungono circa 34 mila euro di Iva. L’opera rientra nel novero degli interventi cui la Regione Fvg contribuisce nell’ambito dell’europrogramma Pisus: nel caso della ripavimentazione in piazza Hortis il contributo è di oltre 143 mila euro. Piazza Hortis è interessata a un lavoro complessivo di risistemazione che ha nel recupero di palazzo Biserini il momento più significativo.È dal 2006 che la sede della Biblioteca è «interessato da un intervento di restauro generale». E ora, dopo dieci anni, sembra imboccare la strada giusta. Il progetto di riqualificazione del piano terra di Palazzo Biserini, attualmente occupato dall'emeroteca, è diventato esecutivo. Si tratta di un intervento da due milioni e 500mila euro, la parte più consistente dei 5milioni e 700mila euro del programma Pisus (- di cui già abbiamo parlato - che Trieste è riuscita a ottenere dalla Regione e che provengono da fondi europei. Un piano "chiavi in mano" passato dalla giunta Cosolini a quella Dipiazza che porta la firma degli ex assessori Elena Marchigiani e Andrea Dapretto. Tutto, però, è cominciato molto prima. La riqualificazione del piano terra della Biblioteca civica fa parte del "progetto preliminare per la ristrutturazione con recupero architettonico e funzionale" di Palazzo Biserini varato il 15 marzo 2004 dalla prima giunta Dipiazza. Il progetto che prevedeva la ristrutturazione generale dell'edificio di piazza Hortis ha ottenuto il parere favorevole della Soprintendenza già il 13 giugno 2006. Con la seconda giunta Dipiazza, c'è stato il trasloco in via Cumano del Museo di Storia Naturale che era collocato al secondo piano. Ora è la terza giunta Dipiazza, due lustri dopo, ad approvare il progetto esecutivo per la riqualificazione del piano terra di Palazzo Biserini.

 

 

Un bimbo su 7 respira inquinanti - Il rapporto: aria tossica per 300 milioni di minori. India in testa
ROMA - Quasi un bambino su sette nel mondo - pari a 300 milioni di minori - respira aria «tossica»: vive in luoghi in cui i livelli di inquinamento atmosferico sono sei volte sopra gli standard fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

A lanciare l’allarme è un rapporto dell’Unicef che sottolinea: a rischiare danni gravi alla salute sono complessivamente due miliardi di bambini esposti ad aria inquinata, un terzo dei quali vive nell’India settentrionale e nei Paesi vicini. Il quadro arriva da un corposo rapporto - Clear the Air for Children - pubblicato a una settimana dal via alla conferenza sul clima Cop22 che si terrà a Marrakesh, in Marocco. Ai leader dei governi di tutto il mondo l’Unicef chiede di prendere misure urgenti per ridurre l’inquinamento atmosferico. Perché i rischi che comporta per la salute dei più giovani, precisa, sono gravi: sono possibili danni non solo ai polmoni, ma anche al cervello e ad altri organi. L’inquinamento dell’aria, spiega in una nota Anthony Lake, direttore esecutivo dell’Unicef, «è uno dei principali fattori di morte per circa 600mila bambini al di sotto dei 5 anni e minaccia vite e futuro di altri milioni di minori ogni giorno». Le immagini satellitari analizzate dal rapporto confermano che almeno 2 miliardi di bambini oggi respirano aria inquinata, per lo più a causa delle emissioni dei trasporti, dell’uso massiccio di combustibili fossili, della combustione di rifiuti. Tutti vivono in luoghi che superano i livelli minimi di qualità dell’aria stabiliti dall’Oms, mentre per 300 milioni l’inquinamento va ben oltre queste soglie. Il triste primato va all’Asia meridionale, dove 620 milioni di bambini respirano aria inquinata. A seguire l’Africa con 520 milioni e poi la regione dell’Asia orientale e Pacifico con 450 milioni di bambini. L’India è uno dei Paesi che sta peggio. Il rapporto dell’Unicef arriva proprio nel giorno in cui a Nuova Delhi è scoppiato un pericoloso allarme inquinamento per l’enorme quantità di fuochi artificiali usati dalla popolazione per celebrare la festività di Diwali, la «Festa delle luci» equivalente al Natale occidentale. I livelli di particolato fine e ultrafine (PM10 e PM2.5) nell’aria sono risultati ben al di sopra dei massimi consentiti. Nel Paese, secondo lo studio scientifico di un ospedale della capitale riportato dal sito Asian Age, l’inquinamento è il responsabile per almeno un terzo degli infarti riportati.
 

Tordi e merli usati come esche - Scoppia la rivolta animalista

Sotto accusa la scelta della Regione di autorizzare la cattura di uccelli selvatici da trasformare in richiami per la caccia. «Ennesimo regalo alle lobby venatorie»
TRIESTE - Imprigionare uccelli selvatici da far riprodurre in cattività e usare poi come "richiami vivi" nelle battute di caccia. È quanto la Regione ha consentito di fare a partire dalle scorse settimane, autorizzando la cattura di merli, cesene e tordi mediante l'uso di reti, affinché due impianti (uno a Porcia, l'altro a Tricesimo) provvedano all'allevamento di uccelli destinati a rimanere ingabbiati per sempre, diventando richiami viventi per l'attività venatoria. Perché, come recita il Bollettino ufficiale, gli allevamenti al momento «non risultano in grado di soddisfare la richiesta» dei cacciatori. Dopo aver vinto l'anno scorso la battaglia per impedire ai cacciatori di catturare in proprio gli animali selvatici da destinare a richiamo, gli ambientalisti sono sul piede di guerra, perché il testo stesso della norma ammette che la cattura dei volatili si rende necessaria per impedire che i cacciatori si procurino da sé gli esemplari in questione: una pratica ormai proibita per gli uccellatori, che legalmente possono servirsi soltanto di specie allevate. Per soddisfare la domanda gli allevatori hanno però bisogno di esemplari da far riprodurre e così la Regione ha dato il via libera alle catture, fissando il tetto in 72 merli, 67 cesene, 100 tordi bottacci e 107 tordi sasselli. Per Guido Iemmi, referente regionale della Lav, è «l'ennesimo sconcertante regalo della Regione al mondo venatorio, dopo aver consentito l'utilizzo di gabbie di dimensioni inferiori a quanto previsto dalla stessa legge regionale (vedi articolo sotto, ndr) e autorizzato l'uccisione delle nutrie per tutto l'anno. Il quadro è desolante: poiché i cacciatori utilizzano come richiami vivi queste povere bestiole e gli allevamenti regionali non ne avrebbero a sufficienza, ecco pronta l'autorizzazione a catturare esemplari selvatici da rinchiudere in allevamenti per “produrre” uccelli destinati a essere messi in gabbiette piccolissime per richiamare col loro canto altri uccelli che i cacciatori impallineranno». Secondo le associazioni animaliste, il via libera contraddice tanto le direttive europee del 2014 sulla tutela degli uccelli migratori, quanto la legge nazionale dell'anno scorso sugli animali selvatici, che ha vietato la cattura di volatili per mezzo di rete. Per Iemmi, «quanto deliberato dalla Regione appare come un tentativo surrettizio di reintrodurre l'uccellagione vietata dallo scorso anno, dopo che l’Ue aveva aperto una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. Anziché emanare provvedimenti per la protezione della fauna selvatica, la Regione sembra molto più impegnata a rispondere con solerzia a ogni richiesta del mondo venatorio. Segnaleremo il caso alla Commissione europea e chiederemo l'intervento del ministero dell'Ambiente». Lo stesso ha già fatto il presidente nazionale della Lipu, Fulvio Mamone Capria, secondo cui il governo deve annullare l'atto: «Resta l'incredulità di fronte al fatto che, per la pressione di pochissimi, una Regione presti il fianco a un'attività violenta e fuori dal tempo». Sulla stessa linea, Animalisti Fvg, promotrice di una campagna di mail bombing per protestare contro la decisione: «La Regione sta facendo l'ennesima regalia alla lobby venatoria. Diciamo stop alla cattura e alla detenzione dei richiami vivi, contraria al Trattato di Lisbona che riconosce gli animali quali esseri senzienti. La stessa detenzione dei richiami vivi è di per sé una condizione di forte violenza sugli uccelli, costretti in gabbie minuscole per tutta la vita, in ambienti bui per lunghe fasi dell'anno, con gravi danni fisici e comportamentali: una pratica ormai inaccettabile per la cultura contemporanea». L'assessore alla Caccia, Paolo Panontin, difende tuttavia l'iniziativa, che ritiene invece rispettosa delle norme vigenti: «La direttiva europea prevede la possibilità di autorizzare le deroghe per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità. Tale possibilità viene ribadita anche da una recente circolare del ministero dell'Ambiente. Non si tratta quindi in maniera più assoluta di autorizzare la pratica indiscriminata dell'aucupio (cattura di volatili con la rete, ndr)». La replica politica arriva dal M5s, con Ilaria Dal Zovo: «Dopo 14 anni Serracchiani ha resuscitato la pratica atroce dell'uccellagione, motivando la scelta col fatto che, se la Regione non autorizza la cattura degli uccelli, i cacciatori se li procureranno da soli o li compreranno dai bracconieri. Si travalica ogni limite. Perché allora non regalare anche un motorino a tutti per scoraggiarne i furti?».

Diego D’Amelio

 

Offensiva bis contro le gabbiette “mignon” - La Lipu torna a contestare la riduzione delle dimensioni dei contenitori per chi partecipa a gare canore
La decisione risale all’ultima manovra di assestamento di bilancio, al cui interno è finito in modo inusuale un emendamento, che consente di ridurre la dimensione delle gabbiette per uccelli allevati per gare canore, in deroga agli attuali limiti di legge.

Sono passati mesi e la questione non cessa di inquietare gli ambientalisti, stupiti dalla scelta di prevedere la possibilità di riporre canarini, cardellini e fringuelli d'allevamento in gabbie che rischiano di essere piccolissime, dal momento che l'emendamento non fissa limiti al ribasso. Per il delegato provinciale della Lipu di Trieste, Matteo Giraldi, «sebbene nascano in cattività, non si capisce che senso abbia negare la possibilità di un piccolo volo ad animali che sono nati per volare. Così si riduce l'uccello a un lettore mp3, in grado soltanto di riprodurre suoni. Quanto saranno piccole queste gabbie? Il vero problema è che esistano ancora i concorsi canori: questione culturale che richiede tempo per essere superata». Il nodo riguarda appunto esclusivamente i pennuti che partecipano a gare canore, pratica singolare ma cara agli allevatori. Da qui l'iniziativa dei consiglieri Enio Agnola (Pd) e Mara Piccin (Misto) di domandare una deroga alla legge regionale. La misura è passata, sebbene col voto contrario della presidente Serracchiani, consapevole della difficoltà di convincere l'opinione pubblica sull'opportunità di un simile provvedimento. Le polemiche degli ambientalisti non sono infatti ancora cessate e Agnola risponde: «So che è difficile da comprendere, ma una gabbia più grande, esclusivamente per questo tipo di uccelli, potrebbe essere addirittura nociva. Animali allevati e non abituati alle stesse condizioni di quelli nati liberi, sono maggiormente protetti in contesti più piccoli. Non è assolutamente vero che gli uccelli allevati a tale scopo siano detenuti in condizioni tali da recargli sofferenze: questo vale per gli uccelli catturati nell'ambiente e portati in cattività con la forza, ma un uccello catturato in libertà non potrà mai diventare un uccello destinato ai concorsi canori». Il consigliere dem dice di concordare con le preoccupazioni degli animalisti, «ma in questo caso ci troviamo di fronte a una situazione del tutto particolare». L'invito è al dialogo e Agnola chiede un incontro con le associazioni ambientaliste, «con le quali non vogliamo essere in contrasto».

(d.d.a.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 31 ottobre 2016

 

 

Ferriera di Servola, sindacati ancora divisi

La Fim-Cisl: «Non spetta a noi informare i cittadini». La replica della Uilm: «Abbiamo un ruolo sociale»
Gli inviti all’unità non mancano, ma di fatto resta spaccata a metà la rappresentanza sindacale della Ferriera di Servola, dopo che i sindacati maggioritari, Failms e Uilm, hanno incontrato i rappresentanti dei cittadini e degli ambientalisti per tentare un riavvicinamento delle posizioni. La Fiom-Cgil è scesa in campo con il segretario Sasha Colautti per attaccare l’iniziativa. Ora anche la Fim-Cisl con il segretario oltre che rsu di Servola, Umberto Salvaneschi annuncia che non cambierà rotta, ma intende evitare anche guerre tra poveri. «Vogliamo vivere in una Trieste - afferma Salvaneschi - dove si possa lavorare e vivere e dove possano coesistere la salvaguardia dei cittadini e dei lavoratori», ma afferma anche che «sarebbe opportuno che i gruppi ambientalisti fossero correttamente e puntualmente informati dagli organismi pubblici preposti al controllo». La Fim, invitando a smetterla con i populistici confronti tra Trieste e Taranto, «due realtà diverse per volumi, situazioni e altro», afferma che «l’unità del fronte sindacale è importante, ma deve essere un valore aggiunto e non un obiettivo da raggiungere a prescindere». Anche il Comitato iscritti della Fiom-Cgil di Siderurgica Triestina si è riunito sotto il coordinamento di Thomas Trost e ha sottolineato l’esigenza che «il processo produttivo deve continuare con la sinergia tra reparto a caldo e reparto a freddo». La Fiom-Cgil afferma anche di essere consapevole dello scoraggiamento che aleggia tra i cittadini dei rioni adiacenti e della necessità di rispettare tutti i vincoli imposti sul fronte ambientale, ma sottolinea che l’area a caldo di cui molte associazioni sbandierano la chiusura si è evoluta e quindi «le soluzioni paventate in primis dal sindaco non sono più attuabili». Sull’altro fronte la controreplica di Antonio Rodà, segretario Uilm, alle accuse di sudditanza all’azienda avanzate dalla Fiom: «Ci siamo sempre spesi ponendo al centro le condizioni di lavoro e i problemi organizzativi senza mai risparmiare commenti negativi se necessari. E poi riteniamo che un sindacato abbia un ruolo sociale anche sul territorio in cui agisce. Se comitati cittadini ci invitano a una discussione - conclude Rodà - parteciparvi significa saper ascoltare. Siamo anche convinti che sia necessario incalzare l’azienda affinché metta in atto tutti gli interventi necessari a garantire la continuità dell’area a caldo nel rispetto delle norme ambientali».

(s.m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 30 ottobre 2016

 

 

Il nuovo Museo del mare con metà dei fondi Cipe - La struttura, che sarà ospitata nei magazzini 23, 24 e 25, costerà 25 milioni
Il riparto dei finanziamenti in un documento del Mibact allegato alla delibera

Viabilità, Museo del mare, nuova sede dell’Icgeb, restauro dell’Ursus. I 50 milioni stanzati dal Cipe per l’avvio degli interventi in Porto vecchio saranno suddivisi fra questi quattro “capitoli”. Il dettaglio emerge dalla scheda allegata alla delibera del Cipe, nella quale il Mibact (Ministero per i beni e le attività culturali) ha specificato l’utilizzo dell’importante finanziamento. Il riparto dei fondi tra i “capitoli” di cui sopra è poi in linea con lo schema di progetto al quale ha lavorato la Regione, e in base al quale ha chiesto e ottenuto i finanziamenti dal governo. L’approfondimento sulle varie ipotesi di progetto ha portato il ministero a selezionare gli interventi secondo tre criteri. Innanzitutto escludendo operee di infrastrutturazione urbana o di bonifica ambientale, in quanto propedeutiche all’intervento edilizio e non coerenti con il programma “Cultura e turismo”. Sono poi stati escluse le opere che prevedevano solo la messa in sicurezza o il restauro, senza una contestuale riattivazione degli edifici. Terzo criterio, quello di concentrare gli interventi in un’area limitata del comprensorio del Porto vecchio. Sono quindi esclusi dai 50 milioni attinti dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) le opere di bonifica relative al Torrente Chiave e al Rio Martesin, stimate rispettivamente in 11,5 e 4,5 milioni (un totale di 16 milioni) e quelle di urbanizzazione (calcolate in 10,5 milioni). Riqualificazione della viabilità Il “capitolo”, del valore di 2,5 milioni, comprende operazioni per la messa in sicurezza di una “viabilità provvisoria” che colleghi il Polo museale (Centrale idrodinamica, Sottostazione elettrica e Magazzino 26) con la città e con viale Miramare. Oltre alla viabilità di collegamento al Polo museale, questi interventi prevedono un collegamento ciclabile e un percorso pedonale, la creazione di una rotatoria su viale Miramare e la realizzazione di una rete di illuminazione pubblica. Museo del mare Si tratta dell’intervento economicamente (e non solo) più rilevante, per un valore di 25 milioni. Sarà costituito dall’aggregazione del Museo del mare con altri musei e patrimoni, pubblici e privati, relativi alla marineria e alle attività collegate, e avrà sede nei magazzini 23, 24 e 25, affacciati sul bacino delimitato dal Molo Zero. La superficie complessiva destinabile a museo è stimata in 14 mila metri quadri. Il costo di 25 milioni comprende sia il restauro dei tre edifici sia l’allestimento in chiave museale. Icgeb e Magazzino 26 Con una superficie di 35mila metri quadri, il Magazzino 26 è il più grande dell’intera area. Completamente restaurato all’esterno, lo è solo parzialmente all’interno. L’intervento, del costo di 12 milioni, prevede la realizzazione della nuova sede dell’Icgeb (Centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia), che assorbirà circa 20mila metri quadri. Le opere previste in questo edificio, dove troverà sede anche l’Immaginario scientifico, riguarderanno l’adeguamento architettonico e impiantistico. Ursus L’intervento, il cui costo è stimato in 5,5 milioni, ha come fine il recupero e la valorizzazione della famosa gru galleggiante, così da farla divenire il simbolo del Porto vecchio. Nel dettaglio, si tratterà del restauro delle parti metalliche e meccaniche, della revisione delle macchine, del funzionamento degli impianti e dell’installazione di un ascensore con una piattaforma panoramica. Avanzano cinque milioni I costi relativi ai tre capitoli di cui si è detto ammontano a 45 milioni. Quanto ai restanti 5 milioni, il Mibact propone di utilizzarli per il restauro di altri complessi, nella logica di riqualificare tutta l’area nord-occidentale del comprensorio, individuata come sede del Polo museale. A titolo di esempio il ministero propone di restaurare e rimettere in funzione la “Locanda” e il Magazzino 21, articolato su tre piani e con una superficie di 9mila metri quadri. Il Mibact non esclude comunque la possibilità di usare questi 5 milioni per intervenire su edifici più idonei alla riqualificazione culturale del Porto vecchio. Si tratterà comunque di decisioni da condividere con i partner del tavolo istituzionale insediato di recente.

Giuseppe Palladini

 

GLI ALTRI PROGETTI - Icgeb e Immaginario scientifico all’hangar 26, restauro dell’Ursus e nuova viabilità
Con una spesa di 12 milioni sarà completato il restauro interno del Magazzino 26, per poter accogliere la nuova sede dell’Icgeb e anche quella dell’Immaginario scientifico. Cinque milioni e mezzo sono destinati al restauro e alla valorizzazione dell’Ursus, simbolo del Porto vecchio, che verrà “corredata” di ascensore e e piattaforma panoramica. I magazzini 24 e 25, assieme al 23, saranno rimessi a nuovo con una spesa di 25 milioni. I tre edifici sono destinati all’aggregazione del Museo del mare e di altri e di altri patrimoni legati alla marineria. Due milioni e mezzo sono previsti per intervenire sulla “viabilità provvisoria” che collega il Polo museale (Centrale idrodinamica, Sottostazione e Magazzino 26) con la città e con viale Miramare.

 

Gru offerte in svendita a solo 800mila euro - Terzo bando di gara per eliminarle dall’Adriaterminal. Si era partiti dalla cifra di cinque milioni
Le quattro gru dell’Adriaterminal sono ormai quasi in svendita.

A dicembre 2015 l’Autorità di sistema portuale aveva fatto un primo bando di gara tentando di venderle per cinque milioni di euro, a giugno ne aveva fatto un secondo tagliando drasticamente, del 500% l’importo a basa d’asta che era sceso a un milione soltanto. Il terzo tentativo punta a incassare la “miseria” di 800mila euro. Le offerte devono pervenire alla Torre del Lloyd entro il 4 novembre e le buste saranno aperte alle 10 del 7 novembre. Le quattro grandi gru gialle e blu, uno degli elementi più caratteristici del Porto vecchio ben visibili anche dalle Rive in realtà non sono vecchissime essendo state costruite dalla Fantuzzi-Reggiane nel 2000. «Genoa metal terminal, l'attuale terminalista dell’Adriaterminal, che fa parte del colosso Steinweg di Rotterdam - aveva spiegato al momento del primo bando Mario Sommariva, segretario generale dell'Authority - non le utilizza da tempo perché non sono funzionali nemmeno quando si tratta di sollevare un carico di rotoli di zinco di un determinato tonnellaggio, ma si serve di autogrù. Sono sostanzialmente diventate d'intralcio, meglio dunque sperare di venderle». Sul medio-lungo periodo il loro intralcio è addirittura plateale dal momento che nei progetti della stessa Autorità di sistema portuale, condivisi dal Comune, l’Adriaterminal è destinato a divenire un terminal per le crociere. «Sono sostanzialmente gru di cantiere - aveva specificato Sommariva - e gli acquirenti potrebbero essere di questo settore. Sono completamente funzionanti e per fissare il prezzo base abbiamo fatto eseguire una perizia». Evidentemente in tempi di crisi però anche un solo milione di euro è risultato essere una cifra impossibile. Tra le condizioni di quest’ultima asta si specifica che «l’atto di compravendita sarà stipulato nel più breve tempo tecnico, comunque non oltre 40 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione». E che «il prezzo d’acquisto dovrà essere versato in un’unica soluzione alla stipula dell’atto di compravendita». «L’aggiudicatario, entro 20 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione, dovrà presentare un elaborato tecnico riportante tutte le operazioni necessarie per l’allontanamento delle gru corredato da apposito e specifico programma temporale nonché dal prescritto piano di sicurezza».

(s.m.)

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 29 ottobre 2016

 

 

Stangata per la collina inquinata di Muggia

La Regione “gira” una multa europea da 400mila euro per i rifiuti interrati di San Rocco. Ma il Comune la contesta al ministero
MUGGIA - La partita sui rifiuti inquinati interrati a Porto San Rocco, almeno da un punto di vista economico, non è ancora chiusa. Il Comune di Muggia, assieme ai comuni friulani di Majano e Trivignano Udinese, ha deciso di opporsi alla nota con cui il ministero dell’Economia e delle Finanze si è rivalso sui tre comuni regionali in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha condannato la Repubblica italiana al pagamento di sanzioni pecuniarie per violazione di direttive in materie di discariche abusive. La notizia è emersa in seguito alle dichiarazioni del capogruppo consiliare comunale del M5S a Muggia Emanuele Romano sulle sanzioni comminate dall’Ue all'Italia lo scorso aprile per le discariche abusive sul territorio nazionale. La cifra complessiva? Circa 40milioni di euro, più interessi e sanzioni semestrali. «Tra i comuni condannati c’è anche quello di Muggia che vanta 18mila metri cubi di rifiuti inquinati interrati a Porto San Rocco», racconta Romano. La sanzione pecuniaria dell’Ue ha avuto la conseguenza di un effetto pioggia: dallo Stato, la sanzione è stata trasmessa alla Regione, dalla Regione ai singoli comuni chiamati in causa. «La Regione Friuli Venezia Giulia ha notificato una rivalsa per 388.223,50 euro al Comune di Muggia, che ha deciso di resistere in giudizio al Mef», racconta Romano. La sanzione europea pare essere legata a carenze normative italiane e alla mancata presentazione nei tempi previsti di alcuni documenti. «Si doveva agire tempestivamente, aggiornando continuamente le istituzioni europee - così Romano - inoltre ho constatato che l’iter di chiusura del procedimento di infrazione comunitaria si basa su scambi cartacei Ue-Italia-Regione-Provincia-Comune nella speranza illusoria che il privato che gestiva i lavori garantisse la sicurezza della discarica senza porre in essere verifiche in sito da parte delle istituzioni pubbliche». Ma qual è la situazione ambientale attuale del sito? Romano è molto critico: «Non possiamo non soffermarci sul modo in cui è messa in sicurezza la collina dichiarata inquinata che si limita a un telo su cui viene posato il materiale contaminato, coperto da un altro telo, con uno strato di un metro scarso di terra senza possibilità di piantare piante ad alto fusto come invece prescritto dalle norme. È evidente che le prescrizioni non vengono minimamente rispettate». In base ad una determinazione della Provincia, datata luglio 2015, si evince che sul fondo dell’involucro sono state rinvenute acque inquinate che non avrebbero dovuto esserci. «Da dove sono entrate? Mistero - afferma Romano - e inoltre sotto il telo nella falda sono state rilevate sostanze inquinanti ma le autorità ritengono di “rimandare l’eventuale presentazione del progetto di bonifica delle acque sotterranee a dopo l’acquisizione dei risultati delle attività di individuazione del responsabile della contaminazione delle acque». Sulla vicenda è intervenuto il sindaco di Muggia Laura Marzi: «La bonifica è stata effettuata e come emerso dalla Conferenza dei servizi che vedeva come capofila la Provincia, in quanto ente competente in materia ambientale, la procedura è stata regolarmente chiusa, fermo restando che vi sono ancora dei controlli». Marzi spiega che «sono in essere dei monitoraggi per verificare l’esistenza di acqua di percolazione. Dalle ultime verifiche prima dell’ultima Conferenza dei servizi non era risultato alcun rischio. Come evidenziato dalla Provincia le misure messe in atto non destano alcuna preoccupazione». Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento del direttore di Porto San Rocco spa, Roberto Sponza: «I controlli ci sono, la messa in sicurezza è stata certificata dagli enti preposti. Le affermazioni (di Romano, ndr) derivano da scarsa informazione del politico di turno». Ma Romano promette infine di ottenere ulteriori delucidazioni in Consiglio comunale: «Qualcuno deve spiegare il perché non siamo stati in grado di prevenire il contenzioso con le istituzioni europee e dopo i doverosi chiarimenti bisognerà rivedere i processi organizzativi al fine di scongiurare che in futuro si ripetano situazioni analoghe».

Riccardo Tosques

 

 

 

 

METEOWEB.eu - VENERDI', 28 ottobre 2016

 

 

Terremoto, la centrale nucleare di Krsko al confine con l’Italia: è allarme sisma
Terremoto: l'11 e il 24 ottobre scorso il Senato e la Commissione Europea si sono occupati della centrale nucleare di Krsko, costruito nel 1975, ad appena 120 chilometri da Trieste

Rischio Fukushima dietro l’angolo di casa nostra? Tra gli addetti ai lavori l’immagine della devastazione che colpì il Giappone l’11 marzo 2011 quando un catastrofico terremoto con conseguente maremoto provocò l’incidente alla centrale nucleare dell’omonima prefettura ricorre a mezza bocca quando si parla della centrale di Krsko. Fatto sta che l’11 e il 24 ottobre scorso il Senato e la Commissione Europea si sono occupati dell’impianto in territorio sloveno, costruito nel 1975, ad appena 120 chilometri da Trieste, e che il 1° novembre dello scorso anno era stato interessato da un terremoto (e un altro si era verificato il 22 aprile 2014, con epicentro a 150 chilometri di distanza). Nel primo caso, su sollecitazione della senatrice del Pd Laura Fasiolo (che ha anche ‘interrogato’ il ministro Galletti), sono stati auditi esperti che hanno riferito sul tema della sismicità e della pericolosità della centrale, che si trova, tra l’altro, nella direzione a cui soffia la bora ma, soprattutto, su almeno una faglia sismica attiva. Nel secondo caso, a seguito di un’interrogazione dell’eurodeputata Isabella De Monte (Democratici e progressisti) il commissario europeo per il Clima e l’energia Miguel Arias Canete ha affrontato la questione che in particolare in Friuli Venezia Giulia è fonte di preoccupazione. A palazzo Madama, dove sono stati auditi il dottor Kurt Decker dell’Università di Vienna, il professor Peter Suhadolc dell’Università di Trieste e il geologo Livio Sirovich dell’Istituto nazionale di Oceanografia e geofisica di Trieste, il parallelo tra Fukushima e Krsko non viene affatto considerato un’esagerazione. Non a caso anche l’Istituto francese sulla sicurezza nucleare, in un rapporto del 2013, ha messo pesantemente in guardia dal rischio cui sarebbe soggetta la centrale a causa dei movimenti tellurici. La plausibilità del raffronto tra i due eventi (ma si potrebbe ricordare anche Chernobil), secondo quanto affermato nell’audizione in base a quanto risulta all’Adnkronos, sta nel fatto che a Krško possono ripresentarsi terremoti forti almeno quanto quello già registrato nel 1917 (magnitudo Richter di circa 6 gradi), ma probabilmente anche più forti; e un terremoto così, è stato fatto presente, proprio sotto la centrale, potrebbe avere conseguenze gravissime. Il sito sloveno, tra l’altro, è situato in piena zona rossa secondo la Mappa del rischio geologico del consorzio Share (www.share-eu.org) e Lubiana ha allo studio la costruzione di un altro reattore, noto come Krsko-2. Ebbene, in base a quanto riferito dagli esperti, si tratta dell’unica centrale in Europa situata in una zona sismica di livello medio-alto. Tanto basterebbe a giustificare la preoccupazione e a sconsigliare la costruzione di un nuovo reattore. Vero è che le autorità slovene hanno messo in campo un piano, contenuto nel rapporto dal titolo non proprio asettico, “Post Fukushima national action plan”, con interventi per 200 milioni di euro per incrementare il livello di sicurezza in caso di terremoti, alluvioni e altri eventi straordinari, quali, ad esempio, incidenti aerei. La centrale nucleare è stata inoltre dotata di un nuovo generatore elettrico diesel capace di alimentare il reattore per una settimana in caso di assenza di alimentazione elettrica di rete (in Giappone fu quello a causare il disastro) quindi è stata aumentata la sicurezza della centrale. La cui ‘vita’ però, le autorità vogliono prolungare fino al 2043, perdipiù con la costruzione, appunto, di un nuovo reattore. Ad una distanza dal confine italiano ben più breve del tragitto tra Roma e Firenze. “Gli stress test disponibili al pubblico svolti nel 2012 per la loro stessa struttura non portano a risultati probanti e verificabili”, denuncia De Monte nell’interrogazione all’Europarlamento, chiedendo alla Commissione se non ritenga che vi sia la necessità “di un approfondimento di studio per rassicurare i cittadini sul rischio sismico della centrale nucleare di Krsko”. Il commissario competente, lo spagnolo Canete, ha risposto pochi giorni fa, il 24 ottobre (per inciso, due giorni prima del nuovo terremoto che ha colpito l’Italia centrale) sostenendo che gli stress test hanno dimostrato che i margini di sicurezza sismica della centrale di Krško erano “sufficienti” e ricordando che “sono stati tuttavia individuati e realizzati potenziamenti della sicurezza per ovviare alla perdita dei sistemi di sicurezza”. E ancora: eventi sismici in quell’area di gravità tale da poter produrre un danneggiamento del nocciolo del reattore “sono stati considerati molto rari nel sito con un periodo di ricorrenza di 50.000 anni”. E da parte italiana? Il governo, con il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti, prima dell’estate ha risposto ad un’interrogazione della senatrice Fasiolo: in sostanza, l’esecutivo sloveno, che al momento terrebbe in stand by la costruzione del secondo reattore, non ha risposto alle sollecitazioni italiane a riferire sugli “impatti ambientali transfrontalieri” del sito di Krsko. In conclusione, la problematica, scrive Galletti, “è tenuta in debita considerazione” dal ministero che ha provveduto e provvederà per il futuro alle valutazioni di competenza previste dai vigenti accordi internazionali e comunitari “con il massimo grado di attenzione”, tenuto conto “dei sempre possibili rischi nei confronti delle popolazioni e del territorio dipendenti dalla complessa gestione di una centrale nucleare”. Per la senatrice Fasiolo, il combinato disposto delle risposte europea e italiana non lascia spazio ad un allentamento dell’allarme attorno alla centrale: “Intanto -dice all’Adnkronos- riscontro che dal commissario europeo la sicurezza del reattore viene qualificata come ‘sufficiente’, e non, come sarebbe stato auspicabile, almeno ‘buona’” mentre “le risposte ad oggi disponibili ci impongono di tenere alta l’attenzione e da questo punto di vista spero che la commissione Ambiente del Senato proceda con altre audizioni per approfondire la tematica così cruciale”.

Filomena Fotia
 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 28 ottobre 2016

 

 

Piante aromatiche all’Orto botanico - domenica
La mattinata di domenica all’Orto botanico di via de Marchesetti 2 sarà dedicata alle principali piante aromatiche autunnali e alla loro importanza per l’uomo, alcune note da secoli per le loro proprietà officinali, altre con proprietà da poco scoperte. Non mancherà un momento di assaggio di cibi e bevande preparate con specie aromatiche spontanee. Il costo è di 6 euro, inizio alle 10, durata circa due ore. Per informazioni e prenotazioni ci si può rivolgere a Ecothema cell. 320-2753277, e-mail ascuolainmuseo@gmail.com, sito web www.ecothema.it.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 27 ottobre 2016

 

 

Dalle reti all’anticoncezionale - Le risposte all’allarme cinghiali

Lega Anti Vivisezione e studiosi concordi sulle diverse soluzioni da adottare - «La caccia non risolve il problema ma anzi lo alimenta». E l’Ispra è d’accordo
TRIESTE Ogni anno in provincia di Trieste vengono uccisi tra i 700 e gli 800 cinghiali. In particolare, la polizia ambientale è costretta ad abbattere tra i 150 e i 160 capi per ragioni di emergenza sorte a seguito di criticità segnalate. I dati forniti dall’amministrazione provinciale, le cui competenze in materia sono passate ora alla Regione, permettono di intuire la portata del fenomeno. Se quindici anni fa nel goriziano veniva abbattuto un centinaio di cinghiali, nella stagione venatoria 2014-15 il numero è salito a 507. Il quintuplo. Da un’analisi dei censimenti, si è calcolato un aumento medio della specie intorno al 14% negli ultimi 15 anni. A Gorizia e Trieste il problema è particolarmente sentito. Tra avvistamenti, scorribande nei vigneti (come quella avvenuta a San Floriano del Collio) e sanzioni per chi viene sorpreso a dar loro da mangiare, di recente i cacciatori del Cormonese hanno lamentato i troppi ostacoli amministrativi e burocratici per la soppressione degli ungulati. «L’unica soluzione per fermare l’emergenza è abbattere più capi di quanto sia permesso abbattere oggi», la posizione del consigliere comunale di Cormòns, Roberto Felcaro. Di opinione opposta è Massimo Vitturi, responsabile area Animali Selvatici della Lega Anti Vivisezione (Lav), che spiega l’aumento del numero di questi mammiferi con il tipo di strategia di sopravvivenza adottata. «I cinghiali vivono in branchi sociali in cui comandano le femmine. Sono molto legati tra loro, al punto che l’estro (il periodo in cui una femmina è recettiva all’accoppiamento, ndr) è sincronizzato, così i piccoli hanno più possibilità di farcela», riferisce Vitturi. In tutta Europa il cinghiale arreca danni all’agricoltura per oltre 80 milioni di euro all’anno, ma gli abbattimenti non sono un metodo efficace per evitare o limitare i danni, anzi, potrebbero incrementarli, sosteneva un anno fa, dalle colonne del Fatto Quotidiano, il professor Carlo Consiglio, zoologo e presidente onorario della Lega Abolizione Caccia (Lac). L’abbattimento dei capi, secondo Consiglio ma anche per Massimo Vitturi, è una soluzione troppo semplicistica che non tiene conto della struttura di popolazione e del comportamento peculiare degli animali. Quando i cinghiali, che non sono territoriali, sono pesantemente cacciati, i gruppi consolidati vengono a disgregarsi e questo contribuisce ad aumentare la fertilità della specie. Venendo meno il fenomeno della simultaneità dell’estro, da una gravidanza all’anno si passerebbe a due. Un convegno del 2015 della Lac sull’emergenza cinghiali ha mostrato come la via preferenziale per contenere i danni del cinghiale passi attraverso le iniziative di prevenzione e l’opportuna circoscrizione dei terreni. La difesa delle colture attraverso recinzioni elettrificate darebbe risultati positivi in oltre il 90% dei casi secondo Andrea Marsan, biologo dell’Università di Genova. Le recinzioni vanno disposte intorno all’insieme dei campi coltivati e combinate con la pasturazione, «perché i cinghiali devono trovare qualcosa da mangiare, altrimenti saranno portati a forzare le recinzioni», l’opinione di Consiglio. Secondo gli esperti, le recinzioni elettriche permetterebbero di raggiungere perfino l’azzeramento del livello di danni. «Esistono sistemi come i dissuasori olfattivi, ovvero schiume con odori fastidiosi per il cinghiale, ma durano poco nel tempo. Non potendo installare la recinzione elettrificata, si può mettere intorno alle piante del proprio orto del peperoncino in polvere, ad un metro circa di distanza dalle colture», suggerisce Massimo Vitturi della Lav. «Il loro apparato olfattivo è molto sensibile e viene infastidito dalla polvere». Vitturi sottolinea come lo stesso Ispra, ovvero l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, indichi che la caccia non sia lo strumento più efficace per gestire la popolazione di cinghiali. Anzi. Rappresenta una delle cause del problema. «Le immissioni a scopo venatorio, iniziate negli anni ‘50, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale» nella diffusione della specie, scrive l’Ispra. Invece di incrementare la mortalità, la soluzione auspicata dall’esperto è quella dell’anticoncezionale. «Il farmaco esiste ma è utilizzabile per via intramuscolare, con un’iniezione. Si tratta dello stesso che si usa per cavalli e grandi erbivori». Iniettando a distanza negli animali il vaccino GonaCon, in un’unica fiala, è possibile ottenere un effetto durevole dai tre ai cinque anni. «I ricercatori stanno studiando una formula per mischiare il GonaCon al mangime, al fine di somministrarlo ai cinghiali per via orale. Questo è l’obiettivo che si vuole raggiungere. Siamo impegnati e collaboriamo con i ricercatori affinché lo si distribuisca quanto prima».

Lillo Montalto Monella

 

Travolta da un esemplare, ko per venti giorni - Daniela Dominicini era stata investita in strada per Opicina. Potrà alzarsi dal letto lunedì prossimo
TRIESTE - Investita da un cinghiale mentre percorre la Trieste-Opicina in sella al suo scooter. Poteva andare peggio alla cinquantaquattrenne Daniela Dominicini, da alcune settimane costretta a letto per una doppia frattura al bacino.

«Già, per fortuna andavo piano...». Daniela, amministratrice di un’agenzia marittima, aveva appena finito di lavorare. Erano circa le 20 del 4 ottobre quando, dopo aver percorso via Commerciale, si era immessa nella strada che porta sull'altipiano. All'altezza della curva a “S”, nei pressi di un sentiero, sbuca all'improvviso un animale che la travolge. «In quel momento era già buio, mi ha centrato la ruota anteriore, sul lato, facendomi cadere a terra». Il cinghiale continua dritto ma Daniela è sull'asfalto. «Meno male che si è fermata una moto e poi altri mezzi, che hanno contattato il 118». La frattura le costerà una ventina di giorni di immobilità totale, un altro mese di stampelle e un inevitabile periodo di riabilitazione. Potrà alzarsi dal letto appena lunedì prossimo, ma sarà la prossima visita ortopedica a stabilire le sue condizioni. «Andavo piano - ripete - anche perché quel punto, quando piove, è piuttosto pericoloso perché sulla strada ci sono un po' di ghiaia e terriccio trascinati dall'acqua. Chi, come me, utilizza il motorino sa che è meglio rallentare. Ho fatto migliaia di volte quel tragitto, sempre con attenzione. Ma con un cinghiale che ti si butta addosso cosa puoi fare?». Lo scooter rimedia solo una botta allo specchietto e lei, oltre alla frattura, anche molto spavento. Dominicini racconta la sua vicenda con una punta di rabbia. «Tra l'altro - ricorda - mentre ero in ambulanza ho sentito che i soccorritori stavano intervenendo per un incidente analogo, e che pochi minuti prima di me una persona era stata investita nella stessa strada». La donna non ha dubbi: «Suggerisco di abbattere il maggior numero di esemplari possibile - insiste - perché nel nostro territorio sono veramente troppi. Amo gli animali ma questa convivenza non è accettabile. In Slovenia la caccia è aperta tutto l'anno, non capisco perché qui siamo pieni di limiti. E poi - avverte - non bisogna dare da mangiare ai cinghiali se vogliamo arginare queste incursioni e i rischi che ne conseguono». Il suo è anche uno sfogo contro le istituzioni: «Ringrazio le autorità preposte alla vigilanza del territorio, che dai primi anni Novanta non hanno mai avuto la capacità di rilevare la pericolosità di questo fenomeno, cresciuto in modo esponenziale e incontrollato nel Carso triestino. Così come nelle periferie, perché da noi, ormai, la presenza della specie in rapporto al territorio è la più numerosa della regione. Ringrazio anche gli ambientalisti che hanno remato contro qualsiasi azione che prevedesse l'abbattimento sistematico e allargato».

Gianpaolo Sarti

 

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 26 ottobre 2016

 

 

Disgelo Ferriera-cittadini, la Fiom si dissocia - Il segretario Colautti attacca Failms e Uilm: «Supini all’azienda e poi piangono con gli ambientalisti»
Mentre slitta, come si temeva, la convocazione del Tavolo sulla Ferriera prevista per oggi, si concretizza la spaccatura del fronte sindacale.

Dopo che due esponenti dei sindacati maggioritari all’interno dello stabilimento cioè della Failms e della Uilm hanno avuto un primo storico incontro con i rappresentanti degli ambientalisti e dei cittadini, la Fiom-Cgil è scesa in campo ieri con il suo stesso segretario Sasha Colautti a gamba tesa contro le altre due sigle. «Failms e Uilm - ha accusato Colautti - condividono con Siderurgica Triestina ogni singolo passaggio, con passività, senza dire nulla e un secondo dopo piangono della situazione della fabbrica con istituzioni e associazioni». Thomas Trost che rappresenta Fiom tra le rsu ha denunciato di non essere stato preventivamente né invitato, né informato da Failms e Uilm. «Riteniamo stucchevole - accusa Colautti - che Failms e Uilm dopo avere nei fatti condiviso target sull’incremento della produzione con l’accordo sul premio di risultato (che la Fiom invece non ha siglato) e dopo aver bypassato completamente la discussione industriale e ambientale con l’azienda durante la trattativa per l’integrativo, si ritrovino oggi a cercare improbabili punti di incontro con le associazioni ambientaliste. Alla faccia della coerenza». Dopo aver premesso che è indispensabile che anche i cittadini siano messi in condizione di partecipare maggiormente a una serie di scelte oggi in capo all’azienda, la Fiom puntualizza però che «con l’attuale contesto, non è accettabile che le proposte di risoluzione del problema ambientale, ne creino un altro di natura sociale, aggravando una tendenza già di per sé drammatica in merito ai livelli di disoccupazione. Su questo dal nostro punto di vista è necessario pensare a soluzioni tecniche più avanzate, altre opzioni che consentano di ridurre drasticamente l’impatto ambientale e sanitario della fabbrica senza compromettere un solo posto di lavoro». Dal canto suo ieri la Failms ha ribadito che «azienda, sindacati, istituzioni e comitati dei cittadini devono porsi l’obiettivo di un metodo di lavoro compartecipativo che permetta di rilanciare l’occupazione nel rispetto della salute e dell’ambiente. In questo senso - afferma il segretario Cristian Prella - Servola potrebbe servire da esempio anche per le altre realtà siderurgiche sul territorio nazionale».

Silvio Maranzana

 

«Arpa controllerà le centraline comunali»
Arpa è competente anche per i controlli sulle centraline attivate da altre pubbliche istituzioni e dai privati. Lo ha chiarito ieri mattina, parlando in un incontro dedicato all’aggiornamento professionale dei giornalisti, Franco Sturzi, dirigente dell’Agenzia regionale.

Il manager non ha voluto polemizzare con il Comune di Trieste, intenzionato a sistemare impianti autonomi di rilevazione nei pressi della Ferriera di Servola, ma ha precisato che si tratta per Arpa di competenza “ex lege” su ogni stazione che elabori dati ambientali. Invitato a giudicare scelte e atti del gruppo Arvedi in materia ambientale, Sturzi ha detto che «alcune cose sono buone, altre meno buone come nel caso dei rumori, che costituiscono il punto debole dell’Aia».

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 25 ottobre 2016

 

 

Sanzionati per rifiuti abbandonati - Ingombranti in piazzale Moissi: tre persone identificate dalla Polizia locale
A caccia di rifiuti ingombranti lasciati irregolarmente per strada. Le scovazze fuorilegge sono state trovate dagli agenti della Polizia locale sull’isola ecologica di piazzale Moissi, alla fine di via Cumano.

I responsabili di questi comportamenti sono soliti adottare numerose cautele per passare inosservati: gli agenti hanno dovuto fare i conti con queste furbizie e con alcune difficoltà operative ma alla fine i risultati sono arrivati. Gli appostamenti, concentrati nei finesettimana, hanno consentito agli agenti del terzo distretto di identificare (e sanzionare) tre persone. Due avevano buttato nei cassonetti un aspirapolvere, un monitor e un’intera scala di legno (segata in 2 parti). La terza sanzione è stata comminata invece per l’abbandono di una grossa valigia e di una sedia a sdraio sul marciapiede dell’isola ecologica. In quest’ultimo caso la sanzione è risultata di 600 euro. Mentre è ammontata a 500 euro quella per i primi due identificati. Visto il buon esito dell’operazione, l’attività potrebbe estendersi a breve anche ad altri punti della città. Abbandonare la spazzatura fuori dagli appositi contenitori – specie se ingombrante – o gettare rifiuti speciali nei cassonetti sotto casa, è ritenuta una cattiva abitudine che contribuisce ad alimentare il degrado urbano, oltre che a nuocere gravemente all’ambiente. In una nota la Polizia locale ricorda che esiste un metodo semplice ed economico per disfarsi dei rifiuti ingombranti: è quello di rivolgersi ad AcegasApsAmga per il ritiro degli oggetti direttamente a domicilio. Basta chiamare il numero verde 800955988 da lunedì a venerdì, tra le 10 e le 16.

 

 

Appello al Fai per salvare il laghetto di Contovello
L’iniziativa nasce da un gruppo di residenti e dalla circoscrizione Altipiano Ovest
Lo stagno è stato inserito nell’elenco dei “Luoghi del cuore” per fermarne il declino
TRIESTE Per salvare dall’inesorabile declino il laghetto di Contovello, i residenti della frazione hanno creato uno spazio su Facebook e si preparano a partecipare a un’iniziativa del Fai - Fondo ambiente italiano per rintracciare delle risorse utili alla manutenzione del sito. Accanto a loro la circoscrizione di Altipiano Ovest, che per l’ennesima volta chiede aiuto e attenzione al Comune. «Da anni stiamo lottando a colpi di documenti e interrogazioni per sensibilizzare il Municipio sulle problematiche che riguardano uno degli ambienti naturali più caratteristici e antichi dell’intero Altipiano Carsico. Lo sforzo del consiglio però non riesce a sortire un provvedimento utile - spiega la presidente del primo parlamentino Maja Tenze - e di giorno in giorno cresce il degrado del sito. Solo la pioggia può ridare vita a questo specchio d’acqua che, assieme al comprensorio che lo circonda, rappresenta un ecosistema unico nel suo genere». La situazione del laghetto è davvero preoccupante. La scorsa settimana alcuni volontari lo hanno ripulito da ramaglie e arbusti accumulati nel suo letto. Ma l’acqua, l’elemento principale che lo caratterizza, continua a scendere sotto i livelli di guardia. Tutto veniva mantenuto in vita dalle immissioni di nuova acqua da parte dell’ex municipalizzata. «Ma ora questo sostegno ci viene a mancare - afferma la presidente - e ci è stato spiegato che per averne ancora è necessario aprire un contatore specifico all’AcegasApsAmga. Ovvero che ci vogliono dei quattrini per garantirsi il servizio. Ma l’amministrazione comunale, che dovrebbe provvedere, continua a tacere». I problemi del vecchio stagno sono noti. Con buona probabilità le vene d’acqua che da secoli lo alimentavano sono state compromesse da alcuni recenti insediamenti. E prima ancora il sito non era riuscito a riconquistare il suo ruolo preciso, quello di essere un vero e proprio stagno. Le immissioni di animali estranei e la piantumazione ai suoi bordi di arbusti e erbe allogene ne hanno minato la personalità. Per recuperare il suo ruolo, la circoscrizione aveva coinvolto studiosi e universitari; anche la Riserva del Wwf di Miramare aveva utilizzato il sito per la valorizzazione dello storico itinerario che dal mare porta sino al ciglione carsico. «Il laghetto di Contovello - informa il consigliere Francesco Tremul - fa parte dell’Alpe Adria trail, l’itinerario escursionistico che dalle falde del Grossglockner conduce fino a Muggia. Inoltre il laghetto si trova a un’estremità del sentiero Natura, il bellissimo e panoramico sentiero, ombreggiato e facilmente percorribile, che porta da Contovello al parco di Miramare. Creato nei primi anni ottanta e marcato dal segnavia Cai n°9, passa tra vigneti, slarghi da cui si possono ammirare suggestivi panorami su tutto il golfo, resti di architettura rurale e pastini». «Dall’area del laghetto partono anche altri percorsi che collegano ad altrettanti punti panoramici del ciglione carsico - prosegue Maja Tenze -, un patrimonio di storia e cultura che, in chiave turistica, dovrebbero essere recuperate». Per reagire allo scempio, alcuni residenti hanno dato vita a un comitato che ha iscritto il laghetto all’ottavo censimento del Fai “I Luoghi del Cuore”, con l’obiettivo di sensibilizzare cittadini e istituzioni sulla questione. Per proteggere e salvare il laghetto di Contovello è possibile votare online sul sito iluoghidelcuore.it o rivolgersi direttamente alla circoscrizione a Prosecco. Per rimanere aggiornati è possibile seguire la pagina Facebook del laghetto su www.facebook.com/laghettomlaka/.

Maurizio Lozei

 

 

 

 

PARLAMENTO EUROPEO - INTERROGAZIONI PARLAMENTARI - LUNEDI', 24 ottobre 2016

 

 

P-006880/2016 - Risposta di Miguel Arias Cañete a nome della Commissione in seguito alla richiesta sulla centrale nucleare di KRSKO
Gli stress test effettuati nel periodo 2011-2012 nell'ambito dell'ENSREG(1) per valutare la resistenza delle centrali nucleari a eventi esterni estremi hanno dimostrato che i margini di sicurezza sismica della centrale di Krško erano sufficienti(2). Sono stati tuttavia individuati e realizzati potenziamenti della sicurezza per ovviare alla perdita dei sistemi di sicurezza(3).
La scala Richter della magnitudo dei terremoti misura su scala logaritmica l'energia totale sprigionata da un sisma. Tuttavia, i danni a edifici e infrastrutture sono collegati più strettamente al movimento superficiale del terreno. L'accelerazione massima al suolo (PGA) è una prassi ingegneristica generalmente utilizzata per la stima dei danni.
Dopo la valutazione iniziale del rischio sismico realizzata al momento della progettazione e della costruzione della centrale di Krško, sono state effettuate più di recente valutazioni probabilistiche da cui risulta un rischio sismico equivalente a 0,56 g. Secondo l’autorità nazionale di regolamentazione, i livelli sismici che determinerebbero un danneggiamento del nocciolo del reattore corrispondono a un PGA pari o superiore a 0,8 g. Gli eventi sismici con un PGA superiore a 0,8 g sono stati considerati molto rari nel sito [di Krško], con un periodo di ricorrenza pari o superiore a 50000 anni(4) (5).
La direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio, modificata dalla direttiva 2014/87/Euratom del Consiglio, introduce, fra l'altro, un obiettivo di sicurezza nucleare molto elevato a livello dell'UE per prevenire gli incidenti ed evitare il rilascio di materie radioattive. La direttiva impone inoltre di procedere ogni 10 anni a revisioni periodiche della sicurezza degli impianti nucleari e di ridurre al minimo l'impatto dei rischi esterni estremi di origine naturale.
(0) http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=P-2016-006880&language=IT

(1) Gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare.
(2) Si veda la relazione sulla valutazione inter pares degli stress test dell'UE per la Slovenia, disponibile all'indirizzo: http://www.ensreg.eu/sites/default/files/Country%20Report%20SI%20Final.pdf.
(3) Si veda la relazione elaborata dal relatore nel 2015, disponibile all'indirizzo http://www.ensreg.eu/sites/default/files/SI%20-%20FINAL%20Rapporteurs%20Report.pdf, da cui risulta che sono ancora in corso ulteriori indagini. Si veda anche la relazione sintetica del 2o seminario sul piano d'azione nazionale, disponibile all'indirizzo http://www.ensreg.eu/sites/default/files/HLG_p%282015-29 %29_143 %20-%202nd%20NAcP%20SUMMARY%20REPORT%20-%20FINAL%20.pdf.
(4) Relazione nazionale (definitiva) della Slovenia sugli stress test nucleari, Amministrazione della sicurezza nucleare slovena, dicembre 2011, disponibile all'indirizzo http://www.ensreg.eu/sites/default/files/Slovenian%20Stress%20Test%20Final%20Report.pdf.
(5) Il periodo di ricorrenza preso in considerazione negli standard internazionali è di 10 000 anni. Si veda WENRA Safety Reference Levels for Existing Reactors (2014) — Issue T: Natural Hazards, http://www.wenra.org/media/filer_public/2016/07/19/wenra_safety_reference_level_for_existing_reactors_september_2014.pdf, nonché le raccomandazioni e i suggerimenti formulati nella valutazione inter pares degli stress testhttp://www.ensreg.eu/NODE/513.
 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 24 ottobre 2016

 

 

Dai divani ai materassi - Oltre 80 recuperi al giorno - Cresce la raccolta di rifiuti ingombranti abbandonati irregolarmente sulle strade

Il totale degli interventi di AcegasApsAmga è salito del 13% da un anno all’altro

Si tratta di mobili, di elettrodomestici, di attrezzature da giardino, di materiali inerti. Nel passaggio dall’estate all’autunno il problema è rimasto purtroppo inesploso, allora Comune e AcegasApsAmga cercano di convincere il cittadino-utente a comportamenti virtuosi, ricorrendo a una campagna pubblicitaria che vedrà protagonisti 27 mezzi dell’azienda “abbigliati” con l’immagine di un divano lasciato sul marciapiede e con lo slogan “Non abbandonarli in mezzo a una strada”. Perché ormai il rifiuto ingombrante abbandonato è un’emergenza sociale, igienica, economica. La statistica è impietosa e conferma l’allarme già squillato a luglio: nei nove mesi tra gennaio e settembre 2016 la media giornaliera di raccolta segna quota 83, sottolineando un incremento del 13% rispetto al medesimo periodo dello scorso anno. Sono tanti 83 interventi al giorno, perché sono quasi 2500 al mese e, se non cala il ritmo da qui a dicembre, significa che alla fine del 2016 si toccheranno i 30mila. Con una spesa complessiva di 500mila euro, perché due squadre operative non si muovono gratis e alla fine è la comunità intera a dover saldare il conto della diseducazione o della non conoscenza delle regole da rispettare. L’ingombrante abbandonato si distingue dal deposito abusivo, perché ha una diffusione molto maggiore, in quanto ha bisogno di un semplice cassonetto vicino al quale essere parcheggiato. È significativo che alcune delle zone più colpite dal “fenomeno” insistano in aree centrali o comunque densamente popolate, come San Giacomo, Barriera Vecchia, Ponziana. Allora il Comune con la “sua” utility, prima di passare alle maniere forti, tenta la carta del convincimento ironico, mostrando un divanaccio délabré mollato all’addiaccio. Qualcuno lo fa incurante del servizio, altri lo fanno pensando che la raccolta di quell’oggetto rientri nell’ordinarietà: una sorta di super-differenziata. All’arma dell’umorismo, però, è opportuno aggiungere un sostegno organizzativo: un comunicato AcegasApsAmga ricorda che tra giugno e ottobre hanno funzionato 12 “Sabato ecologici”, una specie di raccolta mobile dedicata all’ingombrante che ha presidiato diversi punti della città. Ottenuto un risultato parziale di 47 tonnellate contro le 38 del 2015, con un aumento del 25%. L’utility ha elaborato una statistica anche sul ritiro a domicilio: dai 670 del 2015 si è saliti ai 730 del 2016, graduatoria di preferenza monopolizzata da elettrodomestici, mobili, materassi, divani, serramenti, sanitari. AcegasApsAmga ricorda che i centri di raccolta dedicati agli ingombranti sono quattro e sono situati in Campo Marzio, a Roiano, a San Giacomo, a Opicina. Il ritmo di fruizione mensile suggerisce 8mila accessi, che moltiplicati per 12 arriva a sfiorare quota 100mila. Il centro di Campo Marzio sorge a fianco dell’ex ristorante Sacra Osteria, di proprietà comunale, che l’Amministrazione vorrebbe rimettere a rendita dopo la pausa dedicata all’accoglienza dei profughi: per rendere più appetibile e più remunerativo il sito, l’assessore al Commercio Lorenzo Giorgi sta pensando di trasferire la struttura ad AcegasApsAmga. Una scelta comprensibile ma che, in considerazione della pressante questione-ingombranti, necessita di una soluzione bilanciata.

Massimo Greco

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 23 ottobre 2016

 

Ferriera, disgelo sindacati-ambientalisti

Per la prima volta allo stesso tavolo gli esponenti Failms e Uilm e le realtà NoSmog, FareAmbiente e Comitato 5 dicembre
Ricerca di dialogo - Vorremmo provare ad andare tutti nella stessa direzione
La location è stato un “campo neutro”, un bar fuori dal perimetro più stretto del rione. Allo stesso tavolo, per la prima volta nella storia recente della città, sia i componenti del consiglio di fabbrica della Ferriera di Servola che i rappresentanti dei cittadini del rione e delle associazioni ambientaliste. Obiettivo: verificare l’esistenza di condizioni per giungere a una tregua dopo decenni di una guerra che ancora oggi vede su fronti contrapposti l’occupazione e l’ambiente. Il primo ostacolo è chiaro già alla lettura delle formazioni: le rsu schierano soltanto Cristian Prella (che rappresenta anche il collega Cristian Riosa) per il sindacato autonomo Failms e Franco Palman (in rappresentanza pure di Giuseppe Spallino) per la Uilm. La maggioranza del sindacato interno c’é direttamente o per delega (quattro su 6), ma mancano due sigle del calibro di Fim-Cisl e Fiom-Cgil. Non intendono infatti fare parte della partita né Umberto Salvaneschi, né Thomas Trost. Nella squadra degli ambientalisti-cittadini presenti figurano Alda Sancin e Adriano Tasso per No smog, Barbara Belluzzo e Andrea Rodriguez del Comitato 5 dicembre, Giorgio Cecco per FareAmbiente. «Siamo intenzionati ad aprire un dialogo con i cittadini - spiega Prella sottolineando che la Failms è sempre stato il più attento tra i sindacati anche alla salute degli abitanti - e se giungeremo ad alcune conclusioni dello stesso tenore, intendiamo poi anche tentare di fare da tramite tra l’azienda e la città per provare ad andare tutti nella stessa direzione». «Molto dipende dai sindacati - ribatte Alda Sancin - se ritengono che all’interno dello stabilimento si lavori e si viva bene e se continueranno a rimanere totalmente allineati alle posizioni dell’azienda, come a noi sembra sia avvenuto fino ad adesso, evidentemente sarà stato il primo e unico incontro. Finora ci hanno minacciati di querele accusandoci di voler affamare gli operai. Se adesso invece il loro atteggiamento sta mutando, siamo disponibili a a dialogare». La verifica, secondo i cittadini, andrà fatta mercoledì allorché, secondo fonti sindacali dovrebbe tornare a riunirsi in Regione il Tavolo sulla Ferriera con la presenza dello stesso cavalier Giovanni Arvedi. «Consideriamo cruciale - sottolinea Sancin - che in quella sede il tema ambiente venga posto in modo inequivocabile dai sindacati stessi». L’ultimo scontro pubblico tra le due fazioni era avvenuto il 27 maggio allorché al Circolo Ferriera per essere interrogati dagli operai si erano presentati quasi tutti i candidati sindaco (ma non Roberto Dipiazza). «Ci state rovinando la salute», aveva accusato un anziano abitante. «No, siete voi che la state rovinando a noi», aveva urlato Franco Palman che già nei giorni immediatamente successivi però aveva espresso il desiderio di un riavvicinamento alle istanze degli abitanti. «È opportuno - afferma ora Palman - che sindacalisti e abitanti si incontrino per scambiarsi informazioni dirette e siamo consci del fatto che l’azienda è tenuta a dare risposte certe ai cittadini. Ci siamo finalmente accorti tutti che questo conflitto non serve né a noi né a loro, ma soltanto a tanti politici che usano inopinatamente l’argomento Ferriera per farsi eleggere». Nell’ambito dell’ assemblea provinciale di FareAmbiente, il coordinatore regionale Giorgio Cecco ha affermato: «Restiamo disponibili a chiuque voglia dialogare con noi, sindacati compresi, purchè ci sia un obbiettivo comune, ovvero la tutela delle salute pubblica, quindi dei residenti e dei lavoratori. Ci rendiamo conto delle difficoltà occupazionali e abbiamo grande rispetto per i lavoratori, però è chiaro che la situazione continua a essere insostenibile dal punto di vista ambientale e non si può barattare la salute con il lavoro». In ballo c’è un’altra questione, non da poco, l’unità del fronte sindacale che rischia di spaccarsi in due: Failms e Uilm da una parte, Fim-Cisl e Fiom-Cgil dall’altro. «A Taranto - ammonisce Alda Sancin - per difendere la salute di tutti, un sindacalista è dovuto uscire dalla sua organizzazione e mettersi a capo di un fronte comune operai-cittadini».

Silvio Maranzana

 

Mercoledì il confronto con Arvedi - Ma la data del 26 potrebbe slittare a causa della visita del presidente Mattarella
Per il momento è un incontro fantasma tanto che la Regione ieri non ha ufficialmente confermato una prossima convocazione del Tavolo Ferriera.

Ai sindacalisti però sarebbe stata verbalmente riferita la data di mercoledì 26 febbraio e l’orario delle quattro di pomeriggio. La voce è giunta anche alle stesse associazioni di ambientalisti, non rappresentate a quel Tavolo, che ora però lo considerano cruciale per osservare l’atteggiamento che sarà tenuto dai sindacati e in particolare dalla due sigle, la Failms e la Uilm che stanno tentando un avvicinamento con le associazioni dei cittadini. Ciò sarà tanto più chiaro se, come sembra, al Tavolo sarà presente lo stesso cavalier Giovanni Arvedi, proprietario del Gruppo di cui fa parte Siderurgica Triestina che gestisce la Ferriera. La data del 26 però potrebbe essere ostacolata dalla presenza in regione del presidente Sergio Mattarella che a Trieste sarà solamente per l’alzabandiera delle 10 del mattino, ma che poi sarà a Gorizia e a Doberdò del Lago dove logicamente sarà accompagnato anche dalla governatrice Debora Serracchiani. E deve essere proprio Serracchiani a presiedere il Tavolo anche nella sua veste di commissario straordinario dell’area di crisi industriale complessa in cui la Ferriera rientra a pieno titolo. In una sua recente intervista sulla Ferriera, Serracchiani aveva annunciato la prossima convocazione del Tavolo presumibilmente entro il mese di novembre. Da tempo però i sindacati avevano chiesto di incontrare Arvedi per avere chiarimenti sugli investimenti anche a seguiti dell’inasprirsi della conflittualità in città sulla sorte dello stabilimento.

(s.m.)

 

 

Piano traffico a Trieste: se la politica non sa dare risposte alla normalità

Due anni, cinque o dieci: quanto è tollerabile che duri l'iter di un piano del traffico? Quanto deve passare affinché il sistema dei flussi viari recepisca modi di spostarsi, vivere e lavorare di una società radicalmente trasformata? Nel caso di Trieste, non sono ancora bastati dieci anni dal primo all'ultimo atto.

Forse ce ne vorranno 15, che è il tempo della politica ma non quello della normalità. Sarà la conseguenza dell'ennesimo stop imposto dal governo comunale al percorso a singulti del piano, che dura ormai da tre giunte in successione. Prima (giunta Dipiazza bis) l'avanti e indietro che condusse alla cancellazione - otto anni fa! - del progetto Camus. Poi (Cosolini) l'adozione del nuovo piano nel 2013, con l'avanti e indietro sulla pedonalizzazione di via Mazzini e il pasticcio che ne derivò. Ora (Dipiazza ter) il congelamento del piano e la dichiarata necessità di risentire daccapo tutte le categorie interessate. E non basterà probabilmente risentirle per il terzo giro, ma ce ne vorranno quattro o cinque, se ogni volta tra l'analisi e le pseudo-decisioni passano anni che diventano anni luce, perché nel frattempo la città cambia, cambiano le persone, cambia la vita di ogni giorno a cui la politica che fa e disfa non è capace di dare risposte. Cosa mai potranno dire le categorie interessate, che non abbiano già detto? I nodi sono sempre gli stessi: Corso Italia e via Mazzini, pedonali sì o pedonali no, riservate ai bus sì o riservate no. E sempre la stessa, disgraziatamente, è l'incapacità di decidere. Intendiamoci: la conformazione di Trieste è un garbuglio. Stretta fra il mare e l'altipiano, la città è percorribile in poche direzioni obbligate, ed è una coperta corta che nemmeno il più esperto degli esperti sa precisamente dove tirare, e su cui nemmeno il più dettagliato studio dei flussi sa dare la risposta esatta. Ma il fatto che la faccenda sia complicata non comporta che noi la si debba complicare ulteriormente, avviluppandoci in quella che gli americani chiamano paralysis by analysis, paralisi per eccesso di analisi. Ormai il piano del traffico è diventato un guazzabuglio su cui tre considerazioni s'impongono. La prima è che un nuovo piano non è utile: è indispensabile. È cambiata la città, grazie ai nuovi parcheggi e alla scorrevolezza delle rive, ed è cambiato il modo di vivere. Oggi una moderna, piccola capitale europea, quale Trieste può avere l'ambizione di diventare e quale i turisti la stanno già eleggendo, offre un centro urbano in cui si gira a piedi e dove possibile in bicicletta. La riqualificazione passa per la pedonalizzazione e l'arredo, con la nascita di percorsi che ricreino vie piene di vita, di giovani e di piccoli locali, ma anche di segni di cultura e di storia. Azzardiamo di più: non ha senso mantenere una città a misura di auto, quando già s'intravede un futuro con meno veicoli che circolano, poiché la sharing economy farà aumentare il numero medio dei passeggeri per auto e il trasporto pubblico si estenderà a forme miste con quello privato (da Uber al car pooling ai veicoli misti). Il secondo punto è che i cambiamenti nella viabilità richiedono un atto di coraggio al di là delle comprensibili istanze e lamentele che il nuovo sempre comporta. Fu un errore fare dietrofront su via Mazzini pedonale, è un errore bloccarsi oggi nel liberare il Corso dalle auto. Si creano dei disagi per lo spostamento delle fermate dei bus? È normale, ma ci si abituerà. Negli anni Novanta la proposta di pedonalizzare via San Nicolò suscitò una rivolta dei commercianti e degli automobilisti, in un clima politico incandescente in cui maturò l'omicidio dell'allora assessore Cecchini per opera di uno squilibrato. Chi mai oggi proporrebbe di rimettere le auto sulla via diventata la più bella di Trieste? Se chi governa (un Comune, un'azienda, una bocciofila) si blocca al primo stormir di foglia, ogni cambiamento è impossibile. Infine, un punto tutto politico. Il nuovo governo comunale ha preferito finora ostentare la rimozione di striscioni e barboni, il sequestro di strumenti musicali, ora lo stop al piano del traffico (che non era certo l'ideale, ma tutto è migliorabile). Deve però giungere un momento in cui si cessa di rimuovere e si comincia a promuovere. Ebbene, quel momento è arrivato.

ROBERTO MORELLI

 

Mobilità - Confronto Polli-Fiab sulla ciclabile di via Giulia

Confronto domani tra l’assessore Luisa Polli e l’associazione Fiab Ulisse. Sul tavolo - fa sapere Fiab in una nota - anche «la riqualificazione di via Giulia che il sindaco ha detto di non voler realizzare. Fiab avanzerà una proposta che permetterebbe di allargare la sezione stradale mantenendo in larga misura gli interventi a tutela di bambini, pedoni e ciclisti»

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 22 ottobre 2016

 

 

«Più trasparenza sui giardini inquinati» Legambiente reclama maggiori informazioni e un piano di caratterizzazione degli orti privati
Maggior informazione ai cittadini perché sappiano di più su quel che sta succedendo nei giardini inquinati di Trieste e nell’area attorno al complesso industriale della Ferriera. Chiedono questo i tecnici di Legambiente Trieste alle istituzioni, nonché alla stessa amministrazione dell’impianto siderurgico e agli enti di ricerca.

È una delle tante richieste del documento presentato ieri dagli esperti di Legambiente, Mario Mearelli, già docente di Ecologia applicata all’Università di Perugia, e Lino Santoro, chimico ambientale, assieme al presidente Andrea Wehrenfennig. Mearelli ha espresso preoccupazione per i fattori inquinanti in città, perché «abbattere un po’ di polveri e contenere un po’ di benzopirene non risolve la situazione». Ma quello che più inquieta «è che non sono stati informati i proprietari di giardini e orti privati attorno alle aree inquinate», ha aggiunto Santoro. Alcune di queste persone, è stato ribadito da Santoro, «hanno anche aziende agricole che vendono le proprie merci al Mercato coperto e da un punto di vista organolettico sono prodotti di alta qualità, ma il terreno di queste aree com’è? Chiediamo dunque all’Arpa uno studio di caratterizzazione di tutti i suoli». Attenzione poi a come si puliscono le strade: «La pulizia della strada avviene con il soffiatore a spalla - ha avvertito Mearelli - cosa che succede anche nei giardini di Sant’Andrea per esempio, tutto viene sollevato, anche gli elementi che sono diventati di preoccupazione come i depositi di benzopirene». Ecco allora la disponibilità di Legambiente a «collaborare con le autorità e i cittadini», perché serve «una valutazione di tutte le fonti inquinanti dell’area triestina e un inventario delle emissioni per accertare le origini dell’inquinamento», così come un approccio diverso al monitoraggio e al trattamento dei dati. Sono stati suggeriti anche una consulta regolare «dove tutti concorrano a fare proposte» e un sito web alla portata dei cittadini che dia informazioni semplici su cosa stia accadendo. Per sanare poi i suoli dei giardini pubblici inquinati Santoro ha suggerito un metodo molto più low cost e naturale rispetto alle altre tecniche finora sentite, anche «più distruttive», e che è stato già sperimentato all’ex Opp nell’ambito del dottorato di ricerca sotto la guida di Pierluigi Barbieri: il fitorimedio, che utilizza sistemi biologici. Tra le varie iniziative anche quella di attivare l’Osservatorio regionale ambiente e salute. Prossimo appuntamento il 25 ottobre alle 17.30 al Circolo della stampa.

Benedetta Moro

 

«Krško, buona la risposta agli stress test»

Giovani (Arpa Fvg): «A dirlo sono i tecnici europei, non quelli sloveni». Conclusi nuovi studi geologici
Assicurazioni tecniche - La centrale è dotata di un innovativo impianto di aspirazione
TRIESTE - «Dopo Fukushima sono stati fatti stress test su tutte le centrali europee. Qualcuna è stata pure chiusa. Krsko no, questo qualcosa vorrà pur dire». La dirigente di fisica ambientale dell'Arpa Fvg Concettina Giovani commenta così il fattore rischio sismico della centrale nucleare slovena, al termine di una settimana di eventi sulla sicurezza nucleare svoltasi a Trieste. Giornate in cui la Regione Fvg, l'assessorato all'Ambiente ed Arpa Fvg hanno ospitato conferenze cui hanno partecipato gli esperti delle Autorità di sicurezza italiana e slovena (Ispra e Snsa) e dell'Associazione italiana di radioprotezione. Nel calendario degli eventi rientrava anche un incontro bilaterale Italia-Slovenia su Krsko, cui per la prima volta hanno preso parte la Regione Fvg e Arpa. Un contesto in cui Giovani ha trovato «elementi di rassicurazione» rispetto alla relazione tenuta nei giorni scorsi al Senato italiano dagli esperti Kurt Decker (austriaco), Livio Sirovich e Peter Suhadolc (triestini). Una relazione in cui si denuncia un rischio concreto per la struttura slovena, unica in Europa per il carattere sismico dell'area in cui sorge. «La criticità sismica è un fatto noto - dice Giovani -. Va detto però che la centrale ha risposto bene agli ultimi stress test, e a dirlo sono i tecnici europei e non quelli sloveni. Inoltre l'anno scorso sono stati conclusi ulteriori studi geologici e altri sono in programma». Secondo la fisica di Arpa «le centrali giapponesi hanno resistito a un sisma mille volte più potente del massimo possibile in Slovenia: se non ci fosse stato lo Tsunami avrebbe retto anche Fukushima. Mi pare ragionevole che anche una costruzione occidentale, con standard americani, come la centrale di Krsko possa reggere a sismi molto inferiore». Uno dei punti portanti della relazione al Senato, però, verteva proprio sulla critica alla Pga (Picco di accelerazione al suolo), il criterio per la valutazione del rischio sismico utilizzato nei test: «Non sono un geofisico quindi non posso entrare nel merito - commenta Giovani -. Quel che posso dire è che gli stress test sono andati bene all'Europa, laddove altre centrali sono state chiuse. La struttura è moderna e verrà ancora migliorata. È inoltre dotata di un impianto di aspirazione innovativo: gli sloveni sono stati i primi in Ue a installarlo, se fosse stato usato in Giappone si sarebbero evitati molti problemi». Ciò non vuol dire, ovviamente, che l'eventualità dell'incidente si possa escludere a priori. Arpa Fvg pone quindi l'accento sul sistema di monitoraggio presente sul territorio regionale, che include sei stazioni afferenti a diverse reti di sicurezza nazionali e regionali. «Senza contare il fatto che il sistema di contatti fra tecnici dei diversi paesi e di ispezioni europee è molto più efficiente e complesso rispetto a un tempo», dice Giovani. Nel corso della settimana di eventi si è parlato in generale di radioprotezione, un concetto che non si limita ai rischi derivanti da centrali od ordigni nucleari. La radiazione è presente, banalmente, anche nelle attrezzature di un qualsiasi dentista e, precisa Arpa, «ogni genere di incidente, dal grande al piccolo, deve essere gestito nella maniera corretta». I diversi aspetti sono stati trattati nel corso delle giornate di studio. Martedì, dopo l'incontro bilaterale, si è svolto nella sede della regione un pomeriggio di approfondimento sui piani di emergenza radiologica e nucleare in Fvg. A margine l'assessore all'Ambiente Sara Vito ha ricordato che l'impianto sloveno «è tenuto ad ottemperare a tutti gli obblighi internazionali in materia di sicurezza». Il direttore di Ispra Stefano Laporta ha affermato che l'impianto risponde agli standard vigenti, anche per quanto riguarda il rischio sismico. È emersa inoltre l'intenzione ormai consolidata delle autorità slovene di rinunciare al progetto di raddoppio della centrale, il cosiddetto Krsko2.

Giovanni Tomasin

 

La rivolta degli animalisti contro i cigni a Miramare «A rischio la loro salute. Gli altri sono morti per il troppo cibo gettato dai visitatori»
Lettera alle istituzioni per stoppare l’arrivo degli esemplari da ospitare nel laghetto
Gli animalisti si oppongono all’arrivo di una coppia di cigni nel laghetto di Miramare. E mettono nero su bianco le loro perplessità in una lettera indirizzata al ministero dei Beni culturali, alla presidente della Regione Debora Serracchiani, al Corpo forestale regionale, alla Riserva di Miramare, agli uffici del Castello di Miramare, ai referenti per la sanità animale dell’Azienda sanitaria e della Regione e agli organizzatori dell’iniziativa. Al centro della questione ci sono la tutela della sicurezza dei cigni da possibili attacchi predatori di altri animali ma anche da eventuali comportamenti scorretti dei visitatori. E, ancora, le condizioni del laghetto che li ospita che, a detta degli stessi animalisti, necessiterebbe di alcuni accorgimenti quali la recinzione e un ricovero per consentire ai cigni di ripararsi dalle intemperie e depositare le uova. «Ci si chiede poi come si pensi di supportare finanziariamente la manutenzione e la buona salute degli esemplari, quando altre parti del parco avrebbero necessità di un ripristino che non viene svolto, proprio per motivi finanziari», sostengono Lav, Lipu, Oipa, Leal, Liberi di Volare, Vegetariani e Vegani Muja, Naica e Lac. L’arrivo di “Mira” e “Mar” - così i triestini interpellati da un sondaggio su Facebook avevano deciso di chiamare i due cigni nati nel 2015 in un allevamento di Jesolo - è già fissato per domani alle 11 nel parterre storico del parco di Miramare. L’iniziativa è stata partorita dal gruppo Fb “Nimdvm” che, affiancato dai gruppi “Te son de Trieste se”, “Semo triestini e po bon” e “Volontari per Trieste pulita”, aveva avviato una raccolta fondi per acquistare le due bestiole e poi donarle a Miramare. «Si ricorda la triste fine dei cigni precedenti, con morti dovute al cibo scorretto dato dai visitatori, che» con i loro comportamenti «li hanno portati ad avere organi, come ad esempio il fegato, abnormemente ingrossati», scrivono sempre gli animalisti. «Ci sono stati poi episodi di vandalismo per ingenti danni sugli edifici storici del parco - aggiungono - e gravi eventi violenti in regione contro i cigni autoctoni, per bracconaggio o per alimentazione, che sicuramente non fanno star tranquilli». «Non è chiaro poi - sostengono gli stessi animalisti - chi si occuperà della qualità dell’acqua e del corretto apporto di regolari sostanze nutritive e chi sarà il responsabile veterinario della struttura». «Abbiamo chiesto indicazioni precise all’allevatore sulla dieta da somministrare ai cigni - spiega l’architetto Maurizio Anselmi, responsabile del parco di Miramare - e ci stiamo organizzando con i giardinieri. Nel prossimo contratto del verde che verrà rinnovato ad aprile sarà inserito anche l’onere per la gestione dei cigni». Fino ad allora sarà lo stesso gruppo Fb “Nimdvm” a farsi carico di fornire al parco il mangime per le bestiole. «Per la parte sanitaria stiamo dialogando con l’Enpa che già in passato ha ci ha fornito supporti preziosi - aggiunge Anselmi - e comunque ad aiutarci a vigilare sul parco c’è anche la Forestale». La direzione del parco fa sapere inoltre che è in via di progettazione una struttura che serva da ricovero per i cigni da collocare sull’isolotto al centro del laghetto. Verranno inoltre apposti dei cartelli che vietano di dare da mangiare cibo non idoneo ai cigni. «Varie generazioni di cigni hanno vissuto beatamente negli anni in quel laghetto che proprio per tale motivo porta questo nome», sostiene Alberto Kostoris, presidente del gruppo che ha organizzato la raccolta fondi per far ritornare i cigni a Miramare: «Ogni necessità per dare adeguato ricovero e sostentamento agli animali per quanto mi consta è stata posta in essere ed organizzata dalla direzione del parco".

Laura Tonero

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 21 ottobre 2016

 

 

Scatta l’operazione pedoni sicuri - Da via Caboto a via Locchi: duecentomila euro per nuovi attraversamenti protetti e per i sottopassaggi
Il Comune è pronto a varare l’operazione attraversamenti pedonali protetti. Operazione che prevede quasi una decina di interventi sul fronte della sicurezza dei pedoni e che andrà a toccare diverse aree della città. Da Barcola a Roiano, da Gretta a Valmaura, passando per la zona di via Locchi nel quartiere di San Vito.

Sul piatto una cifra complessiva di 200mila euro di fondi comunali già stanziati. Gli interventi scatteranno nel 2017 non appena saranno indetti i bandi di gara. Si procederà in base ad un criterio di priorità stabilito dalle maggiori criticità segnalate da cittadini e circoscrizioni. A iniziare da via Flavia, una situazione affrontata ieri mattina nel corso della seduta della IV Commissione consiliare, dove è stata discussa la mozione presentata dai consiglieri di Forza Itala Michele Babuder, Alberto Polacco e Piero Camber, focalizzata sulla «mancanza di attraversamenti pedonali nel tratto compreso tra l’incrocio con via Brigata Casale e l’intersezione con le vie Caboto, Carletti e Strada della Rosandra (circa 600 metri), dove a fronte di ben tre fermate degli autobus, non ci sono attraversamenti pedonali». Una situazione che - hanno sottolineato i firmatari del documento - «crea problemi all’utenza, ai residenti e in particolare alle persone anziane, che in una arteria molto trafficata devono fare i conti con una serie di rischi e pericoli». Ad annunciare in commissione la serie di interventi sono state gli assessori comunali all’Urbanistica, Luisa Polli e ai Lavori Pubblici, Elisa Lodi. «Partiremo con l’opera più urgente che prevede due attraversamenti pedonali protetti in via Flavia in corrispondenza delle fermate degli autobus - hanno spiegato Polli e Lodi -. Si tratterà di attraversamenti con segnalazioni luminose, barriere di protezione per i pedoni e al centro un’area spartitraffico. Poi procederemo in altre zone della città seguendo le indicazioni che abbiamo raccolto nelle diverse circoscrizioni. Sarà solo l’inizio di un percorso che abbiamo intenzione di incrementare ulteriormente». Ma nel programma della Giunta ci sono anche interventi di riqualificazione nei principali sottopassaggi pedonali. A iniziare da quelli maggiormente degradati, oggetto di una mozione specifica, vale a dire piazza Libertà, viale Miramare, all’altezza di piazzale 11 Settembre, e via Flavia, a ridosso degli impianti della Cittadella dello sport. Strutture, come è stato segnalato dai diversi consiglieri, che più volte «sono state oggetto di atti vandalici e imbrattamento alle pareti» e che «necessitano di interventi urgenti di pulizia, manutenzione straordinaria ed installazione di telecamere di sorveglianza». Così gli assessori comunali: «Il sottopassaggio di piazza Libertà sarà oggetto di un intervento complessivo che comprenderà anche la realizzazione di un impianto di telesorveglianza che si inserirà nel più ampio progetto di riqualificazione dell’intera area - hanno spiegato Lodi e Polli -. Per gli altri sottopassaggi ci saranno dei sopralluoghi per capire su quali fronti intervenire. Per quel che riguarda il sottopasso di via Flavia, il cui accesso è coperto dalla vegetazione, c’è da valutare se optare per un intervento di riqualificazione o se decidere per un passaggio pedonale in superficie».

Pierpaolo Pitich

 

 

Pescata record di orate - In due notti 10 tonnellate - Merito del cambio delle temperature del mare. Prezzi dimezzati in pescheria
Migliaia di cassette portate a riva dalle imbarcazioni degli operatori del golfo
Pescata record di orate nel golfo. A fare il “colpaccio” sono stati gli operatori dei pescherecci di Trieste che, come i colleghi di Grado e Monfalcone, la notte scorsa hanno portato a riva una quantità straordinaria: poco meno di sei tonnellate di orate. E benissimo era andata anche la notte precedente con circa 4 tonnellate di pesce pregiato portato a riva. Ma c’è pure un altro dettaglio che rende bene l’idea dell’eccezionalità del momento: una sola lampara, imbarcazione utilizzata per la pesca del pesce azzurro nel periodo estivo e non certo delle orate, ne ha riempito ben 600 cassette. «Una situazione piuttosto rara - spiega Michele Doz, presidente del Consorzio ittico del golfo di Trieste - anche se non si tratta di un fenomeno sconosciuto nelle nostre acque. Si può verificare soprattutto nei momenti di cambio di stagione, in particolare quando la temperatura scende piuttosto rapidamente, come sta accadendo in questi giorni. In questi casi - prosegue Doz - le orate escono dalle lagune e vanno altrove per riprodursi. In queste occasioni - precisa - assistiamo a quello che in gergo è definito il momento della “frega”, cioè le orate si muovo in gruppi e stanno molto vicine le une con le altre, creando una specie di sfregamento fra loro. In questi casi - conclude il presidente del Consorzio ittico - pescarle è ovviamente molto più facile». A livello scientifico, le orate sono descritte come specie ermafrodita, in quanto nella stessa gonade sono presenti territori maschili e femminili, in grado di maturare in tempi differenziati. L'area testicolare matura alla fine del secondo anno di vita, successivamente inizia a regredire e la parte femminile prende gradualmente il sopravvento, giungendo a maturazione nella stagione di frega successiva. Nelle acque italiane la riproduzione si svolge da ottobre a dicembre, quando la temperatura dell'acqua raggiunge valori compresi tra i 14 e i 16, ciò che sta accadendo in questi giorno nel golfo. La frega si svolge in mare con modalità collettive e più cicli di ovodeposizione. L'immediata conseguenza di questa sorta di pesca miracolosa è la caduta del prezzo di vendita al dettaglio: si è passati in pochi giorni da oltre 20 euro al chilo a meno di dieci. Inevitabile la corsa all'orata da parte di coloro che amano le orate ma non se le possono permettere. «È un momento di grande euforia nelle nostre pescherie - dice Guido Doz, storico operatore del settore - che fa bene a tutte le categorie che operano nel settore della pesca. Con una discesa così marcata e repentina del prezzo - aggiunge - la gente si precipita nei negozi e fa man bassa di questa pregiata specie di pesce». Un momento d'oro che non potrà durare molto a lungo, proprio perché il fenomeno è legato alla discesa della temperatura. «Abbiamo a disposizione tonnellate di orate - dice Livio Amato, presidente dei titolari di pescheria nell'ambito della Confcommercio - e confidiamo in un fine settimana di buoni affari».

Ugo Salvini

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 20 ottobre 2016

 

 

Greensisam-Comune - Guerra davanti al Tar

La società contesta la revoca del permesso a costruire firmata dalla giunta e chiede che il Municipio si faccia carico di tutte le spese per le infrastrutture
Resta nel congelatore della storia la parte più pregiata del Porto vecchio. Nei cinque magazzini storici più vicini a piazza Libertà negli ultimi cinquant’anni non è stato battuto un chiodo, ma in compenso i faldoni dei progetti mai realizzati e soprattutto della cause giudiziario amministrative celebrate o intentate potrebbero riempirli quasi per intero. Greensisam, la società di cui è unico socio Pierluigi Maneschi e che li ha in concessione per novant’anni, non intende e forse non ha nemmeno la liquidità per infrastrutturare l’area. A propria volta il Comune, come si legge a fianco, non ha i soldi e comunque sia non pensa di doverlo fare. La situazione, dopo la “fuga” dei soci svizzeri di Maneschi che però non si sono mai palesati pubblicamente, è di stallo totale. In compenso continua la battaglia giudiziaria. Greensisam annuncia ora di aver intentato una nuova causa amministrativa dinanzi al Tar nei confronti del Comune di Trieste. Obiettivo: invalidare la revoca, emessa il 21 luglio 2016, del permesso a costruire che era stato invece rilasciato dalla precedente amministrazione. Qualora il Tar desse ragione a Greensisam i lavori però non partirebbero comunque, ma secondo il ragionamento della società si renderebbe evidente che il Comune è obbligato a dar corso alle opere di infrastrutturazione (allacciamenti idrici, fognari, elettrici, telematici, collegamenti viari, ecc.) «In base alla legge urbanistica - sostengono testualmente fonti Greensisam - le opere di urbanizzazione primaria o già esistono oppure le deve fare il Comune o comunque esso deve pretendere l’impegno degli interessati ad eseguirle. È evidente che la nuova situazione che si è venuta a creare per effetto della sopravvenuta legge (l’emendamento Russo, ndr) comporta che, visto il disimpegno dell’Autorità portuale e vista l’esistenza di un Permesso di costruire senza prescrizione di opere di urbanizzazione, poteva solo significare che le stesse sarebbero rimaste a carico del Comune e che questo avrebbe semmai dovuto sospendere l’efficacia del permesso ed andare ad approvare il progetto delle opere da eseguire. Sicuramente non avrebbe dovuto revocarlo “sic et sempliciter”. Appare evidente - conclude Greensisam - che il Comune da un lato ha voluto difendere l’operato difettoso del precedente amministratore e dall’altro ha inteso sottrarsi a un obbligo che per legge è, senza ombra di dubbio, a suo carico». Il Comune, come si vedrà, racconta però un’altra storia e chi ci capisce qualcosa è bravo. Greensisam aveva già fatto causa sia al Comune che all’Autorità portuale per il mancato rilascio del permesso a costruire e aveva vinto in primo grado, ma perso in appello. Aveva chiesto anche un maxirisarcimento danni all’Autorità portuale: 11 milioni di euro. Il Tar il 21 novembre 2014 aveva stabilito che il danno c’era stato, ma la cifra doveva fermarsi a un milione e 700mila euro. Neanche un euro è dovuto aveva invece sentenziato il Consiglio di Stato il 20 gennaio 2016 e l’Authority al cui vertice nel frattempo Zeno D’Agostino era subentrato a Marina Monassi aveva tirato un sospiro di sollievo. Il Comune era invece già stato scagionato in primo grado. «Va ascritto a scelta della società odierna appellata (Greensisam, ndr) - avevano scritto i giudici di secondo grado nella sentenza - l’aver seguitato a insistere con l’Autorità portuale affinché ponesse in essere attività ulteriori non previste dalla convenzione, intese all’acquisizione del titolo ad aedificandum e dei connessi pareri di compatibilità, piuttosto che attivarsi presso le autorità all’uopo preposte (Comune di Trieste, Regione Friuli Venezia Giulia e Soprintendenza per i Beni culturali e paesaggistici) perché esercitassero le rispettive competenze». Non bastasse tutto questo compreso il ricorso appena presentato, Greensisam rivela ora che ne è pendente un altro ancora avanzato il 15 aprile 2015 sul quale i giudici non si sono ancora pronunciati e che intende far accertare che il Permesso di Costruire del 31 luglio 2014 era «inefficace e non eseguibile perché rilasciato in difetto delle opere di urbanizzazione ed in violazione di quanto previsto dall’Art. 22 della L.R. 19/2009 e per le quali non risultava esserci ancora alcun progetto esecutivo approvato». «Aveva anch’esso lo scopo - precisa Greensisam - di sollecitare chi di dovere a fare quanto necessario per rendere efficace ed eseguibile il progetto, ma nessuno si è fatto carico del problema».

Silvio Maranzana

 

La vicenda - La telenovela iniziata nel lontano 1999 per realizzare la sede del Lloyd Triestino
Il “calvario” di Greensisam comincia 17 anni fa, per la precisione il 22 dicembre 1999, quando l’ex sindaco Riccardo Illy suggerì al Lloyd Triestino / Evergreen di utilizzare un’area del Porto Vecchio per costruire la nuova sede della Compagnia e, ove possibile, ampliare il progetto e costruire una “ cittadella polifunzionale “ dove oltre alla nuova sede del Lloyd Triestino collocarvi anche altri Centri Direzionali del Gruppo.

Dopo aver ottenuto un atto di sottomissione già nel 2001, il 23 novembre 2004 la Greensisam società nata per sviluppare iniziative di Evergreen, ebbe la concessione demaniale della durata di novanta anni per realizzare un imponente complesso polifunzionale che prevedeva la ristrutturazione di cinque magazzini situati all’inizio del Porto Vecchio, lato città. Il progetto edilizio presentato dalla Greensisam il 30 maggio 2006, passando attraverso traversie di ogni genere, approdò al Permesso di costruire in data 31 luglio 2014. Sfumata la possibilità di realizzarvi la sede Evergreen per l’Europa meridionale e il Mediterraneo, il progetto Greensisam prevede ora la creazione di una passeggiata frontemare con una copertura a navate trasparenti di due viali, la creazione di una piscina di acqua di mare, un percorso per il jogging e di un'area wellness. Nel magazzino più arretrato rispetto al mare dovrebbe essere creato un parcheggio multipiano. Negli altri, negozi, botteghe, studi professionali, uffici, forse alberghi e residenze.

(s.m.)

 

La giunta tira dritto «Richieste assurde» - «Autorizzazione negata su richiesta del concessionario»
Polli svela l’esistenza di un accordo “segreto” con il gruppo
«Abbiamo revocato il permesso a costruire a Greensisam perché era stata la società stessa a fare richiesta formale di annullamento». Luisa Polli, assessore all’urbanistica spiega così il provvedimento emesso dal Comune il 21 luglio. La questione assume ancor di più toni kafkiani, ma lo stato attuale delle cose è tremendamente chiaro: «Non ne avremmo la capacità finanziaria - spiega Polli - ma comunque non riteniamo sia obbligo del Comune fare l’infrastrutturazione di un’area in gestione a un privato». In effetti Greensisam ritiene quel permesso «inefficace e non eseguibile perché rilasciato in difetto delle opere di urbanizzazione». «Il vero punto della questione - sostiene l’assessore - è che la società non ha mai voluto ritirare il titolo a costruire mentre poteva farlo già nel 2014 quando l’area era ancora di pertinenza dell’Autorità portuale che quelle opere si era dichiarata disponibile a realizzarle come dimostrato dalla stessa convenzione che era stata firmata tra Greensisam e l’Authority che ha alle spalle un ministero il quale evidentemente aveva dato il via libera al finanziamento dell’operazione. Non è certo compito e tantomeno obbligo del Comune - il punto di vista di Polli - ereditare quella che era stata una convenzione stipulata tra Greensisam e l’Autorità portuale e che evidentemente ha valore soltanto per i due contraenti». La narrazione di Greensisam su questi punti è la seguente: «Nel dicembre 2014 veniva promulgata la legge di stabilità 2015 che prevedeva lo spostamento del regime giuridico internazionale del Punto franco dal Porto vecchio con conseguente sdemanializzazione delle aree portuali, ivi inclusa quella relativa al progetto Greensisam, e successiva assegnazione di dette aree al patrimonio del Comune di Trieste. Comunque la legge precisava che venivano fatti salvi i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti di concessione di durata superiore a quattro anni. A seguito di ciò, nel febbraio del 2015, l’Autorità portuale, che precedentemente si era presa l’impegno formale di eseguire le opere di urbanizzazione, comunicò al Comune di Trieste il proprio disimpegno viste le sopravvenute disposizioni inserite nella legge di stabilità. Ma a conferma che nessuno si voleva far più carico del problema il 21 luglio 2016 il Comune di Trieste ha deciso di revocare alla Greensisam il Permesso di costruire rilasciato il 31 luglio 2014 dalla precedente amministrazione in quanto, a suo avviso, erano venuti meno i presupposti, per sopravvenuta normativa, che avevano portato al suo legittimo rilascio. In altre parole - conclude Greensisam - il Comune, invece di attivarsi per rendere efficace ed eseguibile e quindi commerciabile, il Permesso di costruire, ha preferito annullarlo con un colpo di spugna». «L’infrastrutturazione - ribatte l’assessore Polli - ha costi astronomici e richiede l’intervento di investitori privati. Sarebbe poi impossibile una preventiva realizzazione perché le tipologie degli allacciamenti e degli impianti variano a seconda degli insediamenti previsti nei singoli magazzini. Il Comune intende realizzare esclusivamente un “canale” centrale di attraversamento dell’area». Dei famosi 50 milioni per il Porto vecchio stanziati dal Ministero per i Beni culturali e approvati dal Cipe, 15 dovrebbero servire appunto per l’infrastrutturazione (solo una parte data la cifra, ndr), la cui progettazione, è stato stabilito nella prima seduta del Tavolo romano è a carico dell’amministrazione comunale ma con successiva verifica degli uffici regionali. «Di quei 50 milioni, di cui una parte potrebbe servire per la bonifica del torrente Chiave (sfocia proprio davanti alla cittadella Greensisam, ndr) abbiamo effettivamente constato la pubblicazione in Gazzetta ufficiale - conclude Polli - ma attendiamo appena l’indicazione sulla declinazione degli importi nelle diverse voci da parte del ministero». Gli altri 35, è stato ribadito sempre nell’incontro romano dovranno servire per il Polo museale cioé un attrattore internazionale da creare nel Magazzino 26 dove attuare anche lo spostamento del Centro internazionale di Ingegneria genetica e Biotecnologia (Icgeb), oltre che per il recupero del pontone galleggiante Ursus.

(s.m.)

 

 

Conconello “liberata” dalle prime antenne
Dopo quarant’anni via intanto due tralicci, spostati in zona Monte Belvedere. Potenza ridotta alle strutture per ora rimaste
TRIESTE Ci sono voluti quasi 40 anni per arrivare ad ottenere (un po’ di) giustizia a Conconello. Da ieri gli abitanti della verde frazione da cui si gode una delle viste più mozzafiato sul nostro golfo, nonostante la minacciosa presenza degli enormi ripetitori su cui sono installati quaranta impianti di radiodiffusione sonora e televisiva, sono stati alleggeriti di due tralicci, reinstallati su due nuovi piloni dell’altezza di circa 60 metri collocati in un terreno di proprietà comunale in zona Monte Belvedere, finalmente lontano dal piccolo centro abitato. Una significativa azione resa possibile grazie al protocollo d’intesa sottoscritto nel 2014 tra Regione, Comune di Trieste e tre soggetti privati: Radio Punto Zero srl, Gestione postazioni Nordest srl (riconducibile a Radio Radicale) e Monte Barbaria srl. Seppur in posizione più defilata rispetto alle case, rimangono dunque gli enormi tralicci che ospitano le frequenze di Rai Way, Mediaset e Telecom spa. «Alle antenne per ora rimaste, ma per le quali già è previsto il trasferimento, è stata comunque ridotta la potenza emissiva: di conseguenza, già con queste prime misure i valori elettromagnetici monitorati sono pienamente nella norma», ha fatto sapere in una nota l’Arpa regionale. In ogni caso l’Agenzia per l’ambiente sta continuando a monitorare con costanza la situazione per evitare possibili sforamenti e dunque «scongiurare ogni eventuale effetto sulla salute della popolazione residente». Dalla Regione la presidente Debora Serracchiani, firmataria del documento d’intesa sottoscritto anche dagli assessori all’Ambiente Sara Vito (Regione) e Umberto Laureni (all’epoca per il Comune di Trieste), è più che soddisfatta: «Le antenne stanno sparendo dal centro abitato di Conconello. Il protocollo, prevedendo di delocalizzare i tralicci in un’area lontana dalle case, sta funzionando. In questo modo, nell’interesse dei cittadini e della salute pubblica, gli impianti radioelettrici saranno finalmente gestiti in modo assolutamente conforme alla normativa e nel pieno rispetto dell’ambiente, scongiurando i rischi di un potenziale inquinamento elettromagnetico». Una decisione, quella di spostare gli impianti, che ha trovato sostanzialmente d’accordo le tre società private. Filippo Busolini, fondatore di Radio Punto Zero, già all’indomani della sottoscrizione del protocollo aveva espresso il suo accordo nel lasciare la vecchia location, previa fideiussione bancaria di 150mila euro a garanzia dell’esecuzione dei lavori. La motivazione? Nella nuova location vi sono spazi più adeguati, un fattore fondamentale per evitare il sovraffollamento che nel sito precedente, soprattutto nei mesi estivi, dava origine a surriscaldamenti dei sistemi responsabili di rotture e danni alle apparecchiature presenti. Infine, il segnale di ricezione offerto sarà decisamente di qualità migliore per i radioascoltatori.

Riccardo Tosques

 

Ultima campagna antirabbica sulle volpi

Dal 15 novembre il lancio delle esche vaccinali sul Carso triestino e goriziano. Deciso lo stop dal 2017 dopo oltre vent’anni
L’Azienda sanitaria raccomanda di non toccare assolutamente gli involucri
TRIESTE Sorvoleranno il Carso triestino e goriziano lanciando centinaia di esche a base di pesce e grasso animale. Stanno già scaldando i motori gli elicotteri dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie che a partire dal 15 novembre inizieranno le operazioni di vaccinazione orale delle volpi del Friuli Venezia Giulia. La campagna autunnale, che interesserà anche la porzione della provincia di Udine posta sul confine con la Slovenia, sarà l’ultima, dopo oltre vent’anni di attività preventiva: la rabbia infatti pare oramai scomparsa dal Friuli Venezia Giulia. Circa 25 per chilometro quadrato. Questo il numero di esche vaccinali che verranno calate dagli elicotteri tramite alcune sofisticate apparecchiature automatizzate. Riconoscerle sarà piuttosto semplice. Oltre a recare la scritta “non toccare vaccino antirabbico”, l’esca, distribuita allo stato di congelamento, avrà la forma di un piccolo parallelepipedo di colore scuro. Il vaccino invece sarà racchiuso in un blister (l’involucro trasparente incollato su un foglietto di alluminio) immerso in una mix di farina di pesce e grasso animale, due elementi necessari per attrarre i canidi ad ingerire il vaccino. «Le esche non devono assolutamente essere toccate: l’eventuale accidentale contatto diretto richiede un accurato lavaggio delle mani con acqua e sapone e successiva disinfezione, fermo restando che è preferibile rivolgersi al proprio medico di fiducia o al Servizio di Pronto soccorso ospedaliero», puntualizza in una nota l’Azienda sanitaria. Le attività della campagna regionale saranno coordinate dal punto di vista organizzativo dall’Istituto zooprofilattico delle Venezie. Una volta completata la distribuzione delle esche, l’Istituto comunicherà il programma di campionamento per il monitoraggio della vaccinazione delle volpi, indicando le aree effettivamente sottoposte ad intervento; successivamente le guardie forestali e venatorie effettueranno il prelievo attivo delle volpi, che saranno inviate per i necessari controlli di laboratorio all’Istituto zooprofilattico competente per territorio; anche le carcasse di volpi e altre specie animali quali faine, tassi, martore e ratti, rinvenuti morti nella stessa area, se in buono stato di conservazione, saranno inoltrati per le necessarie verifiche. Ma cos’è esattamente la rabbia? È una malattia infettiva, causata da un virus che colpisce gli animali selvatici e domestici. Serbatoio naturale del virus è proprio la volpe. La rabbia si può trasmettere all’uomo e ai cani tramite contatto con la saliva dell’animale infetto, di solito tramite il morso. Il virus penetra nell’organismo, infettando il sistema nervoso con conseguenze che possono essere gravi, se non si interviene immediatamente. Dal 1979 la provincia di Trieste è stata interessata da diverse epidemie di rabbia. La vaccinazione orale annuale delle volpi, praticata con regolarità dal 1994, ha fatto sì che dal 2005 al 2008 nell’area non si registrassero nuovi casi. Nel 2008 la rabbia è però ricomparsa in Carnia, per diffondersi poi nella provincia di Pordenone, nel vicino Veneto, e, dall’ottobre 2008, anche in quella di Trieste, con un caso di positività in una volpe rinvenuta morta vicino a Gropada. Nel 2010 in Fvg gli esemplari coinvolti da positività sono stati 14. L’ultimo caso di rabbia nelle regioni del Triveneto, nel Bellunese, risale al 14 febbraio 2011. Dati che hanno fatto propendere per effettuare tra poche settimane l’ultimo lancio di esche. Dal primo gennaio 2017 il piano di vaccinazione non verrà infatti più effettuato. L’attività di controllo verterà esclusivamente sulla sorveglianza, volta a individuare la presenza di volpi morte e il conseguente rilevamento di possibili nuovi casi di rabbia.

Riccardo Tosques

 

 

Trasporti “green” Fiume acquista dieci bus ecologici
FIUME - L'amministrazione del sindaco Vojko Obersnel continua la campagna finalizzata alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti a Fiume e alla maggiore mobilità dei cittadini.

Un passo significativo in tal senso è l'acquisto di 10 nuovi autobus a gas naturale compresso (GNC) al servizio dell'azienda municipalizzata per i trasporti urbani e suburbani Autotrolej. Il relativo contratto è stato firmato a Palazzo Municipale dallo stesso sindaco,dal direttore dell'Autrolej Marin Raj›i„ nonchè dai direttori delle due aziende fornitrici. Vale a dire Robert Vrhovski della “Autobus” e Mario Fabek dell'”Auto Hrvatska”. «Grazie a quest'ultimo acquisto - così il primo cittadino di Fiume Vojko Obersnel - il parco autobus a GNC dell'Autotrolej salirà a 40 tenuto conto che 30 sono già in servizio per cui si prospetta una notevole riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera». Aggiungiamo che al momento il 50% delle corriere del trasporto pubblico nel capoluogo quarnerino sono ecologici come contemplato dal Patto dei sindaci, il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali. Il patto è stato firmato nel 2009 con lo scopo di aumentare l'efficienza energetica e l'impiego di fonti energetiche rinnovabili sul territorio di competenza. Inoltre l'acquisto di mezzi a propulsione ecologica rientra nel Piano d'azione energetico per lo sviluppo sostenibile della Città di Fiume per il quale ha ottenuto nei giorni scorsi 50 milioni di euro dai meccanismi europei di integrazione degli investimenti territoriali (ITU). Il valore complessivo dei 10 nuovi autobus che entreranno in circolazione la primavera prossima, si aggira su 3,34 milioni di euro. Quattro dei nuovi bus saranno del tipo urbani semplici, poi due midi bus e quattro a doppio snodo. Tutti sono a pianale ribassato, climatizzati e dotati di motore Euro 6. Nelle città europee sono in circolazione sui 10.000 autobus dello stesso tipo. La qualità dei veicoli viene testimoniata dal riconoscimento “MAN Bus of the Year”, un premio che viene assegnato dall'Association of Commercial Vehicle Editors.

(p.r.)

 

Il trenino cassato definitivamente - Bucci: «Nei giorni della Barcolana circa venti passeggeri a corsa. Soldi buttati»
Non arriverà mai “quasi” a Barcola. Il trenino del Porto vecchio finisce definitivamente su un binario morto. Neppure la Barcolana è riuscita a resuscitarlo. A scrivere il necrologio definitivo del Tramway Porto vecchio è l’assessore Maurizio Bucci.

«Con la presenza oceanica di centinaia di migliaia di persone alla Barcolana, il trenino messo a servizio per tutta la durata dell’evento ha prodotto circa 20 passeggeri a viaggio, lascio a voi la valutazione» scrive sulla sua pagina Facebook il 14 ottobre. «Parliamo di cose serie. Il trenino non esiste. Soldi buttati via» aggiunge ora l’assessore impegnato a riportare a Trieste piuttosto il “Citysightseeing”, il pulmino turistico rosso e magari ad attivare un servizio con bus elettrico. Questi “ferrovecchi” che corrono su rotaie non gli interessano. «Sono macchine folcloristiche vecchie che consumano e inquinano. Potevano andare bene come attività di propaganda» aveva decretato a fine luglio annunciando la cancellazione del trenino che aveva iniziato le corse solo il 10 giugno, poi riabilitato un mese dopo ma solo per il periodo della Barcolana e con un biglietto da un euro a corsa. E ora, archiviata la Coppa d’Autunno, argomento chiuso, a dispetto delle raccolte di firme e delle cifre di spesa. E se il sindaco era parso possibilista, l’assessore pare irremovibile. Il trenino, che secondo i due esponenti della giunta costerebbe dai 200 ai 300mila euro, può tornare in museo. E le erbacce potranno tornare a crescere lungo il chilometro e mezzo di binari, tra il Molo Quarto e la Centrale idrodinamica (dov’è allestita la Mostra sulle navi del Lloyd) e vicino al Magazzino 26 destinato a diventare il polo museale della città. In teoria esistono già anche i binari per prolungare il trenino fino alle società sportive di Barcola e farne così un mezzo di trasporto al servizio dei bagni estivi. Un intervento bocciato senza appello dal sindaco Dipiazza in persona. «Per fare questo tratto - ha dichiarato in un video - servono 300mila euro». Una cifra contestata dagli addetti ai lavori di Ferstoria: «Nella prima parte del percorso sono stati spesi 100mila euro. Per raggiungere Barcola il preventivo risultava essere di 120mila e non di 300mila. Nemmeno sommando i due interventi si arriva alla cifra “monstre” di 300mila euro». E si potrebbe anche risparmiare visto che c’è, fanno sapere, «la disponibilità di alcune aziende ad effettuare gratuitamente i lavori di sfalcio e pulizia, assieme ai volontari di Ferstoria, nel tratto fino a Barcola». L’importante è dare i numeri. Tecnicamente il Tramway Porto vecchio Trieste ha fatto 208 corse senza il minimo problema tecnico e senza saltare nemmeno una corsa. Tramvay Tpv è composto da due carrozze del tipo “Schlieren” (costruite in Svizzera) entrate in servizio attorno al 1960 sui convogli regionali austriaci. I due locomotori diesel sono stati costruiti dalla Antonio Baldoni di Lecco tra gli anni Cinquanta e Sessanta. «Quasi 6000 passeggeri trasportati in un senso, che significa circa 12000 nei due sensi durante la Barcolana, 6000 firme raccolte in due mesi, 1700 visitatori alla mostra del “Lloyd. Le navi di Trieste nel mondo”: bastano questi tre semplici dati per raccontare la storia di un successo della città tutta. E un solo messaggio: bellissimo e continuate così fino a Barcola» fanno sapere da Ferstoria. Quasi a Barcola. E, tanto per farsi mancare niente, è arrivato l’affondamento della mostra “Lloyd. Le navi di Trieste nel mondo”. «Abbiamo speso 400mila euro e c’era qualche migliaio di giovani» ha dichiarato Dipiazza in un incontro con i giovani. «Quasi 400mila euro per una mostra che prima della Barcolana aveva fatto segnare appena 8mila visitatori è un po’ eccessivo» chiosa l’assessore alla Cultura Giorgio Rossi che avrebbe preferito un’altra location. «La Centrale Idrodinamica è già di per sè un museo- aggiunge l’assessore alla Cultura -, io avrei pensato piuttosto al vicino Magazzino 26». Tutti pensano sempre e solo al 26.

(fa.do.)

 

Geopedalando su quattro percorsi carsici Iniziativa divulgativa al via da Basovizza

Scoprire, attraverso l’osservazione dell’ambiente e con l’aiuto di geologi, che la Val Rosandra 60 milioni di anni fa era un’isola semisommersa dal mare. Questo l’esempio che meglio rappresenta l’iniziativa “Geopedalando in Friuli Venezia Giulia”, partita ieri dal Centro didattico naturalistico di Basovizza.

L’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito (nella foto), presente allo start del tour dedicato alla Val Rosandra, ricordando la recente approvazione della legge sui geositi «che colma un vuoto normativo sulla tutela del patrimonio ambientale», ha sottolineato come la manifestazione rientri nell’opera divulgativa e formativa del Servizio geologico regionale. Geopedalando propone poi altri tre percorsi. Ci sono gli 8 chilometri del tracciato del Lago di Doberdò. Un terzo itinerario parte dall’inizio del sentiero Rilke per proseguire nel bosco di lecci di Cernizza. Il quarto percorso comprende i 40 chilometri del tratto tra Aurisina e Prosecco.

 

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 19 ottobre 2016

 

 

Rimangono in vigore i divieti sul rio Ospo

A Muggia gli effetti dell’ordinanza validi ancora per qualche giorno. Il Comune: «Presto le analisi»
MUGGIA - In attesa che l’Arpa effettui una analisi delle acque, sul rio Ospo permarrà ancora per qualche giorno l’ordinanza sindacale che prevede una serie di divieti, tra i quali pescare e dar da mangiare agli animali. Rimane parzialmente off-limits dunque il torrente reduce quest’estate dalla presenza di botulino C, una tossina che ha provocato la moria di una trentina di germani reali e di diversi baby-cigni. Richiamando la comunicazione dell’Asuits - Servizio sanità animale, Igiene degli allevamenti e delle Produzioni zootecniche, il Comune di Muggia aveva disposto un’ordinanza la cui validità sarebbe terminata quando le condizioni climatiche, ossia le temperature elevate e lo scarso ricambio delle acque nel rio Ospo, avrebbero scongiurato l’allora elevato rischio di sviluppo di Clostridium Botulinum con conseguente presenza di neurotossine botuliniche negli animali acquatici e in quelli che su di essi basano il loro ciclo alimentare. «Per quanto sia evidente che negli ultimi giorni le temperature siano cambiate - fa sapere l’assessore all’Ambiente Laura Litteri - a titolo puramente precauzionale si è ritenuto di non revocare l’ordinanza sino all’effettivo inizio della stagione autunnale. Sono solo pochi giorni, che presenteranno però delle condizioni climatiche più stabilizzanti per quanto riguarda la situazione dell’area interessata». Temperature più basse e ricambio delle acque più significativo, infatti, sono gli elementi per scongiurare il rischio di sviluppo del germe. La questione è stata affrontata anche dal punto di vista politico da parte di Roberta Vlahov (Obiettivo comune per Muggia) e Giulio Ferluga (Lega Nord), i quali, attraverso un’interrogazione, hanno chiesto al sindaco Laura Marzi di avere una «esaustiva relazione di quanto emerso dalle analisi, impegnandosi a tracciare, di concerto con chi di dovere, una linea di successivi riscontri sulla qualità delle acque del fiume di rio Ospo, per tutta la sua lunghezza, in cadenze regolari, in modo da monitorare lo stato di eventuali agenti inquinanti ed escludere un possibile reiterarsi della grave situazione». Sulle analisi dell’acqua dell’Ospo, l’assessore Litteri evidenzia come queste non siano ancora state effettuate: «Il Comune di Muggia si era attivato immediatamente contattando l’Arpa per un’analisi dell’acqua che, nel caso specifico, come confermato dall’Ente stesso, sarebbe però stata inutile in quella circostanza specifica. Superata l’emergenza e passata l’estate, con la ripresa delle condizioni climatiche basilari, si potrà procedere a un’azione di verifica dello stato delle acque». Intanto dall’Enpa di Trieste, la presidente Patrizia Bufo fa intendere che la situazione si sia finalmente normalizzata: «Dopo l’ordinanza emessa dal Comune abbiamo ricevuto ancora un paio di segnalazioni di germani ammalati. Poi basta. Non siamo stati più contattati e non mi risulta che siano stati segnalati ulteriori animali deceduti».

(ri.to.)

 

 

Abitazioni - Econdominio esamina i consumi energetici

Econdominio, in collaborazione con Anaci e con “Sole 24 Ore”, organizza per oggi pomeriggio alle 17.30 alla Camera di commercio un convegno dedicato all’efficienza energetica, dal titolo “Riqualificare il condominio in qualità”. Relatore Fabrizio Ferrari, dirigente della società specializzata in diagnosi energetiche.

 

 

Lovat - La geologia del golfo di Trieste
Settimana della Terra dalle 9 Info e programma su www.settimanaterra.orgPer la Settimana del pianeta Terra sono davvero tanti i geoventi organizzati dall’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale. Il programma di oggi: dalle 9 alle 18 è aperta alla Camera di commercio la mostra fotografica “Obiettivo ghiacciai: una bellezza che sta scomparendo”, che accompagna i visitatori dalle Alpi ai Poli alla scoperta dei ghiacciai. Dalle 18 alle 19 ci si sposta alla libreria Lovat per parlare della geologia del golfo di Trieste. «Il golfo è un archivio di informazioni geologiche che in alcuni casi possono essere più facilmente accessibili rispetto a quelle a terra. Per ottenere queste informazioni utilizziamo il metodo sismico, concettualmente simile all’ecografia usata in medicina, da cui si ottengono immagini acustiche che investigano il sottosuolo fino a diversi chilometri di profondità e per decine di chilometri di lunghezza» spiega la ricercatrice e relatrice Martina Busetti.

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 18 ottobre 2016

 

 

Il Comune congela il Piano del traffico

Polli: «Serve una nuova consultazione aperta a tutti i portatori d’interesse Inascoltate alcune componenti. E per via Mazzini non escludo i bus elettrici»

Congelato. Il Piano del traffico, approvato dal Consiglio comunale nel luglio del 2013 e quindi nell’era della giunta Cosolini al governo della città, resta ora in stand-by, al netto delle parti già messe in atto: ad esempio, in via Torrebianca, via XXX Ottobre e dintorni, o in via della Sorgente, via delle Erbette e via Foschiatti e così via. La strategia intrapresa sul punto dall’amministrazione Dipiazza è infatti quella di «riascoltare tutti i soggetti interessati» dalle modifiche alla viabilità nell’ottica di una visione complessiva della mobilità cittadina. A fare chiarezza sulle intenzioni dell’esecutivo insediatosi il primo luglio di quest’anno è l’assessore con delega all’Urbanistica, Luisa Polli: «Voglio avere per prima cosa la fotografia delle reali esigenze dei diversi portatori d’interesse, dai pedoni agli esercenti, alle circoscrizioni, per decidere poi se andare avanti o fare un passo indietro rispetto alle scelte prese. Per il Piano del traffico non tutte le componenti sono state ascoltate: non si è tenuto conto di quanto segnalato da qualche realtà». Ma la cosa che più ha sorpreso Polli, per sua stessa ammissione, «è vedere come l’attuazione del Piano sia passata subito alla fase di via Mazzini con i test pedonali (poi cassati dall’esecutivo Dipiazza, ndr). E le fasi precedenti? Me lo sto chiedendo». Il Piano del traffico approvato e vigente prevede la pedonalizzazione di via Mazzini - ad eccezione del tratto da via Roma alle Rive - e un corso Italia dedicato esclusivamente al traffico del trasporto pubblico locale, con autobus e taxi a circolare in entrambe le direzioni di marcia lungo nuove corsie. Adesso, tutto questo viene messo nuovamente in discussione. E di discussioni sul Pgtu negli anni ce ne sono state eccome. Anche quando Dipiazza era sindaco prima dei cinque anni cosoliniani: si ricorderanno, su tutto, la consulenza affidata al professor Roberto Camus e la redazione da parte del professionista del nuovo Piano, poi mai applicato e infine bocciato dallo stesso primo cittadino con risoluzione del contratto nel 2008, il tutto seguito da una nuova versione presentata proprio da Dipiazza. Ne erano seguite polemiche, a più riprese, e anche la procura della Corte dei conti aveva posato la sua lente d’ingrandimento sui quasi centoventimila euro versati a Camus: la giustizia contabile aveva poi sentenziato come i soldi fossero stati spesi correttamente, legittimando l’operato dell’amministrazione. «A breve - riprende Polli - incontrerò anche Confcommercio. Su via Mazzini una soluzione potrebbe essere quella dei bus elettrici: più leggeri e quindi in grado di non provocare le odierne vibrazioni, oltre che meno rumorosi e più ecologici». Dunque, non è escluso un dietrofront in questo senso, sebbene i bus rispettosi dell’ambiente a disposizione di Trieste trasporti siano in numero limitato al momento. «Vedremo. Possiamo intanto dire che viene congelato tutto. Non per bocciare il Piano ma perché alcune parti forse andranno riviste in base alle emergenze che saranno segnalate dal territorio - sottolinea l’assessore leghista -. Altrimenti si rischia di scontentare tutti. Ci sono contraddizioni, differenze di vedute fra le diverse categorie di soggetti. Un’analisi sulle fermate dei bus, per esempio, non l’ho trovata». Polli continuerà a operare sul tema in stretta connessione con l’assessore ai Lavori pubblici, Elisa Lodi: «Vedremo quali opere saranno necessarie e se calendarizzarle quest’anno o il prossimo». Nel discorso complessivo entrano anche i parcheggi, in particolare quelli in contenitore, sottoutilizzati in più di un caso. Il traguardo, conferma Polli, resta quello di «togliere i veicoli dalla superficie per quanto possibile» e di usare sempre più le strutture: «Abbiamo park, e penso al Giulia o a via Locchi, che sono vuoti per la gran parte dei posti. Una situazione che va studiata, magari incentivandone l’utilizzo tramite servizio bus navetta o spingendo sul trasporto pubblico locale, uno dei migliori, se non il migliore in assoluto, in Italia».

Matteo Unterweger

 

Quasi settantamila euro spesi per i P-days Forza Italia: «Troppi disagi, giusto lo stop» - la sperimentazione cassata

Un esborso complessivo di 66.791,93 euro, di cui 10.059,80 a carico del Comune e 56.731,33 in capo a Trieste trasporti. Questo il costo finale della sperimentazione di via Mazzini e via Imbriani pedonali, decisa dalla precedente amministrazione Cosolini e cassata poi dalla giunta Dipiazza.

Si tratta di spese sostenute fra il primo gennaio del 2014 e sino al 31 luglio 2016. L’assessore Luisa Polli ha risposto così al quesito specifico rivoltole in aula, attraverso un’interrogazione, dai consiglieri di Forza Italia Piero Camber, Alberto Polacco e Michele Babuder. «Il Comune ha speso per il pagamento del personale impegnato nelle operazioni di posa e lievo della segnaletica stradale e delle transenne necessarie alla chiusura dei varchi - riassume il consigliere Polacco -. Trieste Trasporti, società controllata dal Comune stesso, negli anni 2015 e 2016 ha sopportato l’esborso per i maggiori oneri chilometrici, mentre per il 2014 le spese erano state compensate con una riduzione delle corse. L’esperimento è costato quasi settantamila euro e, tenuto conto degli esiti, non si può proprio parlare di un investimento positivo in termini di riscontro avuto riguardo ai gravi disagi sopportati dai cittadini, che hanno portato l’attuale amministrazione alla decisione di interrompere questo costoso e inutile esperimento in attesa di una modifica complessiva del traffico in città. È intenzione di questa nuova amministrazione comunale confrontarsi sempre prima di adottare iniziative».

 

«Il vero problema sono i parcheggi» - Da più parti si sottolinea la difficoltà nel trovare spazi dove lasciare auto e moto
E se via Mazzini tornasse pedonalizzata? Orrore. I commercianti ne risentirebbero, i triestini abitudinari e anziani sarebbero altamente scocciati per lo spostamento di intere fermate dell’autobus da quella comodissima via. Il Piano del traffico in centro funziona bene come si presenta al momento.

Questo dice la gente: «Lo status quo ci piace». Ma se si potessero fare alcune modifiche con la bacchetta magica, ecco, allora si punterebbe il dito contro il numero di parcheggi carenti. Per non parlare della sosta dei motorini. Anche per i motomuniti diventa impossibile trovare parcheggio in zona soprattutto durante le ore di punta mattutine e subito dopo pranzo. Nulla da dire invece su Trieste Trasporti: la distribuzione dei mezzi pubblici non ha peccati, le zone sono per la maggior parte servite. Che la pedonalizzazione di via Mazzini sia stata un flop, lo dicono senza esitazione molti commercianti, ma anche qualche passante che, pur avendo un garage in centro città, pensando al prossimo e in particolare agli anziani, capisce che via Mazzini non va chiusa al traffico. «Prima si fa una propaganda immensa sull’inquinamento e poi lo si concentra tutto in una zona, non va bene chiudere una parte al traffico per poi innalzare il tasso di smog solo da un’altra - dice il signor Salvatore Pani - . I bus vanno lasciati in questa strada, è comodo per le persone più vecchie». Pienamente d’accordo anche Martina Berro, responsabile del negozio di intimo “Fiducia”, che lamenta il periodo in cui c’è stato l’esperimento di chiusura dell’area. Perdite di clienti, racconta, perché i bus non fermavano più davanti al negozio. «Noi vendiamo cose classiche, quindi la nostra clientela è prevalentemente anziana e chi veniva da noi nel periodo pedonale non arrivava più a causa della lontananza dalle fermate». Ma il trasporto pubblico va preservato, dicono i negozianti, anche perché funge da vetrina della vetrina. «Il cliente guarda il negozio - spiega Berro - e poi capita anche che per comodità vada nel nostro altro punto vendita e dica “ho visto quel capo in via Mazzini”». Se si mette i panni di una semplice cittadina, e soprattutto di una mamma, la stessa Martina vorrebbe via Mazzini pedonale, perché camminare con il passeggino «è impossibile, se non nelle zone come via San Nicolò». Attenzione però alle ambulanze e a quei mezzi che comunque potevano passare se via Mazzini fosse stata pedonalizzata. «Più volte ho avuto paura, i bambini giocando per strada, potevano comunque incorrere in un incidente». Il voto in questo caso va alla pedonalizzazione totale e «fino in fondo alle Rive con la possibilità di mettere pure dei tavolini qui fuori» aggiunge Gloria Amodeo, dipendente dell’enoteca Bischoff. O bianco o nero dunque. Per il negozio di vini i weekend estivi fino a luglio sono stati infatti «un’angoscia». Lo stesso triste sentimento che provano le colleghe di Amodeo ogni volta che devono venire al lavoro con lo scooter. «Arrivano comunque in ritardo - dice -, da via Forlanini e via Settefontane, perché non trovano mai parcheggio». Un disagio che non percepiscono quindi solo i quattro ruote, per cui attorno a via Mazzini la maggior parte propone «un aumento di postazioni blu». Se ne accorge anche Riccardo Castrigno, proprietario del bar Alpino in via San Lazzaro: «Io vivo in via Milano, vengo qui a piedi - ammette -, però vedo che è impossibile parcheggiare un motorino. Bastano cinque minuti di ritardo la mattina presto e sei fregato, così anche dopo le 15.30». Castrigno osserva anche un altro dato interessante sui cui far riflettere la nuova amministrazione, relativo al Park San Giusto. «Alcuni non sanno nemmeno che c’è, secondo me - dice - i turisti non vengono dirottati lì in nessun modo». Ma a lui, che abita in centro, non cambia la vita l’attuale situazione parcheggi, si muove a piedi e usa l’auto, se deve, solo la domenica. E nemmeno via Mazzini pedonalizzata l’ha mai particolarmente sofferta. «Via Santa Caterina era vuota, tanti ne hanno risentito, ma noi comunque avevamo più o meno sempre lo stesso passaggio».

Benedetta Moro

 

«Questa giunta deve iniziare a decidere»
«Sul Piano del traffico la giunta Cosolini aveva lavorato per tre anni, sentendo più volte le circoscrizioni e i gruppi di portatori d’interesse, addirittura con una fase dedicata alle pre-osservazioni. Se l’assessore Polli crede si debbano fare altri giri del genere, sprecando tempo e soldi, sappia che eliminare ogni conflitto non è possibile. Si può ascoltare all’infinito, ma una decisione alla fine devi prenderla». Elena Marchigiani, nella scorsa legislatura assessore alla Pianificazione urbana, Mobilità e traffico quando il sindaco era Roberto Cosolini e il centrosinistra era maggioranza in municipio, boccia la strategia imboccata dalla giunta Dipiazza sul Piano del traffico, su cui lei stessa aveva lavorato a fondo. «Questa - prosegue - è l’ennesima dimostrazione che questa amministrazione non prende decisioni. Come fatto già per due mandati, il sindaco Dipiazza continuerà a rinviare la scelta sul Piano salvo poi non fare niente perché nuove elezioni saranno imminenti. Bisogna stabilire se si vuole una mobilità sostenibile o meno. Noi avevamo atteso su certi aspetti perché in ballo c’era la gara sul trasporto pubblico locale. Comunque, disfare è facile. Costruire è più difficile».

(m.u.)

 

«Sarebbe offensivo ipotizzare varianti»
«Quello che chiediamo al Comune di Trieste è di non effettuare interventi spot. L’amministrazione deve infatti attuare il Piano generale del traffico urbano, che con tanta fatica è stato portato in porto dall’esecutivo Cosolini dopo dieci anni di completa inazione delle precedenti giunte Dipiazza». Luigi Bianchi parla a nome del Coped - Cammina Trieste, realtà che da molti anni si spende per salvaguardare le esigenze e la sicurezza dei pedoni. Del Coped, Bianchi è oggi il presidente. «Mi sembrerebbe quasi offensivo, ora, nei confronti della cittadinanza - continua -, poter parlare di eventuali varianti rispetto al Piano approvato. Il discorso è un altro: la giunta attuale si metta al lavoro per dare appunto piena attuazione al Pgtu». Il presidente del Coped - Cammina Trieste, in ultimo, apre comunque al dialogo: «Se l’amministrazione poi dovesse ritenere di approfondire determinati temi o apporre delle modifiche a quanto previsto, allora è giusto ricorrere a nuove consultazioni a incominciare dalle circoscrizioni».

(m.u.)

 

«No ad arretramenti in tema di sicurezza»
«È di sicuro una cosa positiva quella di voler risentire le parti interessate. Ma c’è anche da dire che la precedente amministrazione aveva messo a punto una serie di interventi significativi, recependo per esempio buona parte delle nostre sollecitazioni». Willy Puglia, storico rappresentante dell’Usb (Unione sindacale di base) nel settore dei trasporti, fornisce il punto di vista sul congelamento del Piano del traffico proprio dal versante di chi opera nel Tpl. Trasporto pubblico locale su cui ovviamente il Pgtu ha dei riflessi rilevanti. «Se l’assessore Polli vuole fare meglio, avviando nuove consultazioni - aggiunge sul tema Puglia -, siamo soddisfatti. Ma ci auguriamo che non vi sia alcun arretramento rispetto a quanto iniziato sul fronte delle azioni a garanzia della sicurezza dei conducenti di autobus e anche dell’utenza. Le nostre richieste - conclude il delegato Usb -, presentate all’epoca alla giunta Cosolini, erano finalizzate proprio a questo. Incroci, passaggi pedonali, le fermate più a rischio: molte delle urgenze segnalate sono state in effetti risolte, ma non tutto».

(m.u.)

 

«Più zone pedonali - Questa è la priorità»
Fra commercianti ed esercenti, di Piano del traffico si parla da anni, a iniziare dal futuro assetto di via Mazzini e di corso Italia. «Da parte nostra - riepiloga il presidente dell’Associazione commercianti al dettaglio, aderente a Confcommercio Trieste, Mauro Di Ilio - avevamo dato parere favorevole al nuovo Piano», presentato allora dalla giunta Cosolini. Un consenso motivato in particolare «dall’obiettivo di rendere sempre più fruibile la città a livello pedonale». Per portare così, è la meta finale cui tende Confcommercio, un sempre maggior numero di potenziali clienti nei pressi di negozi ed esercizi pubblici. Con conseguente possibilità d’affari in più. «Non siamo noi gli urbanisti che devono dire cosa fare adesso - riflette Di Ilio -, visto anche il logorante test compiuto in via Mazzini e via Imbriani e che ha creato aspettative da un lato e problemi dall’altro. Cerchiamo però - è l’esortazione finale dal vertice Acd al Comune - di arrivare all’obiettivo finale: più aree pedonali e zone a traffico limitato, meno caos di veicoli all’interno della città».

(m.u.)

 

 

La Ue boccia la rete idrica regionale - Maxi multa da 66 milioni all’anno

Sotto accusa le falle del sistema di depurazione delle acque nere. Performance peggiori solo in Sicilia

Quantificata in 3 miliardi la spesa per adeguare le infrastrutture. Aumenti in bolletta all’orizzonte
A livello italiano per adeguare tutti gli impianti servirebbero almeno 160 miliardi di investimenti e trent’anni di lavori

TRIESTE - Una multa da sessantasei milioni all’anno per la mancata depurazione degli scarichi fognari: è quanto il Friuli Venezia Giulia dovrà pagare finché non avrà sanato le carenze della propria rete idrica. Negli ultimi anni l’Unione europea ha comminato all’Italia pesanti sanzioni per la pessima condizione dei suoi acquedotti: l’ammenda è di 480 milioni annui, 66 dei quali per difetti riscontrati in Fvg, secondo soltanto alla Sicilia per l’inadeguatezza del proprio sistema di ripulitura delle acque nere. In regione solo metà di esse viene infatti trattata in conformità con gli standard Ue. L’entità delle sanzioni si andrà sommando di anno in anno, fino alla risoluzione dei problemi. Il nodo potrà tuttavia essere sciolto in tempi non brevi: l'onere per l'adeguamento è stimato attorno ai 3 miliardi, sui 160 miliardi di investimenti di cui la rete idrica italiana avrebbe teoricamente bisogno nei prossimi trent’anni. Risorse in buona parte di provenienza statale, ma le casse regionali saranno nel frattempo messe a rischio dalle procedure d’infrazione europee: queste sono giunte alla fase esecutiva e Bruxelles potrebbe cominciare a chiedere entro il 2016 il dovuto all'Italia. Il governo ha già esplicitato l'intenzione di rivalersi sulle Regioni inadempienti e, su circa 800mila euro di versamenti giornalieri previsti, 110mila sono relativi al Fvg. Il futuro si preannuncia a tinte fosche: da una parte sanzioni pesanti e necessità di investimenti sulle infrastrutture per farle cessare, dall’altra un aumento inesorabile delle bollette, che si sta d'altronde verificando in tutta Italia e che non basterà in ogni caso a garantire ai gestori le risorse necessarie per tutti gli interventi, il cui finanziamento dipende essenzialmente da trasferimenti statali. La mancata ottemperanza alle norme europee dura da 16 anni, da quando cioè nel 2000 una direttiva Ue diede 5 anni di tempo per allacciare al sistema fognario tutti gli agglomerati da oltre 2mila abitanti, evitando così scarichi in mare senza preventiva depurazione. Il sistema italiano ha fatto orecchie da mercante e con esso il Fvg, tanto che la Corte europea parla di violazione «sistematica, generalizzata ed estremamente preoccupante». Nel 2004 l’Ue avviò le prime indagini sul ritardo infrastrutturale italiano e nel 2012 la Corte ha rilevato inadempienze in 109 agglomerati: a livello locale, la questione riguarda Cervignano e l’area di Trieste-Muggia-San Dorligo. Nel 2013 è cominciata una seconda inchiesta, che ha prodotto la condanna del Fvg per gli agglomerati di Codroipo-Sedegliano-Flaibano, Cormons, Gradisca, Grado, Pordenone-Porcia-Roveredo-Cordenons, Sacile e Udine. Un’ulteriore procedura di infrazione attende ancora il giudizio finale e i 66 milioni potrebbero dunque diventare presto di più. In Fvg le contromisure per l'ammodernamento di depuratori e reti fognarie sono state assunte solo dopo l'arrivo delle stangate. Del 27 marzo 2014 è l’accordo di programma con i ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente per la realizzazione del depuratore di Servola, che dovrebbe risolvere i problemi dell’intera Trieste grazie a un investimento da 52 milioni, realizzato da Stato, Ue e Regione. Al 31 ottobre dello stesso anno risale poi l’accordo di programma per il potenziamento della rete fognaria e di depurazione di Cervignano, Rivignano, Sacile, Pordenone, Porcia e Cordenons: un’area molto vasta e con importanti criticità, per la quale i 25 milioni previsti non sembrano in grado di coprire la realizzazione di tutte le infrastrutture necessarie, la cui realizzazione è

Diego D’Amelio

 

 

Gli acquedotti colabrodo sprecano il 44,9% dei volumi trasportati - le criticità
Acquedotti colabrodo. La rete idrica del Friuli Venezia Giulia spreca il 44,9% dei volumi trasportati. La rilevazione è dell'Istat e colloca la regione al sesto posto in Italia nella classifica poco lusinghiera dello sperpero di acqua potabile per uso civile.

Il dato è al di sopra tanto della media del Nordest che di quella nazionale, attestate rispettivamente al 32,6% e al 37,4% di liquido disperso. Non va meglio sul fronte della depurazione, se si considera che la percentuale di carichi inquinanti civili non trattati in appositi impianti tocca il 52,1%, contro una media del Nordest del 42,1% e nazionale del 42,4%. In questo caso il Fvg si colloca al secondo posto delle regioni meno virtuose, dietro alla sola Sicilia. È in riferimento a questi dati che il consigliere regionale Vittorino Boem (Pd), promotore della legge che ha istituito l'Autorità unica per i servizi idrici e i rifiuti, chiede da tempo alla giunta un impegno preciso sugli investimenti per mettere a norma la rete del Fvg: «Non è più rinviabile l'impegno della Regione nell'affrontare il tema delle sanzioni europee per la mancata depurazione. A luglio l'esecutivo si è impegnato a valutare uno stanziamento di risorse costanti per le prossime annualità. I cantieri ci consentiranno di diminuire, fino ad estinguere, la multa dell'Unione europea: meglio spendere soldi per i cantieri delle nuove reti fognarie e per migliorare i depuratori, che per pagare multe. Anche i gestori del servizio idrico dovranno investire più risorse in opere, razionalizzando i costi fissi di funzionamento e facendo economie di scala. La nuova autorità che partirà fra due mesi accompagnerà questi processi». (d.d.a.)

 

Servola attende il superdepuratore - L’entrata a regime prevista entro la fine del 2017. Già spesi più di 17 milioni
TRIESTE - Entro la fine del prossimo anno il depuratore di Servola sarà a regime ma già nel primo semestre 2017 dovrebbe rientrare il rischio infrazione ambientale, procedura accesa dalla Commissione Ue nel 2008.

La rassicurazione è arrivata da Roberto Gasparetto, il direttore generale di AcegasApsAmga -, la multiutility che sta seguendo la costruzione dell’impianto -, nel corso di un recente sopralluogo condotto insieme allo staff dei tecnici impegnati nel progettoere avviate. In termini di spesa finora è stato impiegato circa un terzo dei 52,5 milioni di euro (58 milioni, se si ricomprendono anche chiusura e deviazione dell’impianto di Barcola) che costituiscono il budget dell’intervento, ma adesso - ha spiegato il manager - il ritmo di impiego avrà una decisa accelerazione, perchè alle strutture edili si accompagnerà la parte tecnologica. Delle prime si occupano Cmb e Riccesi, della seconda Veolia e Degramont. Nella “mezzaluna” ampia due ettari e mezzo l’opera è intuibile ma non ancora leggibile, in quanto i lavori effettuati hanno interessato il sottosuolo: prima con la bonifica da idrocarburi pesanti e amianto, poi con la posa di 626 pali equivalenti a circa 12 chilometri di strutture. Un’attività preparatoria non banale, perchè è stato deviato il corso del torrente Baiamonti e sono stati spostati alcuni cavi di media tensione. Si era così accumulato un mesetto di ritardo nella tabella di marcia, che - assicurano i tecnici - è stato riassorbito. La struttura esistente già riceve i 3500 metri cubi giornalieri che una volta venivano trattati a Barcola davanti al primo Topolino. Non desta preoccupazione la diffida inoltrata dalla Provincia alla fine dello scorso anno a causa dello sforamento di alcuni valori (ferro, Bod5), poichè - ha replicato Gasparetto - è migliorata la capacità gestionale dell’impianto esistente e si è concordato un cronoprogramma con il liquidando ente. Durante la visita si è potuto vedere dove sorgerà il blocco-uffici e dove si realizzeranno le “piastre” 1-2-3-4-5-6: in sostanza, siamo alle fondamenta e adesso partirà il gran ballo. A Servola c’era il direttore dei lavori, Massimo Vienna, responsabile anche del costruendo depuratore di Rimini-Santa Giustina, che ha confermato come l’impianto triestino rappresenti uno dei più importanti progetti programmati in questo momento nel Bel Paese relativamente a questo capitolo ambientale. Servirà inizialmente 190mila residenti, ma nel medio termine la clientela, in previsione della chiusura di Zaule, potrebbe ampliarsi progressivamente fino a 240 mila e a 300 mila utenti. Sarà il più grande del Friuli Venezia Giulia, superando quelli di Lignano, Tolmezzo, Udine. La novità saliente dell’operazione è rappresentata dal trattamento biologico a terra, che, dal punto di vista funzionale, sostituisce il ruolo finora svolto dalla condotta sottomarina lunga 7 chilometri. Ma, per non alterare l’approvvigionamento di sostanze nutrienti per la fauna ittica e per l’intero ecosistema marino, sarà sviluppata una tecnologia che - spiega l’azienda - consentirà di bilanciare «l’intensità di trattamento in base allo stato del mare». Monitoraggio che verrà effettuato in collaborazione con l’Ogs. Dal punto di vista finanziario l’investimento è assicurato da 30 milioni di eurofondi Fsc, cui si aggiungono un contributo pluriennale della Regione Fvg e i proventi tariffari. Era presente al sopralluogo l’assessore regionale Sara Vito, soddisfatta del favorevole evolversi della situazione: «È stata la prima opera che abbiamo sbloccato, qui è iniziato il percorso ambientale che, comprendendo i progetti per Gorizia e per il Friuli, porterà a un investimento complessivo di 95 milioni di euro». Al sopralluogo hanno inoltre presenziato l’assessore comunale Luisa Polli, il collega provinciale Vittorio Zollia, il segretario generale dell’Autorità portuale Mario Sommariva, ufficiali della Capitaneria. Donato Riccesi e Stefano Zuban rappresentavano l’imprenditoria coinvolta nel progetto.

Massimo Greco

 

Tracce di atrazina nelle falde della Bassa
TRIESTE - Si chiama Desetil-desisopropil-atrazina (Dact) ed è un metabolita dell’atrazina, diserbante fuori legge in Italia dal 1992 per sospetti legati a cancerogenicità e disfunzioni ormonali.

La sua presenza in concentrazioni superiori ai livelli consentiti (0,10 µg per litro) è stata definitivamente confermata nelle scorse settimane, con riferimento ad alcune falde acquifere del Pordenonese e della Bassa Friulana. Se nel secondo caso destano preoccupazione gli approvvigionamenti autonomi dai pozzi artesiani, il problema ha assunto particolare rilievo nel Friuli occidentale, dove la presenza di Dact nei pozzi degli acquedotti è segnalata da ottobre, quando un comunicato della giunta regionale ha tuttavia parlato di tracce «conformi alle norme sulla potabilità». Il livello degli sforamenti è infatti considerato non significativo per alterare la salubrità dell’acqua, ritenuta «non in discussione» dall’Arpa. Ma gli sforamenti dei valori permessi sono un fatto, tanto che per alcuni pozzi del Pordenonese la Direzione centrale Salute della Regione parla di «valori di concentrazione ampiamente variabili, da molto al di sopra a leggermente al di sotto del valore di parametro previsto, anche in brevi intervalli di tempo». L’individuazione di Dact si è resa possibile grazie all'impiego di strumentazione di ultima generazione, come richiesto solo da alcuni mesi dall'Unione europea: una questione finora oggetto di scarsa attenzione, ma riemersa con forza dopo l’audizione chiesta nei giorni scorsi dal centrodestra in Consiglio regionale. Il direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria pordenonese, Lucio Bomben, rassicura: «L’acqua è potabile e scientificamente non esiste alcun dato epidemiologico che correli l'assunzione a patologie tumorali o correlate». Una delle due locali società di gestione dei servizi idrici, Hydrogea, ammette tuttavia «valori preoccupanti» in molti pozzi della zona di Roveredo e della rete nord di Pordenone, annunciando «interventi a brevissimo termine»: il metodo più efficace è l'impiego di filtri ai carboni attivi, ma l'installazione costerà 1,5 milioni e non risolverà il problema di fondo, con falde che resteranno inquinate a lungo senza possibili soluzioni. Servirà allora l’escavo di nuovi pozzi, ma l'operazione vale 30 milioni: le società di gestione del Pordenonese, Hydrogea e Sistema ambiente, non potranno farvi fronte senza aumenti insostenibili delle bollette e attendono perciò l'intervento della Regione. Un intervento che non dovrà esaurirsi al rimedio immediato - con Renzo Liva e Chiara Da Giau (Pd) che si sono impegnati a reperire le risorse per i filtri nella prossima legge di stabilità - ma dovrà guardare anche alla prevenzione sull’utilizzo di pesticidi. Intanto la politica dibatte animatamente. Il M5s attacca con l'europarlamentare Marco Zullo: «Tutti sapevano, ma sono stati zitti. Dove sono stati il Comune e la Regione?». Il neosindaco di Pordenone, Alessandro Ciriani, punta il dito contro Hydrogea e Regione per non aver comunicato nulla al Comune nel 2015, ma Telesca ribatte assieme all'assessore all'Ambiente, Sara Vito: «Non esiste alcun "pericolo acqua": lo certificano gli enti competenti. Abbiamo reso pubblico nell'ottobre 2015 - e quindi nulla è stato nascosto - quanto emerso dalle analisi. Inoltre gli studi non evidenziano, al momento, alcun pericolo per la salute».

(d.d.a.)

 

L’Ospo ritrova gli “amici” - I germani tornano a casa
Epilogo a lieto fine per i pennuti liberati dai volontari dell’Enpa e recuperati in condizioni critiche dopo essere stati vittime del botulino killer
MUGGIA - Sono sopravvissuti alla moria che ha sterminato una trentina di loro simili e dopo tanta sofferenza hanno finalmente ritrovato la loro casa. Epilogo a lieto fine quello che ieri pomeriggio ha interessato quattro germani reali, liberati dai volontari della sezione triestina dell’Enpa presieduta da Patrizia Bufo. I quattro pennuti - due selvatici e due semidomestici - erano stati recuperati nell’agosto scorso in condizioni più che critiche essendo state vittime del botulino killer che quest’estate ha mietuto tante vittime tra questi splendidi uccelli acquatici. I quattro presentavano i segni di intossicazione che hanno contraddistinto per mesi i germani reali e qualche cigno dell’area del rio Ospo. Due pennuti erano stati recuperati dai volontari dell’Enpa su segnalazione da parte di alcune persone che avevano visto i due germani in difficoltà; gli altri due, invece, erano stati salvati direttamente in acqua da parte di due volontarie dell’Enpa che si trovavano al parco pubblico del rio Ospo durante alcune ore di relax al mare. I quattro uccelli erano stati presi in cura da parte di Marco Lapia, 29enne medico veterinario dell’Enpa specializzato in fauna selvatica. In tutto, i germani erano sei: altri due infatti erano già arrivati nella sede di via De Marchesetti, non riuscendo però a sfuggire alla morte. Gli altri quattro esemplari, essendo molto deboli, sono stati curati prima tramite una fluidoterapia e con un’alimentazione assistita, abbinata a una terapia antibiotica. L’esperienza dell’Enpa ha dato i suoi frutti e le cure offerte ai germani sono state più che positive: tutti i quattro esemplari sono sopravvissuti alla moria che ha spazzato via circa 30 germani reali in poco più di un mese. «Con il passare del tempo, grazie alle cure, gli uccelli hanno ripreso appetito e peso. Inizialmente abbiamo anche utilizzato una cura a base di detossificante. Prima li abbiamo curati all’interno della struttura; poi, una volta ristabilitisi, li abbiamo collocati all’interno di alcune voliere esterne con la presenza di una vasca in modo tale che potessero tenere sempre bagnato il loro piumaggio», racconta Lapia. «Da diverse settimane eravamo pronti per liberarli, ma abbiamo atteso un po’ per rilasciarli nel luogo in cui erano stati trovati», racconta la presidente dell’Enpa Trieste Patrizia Bufo. Fondamentalmente, onde evitare rischi simili a quelli già affrontati, i volontari hanno atteso l’abbassamento delle temperature in modo tale che la tossina del botulino fosse inattiva. «Con l’abbattimento termico il rischio di un nuovo contagio non c’è più - conferma Bufo - ecco quindi che abbiamo deciso di reintrodurre gli animali nel loro habitat naturale». Gli uccelli sono stati trasportati su un furgoncino da via De Marchesetti sino al parco pubblico del rio Ospo all’interno di quattro gabbiette. Arrivati in prossimità dell’acqua, i volontari dell’Enpa hanno aperto le gabbie. Tre germani sono volati a una cinquantina di metri; il quarto, invece, ha atteso qualche minuto prima di seguire i suoi compagni. Soddisfatto dell’epilogo di questa storia il vicesindaco di Muggia Francesco Bussani, presente ieri al parco di rio Ospo assieme anche a Dario Parisini, presidente della cooperativa sociale Querciambiente, che fa parte del consorzio che gestisce il parco pubblico. «Siamo felici che i quattro germani reali siano stati liberati - ha sentenziato Bussani - ora attendiamo di capire come poterci comportare per evitare ulteriori situazioni simili».

Riccardo Tosques

 

Fiume sperimenta il repellente anti-cinghiali - Branchi alle porte della città. E i cacciatori chiedono di poter effettuare battute notturne straordinarie
FIUME - Arrivano in branchi sempre più numerosi e sembrano ormai non aver paura di nulla, né dei cani né dell'uomo. Negli ultimi tempi i cinghiali sono diventati una presenza fissa nei pressi di Fiume, proprio alle porte della città, in località Draga di Susak.

Quasi superfluo dire che gli abitanti del posto sono sempre più preoccupati per la situazione che si è venuta a creare: temono incontri poco gradevoli, soprattutto nelle ore serali e notturne. Per questo motivo hanno deciso di rivolgersi alle autorità chiedendo che il problema sia risolto, o almeno venga ridotto ai minimi termini. I responsabili dell'Unione cacciatori della Regione del Quarnero e Gorski kotar hanno deciso subito di muoversi, mettendo in allerta la società venatoria che ha la concessione per il territorio di Draga. Si tratta della società Jelen di Cavle, nel Grobniciano, le cui doppiette distribuiranno prossimamente una sostanza repellente agli abitanti del sobborgo. È in pratica una sostanza maleodorante, che ha il potere di far tenere alla larga gli ungulati da orti, cortili e abitazioni. Il repellente va posto su un tessuto da fissare a sua volta su bastoni o su corde che vanno collocati ai margini esterni della zona da difendere. Alla Jelen sanno però che la misura non è sufficiente a estirpare del tutto il fenomeno, con i cinghiali che si calano a Draga dalla sovrastante località di Kukuljanovo. Per questo motivo hanno pensato a loro volta di rivolgersi all'amministrazione cittadina di Fiume, affinché si rivolga al ministero croato dell'Agricoltura per ottenere la licenza per battute di caccia straordinarie nel corso della notte. Questa iniziativa ha avuto successo nei vicini abitati di Kostrena e di Cavle. «Negli ultimi quattro anni la caccia notturna ha permesso l'abbattimento di 23 cinghiali a Kostrena - ha dichiarato un responsabile della Jelen - mentre negli ultimi dodici mesi ne sono stati uccisi otto a Cavle, assieme a un orso che si era avvicinato troppo alle case ed era ritenuto dunque una presenza che metteva a rischio gli abitanti e anche gli animali domestici». La municipalità fiumana dovrà però stanziare determinate somme per consentire lo svolgersi di queste battute di caccia. E «nonostante alcuni incontri sul tema - fanno ancora sapere dalla Jelen - dal palazzo comunale non è arrivata finora alcuna risposta concreta». Negli ultimi anni il problema dei cinghiali e dei notevoli danni che provocano si è fatto pressante in diverse zone del Quarnero, comprese le isole di Veglia, Cherso e Lussino. Un proliferazione che nel tempo è risultata essere incontrollata, e della quale ora si stanno pagando le conseguenze.

Andrea Marsanich

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 10 ottobre 2016

 

 

La giunta approva una variazione di bilancio di oltre quattro milioni di euro - E il sociale ottiene più di un milione. Ma Grilli avverte: «Siamo ancora sotto»
Dagli anziani ai minori più soldi per il welfare - La messa in sicurezza dei siti inquinati
Nelle variazioni di bilancio vengono finanziati altri interventi a partire dai giardini inquinati: 100.000 euro serviranno infatti per i lavori di messa in sicurezza dei siti contaminati con lo scopo di «dare continuità all’attività posta in essere nell’immediatezza dal Global service in esecuzione a specifica ordinanza sindacale». La delibera elenca anche come alcune variazioni saranno finanziate da spese minori e in particolare dal risparmio di 235.420 euro su spese di riscaldamento, di 59.000 euro su prestazioni di servizi per le elezioni comunali e di 4.417 euro su oneri finanziari per mutui. Ma anche da maggiori entrate e in questo senso vengono indicati 1.100.000 euro di assegnazioni regionali per l’attività amministrativa dell’ente, 15.188 euro derivanti da rimborsi dall’Ezit per somme liquidate al personale e 135.974 euro nell’ambito dei trasferimenti regionali per il funzionamento delle scuole materne. La giunta ha dato atto che a seguito di questi interventi il totale di avanzo applicato sul bilancio comunale ammonta a 14.321.968 euro e che «gli obiettivi del Patto di stabilità sono conseguiti ed è mantenuta la coerenza tra gli stanziamenti e gli obiettivi programmatici».

(s.m.)

 

 

AMBIENTE - Conferenza sulla radioprotezione

“La radioprotezione in Italia e Friuli Venezia Giulia: la centrale di Krsko”. Questo il titolo della conferenza organizzata da Mens Sana che avrà luogo al centro culturale Veritas di via del Monte Cengio 2 oggi alle 19. Sono previsti interventi di Stefano Laporta, direttore generale dell’Ispra, Concettina Giovani e Massimo Garavaglia dell’Arpa del Friuli Venezia Giulia. L’incontro sarà introdotto e moderato dal sacerdote gesuita e giornalista Luciano Larivera. Le conclusioni saranno tratte dal direttore generale dell’Arpa Fvg Luca Marchesi.

 

 

 

 

IL PICCOLO - DOMENICA, 16 ottobre 2016

 

 

Ferriera, Dipiazza lancia una mappatura epidemiologica
Una mappatura epidemiologica allo scopo di determinare l’incidenza della mortalità e la diffusione di alcune malattie in un arco decennale, analizzando i diversi rioni della città. È la proposta lanciata dal sindaco Roberto Dipiazza ieri mattina, in occasione di un incontro organizzato da “NoSmog”, una delle associazioni in prima linea nel denunciare l’inquinamento da Ferriera.

“NoSmog” aveva invitato due relatori per approfondire le possibili ricadute dell’inquinamento sulla salute umana e sulle piante: il primo tema era stato affrontato da Valerio Gennaro, direttore operativo regionale in Liguria del Registro nazionale del mesotelioma; il secondo da Anna Benedetti, responsabile del Centro studio delle relazioni pianta-suolo afferente al ministero dell’Agricoltura. Alda Sancin, agguerrita animatrice di “NoSmog”, ha riepilogato il messaggio uscito dal confronto con i due esperti, confronto durato un paio d’ore. Gennaro ha illustrato i percorsi da battere per dimostrare le correlazioni inquinamento-patologie, percorsi che hanno suscitato l’interesse del sindaco, che non a caso ha subito rilanciato il progetto di mappatura epidemiologica. Alla Benedetti, invece, il compito di mettere in guardia i residenti del malcapitato rione dai pericoli del cosiddetto inquinamento “aereo” sulle piccole coltivazioni: orti e alberi da frutta hanno più da temere da quanto casca dall’alto che dall’assorbimento di sostanze nocive annidate nel suolo. Avviso ai residenti: il semplice lavaggio potrebbe non essere sufficiente per disinfettare adeguatamente pomodori e ciliegie prodotti nei giardini troppo vicini a Siderurgica Triestina. Alda Sancin ha voluto infine chiarire, in considerazione degli attacchi ricevuti, che l’associazione era e resta «apartitica». «Abbiamo colloquiato con Cosolini a sinistra, colloquiamo con Dipiazza a destra, nulla è cambiato».

magr

 

 

Clima, accordo storico sui gas - 200 Stati firmano intesa su emissioni di condizionatori, frigo e spray
ROMA - Nuovo importante, definito addirittura «storico», accordo globale a difesa del clima: dopo quello di Parigi sull’anidride carbonica, a Kigali, capitale del Ruanda, quasi 200 Stati del mondo hanno detto sì a un testo che prevede la riduzione graduale dei gas Hfc, utilizzati come refrigerante per condizionatori e frigoriferi e negli spray, considerati molto più pericolosi del Co2 e in rapidissima crescita.

Un accordo sbandierato con toni trionfalistici dai promotori come «monumentale», in primis dal segretario di Stato Usa John Kerry. Un’intesa, hanno detto i promotori, capace di prevenire un mezzo grado centigrado di aumento della temperatura globale. Ma che suscita scetticismo in molti, in particolare per le concessioni fatte ad alcune potenze economiche in crescita: se i Paesi industrializzati e avanzati daranno una prima sforbiciata alla produzione di idrofluorocarburi (10%) già dal 2019, un centinaio di Paesi, fra i quali la Cina - il Paese più inquinante del mondo - solo fra otto anni, nel 2024. Ma c’è un nucleo, che comprende India, Pakistan, Iran e alcuni stati del Golfo che, in base al documento di Kigali, inizierà a tagliarne la produzione (del primo 10%) fra ben 12 anni. Questo perché - rivendica l’India, che aveva chiesto di essere esentata addirittura fino al 2029 - si tratta di economie che hanno bisogno di tempo per crescere, partendo molto più indietro degli altri. L’accordo di Kigali, annunciato ieri dopo serrate discussioni durate tutta la notte, è tuttavia legalmente vincolante, a differenza di quello di Parigi. Gli idrofluorocarburi (Hfc) sono il parto del Protocollo di Montreal, Canada, del 1987, nel quale si decise di mettere al bando i Cfc (clorofluorcarburi), allora usati per la refrigerazione (frigoriferi, congelatori, condizionatori d’aria) e come propellenti per le bombolette spray, additati come responsabili di un’allarmante riduzione dell’ozono negli alti strati dell’atmosfera (l’isotopo dell’ossigeno che filtra gli effetti letali delle radiazioni solari), il cosiddetto «buco dell’ozonosfera». Il bando entrò in vigore nel 1989 e da allora il buco si è «richiuso», salvo poi accorgersi che, spostata l’attenzione dall’ozono all’effetto serra, i gas che sostituirono il Cfc, gli Hfc, avevano effetti ben peggiori dell’anidride carbonica.
 

Rischio sismico - Interrogazione di Marini su Krsko

Interrogazione sul rischio sismico della centrale di Krsko del consigliere regionale Bruno Marini. In una nota chiede alla Regione di «attivarsi per richiedere ai governi sloveno e croato, comproprietari della centrale, di affidare all’Agenzia per la sicurezza nucleare (Ensreg) una supervisione circa il rischio sismico dell’area su cui incide la centrale nucleare».

 

I cinghiali devastano il campo da golf
Distrutte tredici delle diciotto buche dell’impianto del Club Trieste a Padriciano. Il presidente: «Danni per migliaia di euro»
TRIESTE - Da lontano, osservate dalla strada, sembrano solo delle chiazze marroni che spiccano sull’erba. A osservare meglio, ci si accorge invece che il prato, altrove perfetto, è stato scavato a fondo. Si fa presto a capire che qualcuno ha rimosso la terra alla ricerca di qualcosa. E quel qualcuno sono i cinghiali che, oltre “visitare” orti e vigne, questa volta hanno fatto il salto di qualità, devastando lo splendido campo del Golfo Club Trieste, a nemmeno un chilometro da Padriciano. L’incursione è avvenuta giovedì. Finora gli ungulati, presenze del tutto abituali in Carso, avevano risparmiato l’impianto. Ma recinzioni, muretti a secco e arbusti, questa volta, non sono stati sufficienti a scoraggiare gli intrusi. «Centinaia e centinaia di metri di prato sono stati brutalmente rivoltati dai cinghiali - commenta amaramente Roberto Tassi, presidente del Golf Club Trieste - e i danni ammontano a diverse migliaia di euro. I selvatici hanno rovinato almeno tredici delle diciotto buche che formano il nostro campo regolamentare. Se si pensa che il Carso è soprattutto pietra, devono aver trovato il paradiso razzolando sul nostro prato soffice e tenero. Anche qui, alla ricerca di tuberi, larve e quant'altro. Che dire: siamo di fronte a una situazione veramente grave». Lo sfogo del presidente ricorda immediatamente quello delle decine e decine di agricoltori, viticoltori e orticoltori triestini che da anni denunciano settimanalmente le incursioni dei cinghiali nei propri poderi, chiedendo ali: chiedono maggiore impegno delle associazioni venatorie, deroghe per gli abbattimenti, estensione dei periodi e degli orari di caccia perché i cinghiali, in particolare, si riproducono rapidamente in numerosi capi. Il “raid” di Padriciano ha dimostrato poi, una volta in più, quanto siano forti questi animali, capaci di abbattere muretti a secco e distruggere recinzioni. «Le nostre buche sono protette da una buona recinzione - riprende Roberto Tassi -. Tuttavia gli ungulati le hanno eluse con facilità, approfittando pure di questi pochi varchi che noi manteniamo per il passaggio delle persone sul Carso. Lo ripeto, il danno è davvero pesante, anche perché oltre al prato ci troveremo a pagare le conseguenze di un danno d'immagine che non sarà solo nostro, ma di tutto lo sport triestino. Per fortuna in questa fase abbiamo potuto contare sull’aiuto della Forestale». Le cifre parlano chiaro e sono molto interessanti. Sul campo di golf di Padriciano transitano ogni anno almeno 4000 amatori e praticanti. Arrivano dalla Germania e dall'Austria, dalla vicina Croazia e pure dalla lontana Finlandia. Si tratta di un autentico turismo a carattere sportivo che, oltre a dare prestigio a Trieste, porta quattrini negli alberghi e nei pubblici esercizi della città. «Non dobbiamo perderci d’animo - afferma il presidente del circolo -. Il prossimo martedì ci ritroveremo tutti, soci e appassionati, con guanti e arnesi per cercare di ripristinare il prato». In seconda battuta, il Golf Club Trieste ha immediatamente preso contatto con un tecnico toscano altamente specializzato nella gestione di recinzioni. «Ma la questione di fondo rimane - insiste Tassi -. Cosa possono e devono fare le amministrazioni locali per proteggerci dalle incursioni dei selvatici? Cosa succede, ora che le Province non esistono più? Quali sono i provvedimenti che la Regione ha intenzione di mettere in atto per aiutare chi ha subito le incursioni dei selvatici? Ovviamente non possiamo provvedere in proprio con doppiette o altri metodi. Non spetta a noi. Ma qualcuno ci deve alla svelta delle risposte e delle assicurazioni. Perché così non è possibile andare avanti».

Maurizio Lozei

 

 

Liberate a Verudella altre due testuggini curate dai veterinari
POLA - Dal Centro di recupero delle tartarughe marine di Verudella altri due animali sono ritornati nel loro ambiente naturale - il mare - dopo un periodo di cura e convalescenza. A salutarli sono accorse alcune centinaia di persone, soprattutto mamme con bambini e qualche turista.

La prima è Zanja Mara il cui nome è composto dalla denominazione della baia di Zanja sull'isola di Cherso dove nel settembre 2015 era stata trovata e dal nome della moglie di colui che l'aveva tratta in salvo e affidata al Centro di recupero. L'aveva notata un gruppo di alunni della Scuola marittima di Buccari durante una lezione pratica in mare. L'animale nuotava alla profondità di 5 metri e presentava un profondo taglio sulla parte inferiore sinistra della corazza. Pesava solo 11 chilogrammi e la sua età era stata valutata sui 7 anni. Dopo un anno di cure e convalescenza, la ferita si è risanata e l'animale ha messo su ben 7 chilogrammi per cui è stata giudicata in grado di tornare nel mare aperto. La seconda tartaruga tornata in libertà e Bolko, di età sui 3 anni e dalla corazza lunga sui 30 centimetri. Era stata trovata nel giugno scorso nel mare non lontano da Lussinpiccolo. Era in condizioni critiche tanto che il trasporto al centro di Pola è stato fatto in tempi rapidissimi. Il nome deriva dal traghetto Bol con il quale è stato trasportato da Porosine a Brestova. Anche se il nome potrebbe far pensare trattarsi di un maschio, nelle tartarughe di piccola stazza come dicono gli esperti, non è facile determinare il sesso. Durante il suo soggiorno al Centro di recupero come racconta il personale, Bolko per diverse settimane ha lottato tra la vita e la morte. E dopo la terapia che fortunatamente si è rivelata efficace, ha cominciato a mangiare autonomamente e in quattro mesi è andato su di un chilogrammo. Il centro per la cura e la riabilitazione delle tartarughe, fondato nel 2006, sorge vicino alla fortezza austroungarica di Verudella, nel comprensorio turistico di Pola. Qui esiste la cosiddetta stanza delle piscine dove le tartarughe vengono curate, e subito accanto troviamo l'aula didattica del centro dove sono custodite le fotografie la relativa documentazione di tutte le tartarughe finora salvate, fra le 10 e le 15 l'anno.

(p.r.)
 

DRAGA SANT'ELIA - Festa bio, escursioni e bossa nova
Draga in festa dalle 10 alle 18 Info al 3287908116Oggi dalle 10 alle 18 (o, in caso di maltempo, la domenica successiva) torna per il secondo anno “Draga in festa”, evento gratuito in collaborazione con le realtà associative del territorio e il patrocinio del Comune di S. Dorligo della Valle. Porte aperte quindi fino alle 18 con gli agricoltori che apriranno i loro orti per assaggiare i prodotti e provare olii essenziali. E poi incontri culturali, un’esposizione fotografica e, per i bambini, attività ludiche con Pappamundi Elic. Due escursioni guidate prenderanno il via alle 11.30 (raccolta delle erbe) e alle 14.30 con visita alle “Iazere”. Alle 12, lettura sui prati. Seguirà alle 16 un momento di campane tibetane. Non mancherà la musica: dalle 16, swing, bossa nova, easy jazz lounge. Ma si parlerà (alle 16) anche di giardini inquinati. Nel parcheggio della Locanda Mario, che proporrà menù anche vegetariano e vegano a pranzo e cena (prenotazioni allo 040-228193) per tutto il giorno verrà allestito un mercatino.

 

Settimana della Terra - Mostre, esercitazioni e caffe' per far conoscere i "lavori blu"
Mostre, tavole rotonde, conferenze, caffè scientifici, incontri, visite guidate ed esercitazioni antisismiche (programma completo su www.settimanaterra.org/node/186). Da lunedì a domenica 23 ottobre l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale organizza una serie di eventi in occasione della quarta edizione della Settimana del pianeta Terra. Obiettivo, conoscere le geoscienze ma anche fare il punto sulle opportunità occupazionali collegate ai “lavori blu”.

«Le iniziative - spiega la presidente di Ogs, Maria Cristina Pedicchio - intendono far conoscere i benefici derivanti dalla ricerca scientifica, favorire la conoscenza dei fenomeni naturali e diffondere la cultura della sicurezza per gestire al meglio eventuali disastri naturali». Il ricco programma di geoeventi triestini partirà domani alle 10 con un incontro alla Camera di commercio, “Il blu di Ogs: ricerca per il mare” in cui i ricercatori della sezione Oceanografia illustreranno l’attività. Seguirà, dalle 17 alle 19, la tavola rotonda “I lavori blu del futuro” con interventi di Maurizio Fermeglia, rettore dell’Università, Sergio Razeto, presidente di Confindustria Venezia Giulia, e Mario Sommariva, segretario generale dell’Autorità portuale. «La tavola rotonda - anticipa la presidente che la coordinerà - è mirata a fare sistema tra formazione, ricerca, università e tessuto industriale. Il mare dev’essere una fonte di sviluppo economico e soprattutto di nuova occupazione per la città grazie alle molteplici opportunità che nascono dal suo articolato contesto: tutto quello che viene definito insomma “crescita blu” e che porterà a uno sviluppo economico con milioni di posti di lavoro nei prossimi anni, ma richiede nuove competenze, capacità di innovare, interdisciplinarità». Alle 19 sarà inaugurata la mostra fotografica “Obiettivo ghiacciai: una bellezza che sta scomparendo”, che fino al 31 ottobre - dalle 9 alle 18 - accompagnerà i visitatori alla scoperta dei ghiacciai su cui incombe il rischio riscaldamento globale. Martedì alla Lovat, alle 18, tre studenti di dottorato dell’Università all’Ogs racconteranno il fascino di fare scienza attraverso le loro prime esperienze in missione e all’estero per una campagna oceanografica. In “Fare scienza solcando i mari” (Oliviero Candoni), “Il mio semestre al Petroleum Institute di Abu Dhabi” (Federico Da Coll) e “Navigare per studiare la storia geologica del Mediterraneo occidentale” (Michela Dal Cin) illustreranno alcune delle attività che contraddistinguono l’intenso lavoro a bordo di una nave da ricerca. Mercoledì, sempre alle 18 alla Lovat, Martina Busetti illustrerà la geologia del golfo di Trieste. «Racchiuso tra le coste della pianura friulana, il Carso e l’Istria - spiega la ricercatrice - rappresenta un archivio di informazioni geologiche che permettono di comprendere i processi che hanno disegnato il territorio come lo vediamo oggi. Per ottenerle, utilizziamo il metodo sismico da cui si ottengono immagini acustiche che investigano il sottosuolo fino a diversi chilometri di profondità e lunghezza».

Gianfranco Terzoli

 

 

 

 

IL PICCOLO - SABATO, 15 ottobre 2016

 

 

Provvidenziale la conferma del no al rigassificatore - La lettera del giorno di Peter Mocnik

Mi dispiace dover correggere la consigliera e segretaria regionale del PD Antonella Grim che stimo, ma ritengo che si dovrebbe ringraziare chi ha presentato la mozione consiliare che rinnova l'opposizione del Comune di Trieste al rigassificatore di Zaule - per fortuna approvata all'unanimità -, perché nel maggio di quest'anno il Ministero dell'Ambiente, su parere dei 47 (!) membri della Commissione ministeriale per la VIA/VAS, ha di fatto acceso la luce verde al progetto, constatando come Gas Natural avrebbe ottemperato alle prescrizioni poste nel 2009. In contrasto però con la verità, degli atti, delle procedure e delle norme nazionali e comunitarie, tant'è che la Regione, la Provincia ed i Comuni di Muggia e Dolina hanno impugnato al Tar Lazio le relative decisioni. Sarebbe bene che lo facesse anche il Comune di Trieste. E sarebbe pure bene che qualcuno spiegasse al Governo che l'impianto va contro la volontà e gli interessi della popolazione e degli enti locali e nuoce all'habitat di due Stati, oltre che ai traffici portuali. Ai quali il Ministero probabilmente dirà di adeguarsi all'impianto, in barba al Piano del Porto appena approvato che non lo prevede. Capisco che con la riforma costituzionale l'energia e i grandi impianti diventano esclusiva del Governo, su cui le Regioni non possono più mettere lingua, ma se queste sono le conseguenze, comincio a temere seriamente per il nostro futuro.

 

 

 

 

IL PICCOLO - VENERDI', 14 ottobre 2016

 

 

Tutela della salute degli operai di Servola - Serracchiani annuncia una nuova riunione
«Presto sarà convocata una nuova riunione del tavolo di coordinamento sulla salute dei lavoratori della Ferriera».

Lo ha annunciato la presidente della Regione e commissario straordinario per l’area di Servola Debora Serracchiani: «Il tema della tutela della salute dei lavoratori è stato posto per la prima volta in modo sistematico e coordinato con la costituzione del tavolo, a seguito del quale sono state attuate azioni finalizzate all’incremento della prevenzione e alla diminuzione dei rischi, anche mediante l’adozione di prassi e comportamenti sul luogo di lavoro diverse rispetto a quelle portate avanti negli anni precedenti». A tale riguardo va sottolineato anzitutto l’effetto della prescrizione disposta dall’Asui di provvedere al lavaggio delle tute ad ogni fine turno, accorgimento che, unitamente all’entrata in funzione del nuovo impianto di aspirazione, ha permesso di rilevare, nel corso dei periodici esami sui lavoratori, una sensibile diminuzione della concentrazione di metaboliti nelle loro urine.

 

 

 

 

IL PICCOLO - GIOVEDI', 13 ottobre 2016

 

 

Dipiazza: «Cosolini si informi sulla Ferriera»
Il sindaco attacca il predecessore “reo” di aver criticato la mozione sulla limitazione dell’attività
Dura reazione del sindaco Roberto Dipiazza alle dichiarazioni dell’ex primo cittadino Roberto Cosolini, in relazione alla mozione del centrodestra, approvata lunedì scorso dal Consiglio comunale, con cui si invita il sindaco a emettere un'ordinanza di riduzione della produzione della Ferriera, qualora fosse necessario. «Il consigliere comunale del Pd Cosolini - premette Dipiazza attraverso una nota - che da ex sindaco si è ben guardato dal tutelare i cittadini, piegandosi al volere della Regione, farebbe bene a informarsi». In occasione del dibattito Cosolini aveva chiesto «come mai il centrodestra non ha chiesto la revisione dell'Aia fra il 2008 e il 2011, quando al governo regionale c'era Renzo Tondo, e i livelli di benzopirene erano sette, otto volte quelli attuali». Dipiazza replica alla critica dell’ex sindaco affermando che «già nel giugno 2008 avevo avanzato alla Regione, guidata da Renzo Tondo, la richiesta di riesaminare l'Autorizzazione integrata ambientale all’epoca rilasciata alla Lucchini». Il primo cittadino prosegue affermando che «il documento è già sufficiente a smentire Cosolini ma, volendo essere ancora più precisi, ricordo che all'epoca dei fatti, l'assessore regionale Vanni Lenna, nel dicembre del 2008, dichiarò di avere tutte le relazioni in merito alla situazione della Ferriera, tranne, guarda caso, quella della Provincia guidata dalla presidente Bassa Poropat». «Queste ultime dichiarazioni del già sindaco Cosolini - conclude Dipiazza - mi inducono a pensare che il “lupo perde il pelo ma non il vizio”, e in questo caso il vizio è quello di non volersi assumere la responsabilità di aver voluto solo appoggiare la proprietà dello stabilimento siderurgico, nonostante le condizioni di vita impossibili lamentate dai cittadini». In relazione al contenuto della mozione, Cosolini ha sostenuto che «bisogna fare le cose seriamente: il sindaco può emettere un'ordinanza del genere quando i dati la supportano». E appunto nel caso in cui i dati forniti dalle rilevazioni siano tali da richiedere un’ordinanza Cosolini ha sottolineato che il sindaco «ha il dovere di imporre la riduzione della produzione, e non è cosa che si faccia su indirizzo politico del Consiglio».

 

 

Inquinamento atmosferico, un killer che il pianeta fa fatica ad arrestare

Tre milioni di persone muoiono ogni anno per l’esposizione all’inquinamento dell’aria del luogo in cui vivono.

Una cifra impressionante, che si aggiunge a quelle già elaborate negli anni scorsi: 12,7 milioni di morti per il totale delle esposizioni ambientali (acqua, suolo, radiazioni), oltre 7 milioni di morti per l’aria inquinata, incluse le esposizioni “indoor”. Sono i dati allarmanti resi noti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo Rapporto su inquinamento atmosferico e danni alla salute, con riferimento specifico all’inquinamento “outdoor”, ovvero dell’ambiente esterno. Uno studio redatto su scala mondiale che prende in considerazione soprattutto le aree urbane e le grandi città, oltre tremila siti, raccogliendo i dati esistenti sull’inquinamento dell’aria (anche satellitari) e individuando i casi di mortalità o di morbilità associati a questo fenomeno, secondo una nuova metodologia definita dalla stessa Oms. Un rapporto di grande attualità, dopo che il Parlamento europeo ha ratificato l’accordo sul clima di Parigi. Sull’inquinamento, le differenze nel mondo sono rilevanti: solo l’8% della popolazione mondiale ha il privilegio di respirare aria buona, mentre il restante vive in zone dove l’inquinamento atmosferico supera il limite di 25 microgrammi di pm per metro cubo. Una situazione che causa milioni di vittime ogni anno, soprattutto nei Paesi più a contatto con mezzi di trasporto obsoleti e industrie vecchie. Quello che conta più vittime è la Cina, con oltre un milione di morti. A Shanghai talvolta il limite raccomandato dall’Oms è stato superato addirittura di 15 volte, arrivando a 410 microgrammi per metro cubo. Al secondo posto di questa poco invidiabile classifica troviamo l’India, con 621mila decessi, seguita dalla Russia con 140mila. Nel resto del Vecchio Continente la nazione più colpita è l’Ucraina con 54mila vittime, davanti a Polonia e Germania con 26.600 e 26mila decessi. In Italia invece i casi sono 21mila. Merita di essere sottolineata la situazione della Svezia, dove l’inquinamento provoca solo 40 decessi annui. Nel resto del pianeta sono da segnalare le quasi 40mila vittime negli Usa e le 30mila del Giappone. Il nostro Paese, come l’insieme dell’Europa, appartiene al gruppo di Stati con il minor numero di morti per inquinamento dell’aria, anche se spicca il dato allarmante della Pianura Padana, una delle zone più inquinate del continente. Nel Mondo, all’origine del 94% dei decessi ci sono malattie non trasmissibili, in particolare quelle cardiovascolari, celebrali o bronco-pneumatiche croniche ostruttive, e il cancro ai polmoni. L’inquinamento dell’aria aumenta anche il rischio di infezioni respiratorie acute, continuando dunque a pesare fortemente sulla salute delle popolazioni più vulnerabili, cioè donne, bambini, anziani. Uno studio insomma che conferma come l’inquinamento atmosferico sia tra i principali problemi ambientali e sanitari che abbiamo a livello globale, e che le cause principali sono mezzi di trasporto, industria e riscaldamento. La ricetta la conosciamo: occorrono leggi per ridurre l’inquinamento, meno combustibili fossili, meno sprechi, meno rifiuti e più riciclo, investimenti in tecnologie pulite - a partire dalla mobilità - controllo pubblico. Un’agenda mondiale sul punto è importante, come invocato dal Papa nella sua enciclica “Laudato sì” e come confermato dagli accordi internazionali. In Italia, pur essendo uno dei Paesi meno a rischio, resta comunque molto da fare per ridurre un numero di morti (ma soprattutto di malati) ancora troppo alto. Anche da noi l’inquinamento è il più grave problema ambientale, e le politiche pubbliche adottate finora sono state insufficienti e assunte in grave ritardo.

ALFREDO DE GIROLAMO

 

 

 

 

GREENSTYLE.it - MERCOLEDI', 12 ottobre 2016

 

 

Stop al carbone salverebbe 20 mila vite all’anno secondo il WWF

Dire basta al carbone per salvare migliaia di vite ogni anno. Questo il messaggio inviato dal WWF, che sottolinea i danni provocati dall’inquinamento da fonti fossili alla salute pubblica evidenziati dal rapporto dello European Environmental Bureau (EEB), dalla HEAL (Health and Environment ALliance), dal Climate Action Network, da Sandbag, dallo stesso World Wide Fund for Nature, e intitolato “Spazzare via la nuvola nera d’Europa: tagliare il carbone salva vite umane”.
I numeri presentati dal WWF fanno riferimento al vantaggio in termini di vite umane che deriverebbero dall’applicazione dei “criteri di prestazione ambientale” alla centrali elettriche alimentate a carbone situate in Europa. Grazie alle migliori soluzioni tecnologiche per il settore, dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente, si potrebbe passare dalle attuali 22.900 morti premature collegate a questo tipo di inquinamento ad appena 2.600.
Nel mirino sono soprattutto le varie deroghe speciali concesse in alcuni casi alle centrali a carbone europee, che permettono emissioni superiori a quelle ritenute “entro livelli di sicurezza”. Entro la fine del 2016 l’UE e gli Stati che la compongono potranno optare per standard di prestazione ambientale più severi, descritti nel “LCP BREF – Large Combustion Plan Best available technique REFerence document”, che se applicati potranno segnare una netta differenza in termini di salute pubblica. Come ha affermato Christian Schaible, Policy Manager sulla produzione industriale dello European Environmental Bureau (EEB):
Le migliori tecniche disponibili richiamate nel rapporto sono tutte provate e testate, e la loro praticabilità tecnica ed economica era già stata dimostrata decenni fa. L’Unione Europea si considera leader mondiale nelle questioni ambientali, ma quando si tratta di carbone, i decisori hanno la testa immersa in una nuvola nera.
Il WWF sottolinea poi come non sia possibile rimuovere in maniera completa gli effetti inquinanti del carbone dall’aria che respirano i cittadini, salvo la completa chiusura di tutte le centrali alimentate con tale fonte fossile (responsabili del 18% delle emissioni climalteranti europee) in favore di nuovi impianti basati sulle energie rinnovabili.
A sostegno di una politica fondata sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico anche il Prof. Bert Brunekreef della European Respiratory Society, che ha dichiarato:
L’inquinamento atmosferico uccide. Gli esperti di salute polmonare chiedono azioni correttive immediate. L’inazione non è giustificabile quando in gioco ci sono la vita e la salute umane.
Claudio Schirru

 

 

Legge bilancio 2017: 15 proposte di Legambiente per Finanziaria green

Per creare occupazione e far partire un grande progetto di riqualificazione ambientale del Paese occorre ripensare la fiscalità in ottica sostenibile. A suggerirlo al Governo Renzi è Legambiente in un documento che contiene 15 proposte per la Legge di Bilancio 2017 (ex Legge Finanziaria).
Legambiente ha inoltre sottolineato in una nota come i 15 interventi da inserire nella Legge di bilancio 2017 siano chiari e fattibili:
Per realizzarli è indispensabile che il Governo abbia il coraggio di cancellare rendite e privilegi, non più ammissibili, di cui beneficiano coloro che gestiscono cave, acque di sorgente, concessioni balneari, estrazioni di petrolio e gas.
Secondo le stime di Legambiente eliminare questi privilegi a partire dal 2017 garantirebbe vantaggi per 2 miliardi di euro all’anno, provenienti dall’economia circolare e dall’innovazione sostenibile. Di seguito le 15 proposte di Legambiente per la Legge di Bilancio 2017:
1.Fissare un canone minimo per le attività estrattive che favorisca il recupero e il riuso dei materiali e riduca il prelievo dalle cave;
2.Aumentare l’ecotassa per il conferimento dei rifiuti in discarica a 50 euro a tonnellata per incentivare il riciclo;
3.Rimodulare l’IVA, riducendo l’aliquota dei beni e dei prodotti a basso impatto ambientale e introdurre detrazioni fiscali per servizi sostenibili come le riparazioni;
4.Aumentare i canoni di concessione per le acque minerali dalla media attuale di 0,1 centesimi a litro a 0,2 centesimi a litro;
5.Fissare il canone minimo per le concessioni balneari ad almeno 10 euro a metro quadro all’anno, applicando sconti agli stabilimenti più sostenibili;
6.Introdurre nuovi ecobonus del 65% trasferibili alle ESCO per la riqualificazione energetica in funzione della nuova classe di efficienza raggiunta, per le ristrutturazioni antisismiche e per la sostituzione dell’amianto con tetti fotovoltaici;
7.Finanziare un fondo per la bonifica dei suoli con le sanzioni previste per gli ecoreati;
8.Ridurre gli oneri per gli interventi di riqualificazione del patrimonio esistente e tassare il consumo di nuovo solo;
9.Favorire una migliore gestione dei terreni agricoli e del patrimonio forestale per ridurre le importazioni di beni agroalimentari e di legno dall’estero attraverso la creazione di nuove filiere nazionali sostenibili;
10.Eliminare tutti i sussidi alle fonti fossili presenti in bolletta, tassando le fonti in base alle emissioni prodotte per incentivare le energie rinnovabili;
11.Favorire l’autoproduzione da fonti rinnovabili spostando almeno il 75% del gettito degli oneri sulla componente variabile della bolletta;
12.Riformare il sistema delle royalties sulle trivellazioni, alzando i canoni per l’estrazione ed eliminando la deducibilità;
13.Rimodulare le accise sui carburanti in base alle emissioni prodotte e favorire il trasporto su ferro e il trasporto pubblico;
14.Eliminare i sussidi per l’autotrasporto delle merci e creare una nuova logistica integrata gomma-ferro-cabotaggio;
15.Affidare tramite gara la gestione delle autostrade, destinando metà dei proventi dei pedaggi a un fondo per l’acquisto di treni;
Marco Mancini

 

 

IL PICCOLO - MERCOLEDI', 12 ottobre 2016

 

 

L’aula “riduce” la produzione della Ferriera - Passa con i voti di centrodestra e M5S la mozione che impegna la giunta a limitare l’attività. Pd critico
TRIESTE - Una mozione che invita al sindaco a emettere un’ordinanza di riduzione della produzione della Ferriera, qualora fosse necessario. È il segnale politico che il Consiglio comunale ha dato lunedì sera votando una mozione marcata centrodestra e votata anche dal Movimento 5 Stelle.

La stessa sera l’aula ha affrontato anche una nuova proposta di diniego al rigassificatore di Gas Natural, votata all'unanimità da tutti di consiglieri. La mozione sulla Ferriera è stata presentata dal forzista Everest Bertoli e sottoscritta dai colleghi Paolo Polidori (Lega), Claudio Giacomelli (Fdi) e Piero Camber (Fi). Punto di partenza i trenta mesi stabiliti dall'Aia per la riduzione dell'inquinamento acustico da parte della proprietà, per chiedere un intervento: «È un tempo impensabile per chi vive nelle vicinanze dell'impianto - ha spiegato Bertoli -. La salute dei cittadini e dei lavoratori viene prima di tutto. Ecco perché il testo della mozione invita il sindaco ad adottare un’ordinanza sindacale in cui si impone alla proprietà di ridurre i volumi di produzione fino a quando non saranno conclusi i lavori di risanamento. Il come è materia che lasciamo ai tecnici ma riteniamo sia un passo necessario». Il capogruppo M5S Menis ha dichiarato: «Penso faccia bene ribadire una posizione nota come quella sulla Ferriera. Finora l'amministrazione non ha fatto molto di quanto promesso, stimolare un'ordinanza del sindaco per la riduzione della produzione è un passo verso l'unica possibilità odierna». Il consigliere Pd Roberto Cosolini si è chiesto «come mai il centrodestra non ha chiesto la revisione dell’Aia fra il 2008 e il 2011, quando al governo regionale c’era Renzo Tondo, e i livelli di benzopirene erano sette, otto volte quelli attuali?». Quanto al contenuto della mozione, per Cosolini «bisogna fare le cose seriamente: il sindaco può emettere un’ordinanza del genere quando i dati la supportano. In quel caso ha il dovere di imporre la riduzione della produzione, non è cosa che si faccia su indirizzo politico del consiglio». Il testo è stato poi approvato con i voti della maggioranza e del M5S. La mozione sul rigassificatore, a firma dei capogruppo di Lega, Fi, Fdi e Lista Dipiazza, è stata illustrata dal leghista Paolo Polidori: «Questa proposta è importante e caratterizzante di questa consiliatura - ha detto -. Il punto determinante riguarda il rilascio dell'autorizzazione a Gas Natural: chiediamo al ministero che la conferenza dei servizi consideri “prevalente” la contrarietà di Comune, Regione, Provincia e Ap. È un elemento dirimente». Il testo è stato votato all'unanimità. La consigliera del Pd Antonella Grim chiosa: «La mozione sul rigassificatore era un atto ridondante. Un alibi con il quale il centrodestra finge di lavorare sui temi su cui si sono sprecate grandi promesse in campagna elettorale».

(g.t.)

 

 

Gli studiosi su Krško: «La centrale nucleare è a rischio sismico»

Lo ha sostenuto al Senato un pool di esperti tra i quali anche i triestini Sirovich e Suhadolc. Similitudini con Fukushima
TRIESTE A Fukushima si sapeva che la centrale nucleare, fonte di uno dei peggiori disastri ambientali della storia, avrebbe potuto prima o poi essere colpita da un terremoto e da uno tsunami. Ma si preferì ignorarlo, sperando che l'evento possibile non si realizzasse. O quantomeno lo facesse in un futuro lontanissimo. Una situazione simile avviene per la centrale nucleare slovena di Krsko, dove il rischio sismico è molto concreto. Questo è in sintesi quanto hanno detto ieri alla commissione ambiente del senato tre esperti: i ricercatori Kurt Decker dell'università di Vienna, Livio Sirovich dell'istituto nazionale di Oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste e Peter Suhadolc dell'università di Trieste. I tre hanno parlato a titolo personale (senza il coinvolgimento degli istituti) in una sessione organizzata ad hoc dalla senatrice goriziana del Pd Laura Fasiolo. La relazione degli esperti è chiara e al contempo forte. In apertura ricordano il caso giapponese e spiegano dove sta la similitudine con quello sloveno: «Si sa che a Krsko possono ripresentarsi terremoti forti almeno quanto quello già verificatosi nel 1917 (magnitudo Richter circa 6), ma probabilmente anche ben più forti; e si sa che un terremoto così, proprio sotto la centrale, potrebbe avere conseguenze gravissime. Ma si spera. E per alimentare queste "speranze" si producono montagne di documenti e analisi, secondo noi in parte addomesticate». Un contesto poco rassicurante, in cui Lubiana progetta addirittura il raddoppio della centrale (la cosiddetta Krsko-2, di potenza tripla). Un'idea a cui è necessario opporsi: «I principali motivi di preoccupazione per la sicurezza sismica del reattore di Krsko-1 e la non opportunità di costruirvi accanto il reattore Krsko-2 si riassumono in due dati», scrivono gli esperti. Il primo è il seguente: «In Europa c'è un solo reattore nucleare in zona sismica di livello medio alto: quello di Krsko. Il sito è nella direzione in cui soffia la Bora». Tratto che lo rende alquanto pericoloso per l'Italia in caso di incidente. L'altro aspetto è il fatto che «il sito venne scelto a metà degli '70 del secolo scorso, quando della sua sismicità non si sapeva quasi nulla». Dagli anni Ottanta, però, il potenziale sismico dell'area è stato identificato senza ombra di dubbio dagli studiosi. La relazione prosegue precisando come gli stress test disponibili al pubblico sulla reazione della centrale in caso di terremoto siano utili soltanto in senso «mediatico»: basati su valori obsoleti, non dicono nulla sulla reale risposta della struttura in caso di sisma. E ancora: «Nel 2011 l'Agenzia slovena per la sicurezza sismica (Snsa) ha comunque ammesso per iscritto che entrambi gli studi probabilistici di pericolosità sismica finora eseguiti (1994 e 2004) erano basati soltanto sui terremoti verificatisi negli ultimi secoli». Spiegano gli esperti: «Calcoli basati su periodi così brevi sono accettabili per la progettazione di edifici qualsiasi. Viceversa, non sono assolutamente ragionevoli per infrastrutture e impianti critici». I tecnici rilevano poi come il servizio geologico francese, a cui gli sloveni si erano rivolti inizialmente, sia uscito dal progetto in forte contrasto. Dato di cui Lubiana sembra non tener conto: «A nostro parere alcuni uffici sloveni e alcuni loro consulenti tendono a sminuire il problema della pericolosità sismica della zona. Nel far ciò si arriva talvolta a forzare i dati e le interpretazioni, comprese le figure proiettate in sedi scientifiche internazionali». I tecnici rilevano che l'ente competente italiano Ispra è la sede naturale per raccogliere le osservazioni dei tecnici nostrani sul caso, e per convogliarle poi all'ente europeo Ensreg. Auspicano poi un'azione congiunta Italia-Austria che solleciti l'Ensreg a trattare l'argomento. Commenta Fasiolo: «La centrale è molto vicina a faglie capaci generare terremoti. I dati comunicati oggi dagli esperti delineano la necessità che l'Italia segua da vicino gli accertamenti sulla sicurezza sismica della centrale attuale e i piani di sviluppo del nuovo impianto. In tal senso è emersa l'urgenza di stimolare l'Ispra ad un maggior coinvolgimento al fine di assumere la "questione Krsko" come priorità in sede nazionale e comunitaria».

Giovanni Tomasin

 

IL PARERE - «C’è anche la bora come aggravante»
Il sito si trova nella direzione in cui soffia il vento di bora per cui è particolarmente pericoloso per l’Italia. È stato scelto a metà degli anni Settanta quando ancora non si sapeva nulla della pericolosa sismicità della zona e quindi delle eventuali disastrose conseguenze.

 

LA SENATRICE LAURA FASIOLO - «L’Italia deve seguire i piani di sicurezza»
Dopo i dati comunicati dagli esperti a palazzo Madama è assolutamente indispensabile che il nostro Paese segua da vicino gli accertamenti sulla sicurezza sismica della centrale attuale e i piani di sviluppo per l’eventuale costruzione di Krško 2

 

 

 

 

IL PICCOLO - MARTEDI', 11 ottobre 2016

 

 

SEGNALAZIONI - Traffico - Dal Comune nessuna proposta

Consulto saltuariamente il sito della Rete civica del Comune per venire a conoscenza delle novità (ampiamente e superficialmente elargite in campagna elettorale) che l'attuale amministrazione intenderebbe promuovere e realizzare nei settori dell'urbanistica e del traffico, di mio particolare interesse. Rilevo con tristezza che di nuovo c'è ben poco. Soprattutto per quanto riguarda la voce "Mobilità e traffico" constato che, al di là della locandina della Settimana della mobilità (manifestazione di routine che si svolge da molti anni nel mese di settembre), non c'è un briciolo di nuova proposta: tutto e solo quanto avviato dalla precedente amministrazione, compresi gli odiatissimi (dal destra-centro triestino) "P days"; ancora presente anche l'invito ai turisti ad effettuare gite su percorsi pedonali e ciclabili da Opicina "dove si arriva comodamente con il tram"(!) . Ormai è evidente che questa amministrazione non ha idee sul governo della città, eccettuata la sistematica cancellazione di quanto messo in atto da chi l’ha preceduta, ma, per decenza, nel rispetto perlomeno dei cittadini che li ha votati, un minimo di aggiornamento negli strumenti di comunicazione (sempreché abbiano qualcosa da dire) non guasterebbe.

Mario Ravalico Ex presidente commissione urbanistica e traffico

 

 

 

 

IL PICCOLO - LUNEDI', 10 ottobre 2016

 

 

Cormons - Raccolti 500 chilogrammi di rifiuti nella pulizia del torrente Judrio
Decine di cittadini che si sono rimboccati le maniche coordinati dalla Protezione civile, dall'assessore all'ambiente Elena Gasparin e dai consiglieri comunali Luca Buiat e Carlotta Bevilacqua. E soprattutto l'impressionante quantità di 500 chilogrammi di rifiuti raccolti in un solo pomeriggio lungo gli argini.

Questi i numeri di "Puliamo lo Judrio", l'iniziativa promossa dal Comune in collaborazione con Legambiente. Tutto si è svolto in piena sicurezza con il perfetto coordinament